TAR Salerno, sez. I, sentenza 2014-09-17, n. 201401613

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. I, sentenza 2014-09-17, n. 201401613
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201401613
Data del deposito : 17 settembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00817/2011 REG.RIC.

N. 01613/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00817/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 817 del 2011, proposto da:
S G, S R e S G, rappresentati e difesi dagli Avv. P G e P L, con domicilio eletto, in Salerno, al Corso Garibaldi, 164, presso lo studio dell’Avv. P G;

contro

Provincia di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv. F T e L T, con domicilio eletto, in Salerno, al Largo Pioppi, 1;

per la dichiarazione

dell’illegittimità dell’occupazione del fondo, descritto in ricorso;
in agro di Roccapiemonte, in catasto al fol. 3, p.lle 1632, 1633, 1634 e 1635, derivanti dalle p.lle 393 e 392;

nonché per la condanna,

ex art. 30 c. p. a., della Provincia di Salerno alla restituzione, in favore dei ricorrenti, del medesimo fondo, previa riduzione in pristino stato dello stesso;

nonché per la condanna

della Provincia di Salerno al risarcimento, in loro favore, del danno da occupazione illegittima, con interessi legali, anche anatocistici, e rivalutazione monetaria, fino al soddisfo;

ovvero, in via subordinata, per la condanna

della Provincia di Salerno alla corresponsione in favore degli attori – a titolo di risarcimento del danno – di una somma equivalente al valore venale del bene per cui è causa, attualizzata, oltre al risarcimento del danno da occupazione illegittima, come sopra specificato;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Salerno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 3 luglio 2014, il dott. Paolo Severini;

Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue.


FATTO

I ricorrenti, proprietari del terreno, sito nel tenimento del Comune di Roccapiemonte (SA), in catasto al fog. 3, p.lle 1632, 1633, 1634 e 1635 (derivanti dalle p.lle 393 e 392), rappresentavano che la Provincia di Salerno, con delibera dì G. P. n. 3993 dell’11/12/78, aveva approvato i lavori di sistemazione del piano viabile della S. P. n. 101 (Sarno – Bivio Lavorate – S. Mauro – Cicalese), con implicita dichiarazione di p. u., indifferibilità ed urgenza dei lavori, riguardanti anche una porzione del fondo suindicato, di loro proprietà;
che era avvenuta, nel frattempo, l’immissione in possesso ed erano stati realizzati i lavori in progetto;
lamentavano che s’era verificata la scadenza di tutti i termini fissati, senza l’emanazione di alcun valido provvedimento di esproprio definitivo, e senza il versamento, in loro favore, di alcuna indennità;
segnalavano come S G, loro dante causa, aveva già, a suo tempo (nel 1992), agito in giudizio, davanti all’A. G. O., contro la Provincia di Salerno, per vederla condannare “ (...) al pagamento del valore del terreno espropriato e al risarcimento dei danni”, ma che detto giudizio era stato interrotto, per morte dell’attore, e non era mai stato riassunto, per cui, trascorso il termine ex art. 305 c. p. c., esso s’era estinto;
che gli eredi Siniscalchi, successivamente, avevano incardinato, presso il Tribunale di Salerno, un nuovo giudizio, con cui avevano chiesto dichiararsi “sine titulo” l’occupazione de qua, accertarsi il loro diritto al risarcimento del danno e condannarsi la Provincia di Salerno al pagamento, in loro favore, del valore venale dell’immobile, nonché dell’indennità di occupazione illegittima;
tale giudizio (N. R. G. 3551/2005), in considerazione del superamento dell’incertezza giurisprudenziale, in ordine alla determinazione della giurisdizione, era stata abbandonata, perché incardinata presso il G. O., con conseguente sua cancellazione (il 3/10/2008) e successiva archiviazione (il 29/07/2010);
tanto premesso, articolavano le seguenti censure:

- A) IN VIA PREGIUDIZIALE DI RITO E PRELIMINARE DI MERITO

- 1). Sulla giurisdizione del Giudice Amministrativo.

Evidenziavano, preliminarmente, come sussistesse la giurisdizione, in capo al G. A., circa la presente controversia, richiamando, al riguardo, una pronuncia del Consiglio di Stato (« (...) Pur senza approfondire la disciplina della giurisdizione in materia espropriativa oggi introdotta dal Codice del processo amministrativo, già in precedenza la giurisprudenza era consolidata nel senso che fossero devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si facesse questione, anche ai fini complementari della tutela risarcitoria, di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità, con essa congruenti e ad essa conseguenti, anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non fosse poi sfociato in un tempestivo atto traslativo (cfr. ex plurimis Cass. civ., sez. un., 9 febbraio 2010, nr. 2788;
Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 2010, nr. 6861;
C.g.a.r.s., 26 maggio 2010, nr. 741)» (Cons. Stato, Sez. 4, Sent. n. 1757 del 22/03/2011);

- 2) Sull’imprescrittibilità del diritto vantato dal ricorrente e sulla rinunzia alla prescrizione ex art. 2937 c. c.

I ricorrenti ponevano in risalto come, riguardo al terna della prescrizione del diritto, dai medesimi vantato, la giurisprudenza amministrativa si fosse espressa nel senso della sua imprescrittibilità (« Il comportamento tenuto dalla Amministrazione, la quale abbia emanato una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d’urgenza senza tuttavia emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla legge, deve essere, infatti, qualificato come “illecito permanente”, nella cui vigenza non decorre la prescrizione;
ciò perché in questo caso manca un effetto traslativo della proprietà, stante la mancanza del provvedimento di esproprio, connesso alla mera irrevocabile modifica dei luoghi. Per questo motivo, salva restando la possibilità di optare per le differenti forme “risarcitorie” che l’ordinamento appresta (restituzione del bene ovvero risarcimento del danno per equivalente), il soggetto privato del possesso può agire nei confronti dell’ente pubblico senza dover sottostare al termine prescrizionale quinquennale decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene, con l’unico limite temporale rinvenibile nell’acquisto della proprietà, per usucapione ventennale del bene, eventualmente maturata dall’ente pubblico (si veda, in termini, T. A. R. Palermo, 1 febbraio 2011, n. 175)» (così T. A. R. Lazio – Roma, Sez. 2 quater, sent. 14 aprile 2011, n. 3260;
T. A. R. Campania, Salerno Sez. II, sent. n. 43 del 14 gennaio 2011);
evidenziavano, inoltre, come l’Amministrazione intimata, nella nota prot. n. 329/E del 21/12/1999, avesse incontrovertibilmente riconosciuto il diritto all’indennizzo, in loro favore («Allo stato, dalla lettura degli atti, appare con chiarezza che il terreno di proprietà eredi Siniscalchi è stato occupato e che permane il diritto da parte di questi ultimi ad essere risarciti»), il che, ai sensi dell’art. 2937, comma 3, c. c., avrebbe comportato la rinunzia alla prescrizione;

- B) NEL MERITO

- 3) Sulla illegittimità della procedura espropriativa.

