TAR Ancona, sez. I, sentenza 2009-01-05, n. 200900004
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N. 00004/2009 REG.SN.
N. 00418/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SNTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 418 del 2000, proposto da:
B M, rappresentato e difeso dall’avv. S M, con domicilio eletto in Ancona, alla Via San Martino, n. 23, presso lo studio dell’avv. M F;
contro
- il COMUNE DI LORETO, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’Avv. L G, con domicilio eletto presso il di lei studio in Ancona, alla Via Piave, n. 6/B (studio Avv. A C);
- il Dirigente p.t. del Settore Tecnico del Comune di Loreto;
per l'annullamento
1) del provvedimento di cui alla nota del dirigente del settore tecnico del Comune di Loreto prot. n. 4368 in data 31.1.2000, con la quale è stato comunicato al ricorrente il diniego di accoglimento della domanda di concessione edilizia prot. n. 4368 del 4.6.1999, relativa ai lavori di costruzione del 2° stralcio dell’edificio a schiera destinato a civili abitazioni sull’area distinta catastalmente al foglio 6, mappali 483, 485 e 1204 in località Monteciotto del Comune di Loreto;
2) del presupposto parere negativo espresso dalla C.E.C. con atto n.871 del 26.1.2000;
3) ove occorra, dei pregressi pareri della C.E.C. n. 867 del 3.11.1999 e n. 864 del 28.7.1999.
Visto il ricorso, notificato in data 30.3.2000, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Loreto, in persona del Sindaco e legale rappresentante p.t., depositato il 23.5.2000.
Viste le memorie prodotte dal ricorrente il 14.10.2006 e dal Comune di Loreto il 17.10.2006 a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza dell’8 novembre 2006, il consigliere avv. Liana Tacchi;
Uditi l’avv. S M per il ricorrente e l’avv. L G per il Comune di Loreto;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
1.- Con istanza presentata al Comune di Loreto il 4.6.1999 ed assunta al protocollo col numero 4368 il sig. B M, proprietario delle aree catastalmente distinte al foglio 6, mappali 483, 485 e 1204, site in località Monteciotto, ebbe a chiedere il rilascio di concessione edilizia per la costruzione di un complesso a schiera destinato a n. 4 civili abitazioni.
Il progetto di che trattasi contemplava l’edificazione, per ciascuno dei 4 corpi di fabbrica, di due piani fuori terra (zona notte e zona giorno dell’appartamento), di due piani indicati come seminterrati (ad uso garages) e di un ulteriore piano interrato (descritto come volume tecnico). Esso costituiva il 2° stralcio di un accorpamento a schiera del quale era già stata realizzata una porzione (1° stralcio), giusta concessioni edilizie n. 52 del 12.5.1998 e n. 110 del 21.10.1999 (quest’ultima per variante in corso d’opera).
2. Con nota dirigenziale prot. n. 4368 del 23.8.1999 l’Ufficio tecnico del Comune di Loreto comunicava all’interessato il diniego in ordine alla domanda di concessione, motivato con il recepimento del parere n. 864 espresso dalla Commissione Edilizia il 28.7.1999, il quale era stato il seguente:
“CONTRARIO – Non è rispettata la distanza dalla strada e dall’edificio esistente;non è accettabile la soluzione di realizzare più piani interrati, con notevoli riporti di terreno ed eccessivi muri di sostegno;manca la sistemazione esterna con particolare riferimento agli accessi sia pedonali che carrabili”.
3.- Il sig. B M, a seguito di ciò, chiedeva il riesame della pratica edilizia, come da istanza datata 24.9.1999 e protocollata il 27.9.1999 al n. 6922;alla quale allegava documentazione tra cui una planimetria con sistemazione esterna degli accessi pedonali e carrabili e una planimetria evidenziante le distanze dalla strada e dal fabbricato esistente.
