TAR Napoli, sez. III, sentenza 2015-05-11, n. 201502598

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. III, sentenza 2015-05-11, n. 201502598
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201502598
Data del deposito : 11 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05495/2012 REG.RIC.

N. 02598/2015 REG.PROV.COLL.

N. 05495/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5495 del 2012, proposto da:
“DA NONNO NINO S.A.S. DI DI MARTINO FABIO &
C.”, in persona del legale rappresentante, D M F, rappresentata e difesa dall’Avv. A R ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Antonio Roberto, in Napoli, alla Via Duomo, n. 384;

contro

COMUNE DI GRAGNANO, in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dagli Avv. ti. V C e M D M, ed elettivamente domiciliato presso l’Avv. Attilio Doria in Napoli, alla Via Crispi, n. 62;

nei confronti di

- MARRASSO GIUSTINO, non costituito in giudizio;
- SIMONE GIOVANNI, non costituito in giudizio;
- MARTONE FRANCESCO, non costituito in giudizio;
- SARROCCO ANNA, non costituita in giudizio;

- per l’accertamento

della responsabilità esclusiva del Comune di Gragnano per il danno subito dalla ricorrente a cagione delle illegittimità commesse e che avevano condotto all’emanazione dell’ordinanza n. 01/SS.TT. del 12.3.2011, con cui il Comune predetto disponeva la revoca ad horas dell’Autorizzazione Amministrativa n. 212 e Sanitaria n. 1501, entrambe del 21.10.2005, in titolarità della ricorrente, riguardanti l’attività Ristorante e Pizzeria “Da Nonno Nino s.a.s. di D M F &
C” sita in Gravano alla Via Statale per Agerola 184/186;

e per la condanna

conseguente dell’intimato Comune, in persona del legale rappresentante p.t.,

al risarcimento di tutti i danni patrimoniali subiti dalla ricorrente nella misura analiticamente precisata nella consulenza tecnica di parte versata in atti ovvero nella diversa misura, maggiore o minore ritenuta equa all’esito del giudizio, maggiorata, in ogni caso, degli interessi dal fatto al soddisfo.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’intimato Comune;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti di causa;

Uditi - Relatore alla pubblica udienza del 5 marzo 2015 il dott. Vincenzo Cernese - i difensori delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in esame - notificato il 23.11.2012 e depositato il 18.12.2012 - la società “Da Nonno Nino S.a.s. di D M F &
C.”, ristorante e pizzeria con sede in Gragnano (NA), alla Via Statale n. 184/186, in persona del legale rappresentante D M F, rappresentata e difesa dall’Avv. A R chiedeva a questo Tribunale - previo accertamento della responsabilità esclusiva dell’intimato Comune di Gragnano per il danno subito a cagione delle illegittimità commesse e che avevano condotto all’emanazione dell’ordinanza n. 01/SS.TT. del 12.3.2011, notificata il 24.11.2011, prima sospesa dal T.A.R. Campania, Sezione Terza, con l’ordinanza n. 1341 del 28.7.2011 e, poi, definitivamente annullata con sentenza n. 1269/2012 del 9 febbraio 2012 della medesima Sezione - la condanna del predetto Comune, in persona del legale rappresentante p.t., al risarcimento di tutti i danni patrimoniali subiti da essa subiti, nella misura analiticamente precisata nella consulenza tecnica di parte versata in atti ovvero nella diversa misura, maggiore o minore ritenuta equa all’esito del giudizio, maggiorata, in ogni caso, degli interessi dal fatto al soddisfo.

All uopo, parte ricorrente, evidenziato che con la predetta ordinanza n. 01/SS.TT. l’intimato Comune aveva revocato ad horas l’autorizzazione amministrativa (n. 212) e sanitaria (n. 1501), entrambe del 21 ottobre 2005, concessa a Sarfato C e successivamente registrata, ai sensi del Regolamento CE 852/04, a seguito della variazione della ragione sociale, in favore di D M F, nel frattempo divenuto nuovo rappresentante legale della società in sostituzione della Sarfato con atto di cessione quota per atto notarile del 6 ottobre 2005, relativamente all’attività di ristorante e pizzeria “Da Nonno Nino S.a.s. di D M F &
C. con sede in Gragnano alla via Statale n. 184/186 (cfr. atto di cessione di quota, documenti di trasmissione ed attribuzione numero di registrazione del 23 maggio 2010 e visura storica in atti), in fatto, premetteva che:

- l’annullata ordinanza di sospensione ad horas dell’attività commerciale trovava presupposto in vari successivi controlli ed accessi avvenuti presso la sede della società ed eseguiti da parte dei CC - Comando Tutela della Salute NAS di Napoli a partire dal 16 febbraio 2011 e definitivamente culminati nell’ultimo accesso, avvenuto in data 10.3.2011, nel quale erano state dichiarate come accertate varie presunte violazioni e disposta l’immediata chiusura della struttura;

- il provvedimento comunale impugnato, facendo seguito agli atti dei NAS e travisando completamente i presupposti di fatto e la normativa di riferimento, illegittimamente applicava la pesante sanzione della revoca ad horas delle autorizzazioni amministrative e sanitaria della società facendo erronea attuazione della normativa stabilita nella Legge 287/91, come modificata e sostituita dall’art. 64, co. 8, lett. a) del D.L. vo n. 59 del 26 marzo 2010 (mancanza dei requisiti, indicati ai commi 1 e 2 dell’art. 71, in capo al legale rappresentante della società stessa), sostenendo che il socio accomandatario e legale rappresentante della società istante, D M F, essendo detenuto presso la Casa Circondariale di Viterbo, dovesse considerarsi decaduto “dalle prerogative di moralità e rettitudine” che devono sussistere nella figura del legale rappresentante di un esercizio commerciale;

- prima di emettere la citata ordinanza n. 01/SS.TT. non era nemmeno concessa la partecipazione procedimentale ex art. 7 della legge n. 241/1990 al legale rappresentante D M F, che è l’unico soggetto della società a conoscenza di tutte le vicende e gli atti della stessa e che, a semplice richiesta, avrebbe potuto esibire il certificato del casellario giudiziale da cui poteva evincesi che lo stesso era persona incensurata;

- come sopra accennato il T.A.R. della Campania, sezione III, innanzi al quale la predetta ordinanza era stata impugnata, prima, ne sospendeva l’efficacia con l’ordinanza n. 1341/2011 del 28 luglio 2011 (fissando la trattazione del merito al 9 febbraio 2012, a pochissimi mesi di distanza dall’udienza camerale) e. poi, a pochissimi mesi di distanza dall’udienza camerale, ne disponeva l’annullamento con sentenza n. 1269 del 9 febbraio 2012, condannando, altresì, il convenuto Comune al pagamento delle spese ed onorari di giudizio.

Tanto premesso e preso atto che, purtroppo, nonostante l’immediata impugnazione del provvedimento di revoca comunale da parte del D M, la società, una volta costretta alla chiusura forzata e non producendo più utili, non era stata più in grado di far fronte alle varie spese ordinarie di gestione (tra cui il pagamento dei lavoranti, dei fornitori e della somma costituente il fitto dei locali) ed era stata sfrattata dalla proprietaria-locatrice della struttura con ordinanza di sfratto del Tribunale di Torre Annunziata - Sezione distaccata di Gragnano del 23 maggio 2011, mentre al danno economico, già molto grave, costituito dalla illegittima chiusura del ristorante e revoca delle autorizzazioni, si aggiungeva anche la totale perdita sia dell’avviamento commerciale sia dell’unica fonte sostentamento del legale rappresentante, D M F, parte ricorrente affidava il ricorso ai seguenti motivi:

1) Responsabilità e colpa della Pubblica Amministrazione, al riguardo richiamandosi al provvedimento cautelare del 28 luglio 2011, con il quale il Collegio avrebbe stigmatizzato in maniera puntuale l’abnormità dell’atto adottato non sembrando “il ricorso ad un primo sommario esame privo di elementi suscettibili di favorevole valutazione in ragione dell’insussistenza del presupposto (,,,,,,)”, nonché la successiva sentenza di merito di annullamento con cui si sarebbe confermato l’indirizzo della fase cautelare, dato atto che, anche ad una più approfondita analisi degli atti e dell documentazione versata, “non solo risulta assolutamente inesistente l’unico vero motivo per il quale poteva essere adottata la revoca delle autorizzazione - e cioè la perdita dei requisiti soggettivi previsti dall’art. 71 del D.L. vo 59/2010, in capo al legale rappresentante della ditta, mai avvenuta e comprovata dall’esibizione e produzione in atti del certificato del casellario giudiziale illibato - ma anche le ulteriori contestazioni mosse dal convenuto Comune nell’ordinanza impugnata, vengono ritenute non meritevoli di attenzione ed assolutamente non determinanti ai fini dell’adozione del provvedimento di revoca.