I ricorrenti sostenevano la “totale illegittimità” della stessa, posto che, sin dai primi anni ‘80 (ossia, all’incirca da trenta anni), epoca in cui era avvenuto lo spossessamento del fondo di loro proprietà, sino all’attualità, non si era giunti alla stipula di alcun accordo transattivo, né era stato pagato alcunché in loro favore, ancorché, come sopra già riferito, con nota prot. n. 329/E del 21/12/1999, l’Ufficio Espropri della Provincia di Salerno, nel dar seguito ad una richiesta degli interessati, avesse rappresentato, agli uffici competenti (Dirigente del Servizio Viabilità del Settore Tecnico, Avvocato Principale, Assessore agli Espropri), che permaneva il loro diritto ad essere risarciti, con conseguente prova della consapevolezza, da parte dell’Amministrazione, della propria posizione debitoria;
a ben vedere, inoltre, “nessun provvedimento poteva essere emanato data la mancanza dell’offerta dell’indennità provvisoria prevista dal titolo II dell’allora vigente legge fondamentale in materia di espropriazione per pubblica utilità, n. 865 del 1971”;
tanto più illegittima doveva, del resto, considerarsi la procedura in questione, dopo l’intervenuta scadenza del termine di cui all’art. 20, comma 2, della succitata legge, posto che l’ente, pur essendo scaduti tutti i termini menzionati (dichiarazione di pubblica utilità ed occupazione d’urgenza), non aveva posto in essere alcun atto o provvedimento idoneo a completare, legittimamente, l’ablazione del fondo in oggetto;

- 4). Sul diritto del privato alla restituzione del fondo

Quanto alle conseguenze dell’illegittima ablazione del loro diritto di proprietà, i ricorrenti evidenziavano come la soluzione, offerta dalla più recente giurisprudenza amministrativa – anche in conseguenza della pronuncia della Corte costituzionale che aveva dichiarato illegittimo l’art. 43 del Testo Unico in materia di espropriazione per pubblica utilità, e, quindi, ha abrogato l’istituto della cd. “acquisizione sanante” – era la seguente: “In caso di mancato acquisto dell’area occupata da parte della P. A. entro i termini previsti dalla dichiarazione di p. u., si è in presenza di un’occupazione senza titolo, ossia di un illecito permanente, che consente in ogni momento al privato di chiedere, anche in via giudiziale, la restituzione del fondo e la riduzione in pristino di quanto ivi realizzato, salva la preclusione sostanziale di cui all’art. 936, comma 4 e 5, c. c., in materia di rimozione di opere eseguite dal terzo sul terreno altrui” (così T. A. R. Campania, Salerno Sez. II, Sent. n. 43 del 14 gennaio 2011);
affinché la proprietà passi in capo all’Ente espropriante, era tuttavia necessario (seguendo l’insegnamento del Consiglio di Stato) un “accordo transattivo”, (al quale, peraltro, l’Amministrazione aveva il “dovere” di addivenire)”, (...) che determini il definitivo trasferimento della proprietà dell’immobile;
infatti, una volta venuta meno la norma che attribuiva al soggetto pubblico il potere di determinare unilateralmente l’effetto traslativo, è chiaro che la produzione di quest’ultimo non può prescindere dal concorso della volontà dell’espropriato” (Cons. Stato, Sez IV, Sent. n. 676 del 28 gennaio 2011);
e, infatti: “Alla rinuncia alla restituzione dell’area irreversibilmente trasformata non può in alcun modo attribuirsi un effetto abdicativo della proprietà in favore dell’Amministrazione, essendo tale conclusione in contrasto con l’esigenza di tutela della proprietà, la quale esige che l’effetto traslativo consegua a una volontà inequivoca del proprietario interessato”. Sicché, in definitiva, con il venir meno dell’istituto della cd. “acquisizione sanante”, “l’Amministrazione non poteva sottrarsi all’eventuale richiesta, da parte del privato, di restituzione del fondo, previa riduzione in pristino di quanto ivi realizzato. Tale richiesta, tuttavia, non impediva al privato di chiedere anche il risarcimento dei danni da occupazione illegittima, per il danno conseguente alla mancata utilizzazione dell’immobile per il periodo di illegittimo spossessamento (come si desumeva, implicitamente, dalla pronuncia del Consiglio di Stato sopra richiamata, nella quale venivano indicati anche i criteri da seguire per la determinazione dell’ammontare del danno (“Ai fini della determinazione dei danni da occupazione illegittima, per il danno conseguente alla mancata utilizzazione dell’immobile per il periodo di illegittimo spossessamento, va fatto riferimento agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale “capitale” di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato;
le somme così calcolate andranno poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza” – Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 676 del 28 gennaio 2011).

I ricorrenti formulavano anche istanza di nomina di un consulente tecnico d’ufficio, ai soli fini della quantificazione del danno subito, e concludevano nei sensi, riportati in epigrafe.

Si costituiva in giudizio la Provincia di Salerno, depositando controricorso nel quale preliminarmente osservava come non potesse trovare soddisfazione la richiesta dei ricorrenti, di restituzione del fondo de quo, dovendo prioritariamente essere soddisfatto l’interesse alla realizzazione dell’opera pubblica;
quindi eccepiva l’inammissibilità del ricorso, per genericità, non essendo stato precisato, dalle controparti, quali parti del proprio terreno sarebbero state occupate, ovvero irreversibilmente trasformate, e neppure quando ciò sarebbe avvenuto;
in ogni caso, rilevava che, per quanto noto alla stessa Provincia, erano state interessate ai lavori de quibus la p.lla n. 1633 (ex 392b) di mq. 210 e la p.lla 1635 (ex 393b) di mq. 278 del fol. 3, in agro di Roccapiemonte;
e che l’intervento era stato portato a termine in data 17.04.1980, come risultava dal certificato di ultimazione dei lavori, del 3.03.1982;
eccepiva, inoltre, sempre preliminarmente la prescrizione del diritto di controparte, in toto o in parte (limitatamente ai danni da occupazione illegittima, anteriori al quinquennio, precedente la data di notifica del ricorso in esame);
eccepiva, ancora, l’intervenuta usucapione, ex artt. 922 e 1158 cod. civ., degli immobili oggetto di causa, dei quali non era stata mai rivendicata giudizialmente la proprietà (i ricorrenti essendosi limitati a proporre, innanzi al G. O,. richieste di risarcimento dei danni per equivalente monetario);
e la stessa Provincia si riservava di proporre azione innanzi al G. O., al fine di far dichiarare l’intervenuta usucapione del terreno in questione;
nel merito, fermo restando che era onere dei ricorrenti di provare le proprie pretese, sia nell’an che nel quantum debeatur, rilevava come, in ogni caso, non fossero dovuti interessi anatocistici, trattandosi di azione di responsabilità aquiliana e, quindi, di debiti di valore.