Ma la domanda di concessione edilizia andava incontro ad un’ulteriore reiezione, comunicata con nota del Dirigente del Settore tecnico del Comune prot. n. 6922 del 4.11.1999, la quale si basava sul parere n. 867 formulato dalla commissione edilizia il 13.11.1999 e che era stato del seguente tenore:
“Contrario. La Commissione ribadisce il precedente parere contrario alla realizzazione di più piani interrati, agli eccessivi riporti di terreno ed ai notevoli muri di contenimento. Non potranno essere accolte soluzioni progettuali che non modifichino sensibilmente l’altezza dell’edificio a valle”.
4.- In seguito la pratica edilizia veniva sottoposta ad ulteriore riesame. La relativa istanza (se esistente) non è stata prodotta agli atti del giudizio. Fatto sta che tale riesame metteva capo al provvedimento recato dalla nota del Dirigente dell’Ufficio tecnico prot. n. 4368 del 31.1.2000, con cui si comunicava al sig. B M il diniego di rilascio della concessione a seguito dell’ultimo parere espresso dalla Commissione edilizia con atto n. 871 del 26.1.2000;la quale Commissione, avendo riesaminato la domanda di concessione, si era così pronunciata: “Parere contrario”, in tal modo motivando:
“Preso atto che non é stata trovata una soluzione progettuale diversa, come richiesto dalla stessa commissione, e visto il notevole impatto visivo già evidente con la realizzazione del 1° stralcio, ribadisce il proprio parere contrario”.
5. Avverso il provvedimento di diniego contenuto nella predetta nota prot. n. 4368 del 31.1.2000, il presupposto parere della CEC n. 871 del 26.1.2000 ed, ove occorresse, i pregressi pareri della stessa CEC n. 867 del 3.11.1999 e n. 864 del 28.7.1999, il sig. B M proponeva il presente ricorso giurisdizionale amministrativo, chiedendone l’annullamento, in quanto illegittimi per i seguenti motivi:
I) Violazione delle leggi applicabili e dei principi generali che regolano il potere concessorio in materia edificatoria ed in particolare del regolamento edilizio comunale vigente nel Comune di Loreto.
Giovava preliminarmente evidenziare come il ricorrente, durante l’iter procedimentale, avesse chiarito il pieno rispetto delle distanze dalla strada e dall’edificio esistente, nonché le modalità di sistemazione degli accessi pedonali e carrabili.
Parimenti egli aveva pienamente rappresentato come i riporti di terra, di modesta entità, non modificassero in alcun modo il livello naturale del terreno e non comportassero alcuno spostamento del pregresso piano di campagna, essendo diretti esclusivamente alla sistemazione esterna dell’edificio. Tant’è che il provvedimento impugnato individuava la ragione del dissenso all’approvazione del progetto esclusivamente in un asserito “notevole impatto visivo” dell’opera.
Ma le ragioni di ordine estetico, peraltro non specificamente individuate, non erano idonee a validamente supportare il diniego di rilascio della concessione, posto che l’assenso in materia edilizia era un mero atto di controllo della conformità del progetto alla normativa urbanistica ed edilizia vigente nella zona ed aveva perciò natura di provvedimento vincolato.
Illegittimamente pertanto la concessione era stata negata con riferimento ad un generico, asserito impatto visivo, mentre essa avrebbe dovuto essere rilasciata in quanto il progetto non contrastava con nessuna norma urbanistica vigente nel Comune di Loreto né alcuna norma regolamentare del R.E.C. prevedeva un sindacato discrezionale sull’impatto visivo delle opere da assentire.
Parimenti incomprensibile era il generico suggerimento di una soluzione progettuale di tipo diverso da quella in concreto realizzabile, la cui astratta previsione avrebbe, di fatto, costituito l’imposizione di vincoli edificatori (di pressoché impossibile realizzazione) neppure lontanamente previsti negli strumenti pianificatori vigenti nel Comune.
In altri termini, i provvedimenti di diniego di concessione edilizia compressivi dello jus aedificandi dovevano essere motivati con riferimento esclusivo a leggi, regolamenti, piani regolatori e altri atti di disciplina urbanistica forniti di efficacia generale, che imponessero specifici vincoli al diritto di proprietà.
II) Eccesso di potere anche nei profili del difetto dei presupposti, del travisamento e/o erronea rappresentazione dei fatti, dello sviamento del provvedimento dal fine assegnatogli, dell’ingiustizia manifesta, della contraddittorietà tra atti e del difetto di motivazione.
