TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2012-09-20, n. 201207931

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2012-09-20, n. 201207931
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201207931
Data del deposito : 20 settembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09837/2011 REG.RIC.

N. 07931/2012 REG.PROV.COLL.

N. 09837/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9837 del 2011, proposto da F M, A A, G B, G G, A M, G S, D T, rappresentati e difesi dall'avv. N C e con domicilio eletto presso il difensore in Roma, via Cola di Rienzo 212;

contro

il Ministero della Difesa - Comando Regione militare nord, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato e presso gli uffici della medesima domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

per l'annullamento

- dei provvedimenti del Comando Regione militare nord, datati 1° ottobre 2011 e recanti "rideterminazione del canone di occupazione ai sensi del decreto ministeriale 16 marzo 2011. Applicazione del canone provvisorio”;

- del decreto Ministero della Difesa del 16 marzo 2011 pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 122 del 27 maggio 2011;

- della nota prot. n. 15450 del 9 giugno 2011 dello Stato maggiore della Difesa;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;

Visti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 30 maggio 2012 il cons. G L;

Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.0 - Riferiscono i ricorrenti di essere originari assegnatari, con regolare provvedimento di concessione, di alloggi di servizio del Ministero della Difesa, e di essere stati poi - venuto meno il titolo - lasciati di fatto nella piena disponibilità degli alloggi, corrispondendo “ai sensi della legge n. 724/1994” il canone maggiorato rispetto agli utenti aventi titolo alla concessione.

Essi lamentano che i nuovi e peraltro provvisori canoni - applicati nei confronti di personale tuttora in servizio o vedove che vivono con la pensione di reversibilità - recano un aumento esponenziale rispetto ai canoni di occupazione sinora corrisposti, e sono di importo di molto superiore rispetto ai prezzi effettivi di mercato, per evidenti errori nella predisposizione dei criteri da utilizzare per la individuazione del canone da corrispondere.

1.1 - I motivi di ricorso sono i seguenti.

1) Violazione dell’art. 6, comma 21 quater del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Violazione dell’articolo 97 della Costituzione e dei principi generali. Violazione e falsa applicazione del decreto ministeriale 16 marzo 2011 e della nota prot. n. 15450 del 9 giugno 2011 dello Stato maggiore della Difesa. Difetto di presupposti legali. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifeste, contraddittorietà e difetto di istruttoria, contraddittorietà fra più atti. Esercizio del potere per fini diversi, perplessità dell’azione. Violazione dei principi generali in tema di buon andamento dell’azione amministrativa. Disparità di trattamento.

Gli atti individuali in epigrafe, nell'imporre la immediata corresponsione di un canone provvisorio, hanno violato l'articolo 3 del decreto ministeriale 16 marzo 2011 e l'articolo 6, comma 21 quater , del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n.122. Quegli atti inoltre non sono stati preceduti da adeguata istruttoria;
e gli immobili sono fatiscenti, sì che avrebbe dovuto applicarsi loro il coefficiente correttivo K. pari a 0,65 in luogo del coefficiente correttivo 0,80 applicato.

2) Violazione dell’art. 6, comma 21 quater del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Violazione dell’articolo 97 della Costituzione e dei principi generali. Incompetenza. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifeste, contraddittorietà e difetto di istruttoria. Esercizio del potere per fini diversi, perplessità dell’azione. Violazione dei principi generali in tema di buon andamento dell’azione amministrativa.

L’art. 6, comma 21 quater del decreto-legge 31 maggio 2010, n.78, convertito dalla legge 31 luglio 2010, n.122, delega il Ministro della Difesa a provvedere alla rideterminazione dei canoni in argomento “sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall’Agenzia del territorio”.

Il legislatore ha dunque imposto che solo ove i prezzi di mercato non siano rilevabili può farsi ricorso alle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio. Invece il decreto ministeriale 16 marzo 2011 dispone illegittimamente la rideterminazione dei canoni sulla sola base delle quotazioni rese dalla Agenzia del territorio, e, per la precisione, "dei canoni unitari di locazione forniti dall'Agenzia del territorio - Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI)" (art.2, comma 1), ed esclude, in nuce , la rilevazione dei prezzi di mercato, così incorrendo nei vizi epigrafati.

3) Violazione dell’art. 6, comma 21 quater del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Violazione dell’articolo 97 della Costituzione e dei principi generali. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifeste, contraddittorietà fra più atti. Esercizio del potere per fini diversi, perplessità dell’azione. Violazione dei principi generali in tema di buon andamento dell’azione amministrativa.

Il Ministero della Difesa ha adottato il decreto per fini diversi da quelli voluti e stabiliti dal legislatore: applicare canoni insostenibili, superiori ai reali prezzi di mercato, per costringere gli attuali occupanti a liberare gli alloggi, come si legge in un documento redatto dal Gruppo di lavoro interforze denominato “Obiettivo 9”.

4) Violazione dell’art. 6, comma 21 quater del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Violazione dell’articolo 97 della Costituzione e dei principi generali. Incompetenza. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifeste, contraddittorietà e difetto di istruttoria. Esercizio del potere per fini diversi, perplessità dell’azione. Violazione dei principi generali in tema di buon andamento dell’azione amministrativa e del principio di legittimo affidamento.

Per l'affidamento ingenerato negli occupanti senza titolo dal comportamento dell'Amministrazione dal 1994 ad oggi, la durata dell'occupazione avrebbe dovuto costituire, così come quello del reddito dell'occupante, un criterio che comportasse la riduzione, non già, come previsto dall’impugnato decreto ministeriale 16 marzo 2011, l’aumento del canone.

5) Violazione dell’art. 6, comma 21 quater del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Violazione dell’articolo 97 della Costituzione e dei principi generali. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifeste, contraddittorietà e difetto di istruttoria. Esercizio del potere per fini diversi, perplessità dell’azione. Violazione dei principi generali in tema di buon andamento dell’azione amministrativa e del principio di legittimo affidamento.