Seguiva la produzione di memoria difensiva e di note di udienza, per i ricorrenti, i quali replicavano alle eccezioni di controparte e, segnatamente, a quella di usucapione ventennale del fondo per cui è causa.

La Provincia di Salerno depositava memoria difensiva, in cui insisteva nelle eccezioni proposte e, segnatamente, in quella di usucapione.

Con ordinanza, emessa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 9.05.2013, la Sezione ordinava incombenti istruttori, onerandone la Provincia di Salerno, la quale vi ottemperava in data 12.12.2013.

Dopo la produzione di ulteriori memorie difensive, per i ricorrenti e per l’Amministrazione resistente, il ricorso – all’udienza pubblica del 3.07.2014 – era trattenuto in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, osserva il Tribunale come l’azione esercitata, nella specie, dai ricorrenti, sia un’azione ex art. 30 c. p. a., volta alla condanna – previa dichiarazione dell’illegittimità dell’occupazione del fondo in epigrafe, da parte della Provincia di Salerno, per non essere intervenuto alcun provvedimento che sancisse il definitivo passaggio dell’immobile in mano pubblica – della stessa Provincia alla restituzione del fondo in favore dei ricorrenti, quindi al risarcimento del danno in forma specifica, oltre al risarcimento del danno da occupazione illegittima, con interessi anche anatocistici e rivalutazione monetaria;
ovvero in subordine volta alla condanna del medesimo ente al risarcimento del danno per equivalente monetario, da determinarsi nel valore venale del bene, attualizzato alla data dell’accordo transattivo a stipularsi, fermo restando il diritto al risarcimento del danno da occupazione illegittima, come sopra specificato.

Dalla relazione del dirigente del Servizio Espropri della Provincia di Salerno, dell’11.12.2013, trasmessa alla Sezione, in adempimento dell’ordine istruttorio impartito con ordinanza collegiale n. 1854/2013, in data 12.12.2013, emergono le seguenti circostanze, utili all’esatto inquadramento del profilo fattuale della vicenda in esame:

l’azione è stata esercitata, dai ricorrenti, in relazione ai lavori di sistemazione del piano viabile della S. P. 101, nel tratto “Sarno – Bivio Lavorate – S. Mauro – Cicalese – Roccapiemonte”;
detti lavori deve ritenersi che rientrino – come, implicitamente, si desume dalla citata relazione – nel progetto esecutivo – approvato con deliberazione di G. P., n. 3993 dell’11.12.1978, ratificata dal C. P. con deliberazione n. 65 del 26.02.1979 – dei lavori di sistemazione e generale ammodernamento del tratto Materdomini – Bivio Madonna del Gallo, sulla S. P. 114;

la superficie, incisa dalla procedura ablativa de qua, di proprietà dei ricorrenti (aventi causa, in qualità di eredi, di S G), è rappresentata delle particelle, oggetto d’occupazione, n. 1635, di mq. 278, derivata dall’originaria p.lla n. 393 (la quale aveva generato anche la p.lla n. 1634, di mq. 8255, rimasta indenne da ogni incisione);
e n. 1633, di mq. 210, derivata dall’originaria p.lla n. 392 (la quale aveva generato anche la p.lla n. 1632, di mq. 2665, del pari rimasta estranea all’esproprio), per una superficie complessiva, oggetto di occupazione, pari a mq. 408;

l’occupazione delle particelle de quibus si è protratta, pur dopo la scadenza dei termini per il compimento della procedura espropriativa (da ultimo prorogati, con deliberazione del Commissario Prefettizio presso la Provincia di Salerno, del 21.04.1982, per anni cinque, a decorrere dalla data di adozione della stessa deliberazione) e pur dopo la conclusione degli stessi lavori, già avvenuta in data 17.04.1980 (come risulta dal certificato di regolare esecuzione del 3.03.1982, allegato al controricorso dell’Amministrazione), senza che, peraltro, venissero adottati i provvedimenti conclusivi della stessa procedura, e senza che venisse corrisposto alcunché ai ricorrenti (o al loro dante causa).

Così ricostruiti i tratti salienti della vicenda in esame, giusta le risultanze della scarna documentazione in atti, l’azione, esercitata dai ricorrenti, s’inquadra nell’ambito dell’indirizzo giurisprudenziale consolidato, espresso, tra le altre, nella massima seguente: “Il comportamento di una P. A., la quale abbia occupato e trasformato un bene immobile per scopi di interesse pubblico in presenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità e di un legittimo decreto di occupazione d’urgenza, ma senza tuttavia adottare il provvedimento definitivo di esproprio, non può giammai determinare un effetto traslativo della proprietà, ma deve essere qualificato come una occupazione senza titolo, ossia come un illecito di carattere permanente. Ne segue, da un lato, che il privato rimane in ogni caso proprietario del bene (non potendosi attribuire, neppure alla eventuale domanda risarcitoria per equivalente, efficacia abdicativa della proprietà), sicché non può essere risarcito il danno da perdita della stessa;
dall’altro, è obbligo primario dell’Amministrazione procedere al risarcimento integrale del danno da occupazione illecita, mediante restituzione della proprietà illegittimamente detenuta previa riduzione in pristino (ex art. 2058 c. c.) o – in alternativa – per equivalente. In tali casi, solo un formale atto di acquisizione del fondo riconducibile ad un negozio giuridico, ovvero al provvedimento ex art. 42 bis, d. P. R. n. 327 del 2001, introdotto a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 43 dello stesso decreto, può precludere la restituzione del bene, di guisa che, in assenza di un tale atto, è obbligo primario dell’Amministrazione quello di restituire il fondo illegittimamente appreso” (T. A. R. Puglia – Bari – Sez. I, 23/09/2013, n. 1331;
conforme: T. A. R. Puglia – Bari – Sez. I, 3/05/2013, n. 684).

Ciò posto, vanno esaminate le eccezioni, sollevate dalla difesa dell’Amministrazione Provinciale di Salerno, volte a far emergere cause d’inammissibilità dell’azione esercitata, ovvero impeditive dell’accoglimento, nel merito, del ricorso, “sub specie” della prescrizione del diritto fatto valere, ovvero dell’intervenuta usucapione ventennale del fondo di proprietà dei ricorrenti, in funzione estintiva della pretesa alla restituzione del bene medesimo.

Va, anzitutto, esaminata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per genericità, non avendo i ricorrenti precisato quali porzioni del terreno, di loro proprietà, erano state occupate ed illegittimamente trasformate, per la realizzazione dell’opera pubblica in questione, e in quale epoca ciò fosse avvenuto.