L’asserito “notevole impatto visivo già evidente con la realizzazione del 1° stralcio” non teneva conto del fatto che le opere di sistemazione del c.d. primo stralcio (piantumazione di alberi di alto fusto;sistemazione piantumata a gradoni), appena iniziate, erano ampiamente idonee ad ovviare al rischio di impatto visivo.
Sotto altro profilo, il diniego alla realizzazione del 2° stralcio dell’opera contrastava con la giusta determinazione assunta in precedenza dall’Amministrazione riguardo al primo stralcio.
Il potere comunale si esauriva nel controllo sul piano della legittimità, senza alcuno spazio per gli apprezzamenti di merito;mentre quello posto a base del diniego era un mero giudizio di merito, non fondantesi su alcuna norma dello strumento urbanistico comunale o in disposizioni normative equipollenti.
Né erano consentite prescrizioni urbanistiche postume, ed anzi, trattandosi di edificio a schiera, il rischio di impatto estetico sarebbe risultato proprio dalla disomogeneità dei due stralci.
6.- Il Comune di Loreto si costituiva con atto depositato il 23.5.2000, concludendo genericamente per l’inammissibilità, l’improcedibilità e, comunque, per l’infondatezza dell’impugnativa.
Lo stesso Comune, nella memoria prodotta il 17.10.2006, esplicitava le proprie ragioni difensive, opponendo:
- quanto all’inammissibilità, che il gravame era diretto contro un provvedimento meramente confermativo di precedenti determinazioni negative (le note dirigenziali prot. n. 4368 del 23.8.1999 e prot. n.6922 del 4.11.1999), non impugnate nei termini;
- quanto all’improcedibilità, che, alla data di notifica del ricorso (30.3.2000), il T.A.R. Marche aveva pronunciato sentenza con la quale era stato annullato il P.R.G. di Loreto in base al quale le aree del ricorrente risultavano edificabili, sicché queste avevano riacquistato la precedente destinazione di verde inedificabile;e che l’art. 13 del Regolamento comunale, modificato con delibere n. 43 del 23.7.2002 e n. 33 del 30.5.2005, espressamente escludeva qualsiasi sistemazione definitiva del terreno realizzata con quote superiori ad un metro rispetto alla quota naturale del terreno stesso;
- quanto all’infondatezza, che l’art. 14 del R.E. espressamente sanciva che la Commissione edilizia esprimesse parere sulla legittimità delle opere ed altresì sul loro valore architettonico, sul loro decoro e sulla loro ambientazione;con ciò sancendo il potere discrezionale del Comune di regolare il proprio territorio anche in merito all’aspetto visivo. Dunque legittimamente la Commissione edilizia aveva formulato parere contrario ritenendo eccessiva la soluzione di realizzare tre piani, artificiosamente interrati, che avrebbero comportato un notevole riporto di terreno, per circa tre metri, ed un interramento artificiale di almeno otto metri, e perciò anche di notevole impatto visivo, considerato pure il risultato abnorme che sarebbe derivato dalla costruzione degli ulteriori quattro lotti e dalla posizione orografica del sito (classificato “orlo di scarpetta” in sede di indagini geologiche allegate al P.R.G.).
7.- Nella memoria conclusiva prodotta il 14.X.2006 il ricorrente puntualizzava e compiutamente sviluppava le proprie argomentazioni, anche in replica alla esibizione documentale avversaria.
8.- La causa veniva discussa alla pubblica udienza dell’8.11.2006;dopo di che passava in decisione.
DIRITTO
I) Il ricorso è ammissibile ed, altresì, procedibile, dovendo essere disattese tutte le eccezioni in proposito sollevate dall’Amministrazione comunale resistente (cfr. la memoria prodotta il 17.10.2006).
1.- Quanto all’ammissibilità, va escluso che il provvedimento dirigenziale impugnato, terzo ed ultimo atto di diniego della richiesta concessione edilizia, si ponesse come meramente confermativo delle due precedenti determinazioni reiettive (quella recata dalla nota prot. n. 4368 in data 23.8.1999 e quella espressa nella nota prot. 6922 in data 4.11.1999).