A maggior supporto della negligenza della P.A. nell’illegittima emanazione del provvedimento di revoca delle autorizzazioni all’istante società rileverebbe che il caso posto all’attenzione del Collegio sarebbe di facilissima soluzione, non presentando la normativa applicabile al caso concreto, di recente emanazione, particolari difficoltà applicative e/o interpretative, all’uopo richiamandosi quella giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. V, 23.5,2011, n. 3070) per la quale se la sola accertata illegittimità del provvedimento amministrativo non sarebbe da sola sufficiente a fondare e ad accogliere la domanda risarcitoria, dovendosi sempre accertare la colpa dell’Amministrazione, l’effettiva sussistenza del danno ed il nesso di causalità fra il provvedimento e il danno, il privato danneggiato potrebbe però limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto, potendosi ben fare applicazione, al fine della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 c.c. 1227, ovviamente desunta dalle singole fattispecie, restando a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si sarebbe trattato di un errore addebitabile a fattori esterni, quali contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma, complessità del fatto ovvero influenza di altri soggetti.

Con un secondo motivo parte ricorrente rileva che la colpa della P.A., nel caso di specie, sarebbe altresì aggravata dalla mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo che sicuramente avrebbe potuto scongiurare la necessità di adire il T.A.R. competente, risolvendo invece la questione con un semplice ricorso in autotutela con l’allegazione e la esibizione, da parte del ricorrente, del certificato del casellario giudiziale, cosa che avrebbe senz’altro escluso il danno.

Relativamente alla quantificazione del danno subito parte ricorrente rileva che la chiusura del ristorante sarebbe avvenuta nel periodo di maggior affluenza della clientela ed i rispettivi mancati incassi avrebbero determinato una situazione enormemente deficitaria dal punto di vista patrimoniale che di fatto avrebbe comportato un’improvvisa illiquidità e l’impossibilità di far fronte al pagamento dei numerosi oneri (ordinari e straordinari) gravanti sull’attività (ad es. pagamento dei lavoranti, dei fornitori, dell’affitto) e la sua quantificazione potrebbe senz’altro essere rilevata dalla perizia tecnica giurata di parte versata in atti, nella quale sarebbe specificato in maniera analitica l’intero danno patrimoniale subito per effetto dell’illegittimità dell’ordinanza sindacale;
tecnicamente in tale elaborato verrebbero presi in considerazione due sotto-tipi di danno patrimoniale: la perdita del reddito d’impresa (pari ad euro 3.671,66), avveratasi nel periodo in cui sarebbe intervenuto il provvedimento di chiusura da parte dei Carabinieri dei NAS dell’attività commerciale, e l’altro, più grave, ammontante ad euro 28.304,00, riferito alla perdita dell’avviamento commerciale, per un totale complessivo di danno da risarcire pari ad euro 31.975,66 e comunque, tale da poter essere quantificato anche in via equitativa, in misura maggiore o minore, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ.

Resisteva in giudizio l’intimato Comune chiedendo il rigetto del ricorso, sì come inammissibile ed infondato.

All’udienza pubblica del 5 marzo 2015 il ricorso era trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

Com’è noto, trova oggi pieno riconoscimento nell’ambito del diritto positivo (cfr. art. 7 della legge 1034/1971 e art. 35 del D.L. vo n. 80/1998) il principio della piena responsabilità della Pubblica Amministrazione anche per i danni cagionati nell’esercizio della propria attività funzionale, riconducibile ai canoni tradizionali dell’illecito aquiliano.