L’eccezione non merita accoglimento: i ricorrenti hanno prodotto, in allegato all’atto introduttivo del giudizio, il verbale di registrazione del testamento pubblico, con cui essi erano divenuti proprietari, per successione a S G, tra le altre, delle particelle 392 e 393 del fol. 3 del catasto terreni di Roccapiemonte, ovvero delle particelle dalle quali s’erano originate, per frazionamento, le due particelle (n. 1635 e n. 1633), oggetto dell’occupazione – e successiva irreversibile trasformazione – in oggetto.

La circostanza che gli stessi ricorrenti non abbiano precisato, nello stesso atto introduttivo del giudizio, quali porzioni delle particelle in loro possesso (oltre alle suddette, la n. 1632 e la n. 1634, lasciate invece indenni dalla procedura ablatoria de qua) siano state occupate e destinate all’ammodernamento della strada provinciale di cui sopra, non pare, al Collegio, poter esercitare alcuna efficacia paralizzante dell’azione, sotto forma di causa d’inammissibilità del ricorso, posto che in ogni caso, anche all’esito dell’istruttoria espletata, è risultata la piena corrispondenza tra le particelle di loro proprietà e quelle occupate.

Né a diverse conclusioni potrebbe giungersi, perché i ricorrenti non avrebbero provato in quale preciso momento le stesse particelle di terreno erano state occupate dalla P. A.;
ai fini dell’ammissibilità dell’azione è, infatti, sufficiente l’allegazione del fatto storico della loro occupazione, a fini espropriativi, restando eventualmente a carico dell’Amministrazione convenuta la dimostrazione che l’illegittima occupazione de qua era cessata, e che le stesse particelle erano state loro restituite, ovvero che era stato adottato il decreto d’esproprio, ovvero l’atto terminale della procedura ablatoria, in grado di determinare il definitivo e legittimo mutamento del titolo del possesso, da parte della P. A.: ma entrambe tali dimostrazioni, giusta quanto sopra riferito, non sono state affatto fornite, dalla Provincia di Salerno, che ha, anzi, ammesso d’aver illegittimamente utilizzato le particelle in questione, per la realizzazione della prefata opera pubblica, senza adottare alcun provvedimento definitivo al riguardo.

Va poi esaminata l’eccezione di prescrizione del diritto, fatto valere in giudizio dai ricorrenti: essa è infondata, alla luce del prevalente orientamento della giurisprudenza, espresso, “ex multis”, nelle decisioni seguenti: “Finché dura l’illegittima occupazione del bene di proprietà privata da parte dell’Amministrazione pubblica, senza che vi sia un eventuale titolo idoneo a determinare il trasferimento della proprietà in capo ad essa, non può ritenersi sussistente alcuna prescrizione del relativo diritto del privato proprietario al risarcimento, qualificandosi il comportamento dell’Amministrazione illecito permanente, nella cui vigenza la prescrizione non decorre” (T. A. R. Basilicata – Sez. I, 23/06/2014, n. 420);
“Se sull’area occupata senza un legittimo titolo sono state realizzate opere che la stessa Amministrazione continua ad utilizzare per finalità di sicuro interesse pubblico, si è in presenza di un illecito a carattere permanente, il quale perdura fino a quando non venga o rimosso il manufatto;
in tali ipotesi naturalmente non è possibile ritenere applicabile il termine di prescrizione se non dal momento di cessazione dell’illecito vale a dire dalla restituzione dell’immobile da parte della Pubblica amministrazione ovvero dalla formazione di un altro titolo legittimo che determini il trasferimento della proprietà (Consiglio di Stato – Sez. IV, 10/03/2014, n. 1105).

Ciò posto, va analizzato l’ulteriore rilievo di parte resistente, diretto a far emergere il decorso del termine di usucapione ventennale del fondo, oggetto del giudizio, con conseguente infondatezza dell’azione di restituzione dello stesso, esercitata dai ricorrenti;
tale questione, pur involgendo la decisione circa profili di spettanza del giudice ordinario, può essere, peraltro, affrontata e risolta, incidentalmente, nell’ambito del presente giudizio, giusta il principio, consacrato nella massima che segue: “Proposta dinanzi al giudice amministrativo domanda di restituzione di un’area occupata illegittimamente, il giudice può accertare se sia intervenuta l’acquisizione per usucapione ventennale, ai sensi dell’art. 1158 c. c. (implicante l’accertamento dell’esistenza del diritto di proprietà della p. a. in conseguenza del mero possesso ultraventennale, e quindi estranea alla sfera della giurisdizione esclusiva in materia espropriativa), in via incidentale, ai sensi dell’art. 8 c. p. a. (trattandosi di una questione incidentale relativa a diritti la cui risoluzione è necessaria per pronunciare sulla questione principale)” (T. A. R. Puglia – Lecce – Sez. III, 15/11/2013, n. 2310).

Stabilito, dunque, che tale indagine può essere svolta, il Collegio ritiene, peraltro (anche a non voler seguire il recentissimo, restrittivo, arresto dei Giudici di Palazzo Spada, secondo cui: “I beni illecitamente occupati dall’Amministrazione non sono dalla stessa usucapibili: invero, predicare che l’apprensione materiale del bene da parte dell’Amministrazione al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante (art. 42 bis d. P. R. 327/2001) possa essere qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’acquisto per usucapione, rischierebbe di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, peraltro non onerose per l’Amministrazione, dal momento che la cd. retroattività reale dell’usucapione estinguerebbe anche ogni pretesa risarcitoria” – Consiglio di Stato, Sez. IV, 3/07/2014, n. 3346), comunque di disattendere l’eccezione in oggetto, giusta le osservazioni, espresse nelle memorie difensive, all’uopo rassegnate dai ricorrenti, e conformemente a quanto risulta dalla parte motiva della seguente decisione: “ (…) 8. Alla stregua di queste premesse, acquista un decisivo preliminare rilievo l’eccezione di usucapione formulata dall’Amministrazione. Il Collegio non ignora la sussistenza di alcuni precedenti giurisprudenziali secondo i quali l’usucapione, anche se derivante da occupazione illecita, impedisce sia la restituzione dell’immobile sia il risarcimento per occupazione acquisitiva o usurpativa (TAR Basilicata, sez. I, 2 gennaio 2008, n. 4;
TAR Puglia Lecce, sez. I, 8 luglio 2004, n. 4916;
TAR Abruzzo, sez. I, 26 giugno 2008, n. 860).