Esso infatti recepiva integralmente il parere della Commissione edilizia n. 871 formulato il 26.1.2000 e solo su tale parere si fondava.
Per contro, il primo provvedimento di diniego di rilascio della Concessione, emesso con la nota in data 23.8.1999, era stato formulato con riferimento ad un precedente e differente parere della C.E. (l’atto n. 864 del 28.7.1999, a mente del quale il giudizio negativo traeva causa dai seguenti elementi: a) non essere stata rispettata la distanza dalla strada e dall’edificio esistente;b) non essere accettabile la soluzione di realizzare più piani interrati, con notevoli riporti di terreno ed eccessivi muri di sostegno;c) mancanza della sistemazione esterna con particolare riferimento agli accessi pedonali e carrabili).
Ed anche il secondo provvedimento dirigenziale di diniego della concessione, quello assunto con la nota in data 4.11.1999 a seguito di un’istanza formale da parte del Biondi di riesame della pratica (istanza protocollata il 27.9.1999), aveva fatto proprio un ulteriore e distinto parere della C.E. (formulato con atto n. 867 del 3.11.1999, secondo il quale, mentre erano cadute talune ragioni ostative, quali il mancato rispetto dalla strada e dalla costruzione esistente e l’assenza di accessi pedonali e carrabili, si insisteva sulla inidoneità progettuale di plurimi piani interrati e sull’eccesso dei riporti di terreno e dei muri di contenimento;e si preavvisava che non sarebbero state accolte soluzioni progettuali che non avessero modificato l’altezza dell’edificio a valle).
Orbene, rispetto a tale seconda determinazione reiettiva del 4.11.1999 ed al parere tecnico in essa incorporato, il provvedimento successivo qui impugnato (nota del 31.1.2000) ed il recepito ulteriore parere della C.E. (espresso con verbale n. 871 del 26.1.2000) si ponevano in parte come confermativi: laddove la Commissione prendeva atto che non era stata trovata una soluzione progettuale diversa siccome richiesto nel parere del 3.11.1999, vale a dire per quanto riguardava la modifica dell’altezza dell’edificio a valle, conseguente all’eccesso di piani interrati e correlati riporti di terreno e muri di contenimento;ma altresì pure come novativi per quanto riguardava la menzione esplicita, per la prima volta, del “notevole impatto visivo già evidente con la realizzazione del 1° stralcio”.
Pertanto non essendo identici né completamente sovrapponibili i due pareri della Commissione edilizia (quello in base a cui era stato motivato il diniego espresso nella nota del 4.11.1999;e quello che sorreggeva l’ultimo diniego di cui alla nota del 31.1.2000) non può, di per ciò solo, fondatamente assumersi che il provvedimento in data 31.1.2000 fosse meramente confermativo di quello assunto in data 4.11.1999.
In ogni caso, deve aggiungersi che l’atto qui impugnato scaturiva dal compimento di un riesame, sostanziale e procedurale, dell’istanza edilizia (nuova istruttoria ed assunzione di un ulteriore parere) per cui, anche sotto tale profilo, esso non può configurarsi come riproduzione inerte di una determinazione già presa, realizzando, al contrario, un esercizio nuovo e diverso del medesimo potere (giurisprudenza concorde).
2.- Venendo alle dedotte ragioni di improcedibilità, si osserva quanto segue.