L'applicazione del criterio correttivo della durata dell'occupazione operata col decreto impugnato appare illegittima per ulteriori ragioni;
essa si attua con un meccanismo tutto irragionevole e illogico perché:

a) viene in questo modo a prendersi in considerazione un reddito fittizio, artefatto, che in realtà non rappresenta la reale capacità economica del soggetto;

b) con il suddetto meccanismo il criterio della durata dell'occupazione perde la propria autonomia come parametro di riferimento e finisce col diventare un correttivo del correttivo, ovvero un correttivo della situazione reddituale dell'occupante. E ciò peraltro in violazione della legge delega che, fra i due criteri correttivi, non aveva previsto preferenze;

c) la scelta operata dall'Amministrazione finisce per annullare l'effetto del primo dei due criteri, quello del reddito, vanificandone la ratio solidaristica e sociale.

6) Violazione dell’art. 6, comma 21 quater del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Violazione dell’articolo 97 della Costituzione e dei principi generali. Errore dei presupposti e travisamento di fatto. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifeste, contraddittorietà e difetto di istruttoria. Esercizio del potere per fini diversi, perplessità dell’azione. Violazione dei principi generali in tema di buon andamento dell’azione amministrativa e del principio di legittimo affidamento.

L'applicazione concreta dei coefficienti K (v. art. 2 e allegato A al decreto ministeriale 16 marzo 2011) conduce a risultati illogici, incongruenti e manifestamente ingiusti, non consentendo in ogni caso di individuare il corretto prezzo di mercato: il valore più basso del coefficiente correttivo globale K, che è 0,65, non corrisponde mai e non può corrispondere alla quotazione minima OMI, così come, corrispondentemente, quello più alto, che è 1,35, non corrisponde mai alla quotazione massima;
se si applica il coefficiente “K” minimo al valore medio dell'OMI non si ottiene il valore minimo OMI, ovvero il prezzo di mercato più basso per quella tipologia di alloggio e, di conseguenza, matematicamente, il prezzo al metro quadro individuato non rappresenta il prezzo di mercato più basso per quell'appartamento in quella zona. Più logico, al limite, sarebbe stato impostare il coefficiente K come una frazione dei valori minimo e massimo forniti dall’OMI, in modo da consentire che il calcolo del valore di mercato si muovesse coerentemente fra i detti minimo e massimo.

7) Violazione dell’art. 6, comma 21 quater del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Violazione dell’articolo 97 della Costituzione e dei principi generali. Difetto di motivazione. Errore dei presupposti e travisamento di fatto. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà e difetto di istruttoria. Esercizio del potere per fini diversi, perplessità dell’azione. Violazione dei principi generali in tema di buon andamento dell’azione amministrativa e del principio di legittimo affidamento.

Nell'applicazione delle quotazioni dell'OMI l'Amministrazione non ha tenuto conto del fatto che la P.A. ed i privati fanno parte di due mercati diversi. I privati, sui canoni di locazione incassati, pagano imposte e tasse (30/40%), la Pubblica Amministrazione no. Pertanto vi è indebito arricchimento, disparità di trattamento, mancata individuazione del prezzo corretto di un mercato che vede come locatore il soggetto pubblico.

8) Violazione dell’art. 6, comma 21 quater del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Violazione dell’articolo 97 della Costituzione e dei principi generali. Difetto di motivazione. Errore dei presupposti e travisamento di fatto. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà e difetto di istruttoria. Esercizio del potere per fini diversi, perplessità dell’azione. Violazione dei principi generali in tema di buon andamento dell’azione amministrativa e del principio di legittimo affidamento.

Dalle fonti utilizzate dal Ministero, indicate all'allegato A del decreto impugnato, risulta l'assoluta carenza di ragionevolezza e logicità, nonché l'elevato grado di approssimazione dei riferiti coefficienti "K".

1.2 - I ricorrenti propongono altresì questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 6, comma 21 quater , del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per violazione, sotto vari profili, degli artt.2, 3, 29 e 97 della Costituzione.

2. – Con il ricorso sono stati depositati documenti.

Il Ministero della Difesa si è costituito.

Ulteriore deposito documentale è stato effettuato dai ricorrenti in data 19/04/12.

Entrambe le parti hanno depositato una memoria in data 27/04/12.

La memoria erariale (autoqualificatasi “memoria difensiva unica” perché redatta in unico testo per il presente ricorso e per altri ricorsi ad esso analoghi pure giunti in decisione alla presente udienza pubblica del 30 maggio 2012) ha eccepito:

- il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, e conseguentemente la giurisdizione del giudice ordinario, su ogni questione attinente la pretesa erroneità del canone o la violazione, da parte dei singoli provvedimenti che fissano l’importo del canone rideterminato, dei criteri fissati dal decreto ministeriale 16 marzo 2011;

- tardività del ricorso;

- inammissibilità del ricorso perché collettivo;

- la sua infondatezza nel merito.

I ricorrenti hanno depositato memoria di replica in data 09/05/12, in essa chiedendo a loro volta a questo giudice di valutare l’ammissibilità della “memoria difensiva unica” erariale.

La causa è stata trattenuta per la decisione alla udienza pubblica del 30 maggio 2012.

DIRITTO

1.0 - La “memoria difensiva unica” erariale è ammissibile, poiché – data la grande affinità fra i ricorsi cui essa resiste - reca rilievi riferibili a ciascuno di essi.

Le eccezioni pregiudiziali contenute nella suddetta “memoria difensiva unica” vanno disattese.

La questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 6, comma 21 quater , del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è priva del requisito della non manifesta infondatezza.

1.1 - Il difetto di giurisdizione affermato dalla difesa erariale non sussiste, poiché la presente controversia rientra pienamente nella previsione dell’articolo 7, comma 1, del codice del processo amministrativo, il quale, per la parte che qui interessa, dispone che “sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni”.

Nella fattispecie, infatti, è contestato dai ricorrenti l’esercizio del potere amministrativo esercitato dagli organi del Ministero della Difesa al fine della rideterminazione del canone di occupazione senza titolo dell'alloggio di servizio.

L’esercizio di potere amministrativo – e la correlata posizione di interesse legittimo dei destinatari degli atti e espressione di quel potere - trapela in tutte le determinazioni oggetto del ricorso.