In particolare, il Tribunale pugliese ha affermato quanto segue:

A) “In punto di diritto deve anzitutto sottolinearsi che l’usucapione costituisce un modo di acquisto a titolo originario dei diritti reali avente portata generale, e che generali sono, soprattutto, le funzioni cui essa assolve, di rendere certa e stabile la proprietà e di favorire, sul piano giuridico, chi occupa un bene e lo rende socialmente utile;
ancora deve osservarsi, quindi, che le esigenze appena indicate ricorrono anche, ed in maniera particolarmente intensa, nell’ipotesi in esame”;

B) “Quanto al primo profilo, infatti, l’usucapione dell’immobile occupato arbitrariamente, ma senza violenza o clandestinità (cfr. art. 1163 cod. civ.), dalla p. a., consente di ricondurre al sistema degli artt. 922 ss. cod. civ. una vicenda fino ad allora connotata dai delineati aspetti di permanente illiceità: l’amministrazione, cioè, oltre a poter in questi casi acquistare il diritto per effetto dell’implicita abdicazione alla sua titolarità da parte del soggetto privato, espressa con l’esercizio dell’azione risarcitoria (analogamente, è stato osservato, alle ipotesi previste dagli artt. 550, 1070, 1104 cod. civ.), diviene proprietaria a titolo originario dell’immobile quale conseguenza del suo possesso protratto ininterrottamente per vent’anni (si ricordi, d’altronde, che l’art. 948, comma 3, cod. civ. prevede appunto che <<L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione>>). E l’importanza dell’istituto risulta più che evidente ove si consideri che, altrimenti, proprio quanto prima scritto a proposito del carattere permanente dell’illecito commesso e della sostanziale sterilizzazione degli effetti della prescrizione, comporterebbe l’indefinito protrarsi di una situazione già di per sé fortemente derogatoria, connotata per un verso da un utilizzo sine titulo di un bene ancora privato ma di fatto in mano pubblica, e, per altro verso, dalla possibilità di un’azione di restitutio in pristinum o, alternativamente, di risarcimento del danno – altrimenti – perpetuamente esercitabile da parte del soggetto privato. L’usucapione costituisce dunque, vieppiù in questo caso, una valvola di chiusura del sistema”;

C) “Relativamente, poi, all’opportunità di favorire mediante l’usucapione la parte che, occupando il bene, lo rende socialmente utile, v’è solo da notare che quanto vale rispetto agli usi privati dello stesso non può non valere rispetto a quelli che, pur in assenza di una dichiarazione di pubblica utilità, possono al più avere valenza altrettanto privatistica, ma che spesso peraltro, come appunto nel caso in esame, posseggono, indipendentemente dal dato formale, un obiettivo rilievo generale”;

D) “Il compimento dell’usucapione (...) estingue non solo le forme di tutela reale del -precedente- proprietario del fondo ma anche quelle obbligatorie tese al ristoro dei danni subiti (cfr., con riguardo a situazione analoga, Cassazione civile, sez. II, 25 marzo 1998, n. 3153, per cui “l’apprensione sine titulo del fondo del privato per la realizzazione di un elettrodotto ( (...) configura un illecito permanente, il quale perdura sino a quando venga rimosso l’impianto, ne cessi l’esercizio oppure sia costituita la servitù per usucapione, con la conseguente estinzione tanto della tutela reale quanto di quella aquiliana e con l’effetto, pertanto, che acquisita – per effetto dell’intervenuta usucapione – dalla p. a. la servitù, il proprietario non ha più titolo né per reclamare la rimozione dell’impianto né per pretendere il ristoro dei danni”). Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, d’altronde (cfr., in proposito, sent. nn. 3082-73, 1239-76), tutti i comportamenti tenuti dall’usucapiente rispetto alla cosa posseduta durante il tempo necessario all’acquisto devono considerarsi esercizio della situazione giuridica appunto acquistata in virtù del possesso: ciò è essenziale alle finalità stesse dell’istituto, rivolto ad adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, così che il fenomeno della “retroattività degli effetti acquisitivi” si configura come necessaria garanzia del pieno soddisfacimento dell’interesse del quale è stata solo rinviata, allo scadere del termine ventennale, la realizzazione (cfr. Cassazione civile, sent. n. 3153/98 cit.)”.

9. Il Collegio, pur condividendo i principi sopra enunciati, ritiene che gli stessi non siano sufficienti a risolvere il caso in questione.

Occorre infatti porsi l’ulteriore problema dell’individuazione del “dies a quo” a partire dal quale inizia a decorrere il ventennio necessario per la maturazione dell’usucapione.

Ciò al fine di valutare se la situazione dell’odierna ricorrente, la quale non ha chiesto nel 1986 e nel 1997 la restituzione del bene in natura e quindi non ha interrotto l’usucapione nelle forme dovute, non possa e non debba essere considerata alla luce del combinato disposto dell’art. 1165 del codice civile, secondo il quale “le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e d’interruzione e al computo dei termini si osservano, in quanto applicabili, rispetto all’usucapione” e dell’art. 2935 del medesimo codice, secondo cui “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

In particolare, occorre chiedersi se il diritto del proprietario di chiedere la restituzione del bene in natura potesse nella specie essere esercitato anteriormente alla svolta giurisprudenziale e legislativa che ha sancito – alla stregua delle considerazioni di cui ai precedenti punti 6 e 7 – l’estromissione dell’istituto dell’occupazione appropriativa dal nostro ordinamento. In altri termini, occorre chiedersi se sia legittimo e conforme all’ordinamento il fatto di rilevare il mancato tempestivo esercizio di un’azione giudiziaria volta a recuperare il bene, in presenza di un diritto vivente che era pacificamente orientato nel senso della sussistenza dell’occupazione appropriativa, il cui perfezionamento è stato conseguentemente dato per presupposto dai proprietari del terreno, che perciò si sono limitati a chiedere una tutela di tipo indennitario/risarcitorio.

10. Si pone, in primo luogo, la questione di stabilire se il concetto di “possibilità di far valere il diritto”, cui fa riferimento l’articolo 2935 c.c., possa essere applicato alla posizione di diritto che abilita il proprietario a compiere – nei confronti della controparte – atti interruttivi dell’usucapione in corso di maturazione.

Il Collegio ritiene che essa vada risolta positivamente, alla stregua dell’impostazione accolta da una significativa pronuncia della Corte suprema in materia successoria, la quale ha preso le mosse dalla constatazione che l’azione di riduzione può essere esercitata soltanto al momento dell’apertura della successione, cioè allorquando si può valutare la sussistenza della lesione della legittima e far valere il relativo diritto;
e ne ha dedotto che è solo da quello stesso momento che il possesso per l’usucapione incomincia a decorrere contro il legittimario che agisce in riduzione (Cassazione civile, sez. II, 27 ottobre 1995, n. 11203).

In questa pronuncia, la Suprema Corte ha riconosciuto che “l’usucapione, ancorché costituisca un tipico fatto di acquisto a titolo originario, non ha riguardo esclusivamente alla relazione immediata tra il possessore e la cosa. L’affermazione frequente che si usucapisce “contro il proprietario” significa che l’usucapione non prescinde dall’atteggiamento del titolare”.

In effetti, nell’usucapione la posizione del proprietario originario è la posizione nei cui confronti si produce l’estinzione del diritto di proprietà contestualmente all’acquisizione della stessa in capo al terzo usucapiente: è importante ricordare, tra l’altro, che l’usucapione va riportata storicamente al concetto di prescrizione acquisitiva, il che spiega la sussistenza di meccanismi che assimilano sotto rilevanti profili i due fenomeni (prescrizione estintiva e acquisitiva);
meccanismi che sono alla base della previsione di cui all’art. 1165 del codice civile vigente.