E’ fin troppo evidente che, ai suddetti fini, non è sufficiente la sola illegittimità dell’atto, ma occorre comprovare la concreta ricorrenza di tutti i requisiti costitutivi dell’illecito extracontrattuale, ivi compreso l'elemento psicologico quanto meno della colpa (C.d.S., sez. IV, 29 settembre 2005, n. 5204).

In altri termini, la declaratoria giurisdizionale della illegittimità di un atto amministrativo non costituisce un elemento sul quale la parte interessata può innestare una domanda di risarcimento del danno, senza dare puntuale e ragionevole dimostrazione del rapporto di causa ed effetto che si instaura tra atto illegittimo ed il danno e senza fornire di quest’ultimo una sua plausibile quantificazione ( cfr. Consiglio di stato, sez. V, 18 novembre 2002 , n. 6393;
C.di S., V sez. n° 3863 dell'11 luglio 2001). In sostanza non è possibile costruire uno schema di automatica equivalenza giuridica tra annullamento di un atto amministrativo, comportamento illegittimo della pubblica amministrazione e risarcibilità del danno ingiusto ricevuto dal soggetto destinatario degli effetti lesivi dell'atto annullato, in quanto, nella materia de qua, il giudizio risarcitorio, pur traendo origine dall’annullamento disposto all’esito del giudizio impugnatorio, risulta finalizzato ad individuare gli elementi costitutivi dell’illecito civile, non esclusa la possibilità di rivalutare, al fine di individuare eventuali elementi di colpevolezza in capo all’Amministrazione, l’illegittimità commessa dall’amministrazione e che aveva condotto all’emanazione del provvedimento annullato.

Ne consegue che la responsabilità della P.A. per eventuali danni di cui se ne chiede il risarcimento, non è una conseguenza implicita ed immancabile dell’illegittimità che ha condotto all’annullamento dell’atto impugnato, da considerare condizione non sempre sufficiente per coltivare con esito favorevole la successiva pretesa risarcitoria, basandosi la fattispecie di illecito extracontrattuale della P.A., alla stessa stregua di quello ascrivibile a qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento, su autonomi e distinti presupposti.

Pertanto il risarcimento presuppone la ricostruzione: a) del nesso causale tra atto annullato e danno, b) la ragionevole quantificabilità del danno;
c) l'enucleazione di un elemento di colpa riferito al funzionamento complessivo dell'apparato pubblico e ricorrente quando l'errore commesso non sia scusabile.

Orbene, così perimetrato il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, in senso ostativo alle pretesa azionata in giudizio decisivo è il rilievo che il risarcimento del danno non è una conseguenza diretta ed automatica dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, anche del nesso di causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell’amministrazione, almeno nelle controversie nelle quali non trova applicazione il diritto comunitario.

Con tali premesse, e relativamente al necessario elemento costituito dalla colpevolezza, nella fattispecie in esame la società ricorrente pretenderebbe di ascrivere alla condotta del Comune ed alla sancita illegittimità dell’ordinanza intimante la cessazione ad horas dell’attività commerciale annullata con sentenza del T.A.R. Campania, sez. III, n. 1269 del 14 marzo 2012 e, a tal uopo, si diffonde ad illustrare le ragioni per le quali l’errore commesso dal Comune nell’interpretazione della normativa in base alla quale era stata emessa l’ordinanza di revoca ad horas dell’autorizzazione commerciale annullata sarebbe inescusabile, anche per la gravità della violazione commessa nell’emanare l’ordinanza de qua.

In particolare asserisce, tra i “motivi di diritto”, la ricorrente che il D.L. vo n. 59/2010, entrato recentemente in vigore l’8 maggio 2010, in sostituzione della norma previgente dell’art. 3, co. 6, della Legge 287/91, conterrebbe una elencazione analitica - che invero sarebbe già contemplata all’art. 2, comma 4l della Legge 287/91 e quindi non di portata innovativa - che avrebbe lo scopo di vietare l’esercizio dell’attività commerciale a tutti quei soggetti identificabili, precisamente unicamente in coloro che avrebbero subito una condanna con sentenza passata in giudicato e la stessa sentenza del T.A.R., dichiarativa dell’illegittimità dell’atto, riprenderebbe l’intera elencazione seguente dal corpo del ricorso, riportandola fedelmente (……..), ma nulla di tutto ciò sarebbe stato e sarebbe è tuttora ravvisabile nel caso di specie atteso che, dal certificato del casellario giudiziale (già prodotto negli atti di parte nel giudizio di annullamento del provvedimento amministrativo comunale) si evincerebbe chiaramente che D M F, legale rappresentante del ristorante, essendo, ancora oggi, persona incensurata, non rientrerebbe affatto tra le figure analiticamente elencate ai commi 1 e 2 dell’art. 71 del D.L. vo 59/2010, pertanto, andrebbe senz’altro addebitata la responsabilità a titolo di colpa grave, la responsabilità della Pubblica Amministrazione per l’abnorme ed illegittimo atto adottato.