In particolare:

- nessun dubbio sull’ascrivibilità ad esercizio di potere amministrativo (né invero questo dubbio è prospettato nelle eccezioni dell'Amministrazione) circa l’impugnato decreto ministeriale 16 marzo 2011, adottato - in attuazione dell'articolo 6, comma 21 quater , del decreto-legge n. 78/2010 – d’intesa con l’Agenzia del demanio e sentito il Consiglio centrale della rappresentanza militare, e con l’espresso fine di provvedere alla rideterminazione, a decorrere dal 1° gennaio 2011, del canone di occupazione dovuto dagli utenti non aventi titolo alla concessione di alloggi di servizio del Ministero della Difesa.;

- la impugnata nota prot. n. 15450 del 9 giugno 2011 è lettera di trasmissione - da parte dello Stato maggiore dell'Esercito ai vari organi dell'Amministrazione - per un sollecito adempimento del suddetto decreto ministeriale 16 marzo 2011, sicché ripete da quest’ultimo la valenza di espressione di potestà pubblica;

- gli impugnati atti individuali recanti rideterminazione del canone di occupazione dell'alloggio di servizio, sono anch’essi espressione di potere amministrativo, e non invece di semplice pretesa privatistica di pagamento (come invece appare essere quella oggetto delle “sentenze brevi” di questo T.a.r., Sez. I ter declinatorie della giurisdizione amministrativa, e indicate in proposito nella memoria erariale, relative a decreti con i quali il Prefetto di Roma ha richiesto il versamento di somme, comprensive di interessi legali, salvo conguaglio, per l’occupazione di alloggi di servizio): quegli atti del Comando Aeronautica militare di Roma infatti (anche a voler prescindere dal fatto che l’art. 3, comma 3, del citato decreto ministeriale 16 marzo 2011 li qualifica espressamente “provvedimenti amministrativi” ed impone la previa comunicazione, al personale interessato, dell'avvio del procedimento) sono espressione – come risulta anche dalla scheda ad essi allegata – di complesse valutazioni di discrezionalità tecnica (e non di automatici calcoli) demandate ai competenti organi dell’Amministrazione della Difesa dal suddetto decreto ministeriale 16 marzo 2011 (vedine l’art. 3 citato e l’Allegato A, che più volte, tra l’altro, rinvia alla “sensibilità del tecnico”: v. ad esempio i punti 2c, 2d, 2e di quell’ Allegato A). Non si tratta dunque di normale rapporto locatizio fra un soggetto pubblico ed un suo dipendente, per la cui determinazione del canone è esclusa ogni discrezionalità tecnica (v., e argomenta a contrario , Cassazione civile, SS.UU., 9 luglio 1991, n. 7545), ma invece, appunto, di atti di discrezionalità tecnica, peraltro revocabili o modificabili, sul piano della autotutela, da parte della stessa Amministrazione che ebbe ad emetterli, una volta riscontrata la non rispondenza di quanto attestato, alla realtà di fatto (confr. Cassazione civile, SS.UU., 4 dicembre 1991, n. 13031).

1.2 – L’eccepita tardività del ricorso è da escludere.

La difesa erariale sostiene la tardiva impugnazione del decreto ministeriale 16 marzo 2011 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n.122 del 27 maggio 2011).

L’Avvocatura dello Stato, pur consapevole del noto principio generale che ammette l’impugnativa dell’atto applicativo unitamente al provvedimento presupposto di natura regolamentare, sostiene però che il principio non va applicato al caso di specie perché i destinatari del decreto ministeriale erano già dalla sua emanazione immediatamente individuabili (in quanto occupanti senza titolo di alloggi dell’Amministrazione della Difesa) e immediatamente lesi da clausole quel provvedimento, sicché avrebbero dovuto attivarsi contro di esso nei termini di legge.

L’assunto non è condivisibile, poiché il decreto ministeriale 16 marzo 2011 non reca clausole immediatamente e concretamente lesive, ma abbisogna della complessa attività di valutazione e attuativa di cui si è fatto cenno nel precedente capo 1.1.

1.3 – Anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso perché collettivo deve essere respinta.

La difesa erariale sostiene che i ricorrenti presentano un insieme variegato di situazioni personali e reddituali, sicché non essendo quelle diverse situazioni specificate e chiarite nel ricorso questo sarebbe inammissibile (C.d.S., Sez. III, n. 3575/2011);
né vi sarebbe fra i ricorrenti identità di situazioni sostanziali e processuali (T.a.r. Lazio. Sez. III, n. 3119/2010).

Questo assunto non è condivisibile perché il ricorso formula censure di carattere generale e riconducibili indistintamente a entrambi i ricorrenti, sicché si può ragionevolmente considerare la loro pluralità come un’unica parte processuale, seppur soggettivamente complessa (vedi la medesima sentenza del T.a.r. del Lazio n. 3119/2010 richiamata dalla difesa erariale).

1.4 - La questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 6, comma 21 quater , del decreto-legge n. 78/2010, formulata dai ricorrenti sotto cinque differenti profili, è rilevante e prioritaria nel presente ricorso, poiché il contestato decreto ministeriale 16 marzo 2011 (in base al quale sono stati emessi gli impugnati atti di rideterminazione del canone) è stato emanato dal Ministero della Difesa in applicazione della disposizione ritenuta incostituzionale.

La medesima questione, però, è priva del requisito della non manifesta infondatezza di cui all’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Il suddetto articolo 6, comma 21 quater , del decreto-legge n. 78/2010, vigente alla data del citato decreto ministeriale 16 marzo 2011 [e poi abrogato dall'art. 2268, comma 1, n. 1085-bis), del decreto legislativo n. 66/2010, come modificato dall'art. 9, comma 1, lett. p), n. 13), del decreto legislativo 24 febbraio 2012, n. 20, ma con gli effetti giuridici fatti salvi ai sensi dell’art. 10, comma 8, lettera c), del medesimo decreto legislativo n. 20/2012 e dell'articolo 2186 del decreto legislativo n. 66/2010] recita: ”Con decreto del Ministero della Difesa, adottato d’intesa con l’Agenzia del demanio, sentito il Consiglio centrale della rappresentanza militare, si provvede alla rideterminazione, a decorrere dal 1° gennaio 2011, del canone di occupazione dovuto dagli utenti non aventi titolo alla concessione di alloggi di servizio del Ministero della Difesa, fermo restando per l’occupante l’obbligo di rilascio entro il termine fissato dall’Amministrazione, anche se in regime di proroga, sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall’Agenzia del territorio, del reddito dell’occupante e della durata dell’occupazione. Le maggiorazioni del canone derivanti dalla rideterminazione prevista dal presente comma affluiscono ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate per le esigenze del Ministero della Difesa”.