a) Per quanto riguarda l’asserzione che, il T.A.R. delle Marche avendo annullato con sentenza del 25.2.2000 la variante al P.R.G. di Loreto in base alla cui disciplina l’area oggetto del controverso diniego di concessione era divenuta edificabile, con la conseguenza che la stessa area avrebbe riacquistato la precedente destinazione urbanistica di “verde inedificabile”, escludente qualunque costruzione, e che, perciò, si sarebbe determinata la sopravvenuta carenza di interesse ad agire da parte del Biondi, il Collegio ritiene ultroneo qualsivoglia approfondimento in ordine alla portata soggettiva ed oggettiva del giudicato (eventualmente) derivante dalla sentenza predetta. Ed infatti, quand’anche, in via di ipotesi astratta, la sentenza del T.A.R. avesse sortito l’effetto di far riacquistare all’area de qua la condizione di totale inedificabilità prevista dal preesistente strumento urbanistico (il che è assai dubbio;cfr. anche l’esibito certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune di Loreto il 16.3.2001, che ancora classificava l’area stessa come zona “B” residenziale di completamento, alla stregua delle vigenti norme di P.R.G.), ciò non sarebbe sufficiente a determinare l’improcedibilità dell’attuale gravame per sopravvenuto difetto di interesse, attesi l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere sulla domanda di concessione edilizia ingiustamente respinta con riferimento alla disciplina vigente alla data di proposizione della domanda giurisdizionale (Cons. Stato, V Sez., 13.11.1995, n. 1551) e, perciò, ove in pendenza del giudizio amministrativo sia sopravvenuto un mutamento delle previsioni di piano che abbia fatto venir meno l’edificabilità delle aree interessate dal progetto, l’obbligo di questa di disporre una modifica o una deroga allo strumento urbanistico al fine di recuperare le previsioni urbanistiche su cui era fondata l’originaria istanza di concessione il cui diniego sia stato giurisdizionalmente caducato (Cons. Stato, V Sez., 9.11.1998, n. 1586).
In tema di esecuzione del giudicato di annullamento del provvedimento di diniego di una concessione edilizia, i principi del tempus regit actum e dell’interesse pubblico urbanistico vanno contemperati con i canoni, di rilevanza costituzionale, della salvaguardia dell’effettività della tutela giurisdizionale e della funzione definitoria delle pronunce giurisdizionali in ordine alle situazioni giuridiche controverse.
b) In riferimento alle modifiche del regolamento edilizio comunale intervenute successivamente alla proposizione del ricorso (delibere consiliari n. 43 del 23.7.2002 e n. 33 del 30.5.2005) ed in forza delle quali è stata espressamente esclusa ogni sistemazione definitiva del terreno ad una quota superiore ad un metro rispetto alla quota naturale del terreno stesso (cfr. il testo vigente dell’art. 13 del R.E.C. del Comune di Loreto, prodotto il 17.10.2006), si osserva che tale limitazione specifica non potrebbe, ugualmente, essere opposta al ricorrente in sede di esecuzione di eventuale giudicato a lui favorevole per le stesse ragioni sopra evidenziate al paragrafo a). Trattandosi di disciplina introdotta dal Comune successivamente alla data di notificazione del ricorso, essa non sarebbe suscettibile di riverberarsi retroattivamente sulla valutazione della legittimità dell’istanza edilizia, posto che la tutela degli interessi urbanistici comunali e l’osservanza del principio tempus regit actum, debbono trovare contemperamento con l’esigenza di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale e di non compromettere la valenza dall’ordinamento assegnata al giudicato.
II) Venendo al merito, appare pregiudiziale chiarire quale sia stato il reale, effettivo contenuto della motivazione che ha sorretto l’impugnato diniego.
1.- Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, le ragioni addotte dalla Commissione edilizia nel proprio parere del 26.1.2000, parere recepito nella determinazione finale dell’organo di amministrazione attiva, non consistevano esclusivamente nel “notevole impatto visivo” dell’opera.
Ed infatti la C.E., nell’atto n. 871 del 26.1.2000 così si esprimeva:
“Preso atto che non è stata trovata una soluzione progettuale diversa, come richiesto dalla stessa Commissione, e visto il notevole impatto visivo già evidente con la realizzazione del 1° stralcio, ribadisce il proprio parere contrario”.
La “soluzione progettuale diversa” non proposta dal richiedente l’assenso edilizio era quella che la stessa C.E. aveva indicato nel precedente parere, reso con atto n. 867 del 3.11.1999, allorché aveva formulato un giudizio contrario “alla realizzazione di più piani interrati, agli eccessivi riporti di terreno ed ai notevoli muri di contenimento” ed aveva preavvisato che non avrebbero potuto “essere accolte soluzioni progettuali che non modifichino sensibilmente l’altezza dell’edificio a valle”.
Dunque la motivazione di ordine estetico pertinente il “notevole impatto visivo” del progettato 2° stralcio si aggiungeva, completandoli, ma non certo sostituendoli, a tutti i rilievi negativi di ordine tecnico-strutturale, precedentemente espressi in modo puntuale nel parere del 3.11.1999 e che, con l’ultimo, venivano chiaramente reiterati come ostativi.
2.- Tanto premesso, il ricorso è infondato.
3.- Trattasi di stabilire se alla C.E.C. – il cui parere il dirigente dell’ufficio tecnico del Comune ha integralmente fatto proprio, ponendolo a fondamento unico del diniego di concessione – dovesse essere demandata una valutazione di stretta ed esclusiva legittimità, cioè riguardante solamente la conformità del progettato intervento a tutte le prescrizioni della normativa edilizia ed urbanistica regolanti la trasformazione delle aree in quella zona del Comune di Loreto;ovvero se a tale organo fosse consentito di formulare anche giudizi di merito tecnico in ordine al progetto, valutandone aspetti ed elementi che attenevano alla qualità ed alla bontà dell’edificazione sul piano del pregio costruttivo e dell’apprezzabilità come inserimento armonico nel contesto ambientale (naturalistico, geologico ed urbanistico), paesaggistico ed estetico, anche indipendentemente dal rispetto delle prescrizioni e dei parametri prefissati dalla normativa statale, regionale e comunale.
A tal proposito si osserva che il parere della Commissione edilizia comunale quale atto necessariamente propedeutico, ancorché non vincolante, alle determinazioni sulle istanze di concessione non era richiesto direttamente dalla legge urbanistica n. 1150 del 17.8.1942;la quale, all’art. 33, nello stabilire l’obbligo dei Comuni di dotarsi di regolamento edilizio e nell’indicare le materie da questo disciplinate, prevedeva che tali norme riguardavano, tra gli altri, “la formazione, le attribuzioni ed il funzionamento della Commissione edilizia comunale” (articolo 33, comma primo, n. 1).
E’ dunque al regolamento comunale edilizio del Comune di Loreto che deve aversi riguardo per decidere quali fossero i compiti della Commissione edilizia e/o quali fossero l’oggetto ed i limiti delle sue competenze e del suo sindacato consultivo.
4.- Orbene l’articolo 14 del regolamento edilizio in questione, intitolato “Funzioni della commissione edilizia”, avendo sinteticamente enunciato che “la Commissione edilizia è l’organo con funzioni consultive del Sindaco in materia urbanistica ed edilizia” (comma 1°) ed avendo precisato che essa dà pareri al Sindaco, tra gli altri, “sulle opere o attività soggette a concessione edilizia” (comma 2°, lettera a), stabiliva che: “La commissione edilizia, in particolare, esprime parere sulla legittimità delle opere proposte, sul valore architettonico, sul decoro e sull’ambientazione delle opere nel rispetto dell’espressione artistica, al fine del miglioramento funzionale e formale dell’abitato, nonché sulla corrispondenza del patrimonio edilizio alle necessità d’uso”.
Alla stregua di tale disposizione [la quale non è stata sottoposta ad impugnazione] è indiscutibile che la natura e l’oggetto dei poteri consultivi della C.E. del Comune di Loreto fossero costituiti non solo dalla verifica in ordine alla legittimità degli interventi edilizi, ma anche dall’apprezzamento, il quale era sicuramente di merito (tecnico), in ordine a molti altri requisiti esulanti dalla sfera giuridica, tali essendo il pregio architettonico, l’estetica, l’inserimento ambientale ed il miglioramento della vivibilità urbana.
5.- Dunque, deve concludersi che la Commissione edilizia era abilitata a rilevare, a valutare ed a giudicare elementi del progetto che, pur non contrastando con le prescrizioni di zona e con ogni altra norma urbanistica ed edilizia, apparissero, a suo giudizio, non o poco confacenti alla bontà architettonica, al decoro, all’ambientazione ed al miglioramento funzionale e formale dell’abitato.
6.- Ed è quanto la Commissione ha fatto nel caso di specie avendo disapprovato:
a) la realizzazione (non di uno) ma di più piani interrati (tre), gli esorbitanti riporti di terreno ed i cospicui muri di contenimento;con conseguente invito a presentare correzioni progettuali che abbassassero consistentemente l’elevazione dell’edificio dal lato a valle (parere già del 3.11.1999, richiamato e confermato in quello del 26.1.2000);
b) il notevole impatto visivo, ad est l’urto alla percezione visuale, estetica e panoramica che il corpo di fabbrica aggiuntivo era suscettibile di aggravare, percezione già pregiudicata dalla edificazione del primo stralcio del complesso residenziale (parere del 26.1.2000).
7.- I due aspetti – disvalore architettonico derivante dall’eccesso di piani interrati, riporti di terreno e muri di contenimento e offesa all’estetica – pur distinti, erano evidentemente collegati, atteso che l’incidenza visiva giudicata sproporzionata e tale da deturpare la godibilità estetica del sito andava collegata (stando alle carte progettuali in atti) alla presenza di ben tre piani (due parzialmente e uno interamente) interrati i quali, attesa la forte pendenza del suolo, andavano a costituire, dal lato a valle, un ingombro largamente visibile e scoperto, intaccando il crinale in modo massivo anche per la necessità di consistenti opere di riporto dei terreni e di rinforzi murari.
8.- Non compete al T.A.R. vagliare la fondatezza di tale apprezzamento di merito, restando il presente giudizio ancorato all’esame della legittimità del parere e perciò al solo rilievo di vizi configuranti eccesso di potere per evidente irrazionalità, erroneità dei presupposti di fatto o carenza di motivazione.
Il che, nella fattispecie, non è dato riscontrare.
9.- L’esame degli atti progettuali del 2° stralcio manifesta la creazione di ben tre piani interrati sottostanti alle unità abitative vere e proprie (comprensive queste di un piano terra – zona giorno e di un primo piano – zona notte), con tutte le conseguenze che la notevole escavazione e la realizzazione dei volumi interrati andavano a produrre anche quanto a riporti del terreno, elevazione di muri di contenimento ed ingombro edificatorio complessivo, disdicevole per di più sul piano estetico.
Il rilievi della C.E. non appaiono perciò manifestamente illogici e, d’altra parte, sono sufficientemente chiari e puntuali, sì da far ritenere il parere congruamente motivato.
10.- Infine va disattesa anche la censura che il rigetto dell’istanza di concessione motivato sulla base di un mero giudizio di merito avrebbe violato il principio di legalità che informa i provvedimenti di assenso edilizio, aventi – si sostiene – natura di atto vincolato.
Ed infatti – come s’è visto – la C.E. del Comune di Loreto era, per norma regolamentare, abilitata a fornire pareri involgenti anche profili di merito tecnico. In secondo luogo, il parere negativo nella specie formulato non era suscettibile di vulnerare in radice lo ius aedificandi sì da interdire, sull’area ricompresa nella zona B – di completamento, qualunque edificazione, pur rispettosa dei parametri previsti per tale zona, ma era diretto ad indirizzare l’esercizio dell’esistente jus aedificandi secondo modalità più rispettose dei buoni canoni architettonici e del contesto ambientale, anche estetico. Non può ritenersi che il sindacato di merito esercitato preventivamente dalla Commissione fosse tale da comprimere lo stesso jus aedificandi al punto tale da concretamente vanificarlo avendo posto indicazioni e/o limitazioni troppo difficili da seguire. Le contrarie asserzioni sul punto, peraltro dedotte nel ricorso in modo incidentale e generico, sono restate sfornite di ogni riscontro, anche indiziario;e contrastano con le vicende del più volte ripetuto iter procedurale (il richiedente la concessione, sul ripetutamente contestato punto specifico della realizzazione di molteplici piani interrati e della necessità di ridurre l’altezza dell’edificio sul fronte a valle, non aveva mai apportato alcuna correzione, neppure minima, al progetto originario, lasciato in tutto e per tutto inalterato).
III) Malgrado la soccombenza, il Collegio ravvisa giusti motivi che inducono a compensare integralmente le spese.