Invero la colpa della p.a. sarebbe data dalla violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenze, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili: tra le negligenze inescusabili vanno annoverati comportamenti sciatti, superficiali, sbrigativi nel compiere operazioni valutative di agevole e semplice esecuzione, come la verifica dell’esistenza o meno di titoli facili da verificare e non comportanti sottili e complicate indagini (……..).

Ad avvalorare le suddette argomentazioni, la ricorrente richiama l’ordinanza del T.A.R. Campania, sez. III, n. 134 del 28 luglio 2011, con cui nell’evidenziarsi la palese erronea applicazione della normativi ivi richiamata sulla base, appunto della semplice allegazione del certificato del casellario giudiziale appartenente al legale rappresentante della società, avrebbe accolto l’istanza cautelare, condannando, altresì, il Comune di Gragnano al pagamento anche al pagamento della fase cautelare ed, infine, disponendo la trattazione del merito al 9 febbraio 2012, a pochissimi mesi di distanza dall’udienza camerale, avendo individuato immediatamente, già nell’ordinanza predetta, l’abnorme violazione di legge effettuata dalla P.A. convenuta in giudizio.

Tuttavia le argomentazioni di parte ricorrente, pur astrattamente condivisibili, non tengono conto che, in concreto, l’ordinanza comunale annullata, anche non se non poteva considerarsi atto plurimotivato, basandosi <<
unicamente >>
sulla riscontrata violazione del richiamato art. 3, comma 6 della legge 287/91 come sostituito dall’art. 64 comma 8 lett. a) del D.L. vo n. 59 del 26.3.2010 (mancanza dei requisiti indicati ai commi 1 e 2 dell’art. 71 dello stesso D.L. vo 59/2010), tuttavia trovava la sua giustificazione anche nelle sue premesse e se, ai fini dell’annullamento poteva essere sufficiente (oltre ovviamente che necessario) la violazione della suddetta normativa, nell’ambito del giudizio risarcitorio, instaurato a seguito del disposto annullamento, ai fini della ricerca di un’eventuale colpa, così come degli altri elementi costitutivi dell’illecito della Pubblica Amministrazione - come sopra evidenziato - viene in rilievo il complessivo comportamento tenuto dell’Amministrazione.

Orbene, nell’ambito della valutazione di tale comportamento assumono indubbio rilievo anche la nota dei N.A.S. di Napoli prot. 48/209 - 1. 2010 del 16.2.2011, assunta agli atti del Comune in data 2.3.2011 prot. 6362 e agli atti del Settore in data 3.3.2011, ai sensi dell’art. 7 della Legge 241/90 ed in applicazione dell’art. 21, ultimo comma, della Legge 24.11.1981, n. 689, con cui era stato accertato, tra l’altro, che “il preposto Chierchia Giampaolo era risultato sprovvisto di attestato di formazione per responsabile di industria alimentare e che il pizzaiolo Giordano Antonio era sprovvisto di attestato di formazione professionale”, la nota del Comando Carabinieri Tutela della Salute del 10.32011, con allegato Verbale di Primo Accesso Ispettivo N.O. GTL/169/179 e 39/s di pari data, dal quale si evince, tra l’altro, che “è stato accertato che nel ristorante aperto al pubblico non era presente nessuna persona con i requisiti di conduzione di un ristorante”, la Nota Comando Carabinieri Tutela della Salute N.A.S. di Napoli del 10.3.2011 con allegato Verbale di controllo igienico-sanitario di pari data dal quale si evince che “è stato accertato un abuso edilizio relativo alla realizzazione di una struttura coperta adibita a sede di somministrazione tecnicamente attrezzata……”, la nota Comando Carabinieri NAS Napoli con cui veniva trasmesso Verbale di contesto amministrativo n. 7BG 2011 per violazione dell’art. 64 del D.L. vo 59/2010 e di chiusura di struttura non autorizzata.