Secondo i ricorrenti la disposizione:

1) violerebbe gli articoli 2 e 3 della Costituzione nella parte in cui, al fine di rideterminare il canone di occupazione, si prescrive l’utilizzo “dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall’Agenzia del territorio, del reddito dell’occupante e della durata dell’occupazione”: in tale modo vi sarebbe, ingiustificatamente, un macroscopico aumento rispetto alla maggiorazione già introdotta, per gli utenti senza titolo degli alloggi, dalla legge n. 724/1994. Una così marcata differenziazione non sarebbe giustificata alla luce della situazione e della storia dei cosiddetti utenti senza titolo. Essi, perso il titolo alla concessione, hanno mantenuto la conduzione dell’alloggio non già contro la volontà dell’Amministrazione e resistendo ad essa ma solo in quanto essa non ha mai intimato il rilascio o manifestato l’interesse e la necessità di avere la disponibilità dell’alloggio per nuove assegnazioni: ogni anno l’Amministrazione ha inviato una comunicazione avente il medesimo tenore con la quale veniva, di volta in volta, comunicato a ciascun occupante il canone maggiorato, con aggiornamento degli indici Istat, da corrispondere per mantenere la conduzione dell’alloggio, con ciò di fatto autorizzando e legittimando quello stato di fatto. Al legislatore sarebbero mancate ragionevolezza ed obiettività, poiché esso ha trattato due situazioni uguali o di poco dissimili (quelle degli utenti di alloggio di servizio e quelle degli utenti senza titolo dei medesimi alloggi), sinora trattate allo stesso modo, in modo diverso;

2) violerebbe di articoli 2, 3 e 97 della Costituzione ove venisse interpretato nel senso che il correttivo della “durata della precedente occupazione” debba comportare un aumento del canone rispetto ai prezzi di mercato, tenuto conto del consolidato e legittimo affidamento ingenerato dal comportamento della pubblica Amministrazione e anche dalla citata legge n. 724/1994;

3) violerebbe di articoli 2, 3 e 97 della Costituzione per aver omesso il necessario bilanciamento degli interessi in gioco e anzi rompendo quel rapporto di affidamento - nonché di coerenza e fiducia - che legava il Ministero della Difesa e gli utenti degli alloggi;

4) violerebbe di articoli 2, 3 e 29 della Costituzione perché prescriverebbe una rideterminazione dei canoni dovuti dagli occupanti senza titolo basata su criteri che, una volta applicati, integrerebbero una palese violazione del diritto all’abitazione (e dunque dei diritti della famiglia), enunciato da ultimo anche dalla Corte di cassazione in materia di occupazione abusiva di edifici per stato di necessità (Cassazione, Sez. II, n. 35580/2007);

5) violerebbe di articoli 2, 3 e 97 della Costituzione nella parte in cui, stabilendo il ricorso al criterio dei prezzi di mercato per rideterminare il canone degli occupanti senza titolo, assimila il mercato immobiliare/locatizio in cui operano i privati su un piano di parità contrattuale al mercato in cui parte del rapporto contrattuale è una pubblica Amministrazione, non considerando il fatto che l’Amministrazione non paga imposte e tasse sui canoni.

L’art. 6, comma 21 quater citato appare manifestamente privo dei vizi di costituzionalità denunciati.

Infatti, con riferimento alla scelta, fatta dal legislatore, di prevedere l’utilizzo, al fine di rideterminare il canone di occupazione, “dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall’Agenzia del territorio, del reddito dell’occupante e della durata dell’occupazione”, occorre considerare che:

- è di piena evidenza che militari (o loro aventi causa) i quali si trovano ad occupare un alloggio originariamente fruito per esigenze di servizio ma del cui utilizzo avevano da tempo perduto il titolo legittimante (essendo cessata la relativa esigenza di servizio) sono tenuti a corrispondere un canone per quella occupazione, divenuta senza titolo;

- la scelta di rideterminare, in un’ottica di “riduzione dei costi degli apparati amministrativi” (v. la rubricazione del citato art. 6, d.l. n. 78/2010) quel canone per l’occupazione senza titolo (originariamente fissato dall’art. 43, comma 1, della legge n. 724/94, fermo restando per l'occupante l'obbligo di rilascio, in un canone pari a quello risultante dalla normativa sull'equo canone maggiorato del 20 per cento per un reddito annuo lordo complessivo del nucleo familiare fino a 60 milioni di lire e del 50 per cento per un reddito lordo annuo complessivo del nucleo familiare oltre i 60 milioni di lire e, per gli utenti con i parametri di reddito indicati nel decreto ministeriale attuativo dell'articolo 9, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, un canone pari a quello risultante dalla normativa sull'equo canone senza maggiorazioni) tenendo conto “dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall’Agenzia del territorio, del reddito dell’occupante e della durata dell’occupazione” appare priva del vizio di ragionevolezza legislativa: la scelta del legislatore appare evidentemente informata a perseguire nella rideterminazione del canone per i senza titolo la massima obiettività possibile, demandando espressamente quella rideterminazione a un provvedimento da adottare previa intesa con un qualificato soggetto pubblico (l'Agenzia del demanio), e dopo aver acquisito il parere dell'organo centrale di rappresentanza del personale interessato (il COCER);

- l’aumento rispetto al canone precedentemente corrisposto dagli utenti senza titolo ai sensi dell’art. 43 della legge n. 724/1994 non risulta, di per sé, illegittimo per il solo fatto di essere aumentato, posto che la relativa nuova determinazione appare priva di palese irrazionalità;

- l’asserito affidamento, che sarebbe derivato dal permanere nella detenzione dell’alloggio senza intimazioni di rilascio, appare da escludere, posto che già il citato art. 43 della legge n. 724/1994 disponeva “fermo restando per l'occupante l'obbligo di rilascio”. Lo stesso affidamento peraltro, ove sussistesse, non inciderebbe sulla correttezza della scelta (palesemente rispettosa del principio di ragionevolezza desumibile dall’articolo 3 della Costituzione) di far corrispondere un giusto canone per la utilizzazione di un alloggio di servizio detenuto senza titolo;

- parimenti legittimo e parimenti conforme al principio di ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione risulta il diverso trattamento riservato dall’Amministrazione ai legittimi utenti degli alloggi di servizio, data la palese differenza di situazione rispetto agli utenti senza titolo;

- la rilevanza attribuita dalla legge alla durata della precedente occupazione senza titolo appare priva di vizi logici, posto che, con evidenza, non possono essere messe sullo stesso piano la situazione di chi abbia detenuto senza titolo un alloggio di servizio per un breve periodo e la situazione di chi invece abbia detenuto senza titolo un alloggio di servizio per molti anni, nonostante l'obbligo di rilascio previsto dal citato art. 43 della legge n. 724/1994;

- l’invocato diritto all’abitazione non elimina l’esigenza di dover corrispondere un giusto canone per la utilizzazione di un alloggio di servizio detenuto senza titolo;

- l’osservazione che il Ministero della Difesa, diversamente dai privati, non paga imposte e tasse sui canoni è priva di rilievo, poiché pone a raffronto due elementi (canone di locazione di abitazioni private e canone di occupazione di alloggi di servizio detenuti senza titolo e da rilasciare) non omogenei. Ed in ogni caso la disposizione contestata non reca un secco rinvio al criterio dei prezzi di mercato, ma prevede, per la determinazione del canone dovuto dagli utenti senza titolo, i più articolati e legittimi criteri sopra indicati (v. anche i successivi capi 2.1.1 e 2.1.6).

2.0 – Relativamente al merito è prioritario l’esame delle censure contro il decreto ministeriale 16 marzo 2011 [segnatamente i motivi di ricorso 2), 3), 4), 5), 6), 7), 8)], poiché quel D.M. è il giuridico presupposto dei successivi atti di concreta rideterminazione del canone, pure impugnati.

Ciò premesso, il contestato decreto ministeriale 16 marzo 2011 supera le censure del ricorso, il quale risulta invece fondato limitatamente alle censure che, quanto agli atti applicativi, ne lamentano la non consentita provvisorietà, nonché difetto di istruttoria e di motivazione.

2.1.1 – I ricorrenti contestano in primo luogo al decreto ministeriale 16 marzo 2011 di aver violato la delega – contenuta nell’art. 6, comma 21 quater del decreto-legge n. 78/2010 - a provvedere alla rideterminazione dei canoni “sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall’Agenzia del territorio”.

Il legislatore avrebbe imposto che solo ove i prezzi di mercato non siano rilevabili può farsi ricorso alle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio.

Invece il decreto ministeriale 16 marzo 2011 disporrebbe illegittimamente la rideterminazione dei canoni sulla sola base delle quotazioni rese dalla Agenzia del territorio;
per la precisione, sulla base "dei canoni unitari di locazione forniti dall'Agenzia del territorio - Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI)" (art.2, comma 1), escludendo, in nuce , la rilevazione dei prezzi di mercato.

La censura è infondata.

E’ utile riproporre il testo del citato comma 21 quater : “Con decreto del Ministero della Difesa, adottato d’intesa con l’Agenzia del demanio, sentito il Consiglio centrale della rappresentanza militare, si provvede alla rideterminazione, a decorrere dal 1° gennaio 2011, del canone di occupazione dovuto dagli utenti non aventi titolo alla concessione di alloggi di servizio del Ministero della Difesa, fermo restando per l’occupante l’obbligo di rilascio entro il termine fissato dall’Amministrazione, anche se in regime di proroga, sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall’Agenzia del territorio, del reddito dell’occupante e della durata dell’occupazione. Le maggiorazioni del canone derivanti dalla rideterminazione prevista dal presente comma affluiscono ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate per le esigenze del Ministero della Difesa”.

In proposito si osserva quanto segue:

- il testo letterale della legge non prevede che l’Amministrazione proceda alla rideterminazione del canone “applicando i prezzi di mercato” ma prevede invece che la rideterminazione sia effettuata “sulla base dei prezzi di mercato”;
e questa diversa formulazione appare, con evidenza, sostanziale e non soltanto terminologica;

- il “prezzo di mercato” di un canone di locazione non è valore oggettivo e fondato su criteri certi;
esso invece, come è noto, risente di variabili locali, cronologiche e addirittura psicologiche, le quali si presterebbero facilmente a (ri)determinazioni di canoni non oggettive, se non addirittura falsate da elementi spurii;

- per contro, il meccanismo espresso nel decreto ministeriale 16 marzo 2011 appare rispettoso del testo e, ancor più, dello spirito dell’articolo 6, comma 21 quater , del decreto-legge n. 78/2010 (evidentemente informato a perseguire nella rideterminazione del canone la massima obiettività possibile), poiché quel meccanismo: a) è stato formulato, come richiesto dal citato comma 21 quater , previa intesa con l'Agenzia del demanio e soprattutto dopo aver acquisito il parere dell'organo centrale di rappresentanza del personale interessato (il COCER);
b) si basa (come indicato dalla legge) sul prezzo di mercato, che però viene desunto da criteri tesi alla oggettività [art. 2, comma 1, D.M. 16 marzo 2011: “Il canone mensile di locazione di cui all'art. 1 è determinato dal prodotto del prezzo di mercato, che viene desunto dal calcolo della media aritmetica dei canoni unitari di locazione forniti dall'Agenzia del territorio - Osservatorio del mercato immobiliare (OMI), per un «coefficiente correttivo globale» calcolato in funzione delle caratteristiche estrinseche e intrinseche dell'alloggio e della superficie convenzionale calcolata ai sensi dell'art. 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 138, per il «coefficiente correttivo» calcolato in funzione del reddito del nucleo familiare dell'occupante e del periodo di occupazione dell'alloggio senza titolo”].

Appare quindi da escludere sia che vi fosse un vincolo a ricavare esclusivamente “dal mercato” il canone da applicare, sia che il decreto ministeriale 16 marzo 2011 non sia stato rispettoso di quanto imposto dalla normativa primaria di cui articolo 6, comma 21 quater , del decreto-legge n. 78/2010.

2.1.2 - Secondo i ricorrenti il decreto ministeriale 16 marzo 2011 sarebbe viziato anche da eccesso di potere, perché il Ministero della Difesa avrebbe adottato il decreto per la realizzazione di fini diversi da quelli voluti e stabiliti dal legislatore: applicare canoni insostenibili, superiori ai reali prezzi di mercato, per costringere gli attuali occupanti a liberare gli alloggi. Ciò si leggerebbe in un documento del Ministero della Difesa denominato “Obiettivo 9”.

Anche questa censura è infondata, poiché non è dato di evincere una simile ipotesi di sviamento, che non trapela dagli atti di causa, né, in particolare, dal citato “Obiettivo 9”.