Quindi, come occorre - nei rapporti obbligatori - tutelare il titolare del diritto di credito non ponendo a suo carico le conseguenze di un atteggiamento di inazione, nel caso in cui lo stesso sia sostanzialmente e oggettivamente inevitabile, così nei rapporti reali occorre disporre analoga tutela verso il titolare del diritto reale nei cui confronti maturerebbe l’usucapione del terzo.

Del resto, la dominante giurisprudenza civile ha anche pacificamente ammesso, ad esempio, che la sospensione del corso dei termini di prescrizione stabilita al r. d. 3 gennaio 1994, n. 1 e dal d. l. l. 24 dicembre 1944, n. 392, in relazione agli eventi bellici, operasse anche con riferimento al decorso dei termini di usucapione (Cass. Civ., 6 luglio 1966, n. 1760;
5 agosto 1964, n. 2222;
9 gennaio 1990, n. 2);
e ciò anche con specifico riferimento al termine per la proposizione dell’azione recuperatoria del possesso, con gli effetti interruttivi di cui all’art. 1167 c. c.. (Cass. Civ., 7 maggio 1975, n. 1773).

11. Ciò premesso, chiarita l’applicabilità in astratto dell’art. 2935 c.c., occorre spostare il discorso sull’interpretazione del riferimento della norma alla possibilità di far valere il diritto.

È noto che l’ordinamento vigente conferisce particolare rilievo all’esigenza di certezza dei rapporti giuridici;
il che ha portato a tipizzare le cause di sospensione (2941 e 2942 c. c.) e a precludere la possibilità di interpretazioni analogiche basate sul principio “contra non valentem agere non currit praescriptio”.

Circa l’art. 2935 c.c., va riconosciuto che esiste una certa continuità con l'ordinamento previgente, nel quale la giurisprudenza e la dottrina facevano riferimento al principio “actioni nondum natae non praescribitur”;
la norma attuale però dirime i vecchi contrasti interpretativi (risalenti al diritto giustinianeo) e stabilisce che la prescrizione “comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Detta disposizione, inserendosi in un contesto ordinamentale che privilegia la certezza delle relazioni giuridiche, è stata letta dalla dottrina e dalla giurisprudenza in senso oggettivo, come riferita a impedimenti di carattere legale e non di mero fatto (e ciò anche in continuità con analoghe interpretazioni adottate con riferimento all’art. 2120 del c. c del 1865). Sotto questo profilo, si è p. es. affermato che non costituisce impedimento all’azione cambiaria l’avvenuto sequestro della cambiale in disputa (Cass. Civ., 10 maggio 1940);
che tra gli impedimenti di diritto non rientrano la mancanza di liquidità del credito (Cass. Civ. 7 gennaio 1984, n. 94) o la tardiva pubblicazione di un testamento olografo (Cass. Civ. 30 luglio 1966, n. 2130);
mentre vi rientrano p. es. la condizione sospensiva non ancora avverata o il termine (Cass. Civ. 12 luglio 1965, n. 1436;
17 luglio 1969, n. 2683). La decorrenza della prescrizione non è impedita neppure da speciali regolamentazioni, qualora queste non ostacolino in modo assoluto tale esercizio (Cass. civ., 7 giugno 1977, n. 2336).

Ai fini che qui interessano, è importante altresì richiamare le pronunce che hanno escluso che possano configurarsi come impedimenti legali tutti quelli che attengono alla figura dell'ignoranza circa l’esistenza del diritto, anche se causata da orientamenti giurisprudenziali, da difficoltà interpretative, dall’esistenza di vizi di incostituzionalità della relativa disposizione, non ancora rilevati dalla Corte costituzionale o rilevati successivamente (Cass. Civ. 7 maggio 1996, n. 4235;
14 giugno 1994, n. 3421;
3 settembre 1994, n. 7645;
4 gennaio 1995, n. 72;
1 dicembre 1995, n. 12422;
18 settembre 1997, n. 9291;
21 giugno 1999, n. 6209;
13 maggio 2000, n. 6486).

12. Deve tuttavia osservarsi che il quadro sopra delineato non è assolutamente univoco, perché già la giurisprudenza – anche costituzionale – ha posto in essere in alcuni casi delle interpretazioni peculiarmente orientate a cogliere la specificità di determinate situazioni.

Basti richiamare, al riguardo, le seguenti pronunce:

- La prescrizione triennale dell’azione per conseguire le prestazioni in caso di infortunio sul lavoro, prevista dall’art. 112, comma 1, d. P. R. n. 1124 del 1965, nel caso di erronea individuazione da parte del servizio sanitario dell’Istituto assicuratore, della causa delle manifestazioni patologiche lamentate dal lavoratore, inizia a decorrere non dal giorno dell’infortunio, ma dal momento in cui l’assicurato ha acquisito la consapevolezza della riconducibilità della patologia ad una causa violenta costituente infortunio sul lavoro (Cassazione civile , sez. lav., 20 gennaio 2000 , n. 616);

- È incostituzionale, per contrasto con l’art. 24 Cost., l’art. 26 l. 27 luglio 1978 n. 392, nella parte in cui stabilisce il termine annuale, entro cui il locatore può chiedere la risoluzione della locazione per avere il conduttore destinato l’immobile ad uso diverso da quello pattuito, e che inizi a decorrere dal giorno in cui è avvenuto il mutamento di destinazione, a prescindere dalla conoscenza del locatore stesso (Corte costituzionale, 18 febbraio 1988, n. 185);

- In tema di occupazione d’urgenza e di espropriazione per pubblica utilità, il principio secondo il quale la vigenza di una norma preclusiva dell’esercizio di un diritto viziata di incostituzionalità configura un mero ostacolo di fatto all’esercizio del diritto, in quanto è ovviabile mediante l’esercizio dell’azione in giudizio che porti alla dichiarazione dell’incostituzionalità della norma, non è applicabile nel caso in cui manchino i parametri normativi alla cui introduzione le parti abbiano espressamente fatto rinvio per l’esatta identificazione dei contenuti del diritto;
pertanto, qualora il soggetto espropriato abbia accettato - successivamente alla sentenza della Corte cost. n. 5 del 1980 ed anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 385 del 1980 – l’indennità provvisoria di espropriazione a titolo di acconto dell’indennità definitiva, con la previsione che quest’ultima avrebbe dovuto essere quantificata in applicazione della legge da emanare a seguito di quest’ultima sentenza, siffatto diritto era inesigibile sino a quando, in virtù della sentenza della Corte cost. n. 223 del 1983, sono state dichiarate illegittime le norme della legge n. 385 del 1980 (e di quelle successive, di proroga) e l’espropriato è stato posto in condizione di agire per ottenere il giusto prezzo ex art. 39, legge n. 2359 del 1865 (Cassazione civile , sez. I, 14 novembre 2003, n. 17196);

- Il diritto dei titolari di aziende agricole site in territori montani a quota inferiore ai settecento metri alla restituzione, a seguito della sentenza della corte costituzionale n. 370 del 1985, dei contributi indebitamente versati (in epoca anteriore a tale sentenza) allo SCAU soggiace a prescrizione (decennale) con decorrenza non dalla data del pagamento ma dal giorno successivo alla pubblicazione della citata pronuncia d’incostituzionalità, atteso che lo stesso diritto, sorto solo per effetto di tale sentenza, non poteva essere fatto valere in epoca anteriore alla pubblicazione della medesima (Cassazione civile , sez. lav., 19 gennaio 1993 , n. 611).

13. Pertanto, in presenza di alcune pronunce che paiono discostarsi dall’orientamento dominante, o almeno circoscriverne attentamente la portata sulla base dell’analisi della singola fattispecie, il Collegio ritiene di dover valutare le peculiarità del caso in questione.

Alla stregua (del) “diritto vivente” anteriore alle modifiche introdotte dal T. U. n. 327/2001 sugli espropri a seguito degli orientamenti assunti dalla CEDU nell’anno 2000, era pacifico che – nella fattispecie – i proprietari non avevano alcun diritto alla restituzione in natura del bene, trattandosi di un caso tipico e pacifico di occupazione appropriativa.

Sotto questo aspetto, non viene di certo in rilievo un profilo meramente soggettivistico di “ignorantia juris” inescusabile.

Al contrario, la situazione ordinamentale dell’epoca, risalente alla sentenza della Cassazione del 16 febbraio 1983, n. 1464, era stata correttamente valutata dagli interessati nella sua oggettività, ed era stata correttamente ritenuta incompatibile con la stessa possibilità di esercitare la domanda restitutoria in natura e quindi di far valere il relativo diritto ai sensi dell’art. 2935 c.c..

Si trattava, insomma, di una domanda che a quell’epoca non era legalmente configurabile alla stregua del diritto vigente;
con la necessaria avvertenza che il riferimento al parametro legale va inteso non nel senso del mero riferimento alla fonte legislativa, bensì come comprensivo di tutti i “formanti” dell’ordinamento, tra i quali - in particolare - non poteva non rientrare il “formante” riferibile al plesso che lega la giurisprudenza nazionale, quella della Corte costituzionale e quella delle Corti europee.

Questa situazione è mutata, dapprima ad opera della giurisprudenza della CEDU. Il mutamento è stato poi sancito dal D. P. R. n. 327/2001. Per ragioni di certezza, il Collegio ritiene che in concreto il “dies a quo” della prescrizione vada quindi individuato nella data di entrata in vigore di tale ultimo D. P. R., da intendersi come la data nella quale è stato introdotto l’istituto dell’acquisizione sanante ed è stato superato l’istituto dell’occupazione appropriativa: in tal modo rendendosi oggettivamente possibile, per gli interessati, la tutela restitutoria del diritto di proprietà sul bene.

Da queste considerazioni discende che l’eccezione di usucapione deve essere disattesa, in quanto siffatta individuazione del “dies a quo” impedisce di rilevare il decorso del ventennio di possesso continuato prescritto dall’art. 1158 del codice civile (…) ” (T. A. R. Lazio – Roma – Sez. II, 02/10/2009, n. 9557).

Conformemente ai principi, espressi nella suddetta sentenza, condivisi dal Collegio, e pacificamente estensibili, per analogia di situazione, alla fattispecie in esame, si ricava che l’eccezione d’usucapione, sollevata dalla difesa dell’Amministrazione Provinciale di Salerno sulla base della constatazione del decorso di oltre vent’anni dall’occupazione dei terreni de quibus, rispetto al momento in cui per la prima volta, con l’atto introduttivo del presente giudizio, i ricorrenti hanno agito per ottenere la restituzione del terreno, di loro proprietà, inciso dalla procedura ablativa in commento, è priva di pregio.

Del resto, allo stesso risultato, vale a dire al rigetto della stessa eccezione, potrebbe giungersi, nella specie, anche per altra via: è, infatti, incontestato, tra le parti, che il dante causa dei ricorrenti, prima, e questi ultimi, divenuti proprietari “iure successionis” dei terreni in oggetto, poi, hanno agito in sede giurisdizionale ordinaria, al fine d’ottenere il risarcimento dei danni subiti (con azioni che, peraltro, sono state entrambe abbandonate, sia pur per ragioni diverse, giusta quanto amplius riferito in narrativa).

O, ritiene il Collegio che l’esercizio di tali azioni abbia, in ogni caso, rappresentato un valido fatto interruttivo del corso dell’usucapione, e tanto conformemente a quanto statuito nella parte motiva della sentenza, di seguito riportata (cui non sono del resto estranee suggestioni, del genere di quelle che hanno fondato la pronuncia del T. A. R. Lazio – Roma, sopra riferita): “Ciò premesso, la detta doglianza volta a sostenere la maturata usucapione è certamente infondata: e lo sarebbe anche laddove non si dovesse ritenere che gli atti interruttivi della prescrizione dell’azione risarcitoria resi dalle parti appellate ed indicati dal Tar e non contestati dal Comune non “valessero” anche ad escludere la invocata usucapione.

2.2.1. In disparte la circostanza che parte appellante non prova né chiarisce in qual momento sarebbe intervenuta in suo favore la interversione del possesso ed in qual modo possa configurarsi la fattispecie del “pacifico ed incontestato possesso” alla luce delle plurime azioni giudiziarie intentate da parte appellata, ed alla improduttività di effetti della transazione, va innanzitutto premesso che, ad avviso del Collegio, il proprietario di un area illegittimamente occupata che agisca in giudizio (o che proponga domanda stragiudiziale nei confronti dell’Ente occupante) vanti un’unica pretesa (quella, fondata sullo “ius omnes alios excludendi” insito nel diritto di proprietà ex art. 832 c. c.).

Tale pretesa, unica e complessa, a propria volta si può articolare nel petitum reipersecutorio e risarcitorio, ovvero soltanto in quello risarcitorio, laddove il bene sia stato irreversibilmente trasformato e l’Amministrazione intenda utilizzarlo per fini pubblicistici (a far data dal 2001, ex art. 43 del T. U. Espropriazione e, dopo la declaratoria di incostituzionalità di quest’ultimo, ex art. 42 bis del medesimo d. P. R. n. 327/2001): non v’è dubbio, però, che la richiesta risarcitoria, in quanto fondata sul presupposto della illegittima protrazione della detenzione del bene da parte dell’amministrazione, e senza che l'ordinamento, in passato, apprestasse strumenti per venire (rectius: tornare) coattivamente in possesso dell’area illegittimamente occupata, valesse ad escludere il presupposto applicativo dell’istituto della usucapione ventennale ex art. 1158 c. c.. Sin da tempo risalente, infatti la Cassazione Civile ha chiarito che (Cass. Civ. Sez. II, sent. n. 3464 del 18-05-1988) “per l’acquisto della proprietà per usucapione, che trova il suo fondamento in una situazione di fatto caratterizzata, da un lato, dal mancato esercizio delle potestà dominicali da parte del proprietario e, dall’altro, dalla prolungata signoria di fatto sullo stesso bene da parte di altri che si sostituisca al proprietario nell’utilizzazione del bene medesimo, l’inerzia del proprietario si manifesta nel mancato esercizio di dette potestà e nella mancata sua reazione contro il potere di fatto esercitato sull’immobile dal possessore, laddove l’esercizio dei poteri dominicali vale a rendere di per sé equivoco e non pacifico il possesso altrui ed impedisce che questo aderisca al contenuto del diritto di proprietà e la conseguente usucapibilità di tale diritto” (si tratta della stessa sentenza del Consiglio di Stato – Sez. IV, del 3/07/2014, n. 3346, citata in precedenza).

Stabilito, dunque, che anche l’eccezione d’intervenuta usucapione ventennale del fondo, di proprietà dei ricorrenti, sollevata dalla difesa della Provincia di Salerno, è infondata, per le ragioni sopra diffusamente esposte, il Collegio deve dichiarare illegittima l’occupazione dello stesso terreno, e condannare la Provincia di Salerno alla restituzione dello stesso in favore dei ricorrenti, nei limiti della superficie effettivamente occupata, ed irreversibilmente trasformata per la realizzazione dell’opera pubblica de qua, a meno che la stessa Provincia di Salerno, valutando come prevalenti le esigenze di mantenimento della stessa opera pubblica, non addivenga all’emanazione di un decreto di acquisizione dello stesso terreno alla mano pubblica, ai sensi della disciplina, attualmente vigente, di cui all’art. 42 bis del T. U. n. 327/2001 (secondo la quale: “1. Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.

2. (…)

3. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma

4. Il provvedimento di acquisizione, recante l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, e' specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione;
nell’atto è liquidato l’indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni. L’atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’articolo 20, comma 14;
è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’articolo 14, comma 2.

5. (…)

6. (…)

7. L’autorità che emana il provvedimento di acquisizione di cui al presente articolo ne dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.

8. Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione;
in tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo”).

Non può, infatti, non trovare applicazione, nella specie, la regola, lapidariamente espressa nelle massime che seguono: “Ove l’immissione in possesso non sia seguita da un tempestivo provvedimento di espropriazione o, comunque, di un decreto di acquisizione ex art. 42 bis, d. P. R. n. 327 del 2001, anche dopo la realizzazione dell’opera pubblica, la proprietà del bene rimane agli originari titolari, ai quali il Comune deve restituire il cespite illecitamente occupato, previa rimozione delle opere realizzate” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. V, 1/04/2014, n. 1900);
“Nel procedimento di espropriazione per pubblica utilità l’Amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venir meno, in ogni caso, l’occupazione sine titulo e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto;
essa ha quindi due sole alternative: o restituire i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo status quo ante, oppure attivarsi perché vi sia un titolo di acquisto dell’area da parte del soggetto attuale possessore;
di conseguenza, in assenza di legittimi provvedimenti ablatori o di contratti di acquisto delle relative aree o di provvedimenti di acquisizione ex art. 42 bis, d. lg. 8 giugno 2001 n. 327, deve affermarsi il potere –dovere di far luogo alla materiale rimozione delle opere che risultano senza titolo” (Consiglio di Stato – Sez. IV, 13/03/2014, n. 1242).

Converge sostanzialmente nella stessa direzione anche l’ulteriore decisione che segue: “Di fronte ad una richiesta di risarcimento per la riparazione del danno provocato dalla mancata conclusione – sui suoli di proprietà – della procedura ablativa, formulata per violazione dell’art. 2043 del codice civile, il Giudice amministrativo deve, in linea di principio, rimettere al soggetto espropriante e/o utilizzatore dell’opera realizzata la valutazione ex art. 42 bis del D. P. R. 327/2001, circa l’opportunità dell’adozione dell’atto traslativo della proprietà da tale norma disciplinato. Il soggetto espropriante dovrà compiere la comparazione degli interessi in gioco espressamente richiesta dall’art. 42 bis del D. P. R. 327/2001 e, in caso di positivo apprezzamento, dovrà agire adottando il provvedimento, preceduto dalla quantificazione dell’indennizzo dovuto per l’acquisto della proprietà utilizzata per la realizzazione dell’opera, pari al valore venale del terreno occupato e interessato dalla realizzazione del raccordo autostradale e delle eventuali opere accessorie” (T. A. R. Lombardia – Brescia, Sez. II, 14/01/2014, n. 23).

Sviluppando i principi, espressi in detta ultima pronunzia, in particolare, il Tribunale ritiene conforme all’attuale assetto della materia in esame fissare alla P. A. un termine congruo, pari a giorni sessanta, decorrente dalla notificazione a cura di parte, ovvero se anteriore dalla comunicazione della presente sentenza in via amministrativa, perché l’Amministrazione Provinciale di Salerno decida, discrezionalmente, se procedere alla restituzione del terreno dei ricorrenti, illegittimamente occupato ed irreversibilmente trasformato, previa sua riduzione in pristino, e corresponsione in loro favore del risarcimento del danno da occupazione illegittima, commisurato nella misura del 5% annuo del valore venale del terreno;
ovvero se, avvalendosi dell’istituto, previsto e disciplinato dall’art. 42 bis d. P. R. 327/2001, disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che ai ricorrenti sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito, nelle rispettive misure, in detta disposizione di legge indicate, oltre il danno da occupazione illegittima, da liquidarsi forfetariamente nella suddetta misura, del 5% annuo del valore venale del bene.

Tanto, conformemente all’ulteriore massima che segue: “L’art. 42 bis del T. U. Espropriazione per pubblica utilità (D. P. R. n. 327 del 2001), come introdotto dal D. L. n. 98 del 2011, rubricato “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”, ha reintrodotto il potere discrezionale già disciplinato dall’art. 43 del T. U. Espropriazioni per pubblica utilità dichiarato incostituzionale. Ed infatti, l’Amministrazione competente, valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto, può decidere se demolire in tutto o in parte l’opera, sostenendone le relative spese, e restituire l’area al proprietario, oppure se disporre l’acquisizione, sì da evitare che venga demolito, paradossalmente, quanto altrimenti risulterebbe meritevole di essere ricostruito” (Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. n. 6351 dell’1-12-2011).

Infine, in base alla regola della soccombenza, la Provincia di Salerno va condannata alla rifusione, in favore dei ricorrenti, delle spese e dei compensi del presente giudizio, liquidati come in dispositivo.

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