Orbene, anche se tali circostanze sono state (correttamente) ritenute ininfluenti ai fini dell’annullamento dell’ordinanza (che richiama unicamente l’art. 3, comma 6 della legge 287/91 come sostituito dall’art. 64 comma 8 lett. a) del D.L. vo n. 59 del 26.3.2010), esse hanno indubbiamente avuto il loro peso ponderale nell’apprezzamento operato dall’Autorità procedente in sede istruttorio, con la conseguenza che l’errore commesso dall’Amministrazione nell’interpretazione ed applicazione della univoca normativa di riferimento deve essere risultato “controbilanciato”, dagli svariati elementi di “controindicazione” emersi nel procedimento a carico della società, con la conseguenza di potersi ritenere senz’altro scusabile l’errore, escludendosi, in tal modo, ogni elemento di colpevolezza a suo carico.

Né a tale conclusione può ostare la circostanza che, nella parte motiva della citata sentenza si rileva che: <<
Neppure le altre contestazioni, così come riportate nel provvedimento, in modo meramente riepilogativo e asistematico, sono idonee a giustificare la revoca ad horas delle autorizzazioni commerciali (cfr. primo motivo). L’Amministrazione si limita ad elencare gli esiti di alcuni accessi dei NAS senza chiarire in che misura questi siano stati determinanti per l’adozione del provvedimento di revoca e sulla base di quale normativa ciò sia avvenuto (…..) >>.

Come sopra rilevato nell’ambito del giudizio risarcitorio e per le finalità peculiari a tale giudizio l’illegittimità compiuta dall’Amministrazione (che pur aveva condotto all’emanazione di un provvedimento di annullamento) viene rivalutata alla luce di ulteriori elementi che erano stati ritenuti irrilevanti nel giudizio che aveva condotto all’annullamento dell’atto e, d’altronde, nella medesima sentenza si dà atto che <<
l’Amministrazione ha adottato l’atto impugnato sulla base dei controlli effettuati dai NAS dei Carabinieri in diverse occasioni >>
e che il provvedimento è stato adottato <<
dopo aver elencato una serie di irregolarità riscontrare dai NAS e di note interne >>.

Pertanto, preso atto che il rilievo ponderale da attribuirsi a diversi ed ulteriori elementi che, pur se ritenuti ininfluenti nella sentenza che (correttamente) ha posto l’accento unicamente sulla sussistenza delle “prerogative morali e di rettitudine” del nuovo legale rappresentante (smentendo quanto rilevato nella nota prot. 262/PM dell’11.3.2011 con la quale si comunicava che “il sig. D M F, socio accomandatario della società “Nonno Nino s.a.s.” risulta attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Viterbo, presso cui si è provveduto a notificare gli atti che lo riguardano, per cui le prerogative di moralità e rettitudine che devono sussistere in tale figura legale sono da considerarsi decadute”) erano sintomatici di (ulteriori) violazioni commesse dalla società ricorrenti emerse in occasione dell’istruttoria esperita e come tali potevano ragionevolmente integrare un errore scusabile del Comune resistente nell’adozione dell’ordinanza annullata, resta comprovato che alcuna colpa è ascrivibile a quest’ultimo.

Passando alla disamina dell’altro elemento costitutivo dell’illecito civile, costituito rapporto di causalità fra comportamento del presunto autore dell’illecito ed i danni subiti, la società ricorrente questi ultimi ascrive alla forzata chiusura dell’esercizio commerciale, disposta con l’ordinanza annullata, atteso che “non producendo più utili, non è stata più in grado di far fronte alle varie spese ordinarie di gestione (tra cui il pagamento dei lavoranti, dei fornitori e della somma costituente il fitto dei locali), pur riconoscendo di essere stata successivamente sfrattata dalla proprietaria-locatrice della struttura con ordinanza di convalida di sfratto del Tribunale di Torre Annunziata - Sezione distaccata di Gragnano del 23 maggio 2011, con la conseguenza che al danno economico, già molto grave, costituito dalla illegittima chiusura del ristorante e revoca delle autorizzazioni (peraltro intervenute nel periodo migliore dell’anno dal punto di vista economico della ristorazione), si sarebbe aggiunta la totale perdita sia dell’avviamento commerciale, sia dell’unica fonte di sostentamento del legale rappresentante, D M F.