Quest’ultimo è un documento redatto da un Gruppo di lavoro interforze del Ministero della Difesa al fine dichiarato di “individuazione di soluzioni alternative per soddisfare le esigenze alloggiative del personale in servizio permanente”.

Il ricorso sostiene che la soluzione trovata dal Gruppo interforze per il recupero degli alloggi occupati dai senza titolo è stata quella di aumentare i canoni affinché divenissero insostenibili e costringessero gli occupanti a lasciare gli alloggi, e in proposito riporta un passo del documento (alla pagina 13 di quest’ultimo) in cui si legge “… inoltre non si è tenuto conto del ritorno economico sul bilancio della Difesa stesso e degli effetti migliorativi sul patrimonio alloggiativo che verranno prodotti dall’altro emendamento che, contestualmente, viene proposto alla legge n. 724/94 (aumento dei canoni per gli utenti sine titulo ) che, tra l’altro, realizza ( … omissis … ) il rilascio delle unità abitative da parte degli utenti sine titulo , in quanto il canone elevato che si viene a determinare risulta sicuramente antieconomico/insostenibile rispetto ad altra sistemazione abitativa (anche in zone periferiche) tratta dal libero mercato”.

Aggiunge il ricorso che quel dichiarato scopo di liberare alloggi, per assegnarli al personale che ne ha bisogno è altresì illogico perché:

- gran parte degli alloggi colpiti sarebbero destinati alla vendita;

- esisterebbero nel territorio nazionale migliaia di alloggi liberi e disponibili per nuove assegnazioni;

- gli alloggi “liberabili” sarebbero in numero assai esiguo (3.284) rispetto alle 50.000 unità abitative necessarie.

Questi assunti sono da respingere.

In effetti il passo testé riportato potrebbe indurre a ravvisare nell’agire dell’Amministrazione il denunciato sviamento di potere, qualora confermato nelle impugnate determinazioni o in altri passi del documento;
però ciò non avviene, poiché:

- nello stesso documento si legge anche (alla pagina 11): “sono stati individuati di possibile attuazione i seguenti provvedimenti: ( … omissis … ) una modifica normativa che consenta la rideterminazione degli attuali canoni degli alloggi demaniali della Difesa occupati dagli utenti sine titulo con un aumento tale che elevi detti canoni a valori prossimi agli affitti di mercato;

- il decreto ministeriale 16 marzo 2011, come esposto nel precedente capo 2.1.1, non risulta prevedere la determinazione di canoni abnormi, ma risulta invece informato a criteri tesi alla oggettività (v. il citato art. 2, comma 1, D.M. 16 marzo 2011).

Vanno dunque esclusi nelle impugnate determinazione sia lo sviamento costituito dal perseguimento di un fine diverso da quello dichiarato sia, conseguentemente, la illogicità di quell’insussistente fine.

2.1.3 – Il mezzo successivo rileva che – dato l’affidamento ingenerato negli occupanti senza titolo dal comportamento dell'Amministrazione dal 1994 ad oggi - la durata dell'occupazione avrebbe dovuto costituire, così come quello del reddito dell'occupante, un criterio che comportasse la riduzione, non già, come previsto dall’impugnato decreto ministeriale 16 marzo 2011, l’aumento del canone.

La censura è infondata.

E’ utile riportare l’intero testo dell’art. 2 del decreto ministeriale 16 marzo 2011:

“1. Il canone mensile di locazione di cui all'art. 1 è determinato dal prodotto del prezzo di mercato, che viene desunto dal calcolo della media aritmetica dei canoni unitari di locazione forniti dall'Agenzia del territorio - Osservatorio del mercato immobiliare (OMI), per un «coefficiente correttivo globale» calcolato in funzione delle caratteristiche estrinseche e intrinseche dell'alloggio e della superficie convenzionale calcolata ai sensi dell'art. 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 138, per il «coefficiente correttivo» calcolato in funzione del reddito del nucleo familiare dell'occupante e del periodo di occupazione dell'alloggio senza titolo.

2. Ai fini dell'applicazione del «coefficiente correttivo» di cui al comma 1, si definisce «reddito di riferimento» quello ottenuto dalla somma dei redditi annui lordi di tutti i componenti il nucleo familiare conviventi dell'occupante, come desunti dall'ultima dichiarazione dei redditi presentata alla data della notifica dell'inizio del procedimento di aggiornamento canone.

3. Il «reddito di riferimento» di cui al comma 2 è:

a) ridotto:

1) di euro 2.500 per ogni familiare convivente a carico;

2) di euro 10.000 per ogni familiare convivente portatore di handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104;

b) aumentato per ogni mensilità intera di conduzione dell'alloggio con decorrenza dalla data della perdita del titolo alla conduzione dell'alloggio occupato sino alla data del 31 dicembre 2010, con le seguenti modalità:

1) euro 100 se il reddito di riferimento è compreso tra euro 40.000 ed euro 55.000;

2) euro 150 se il reddito di riferimento è compreso tra euro 55.001 ed euro 75.000;

3) euro 200 se il reddito di riferimento è compreso tra euro 75.001 ed euro 90.000;

4) euro 300 se il reddito di riferimento è superiore ad euro 90.001.

4. Il «coefficiente correttivo» di cui al comma 1, per i «redditi di riferimento», come calcolati ai commi 2 e 3, è determinato in misura pari a:

a) 0,30 per i redditi fino a euro 19.000;

b) 0,40 per i redditi compresi tra euro 19.001 ed euro 30.000;

c) 0,50 per i redditi compresi tra euro 30.001 ed euro 40.200;

d) 0,70 per i redditi compresi tra euro 40.201 ed euro 55.000;

e) 0,80 per i redditi compresi tra euro 55.001 ed euro 75.000;

f) 0,90 per i redditi compresi tra euro 75.001 ed euro 90.000;

g) 0,95 per i redditi compresi tra euro 90.001 ed euro 130.000;

h) 1,00 per i redditi oltre euro 130.000.

5. Sono esclusi dalla procedura di rideterminazione del canone, di cui al comma 4, gli utenti senza titolo che, al 31 dicembre 2010, rientrano nelle categorie previste dall'art. 2 del decreto 23 giugno 2010, emanato ai sensi dell'art. 306, comma 2, del decreto legislativo n. 66 del 2010.

6. L'aggiornamento del canone di tutti gli alloggi occupati senza titolo è calcolato nella misura intera della variazione annualmente accertata dall'ISTAT dell'indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati”.

Ciò premesso, la censura in argomento va respinta perché:

- per un verso, come già rilevato nel precedente capo 1.4, appare da escludere un affidamento dei ricorrenti, posto che già il citato art. 43 della legge n. 724/1994 precisava espressamente che per l’occupante senza titolo rimaneva fermo l'obbligo di rilascio;

- per altro verso, l’inserimento del fattore “durata dell’occupazione senza titolo” (fattore espressamente voluto dal legislatore, e senza vizio di costituzionalità: v. il precedente capo 1.4) nel complessivo calcolo del canone (che vede: la media aritmetica dei canoni unitari di locazione forniti dall'Agenzia del territorio - Osservatorio del mercato immobiliare moltiplicata per un «coefficiente correttivo globale» calcolato in funzione delle caratteristiche estrinseche e intrinseche dell'alloggio e della superficie convenzionale, e un «coefficiente correttivo» calcolato in funzione del reddito del nucleo familiare dell'occupante, ridotto in funzione di familiari conviventi a carico o portatori di handicap grave e aumentato in relazione al periodo di occupazione dell'alloggio senza titolo) appare opzione che - per la non eccessiva incidenza sul risultato finale del computo e tenuto conto dell’immanente e annoso obbligo di rilascio sancito per legge - risulta conforme allo spirito e alla lettera dell’art. 6, comma 21 quater , del decreto-legge n. 78/2010 e priva di gravi vizi logici o palesi carenze valutative.

2.1.4 – Quanto testé esposto mostra anche l’infondatezza dell’ulteriore mezzo di gravame, in cui parte ricorrente sostiene che l'applicazione del criterio correttivo della durata dell'occupazione operata è irragionevole e illogica perché:

a) viene in questo modo a prendersi in considerazione un reddito fittizio, artefatto, che in realtà non rappresenta la reale capacità economica del soggetto;

b) con il suddetto meccanismo, il criterio della durata dell'occupazione perde la propria autonomia come parametro di riferimento e finisce col diventare un correttivo del correttivo, ovvero un correttivo della situazione reddituale dell'occupante. E ciò peraltro in violazione della legge delega che, fra i due criteri correttivi, non aveva previsto preferenze;

c) la scelta operata dall'Amministrazione finisce per annullare l'effetto del primo dei due criteri, quello del reddito, vanificandone la ratio solidaristica e sociale.

In proposito può ribadirsi quanto rilevato nel precedente capo 2.1.3 di questa sentenza: l’inserimento del fattore “durata dell’occupazione senza titolo” (fattore espressamente voluto dal legislatore, e senza vizio di costituzionalità: v. anche il precedente capo 1.4) nel complessivo calcolo del canone (che vede: la media aritmetica dei canoni unitari di locazione forniti dall'Agenzia del territorio - Osservatorio del mercato immobiliare moltiplicata per un «coefficiente correttivo globale» calcolato in funzione delle caratteristiche estrinseche e intrinseche dell'alloggio e della superficie convenzionale, e un «coefficiente correttivo» calcolato in funzione del reddito del nucleo familiare dell'occupante, ridotto in funzione di familiari conviventi a carico o portatori di handicap grave e aumentato in relazione al periodo di occupazione dell'alloggio senza titolo) appare opzione che - per la non eccessiva incidenza sul risultato finale del computo e tenuto conto dell’immanente e annoso obbligo di rilascio sancito per legge - risulta conforme allo spirito e alla lettera dell’art. 6, comma 21 quater , del decreto-legge n. 78/2010 e priva di gravi vizi logici o palesi carenze valutative.

2.1.5 – Il decreto ministeriale 16 marzo 2011 è contestato da parte ricorrente anche perché l'applicazione concreta dei coefficienti K, di cui all’art. 2 e all’allegato A al decreto condurrebbe a risultati illogici, incongruenti e manifestamente ingiusti, non consentendo in ogni caso di individuare il corretto prezzo di mercato.

Il valore più basso del coefficiente correttivo globale K, che è pari 0,65, non potrebbe mai corrispondere alla quotazione minima OMI, così come, corrispondentemente, il valore più alto di quel correttivo globale K, che è pari a 1,35, non potrebbe mai corrispondere alla quotazione massima.

Rileva il ricorso che applicando il coefficiente K minimo al valore medio dell'OMI non si ottiene il valore minimo OMI, ovvero il prezzo di mercato più basso per quella tipologia di alloggio;
e che di conseguenza, matematicamente, il prezzo al metro quadro individuato non rappresenta il prezzo di mercato più basso per quell'appartamento in quella zona.

Secondo il ricorso sarebbe stato, al limite, più logico impostare il coefficiente K come una frazione dei valori minimo e massimo forniti dall'OMI, in modo da consentire che il calcolo del valore di mercato si muovesse coerentemente fra i detti minimo e massimo.

La censura è infondata, poiché appare da escludere, né comunque risulta, che gli alloggi in argomento arrivino a caratteristiche tali da corrispondere sia al valore più basso del coefficiente correttivo globale K, che è 0,65 (per un immobile di oltre 41 anni, popolare e in pessimo stato), sia a quello più alto, che è 1,35 (per un immobile nuovo/recentissimo, di lusso e in ottimo stato).

Pertanto la opzione di prendere come punto di riferimento per il calcolo il valore medio dell'OMI per poi correggerlo in base a dettagliati coefficienti (v. il citato allegato A al decreto ministeriale 16 marzo 2011) appare scelta che consente una maggiore elasticità di valutazione con riferimento alle varie situazioni contingenti e priva di gravi vizi logici o palesi carenze valutative.

2.1.6 – Lamenta anche parte ricorrente che nell'applicazione delle quotazioni dell'OMI l'Amministrazione non ha tenuto conto del fatto che la P.A. ed i privati fanno parte di due mercati diversi: i privati, sui canoni di locazione incassati, pagano imposte e tasse (del 30 - 40%), la Pubblica Amministrazione no. Pertanto vi sarebbe indebito arricchimento, disparità di trattamento, mancata individuazione del prezzo corretto in un mercato che vede come locatore il soggetto pubblico.

La censura va respinta per considerazioni analoghe a quelle già svolte nel precedente capo 1.4 (ultimo alinea) nell’ambito della respinta questione di legittimità costituzionale: sono posti a raffronto termini non omogenei (canone di locazione di abitazioni private e canone di occupazione di alloggi di servizio detenuti senza titolo e da rilasciare);
ed altresì il decreto ministeriale 16 marzo 2011 (come l’art. 6, comma 21 quater , del decreto-legge n. 78/2010 di cui quel D.M. è attuazione) non reca un secco rinvio al criterio dei prezzi di mercato, ma prevede, per la determinazione del canone dovuto dagli utenti senza titolo, i più articolati e legittimi criteri sopra indicati (v. i precedenti capi 2.1.1, 2.1.3, 2.1.5).

Inoltre – aggiunge il Collegio - le questioni di natura fiscale attengono a tematiche estranee alla individuazione, con legittime modalità come nella fattispecie, di un canone quale quello in argomento.

2.1.7 – Da ultimo il ricorso contesta al decreto ministeriale 16 marzo 2011 un'assoluta carenza di ragionevolezza e logicità, nonché un elevato grado di approssimazione dei riferiti coefficienti "K" quanto alle fonti utilizzate.

Anche questa censura è infondata.

Nell’allegato A del decreto risulta in proposito quanto segue:

- il coefficiente K1 (età, qualità e stato di manutenzione) è stato elaborato sulla base dell'appendice alle stime della pubblicazione “Consulente Immobiliare” del quotidiano economico “Il Sole 24 ore";

- i coefficienti K2 (coefficienti di piano, da considerare solo per edifici plurifamiliari) sono stati stabiliti elaborando i coefficienti previsti dall'art.19 della legge 27 luglio 1978, n.392 (sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani) e i coefficienti indicati nell'appendice alle stime del citato “Consulente Immobiliare";

- il coefficiente K3 (posizione ed esposizione) è affidato, all’interno dell’intervallo 0,9 – 1,10, alla “sensibilità estimale del tecnico valutatore";

- il coefficiente K4 (per immobili dotati di impianti di particolare rilevanza o di elevato grado di sicurezza), maggiorativo sino al limite massimo di 1,2, è parimenti affidato alla “sensibilità estimale del tecnico valutatore";

- il coefficiente K5 (per alloggi arredati), maggiorativo sino al limite massimo di 1,2, è stato determinato in analogia a quanto previsto nell'ambito degli accordi territoriali stipulati ai sensi dell’art. 2 (“Modalità di stipula e di rinnovo dei contratti di locazione”), comma 3, della legge n. 431/98 (“Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo”).

Le fonti sopra indicate appaiono attendibili.

Conseguentemente la scelta relativa - ferma restando la necessità, indicata nel capo che segue, di adeguata istruttoria e adeguata motivazione - appare priva di gravi vizi logici o palesi carenze valutative.

I presenti rilievi risultano dunque da respingere.

2.2.0 – Rigettate le censure avverso il decreto ministeriale 16 marzo 2011, il Collegio ritiene invece fondate le censure del primo motivo di ricorso che contestano, agli atti di concreta determinazione del canone, una non consentita provvisorietà, nonché difetto di istruttoria e di motivazione.

2.2.1 – Quanto alla provvisorietà, espressamente dichiarata dagli atti in argomento, si osserve che – come rilevato in ricorso, né nell’articolo 6, comma 21 quater , del decreto-legge n. 78/2010, né nel decreto ministeriale 16 marzo 2011 è dato di rinvenire la previsione di un canone provvisorio, in sostituzione di quello che risulta già - e pure provvisoriamente - corrisposto da buona parte degli occupanti senza titolo. Anzi, l’art. 3, comma 3, del decreto ministeriale 16 marzo 2011 prevede espressamente che al termine della procedura di determinazione del canone i Comandi o gli organismi competenti emanino “i definitivi provvedimenti amministrativi di rideterminazione del canone” e provvedano “alla notifica agli interessati, dalla quale decorre l'applicazione del nuovo canone”.

Né invero il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi consentirebbe l’adozione di un atto limitativo della sfera giuridica dei destinatari al di fuori di una previsione normativa primaria.

2.2.2 – Peraltro va pure osservato che sebbene le schede allegate agli atti di rideterminazione (provvisoria) del canone di occupazione mostrino sforzo espositivo nell’indicare gli elementi di valutazione di cui al decreto ministeriale 16 marzo 2011, non risulta in quegli atti, come rilevato in ricorso, adeguata esposizione (anche – osserva il Collegio - con eventuale Relazione esplicativa) quanto agli elementi non sempre oggettivamente riscontrabili e maggiormente rimessi a valutazioni tecnico-discrezionali [zona di ubicazione: v. allegato A citato, punto 1, lettera b);
destinazione residenziale e tipologia di riferimento: v. allegato A citato, punto 1a;
particolari caratteristiche estrinseche ed intrinseche dell’alloggio: v. allegato A citato, punto 2, lettere a), c), d), e)]. E il rilevato difetto di adeguata esposizione mostra conseguentemente, in assenza di dati a contrario , difetto di adeguata istruttoria.

Gli atti in argomento, la cui rilevanza amministrativa (per lo status e il numero degli interessati e la valenza istituzionale della vicenda) imponeva proprio particolare cura istruttoria e motivazionale, risultano dunque viziati altresì sotto questo duplice profilo.

2.2.3 - Le ulteriori contestazioni dello stesso primo motivo di ricorso restano assorbite da quelle testé accolte, poiché l’accoglimento di queste ultime càduca gli atti di rideterminazione del canone e - imponendo all’Amministrazione di riformulare quegli atti dopo adeguata istruttoria, e di esternare con chiarezza tutte le valutazioni alla base della finale e non provvisoria rideterminazione del canone per l’occupazione senza titolo – ricolloca la vicenda nella competente sede istituzionale.

3. – Il ricorso va dunque accolto limitatamente agli specifici profili di cui ai precedenti capi 2.2.1 e 2.2.2.

Per l’effetto:

- resta immune da caducazione giurisdizionale l’impugnato decreto ministeriale 16 marzo 2011;

- vanno annullati, salvi gli ulteriori provvedimenti da adottare alla luce di quanto esposto nei precedenti capi 2.2.1, 2.2.2 e 2.2.3, gli atti di concreta determinazione del canone di occupazione senza titolo.

La parziale soccombenza di entrambe le parti concreta giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

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