La prospettazione di parte ricorrente non è condivisibile, risultando, nel caso di specie, di impossibile decifrazione una connessione fra danno e comportamento del Comune di Gragnano

Al riguardo pur prescindendo dalla pur rilevante constatazione che, risultando l’ordinanza annullata n. 01/SS.TT del 12 marzo 2011, notificata in data 24.3.2011 sospesa da questa Sezione con ordinanza n. 1341 del 28 luglio 2011, la ricorrente ben avrebbe potuto riprendere, sin dalla fine del mese di luglio 2011, la relativa attività commerciale, ma ciò - come da lei stesso asserito - è avvenuto solo alla fine del mese di luglio del 2011, ma non “anche per effetto della necessaria ed inevitabile impugnazione con motivi aggiunti, di alcuni documenti-provvedimenti provenienti dall’A.S.L. Napoli 3 Sud e conosciuti solamente con la costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale”, ma in quanto era intervenuta l’ordinanza di convalida di sfratto del Tribunale di Torre annunziata - Sezione distaccata di Gragnano in data 23 maggio 2011.

Né potrebbe sostenersi una pretesa risarcitoria in relazione al periodo dal 24.3.2011 - data di notifica dell’ordinanza annullata - ed il 28 luglio 2011 - data di pubblicazione della suddetta ordinanza cautelare - atteso che con atto di citazione del 4 aprile 2011 la proprietà dei locali già aveva intimato lo sfratto alla società ricorrente, la quale, quindi, a quella data (e, quindi, a pochissimi giorni dopo la notifica dell’ordinanza comunale), già era consapevole della necessità di dover rilasciare i locali ove svolgeva la propria attività commerciale.

D’altronde la medesima ricorrente dichiara che di fatto dal momento in cui è stata inibita la prosecuzione dell’attività commerciale, con provvedimento dei Carabinieri dei NAS in data 10 marzo 2011, il ristorante è rimasto chiuso e non ha riaperto nemmeno a seguito della vittoriosa ordinanza sospensiva del T.A.R. pubblicata il 31 luglio 2011, atteso che, nelle more del giudizio, alla Di Nonno Nino S.a.s. è stato intimato lo sfratto per morosità da parte della proprietaria locatrice della struttura che è riuscita ad ottenere l’ordinanza esecutiva di sfratto dal Tribunale di Torre Annunziata - Sez. dist. di Gragnano in data 23 maggio 2011, successivamente posta in esecuzione.

Inoltre, la medesima ricorrente, trattando della quantificazione del danno subito, ammette che il maggior danno deriva dalla perdita dell’avviamento commerciale (corrispondente al valore monetario dell’azienda al momento della chiusura della chiusura forzata), che è stata determinata dalla chiusura definitiva del ristorante a seguito dell’ordinanza di sfratto emessa dal Tribunale di Torre Annunziata Sez. dist. di Gragnano, poi successivamente posta in esecuzione, per modo che non riesce proprio a comprendersi come, con un evidente salto logico possa poi ritenere comprovato un nesso causale tra la, pur illegittima, ordinanza annullata in sede giurisdizionale ed i danni da lei lamentati che sono da, quindi, ascrivere piuttosto all’interferenza di una autonoma serie causale autonoma non legata da un nesso eziologico con l’ordinanza annullata.

Da quanto si è andato esponendo si perviene alla conclusione della insussistenza della mancanza, nel caso all’esame del Collegio anche dell’ulteriore elemento costitutivo dell’illecito (peraltro logicamente prioritario rispetto agli altri elementi) costituito dell’ingiustizia del danno, escludendosi, così, ogni responsabilità a carico del resistente Comune.

In definitiva l’esito del giudizio determina l’infondatezza della pretesa risarcitoria azionata sotto forma di equivalente monetario.

Le spese giudiziali seguono, come di regola, la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi