TAR Aosta, sez. I, sentenza 2020-06-26, n. 202000022

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Aosta, sez. I, sentenza 2020-06-26, n. 202000022
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Aosta
Numero : 202000022
Data del deposito : 26 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/06/2020

N. 00022/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00021/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 21 del 2020, proposto da
Società Autostrade Valdostane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati M A, L F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to M L in Saint Vincent, piazza Monte Zerbion 34/E;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Dipartimento per Le Infrastrutture, i Sistemi Informativi e Statistici -, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore , tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino, domiciliataria ex lege in Torino, via dell’Arsenale 21;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Aiscat, in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Claudio Guccione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Sardegna 50;

per l'annullamento

(a) del provvedimento del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti prot. 31640 del 31 dicembre 2019, comunicato a mezzo PEC in pari data, con il quale lo stesso Ministero ha comunicato alla SAV - Società Autostrade Valdostane s.p.a., che “esaminato l’esito dell’istruttoria di competenza (consultabile sul sistema informativo SIVCA) ed in considerazione di quanto disposto dall’art. 13 del Decreto Legge “milleproroghe” del 31 dicembre 2019, l’adeguamento tariffario da applicare con decorrenza 1° gennaio 2020 è pari allo 0,00 per cento”;

(b) di ogni ulteriore atto a questi comunque connesso, presupposto e conseguenziale ivi compresi, limitatamente alle previsioni che saranno individuate in narrativa, (i) la “Relazione istruttoria relativa alla determinazione del parametro K della formula di aggiornamento annuale delle tariffe di cui alla delibera

CIPE

39/2007” comprensivo dei relativi allegati (ii) nonché il documento di sintesi intitolato “Autostrade Valdostane SAV s.p.a. - Istruttoria adeguamenti tariffe autostradali 2020”;

nonché per l’accertamento

del diritto della ricorrente ad ottenere l’adeguamento annuale della tariffa di pedaggio nella misura richiesta o comunque in conformità alle previsioni convenzionali e regolatorie applicabili al rapporto concessorio, con conseguente condanna delle amministrazioni resistenti a provvedere a tale adeguamento.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza, svolta da remoto, del giorno 9 giugno 2020 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente (SAV) è titolare della concessione per la realizzazione e gestione del tratto autostradale Quincinetto - Aosta Ovest e raccordo A5-SS27 del Gran San Bernardo, in virtù della Convenzione Unica sottoscritta con Anas s.p.a. in data 2 settembre 2009;
all’ANAS, dal 1° ottobre 2012, è subentrato, quale autorità concedente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (in base alle previsioni dell’art. 11, comma 5, d.l. 29 dicembre 2011 n. 216, convertito in legge con modificazioni dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, e dell’art. 36 del d.l. 6 luglio 2011 n. 98, convertito in legge con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111).

La concessionaria ha ottenuto la prima concessione della tratta in questione con convenzione del 21.12.1972, integrata in data 31.10.1986 con atto n. 18788, novata in data 28.1.2003 e, da ultimo, appunto, la tratta autostradale viene gestita in virtù della convenzione attualmente in essere.

In data 22.2.2018 è stato sottoscritto l’Atto Aggiuntivo alla convenzione, approvato con D.I. n. 132 del 16.3.2018, contenente l’aggiornamento del PEF (Piano Economico Finanziario) di convenzione per il periodo regolatorio 2014-2018. E’ in corso l’aggiornamento del PEF per il periodo regolatorio 2019-2023. Infatti la concessione, che ha scadenza nel 2032, in base all’art. 11 della stessa e alla delibera CIPE n. 39 del 2007, è ripartita in frazioni di cinque anni, al termine di ciascuna delle quali il piano economico finanziario viene sottoposto ad aggiornamento.

Parallelamente anche le tariffe sono soggette a periodico aggiornamento.

Il vigente meccanismo di aggiornamento risulta sommariamente descritto in ricorso.

Gli articoli 15, 18 e l’allegato A della convenzione (quest’ultimo non prodotto in giudizio), la disciplina regolatoria di settore (Delibere nn.

CIPE

39/2007 e 27/2013) e l’art. 21, comma 5 del d.l. 24 dicembre 2003 n. 355, convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2004, n. 47, stabiliscono che la variazione percentuale della tariffa sia determinata annualmente.

Dal testo della convenzione si evince la previsione della seguente formula: “deltaT (variazione tariffaria ponderata) = α*deltaP”, in cui: a) deltaP è la variazione media annua dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale più recentemente rilevata e pubblicata dall’ISTAT per il periodo 1.7-30.6 antecedente alla data di presentazione della richiesta di variazione tariffaria;
b) α è una percentuale fissa del 70% per l’intera durata della convenzione. Alla variazione tariffaria così determinata si aggiungono (sempre per quanto evincibile dal testo convenzionale prodotto in atti):

1. la componente X, che è il fattore percentuale di adeguamento della tariffa determinato all’inizio di ogni periodo regolatorio e costante al suo interno in modo che, in assenza di ulteriori investimenti, per il successivo periodo di regolamentazione, il valore attualizzato dei ricavi previsti sia pari al valore attualizzato dei costi ammessi, scontando gli importi ad un tasso di congrua remunerazione;
2 la componente K, che rappresentata la remunerazione degli investimenti realizzati dal Concessionario l’anno precedente a quello di determinazione dell’aggiornamento della tariffa.

La formula di aggiornamento di cui beneficia la ricorrente risulta riassunta nella relazione scheda istruttoria del Ministero dei Trasporti prodotta in giudizio dalla ricorrente nei seguenti termini: ΔT=70%ΔP-X+K

Il procedimento di adeguamento tariffario (art. 18 della convenzione in atti) prevede che il concessionario comunichi al concedente, entro il 31 ottobre di ogni anno, la variazione tariffaria che intende applicare e la componente investimenti del parametro K relativo a ciascuno dei nuovi interventi aggiuntivi;
a sua volta il concedente, nei successivi trenta giorni, invia ai competenti ministeri una proposta di adeguamento tariffario;
questi ultimi, con provvedimento motivato, approvano o respingono le variazioni proposte entro 15 giorni.

Il procedimento di revisione, previsto dal menzionato articolo 18 della convenzione e relativi allegati, è stato riprodotto dal legislatore, con reiterate e limitate modifiche di termini e contenuti per allinearlo all’evoluzione della disciplina della materia, dall’art. 21 co. 5 del d.l. n. 355/2003, che attualmente prevede che: “Il concessionario formula al concedente, entro il 15 ottobre di ogni anno, la proposta di variazioni tariffarie che intende applicare nonché la componente investimenti dei parametri X e K relativi a ciascuno dei nuovi interventi aggiuntivi. Con decreto motivato del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro il 15 dicembre, sono approvate o rigettate le variazioni proposte. Il decreto motivato può riguardare esclusivamente le verifiche relative alla correttezza dei valori inseriti nella formula revisionale e dei relativi conteggi, nonché alla sussistenza di gravi inadempienze delle disposizioni previste dalla convenzione e che siano state formalmente contestate dal concessionario entro il 30 giugno precedente”.

In data 29.9.2018 è entrato in vigore il d.l. n. 109/2018 che, modificando il d.l. n. 201/2011, ha attribuito nuovi poteri all’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) con riferimento alle procedure di aggiornamento e revisione dei PEF relativi alle concessioni in essere ed agli aggiornamenti tariffari.

In attuazione della nuova disciplina l’ART ha avviato, con delibera n. 16 del 18 febbraio 2019, la consultazione volta all’individuazione della nuova disciplina del sistema tariffario di pedaggio relativo alle concessioni di cui all’art. 43 del d.l. 201/2011, come richiamato dall’art. 37 del medesimo decreto;
il procedimento si è concluso con la delibera n. 77 del 19 giugno 2019;
tali delibere sono state impugnate da SAV innanzi al competente TAR Piemonte.

In data 14.10.2019 SAV ha presentato al Ministero dei Trasporti la proposta di aggiornamento tariffario per l’anno 2020, quantificandolo nella misura del 2,86% sulla base dei valori desunti dal PEF aggiornato presentato secondo la disciplina concessoria;
con provvedimento prot. 31640 del 31.12.2019, qui impugnato, il Ministero ha comunicato che, in considerazione di quanto disposto dall’art. 13 del d.l. 31.12.2019 n. 162, l’adeguamento tariffario doveva ritenersi pari allo 0%.

Effettuato accesso agli atti la ricorrente ha rilevato che, pur avendo l’istruttoria riscontrato che, sostanzialmente, i conteggi presentati risultavano corretti sulla base della disciplina convenzionale, posto che la ricorrente risulta tra le autostrade per le quali sarebbe applicabile l’adeguamento tariffario di cui all’art. 37 del d.l. n. 201/2011, come integrato dal d.l. n. 109/2018, non essendosi perfezionate le procedure di aggiornamento del PEF secondo tale nuovo modello tariffario, l’adeguamento non veniva riconosciuto.

Nelle more, infatti, l’art. 13 co. 3 del d.l. n. 162/2019 menzionato nella nota impugnata ha previsto che, per i concessionari per cui il periodo tariffario è venuto a scadenza, il termine per l’adeguamento delle tariffe relative all’anno 2020 è differito sino alla definizione del procedimento di aggiornamento dei piani economici e finanziari predisposti in conformità alle delibere adottate ai sensi dell’art. 16 co. 1 del d.l. n. 109/2018 dall’Autorità di regolazione dei trasporti.

Lamenta parte ricorrente che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del d.l. n. 355/2003 ( ndr erroneamente indicato in ricorso come d.l. n. 533/2003), nonché dell’art. 18 della convenzione di concessione, poiché adottato dal direttore generale della DGVCA, anziché di concerto dai Ministri competenti, come appunto previsto dalla pertinente normativa;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del d.l. n. 355/2003 nonchè degli artt. 15 e 18 della convenzione di concessione;
eccesso di potere per falso presupposto, contraddittorietà, difetto di motivazione, illogicità, irragionevolezza, sviamento;
l’istruttoria condotta avrebbe comportato il riconoscimento, in favore della concessionaria, di una variazione tariffaria, per l’anno 2020, pari al 2,57% (contro il 2,86% richiesto da SAV);
a prescindere dall’esattezza del conteggio, l’adeguamento non sarebbe stato riconosciuto pur a fronte di una istruttoria parzialmente favorevole;

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 13 co. 3 del d.l. n. 162/2019;
violazione degli artt. 11 e 18 della convenzione di concessione e delle delibere CIPE nn. 39/2007 e 27/2013;
eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza;
contraddittorietà;
l’atto impugnato ha fissato nello 0% l’adeguamento spettante;
tuttavia lo stesso art. 13 del d.l. n. 162/2019 non dispone affatto che l’adeguamento da corrispondere ai concessionari sia pari a 0, limitandosi a stabilire un differimento del termine per l’adeguamento della tariffa relativa all’anno 2020 sino alla definizione del procedimento di approvazione del PEF secondo le nuove regole. Inoltre il provvedimento impugnato non prevede alcuna forma di recupero o indennizzo a favore del concessionario per il mancato adeguamento tariffario e per gli oneri finanziari in conseguenza sofferti sino al momento del perfezionamento della procedura approvativa del PEF;
tanto contrasterebbe con la disciplina di settore cristallizzata nelle delibere CIPE nn. 39/2007 e 27/2013, che stabiliscono il principio di invarianza degli effetti finanziari per il concessionario autostradale;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del d.l. n. 355/2003 nonché degli artt. 15 e 18 della convenzione di concessione ed allegato B della convenzione;
eccesso di potere per falso presupposto, contraddittorietà, difetto di motivazione, illogicità, irragionevolezza, sviamento;
contesta la ricorrente profili di illegittimità del criterio di calcolo adottato in sede istruttoria per la verifica dell’adeguamento tariffario richiesto il quale, facendo applicazione della pregressa disciplina, avrebbe dovuto portare al riconoscimento di un incremento tariffario pari a quello richiesto ed erroneamente ridotto dall’amministrazione;

5) illegittimità dei provvedimenti impugnati per illegittimità derivata dall’art. 13 del d.l. n. 162/2019 che si porrebbe in violazione dei principi fondamentali del diritto eurounitario e dei principi costituzionali;
il provvedimento impugnato tende ad imporre alle concessionarie di presentare un PEF secondo quanto oggi prescritto dalle delibere dell’Autorità dei trasporti nelle more adottate, di fatto paralizzando l’adeguamento tariffario sino a che le concessionarie autostradali non avranno seguito i nuovi criteri dettati da ART per la redazione del PEF;
si tratterebbe di una modifica unilaterale della disciplina convenzionale suscettibile di diretta disapplicazione da parte del giudice nazionale per violazione dei principi eurounitari.

In subordine si chiede proporre questione pregiudiziale comunitaria innanzi alla Corte di Giustizia UE con riferimento alla prescrizioni dettate dall’art. 13 del d.l. n. 162/2019, ovvero questione di legittimità costituzionale, in quanto il menzionato art. 13 violerebbe:

5a) a livello eurounitario gli artt. 49, 63, 101 e 106 del TFUE, il principio del legittimo affidamento e della certezza del diritto e l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali UE;
l’intervento normativo unilaterale su un assetto convenzionale violerebbe il legittimo affidamento della parte privata e le esigenze di certezza del diritto che governano le scelte degli investitori;
ancora la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’art. 1 del primo protocollo della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali garantiscono il diritto di godere della proprietà, concetto esteso a legittime e consolidate aspettative dei privati;

5b) a livello costituzionale sussisterebbe una illegittimità costituzionale dell’art. 13 del d.l. n. 162/2019 per violazione: 1) dell’art. 77 Cost., essendo la norma destituita di coerenza con le restanti parti del d.l. e priva dei necessari presupposti di urgenza;
2) degli artt. 102 e 104 Cost., per illegittima interferenza del legislatore su concrete fattispecie sub iudice ;
la SAV ha infatti intentato giudizio innanzi al competente Tar Piemonte per l’annullamento delle delibere ART adottate in attuazione del d.l. n. 109/2018;
il d.l. n. 162, obbligando le concessionarie a farne applicazione, di fatto interferirebbe sulla facoltà di detto giudice di dirimere la controversia;
3) degli artt. 2, 3,41 e 97 Cost. e del legittimo affidamento circa la stabile prosecuzione del rapporto di concessione nei termini previsti dalla convenzione;
la modifica unilaterale del sistema tariffario costituirebbe una norma provvedimento con l’effetto di legificare le delibere dell’ART e avrebbe una incidenza negativa sull’equilibrio contrattuale pattuito;
l’intervento renderebbe anche più difficile per il concessionario la regolare realizzazione degli investimenti previsti;
anche in tal caso risulterebbe violato il principio del legittimo affidamento, come sancito dalla Corte Costituzionale;
il d.l. n. 162/2019 violerebbe altresì il principio di ragionevolezza;
la norma tende infatti ad imporre alle concessionarie il sistema tariffario previsto dalle delibere ART nn. 16 e 77/2019;
tuttavia l’ART non avrebbe alcuna competenza ad intervenire nella definizione tariffaria delle concessioni in essere, se non nel caso di modifiche su specifica iniziativa del concedente;
infine la disposizione sarebbe irragionevole anche in quanto non sussisterebbe alcun nesso tra l’aggiornamento del PEF e l’aggiornamento tariffario;
da ultimo il meccanismo introdotto paralizzerebbe l’adeguamento tariffario nelle more dell’approvazione del PEF;
ancora la norma non contempla la possibilità di recuperi tariffari in favore del concessionario.

Ha quindi chiesto annullarsi gli atti impugnati e in subordine proporsi questione pregiudiziale comunitaria ovvero di legittimità costituzionale.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo la reiezione del ricorso in quanto infondato.

Si è costituita in giudizio con intervento ad adiuvandum l’AISCAT, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

All’udienza del 9 giugno 2020 il giudizio è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il primo motivo di ricorso è infondato.

La nota impugnata, come dedotto dalla difesa dell’amministrazione, ancorchè redatta in forma di non limpida chiarezza è, nella sostanza, ben comprensibile nella sua valenza sostanzialmente soprassessoria, tanto più dalla destinataria, operatore del settore da circa 50 anni.

La nota, in sintesi, intende dare attuazione all’art. 13 del d.l. n. 162/2019 ivi richiamato, il cui comma 3 stabilisce: “Per i concessionari il cui periodo regolatorio quinquennale è pervenuto a scadenza, il termine per l'adeguamento delle tariffe autostradali relative all'anno 2020 è differito sino alla definizione del procedimento di aggiornamento dei piani economici finanziari predisposti in conformità alle delibere adottate ai sensi dell'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 109 del 2018, dall'Autorità di regolazione dei trasporti di cui all'articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Entro il 30 marzo 2020 i concessionari presentano al Concedente le proposte di aggiornamento dei piani economico finanziari, riformulate ai sensi della predetta normativa, che annullano e sostituiscono ogni precedente proposta di aggiornamento. L'aggiornamento dei piani economici finanziari presentati nel termine del 30 marzo 2020 è perfezionato entro e non oltre il 31 luglio 2020”.

La norma, come per altro dedotto dalla stessa ricorrente con il terzo motivo, non ha alcun effetto di azzeramento degli aggiornamenti tariffari delle concessionarie autostradali per l’anno 2020 ma l’unico scopo di consentire che detto aggiornamento avvenga in conformità al nuovo meccanismo introdotto dalle delibere ART nn. 16 e 77/2019 in forza dell’art. 37 co. 2 lett. g) del d.l. n. 201/2011, come modificato dal d.l. n. 109/2018, che ha appunto demandato all’ART un ruolo nella determinazione dei criteri di aggiornamento delle tariffe autostradali per i concessionari la cui concessione in essere è soggetta ad aggiornamenti o revisioni.

Affinchè il meccanismo divenga operativo è necessario che il piano economico e finanziario segua l’impostazione dettata dalle delibere ART;
né è sostenibile, come effettuato in ricorso, che non vi sia alcun collegamento tra il sistema di revisione tariffaria e il piano economico finanziario, posto che l’aggiornamento tariffario, come chiaramente evincibile dalla convenzione di concessione e dalla pertinente normativa, nonché dedotto dalla stessa ricorrente, è inscindibilmente legato al tasso di remunerazione riconosciuto agli investimenti previsti ed autorizzati (componente K della tariffa), sicchè prospettare l’assoluta estraneità delle due procedure non risponde al senso economico stesso della convenzione, nel cui contesto le revisioni tariffarie si giustificano anche in tanto in quanto vengono sostenuti dei costi e realizzati proficuamente degli investimenti.

In questo quadro il d.l. n. 162/2019 si è limitato a dilatare i termini per l’approvazione dei piani di revisione tariffaria per il 2020 tenendo conto che siffatta revisione presuppone, ai sensi della normativa vigente, la presentazione di un piano economico finanziario che rispetti i parametri presupposti per l’adeguamento tariffario secondo la nuova disciplina introdotta nel 2018, e portata a compimento con l’approvazione delle relative delibere ART, adottate nel corso del 2019.

In sostanza l’atto non si esprime sull’adeguamento tariffario in sé, limitandosi a rilevare che la tipologia di PEF presentata dalla concessionaria, che ha dichiaratamente ignorato la disciplina del 2018 e le pertinenti delibere ART facendo applicazione della pregressa normativa, non è più adatta per ottenere l’adeguamento tariffario.

In questo senso deve necessariamente intendersi l’affermazione secondo cui l’aggiornamento spettante è pari a 0, affermazione non certo valida in assoluto ma conseguenza del fatto che l’istante ha seguito una sistema di redazione del PEF, e quindi di individuazione dei parametri tariffari, per il nuovo periodo regolatorio, non più coerenti con la vigente disciplina.

Proprio perché l’atto non si esprime in sé sull’adeguamento tariffario, che ben la concessionaria potrà reclamare presentando un PEF nel rispetto della normativa vigente, è irrilevante che l’atto non sia stato adottato di concerto dai competenti Ministri, cui spetta, appunto, l’approvazione dell’adeguamento tariffario, non tutta l’attività istruttoria prodromica.

Il primo motivo di ricorso è quindi infondato.

Con il secondo motivo di ricorso si sostiene la contraddittorietà dell’azione amministrativa, là dove nella fase istruttoria, ed in applicazione della normativa antecedente al 2018, il competente ufficio ha verificato i conteggi presentati dalla concessionaria riconoscendone la correttezza (salvo un leggero ribasso, pure contestato);
incoerentemente l’amministrazione avrebbe poi concluso per l’esclusione dell’incremento. Per le ragioni già esposte non vi è alcuna contraddittorietà nell’azione amministrativa, quanto piuttosto una interruzione della stessa, preso atto che il concessionario non aveva seguito le disposizioni vigenti per l’approvazione del PEF e le proposte di modifica tariffaria;
la pregressa fase istruttoria, invocata dalla ricorrente, si è limitata a verificare la (parziale) correttezza delle richieste della concessionaria alla luce della disciplina antecedente rispetto al sistema introdotto a partire dal 2018. Tuttavia, ritenuto ormai di dover seguire tale ultimo sistema, dette risultanze istruttorie, non ancora tradottesi in atto di revisione tariffaria, non risultano funzionali alla nuova disciplina.

Ribadita la natura sostanzialmente soprassessoria dell’atto impugnato ne risulta che non è ravvisabile alcuna incoerenza dell’azione amministrativa.

Anche tale censura deve quindi essere respinta.

Con il terzo motivo di ricorso si contesta che il provvedimento, in violazione dello stesso art. 13 del d.l. n. 162/2019, avrebbe determinato nello 0% la variazione tariffaria spettante per il 2020;
come già osservato tale tesi non è corretta, essendo il dato dello 0% legato alla documentazione così come presentata dalla ricorrente, e ferma la facoltà e il dovere della stessa di procedere alla predisposizione di documentazione idonea e conforme a legge per completare il procedimento di revisione tariffaria. Ipotetica ed indimostrata è poi la tesi secondo cui la ricorrente non vedrebbe in tal modo remunerati gli oneri finanziari sostenuti e necessari sino al momento del perfezionamento della procedura approvativa del nuovo PEF. Premesso che la censura sarebbe al più proponibile avverso l’atto di effettiva revisione tariffaria, adottato a valle della corretta procedura, che allo stato non si è perfezionata anche per mancata collaborazione della ricorrente, in termini puramente astratti il sistema concepito dall’ART prevede, tra le sue finalità, cha sia assicurato, con riferimento alla durata del periodo concessorio “il rispetto del principio di correlazione a costi”;
tra questi ultimi la delibera n. 16/2019 all’art. 15 inserisce i “criteri di determinazione dei costi di capitale a fini tariffari” che a loro volta (art. 16) tengono conto della remunerazione del capitale investito sia proprio che acquisito a debito.

Per altro fisiologicamente i procedimenti di aggiornamento tariffario si concludono a periodo tariffario in corso, autorizzando incrementi che tengono conto in media dell’intero periodo e tanto non ha mai impedito ai concessionari di recuperare i costi di investimento e gli oneri sostenuti.

Ribadito che l’atto qui impugnato non è l’atto di effettiva revisione tariffaria (non a caso è infatti privo della prescritta forma di decreto adottato di concerto dai Ministri competenti), ed osservato che non sono neppure oggetto del presente contenzioso le pertinenti delibere ART, in quanto impugnate in diverso giudizio innanzi al giudice funzionalmente competente, resta che l’affermazione del tutto teorica secondo la quale la concessionaria subirebbe perdite in virtù del nuovo sistema tariffario, e cha tali perdite sarebbero addirittura cristallizzate dalla nota soprassessoria impugnata, appare astratta oltre che prematura.

Anche il terzo motivo di ricorso deve quindi essere respinto.

Con il quarto motivo di ricorso si contesta l’esito dell’istruttoria (come già osservato di fatto interrotta) condotta dall’amministrazione in applicazione del pregresso sistema tariffario e che, ove anche si ritenesse applicabile la pregressa normativa, allo stato ha portato comunque a ridimensionare la pretesa della ricorrente.

Evidenti ragioni logiche impongono che l’analisi di tale censura sia posposta all’individuazione del sistema di revisione tariffaria legittimamente applicabile.

Infatti solo nel caso in cui il nuovo meccanismo tariffario risultasse illegittimo o comunque inapplicabile per l’anno 2020, anno in contestazione, avrebbe un senso entrare nel merito della determinazione della tariffa da effettuarsi seguendo il precedente sistema.

Per logicità dell’esposizione si procede dunque all’analisi del quinto motivo di ricorso che mira, appunto, ad inficiare l’applicabilità e, in ogni caso, la legittimità, da un punto di vista eurounitario e/o costituzionale, del nuovo sistema tariffario.

Deve innanzitutto premettersi che risulta in questa sede in discussione il solo aggiornamento tariffario per l’anno 2020;
è pacifico che per il periodo regolatorio 2014-2018 la ricorrente ha ottenuto l’approvazione del PEF e che non sono qui in discussione i pertinenti adeguamenti tariffari. La ricorrente è titolare di una concessione di durata ultraventennale (2009-2032, per altro facente seguito a rapporti concessori ininterrotti per la stessa tratta autostradale che datano dal 1972) caratterizzata, nell’interesse di tutte le parti, da un sistema di periodica revisione economico finanziaria, avente cadenza quinquennale.

La concessione di cui la ricorrente è titolare si trova appunto alla scadenza del periodo regolatorio quinquennale.

Dal punto di vista dell’inquadramento normativo l’art. 37 del d.l. n. 201/2011 ha istituito l’Autorità di regolazione dei trasporti attribuendole, tra l’altro, la competenza a:

“a) garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali , fatte salve le competenze dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali di cui all'articolo 36 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonché in relazione alla mobilità dei passeggeri e delle merci in ambito nazionale, locale e urbano anche collegata a stazioni, aeroporti e porti;

b) a definire, se ritenuto necessario in relazione alle condizioni di concorrenza effettivamente esistenti nei singoli mercati dei servizi dei trasporti nazionali e locali, i criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti delle tariffe, dei canoni, dei pedaggi, tenendo conto dell'esigenza di assicurare l'equilibrio economico delle imprese regolate, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i consumatori ;

c) a verificare la corretta applicazione da parte dei soggetti interessati dei criteri fissati ai sensi della lettera b)”.

Coerentemente con questa prima attribuzione di competenza all’ART in materia tariffaria, anche delle reti autostradali, risalente al 2011, ed avente una estensione di tipo regolatorio e di vigilanza, l’art. 36 co. 3 lett. a) del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 ha modificato l’art. 36 co. 2 lett. e) del d.l. n. 98 del 6 luglio 2011, che individua i compiti dell’Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali menzionata dalla norma appena riportata (la cui funzione sarebbe focalizzata sulla programmazione e costruzione della rete autostradale;
le pertinenti funzioni, sino alla sua effettiva istituzione, continuano ad essere svolte dai competenti uffici delle amministrazioni dello stato ai sensi dell’art. 11 co. 5 del d.l. n. 216/2011), precisando che tale Agenzia (o chi per essa) ha un potere di “proposta in ordine alla regolazione e variazioni tariffarie per le concessioni autostradali secondo i criteri e le metodologie stabiliti dalla competente Autorità di regolazione, alla quale è demandata la loro successiva approvazione”.

In definitiva l’ART ha, sin dal 2011, una competenza in materia di tariffe autostradali (estesa anche alle variazioni) guidata dall’esigenza di garantire l’equilibrio economico finanziario dei gestori e contemporaneamente l’efficienza produttiva del settore, il contenimento dei costi e la tutela dei consumatori. Tale competenza è stata inizialmente prevista per le nuove concessioni autostradali.

D’altro canto, che le infrastrutture autostradali debbano essere gestite secondo i criteri sovramenzionati, non è certo una scelta estemporanea del legislatore italiano, in quanto si inserisce in coerenza con una ben definita politica eurounitaria dei trasporti.

Ad esempio, nella propria comunicazione del 31.5.2017, intitolata “ Europe on the move: commission takes action for clean, competitive and connected mobility ” la Commissione europea ha disegnato una strategia moderna ed intermodale dei trasporti come tassello fondamentale della crescita dell’Unione e della tutela dei suoi valori fondamentali;
in tale comunicazione la Commissione europea, preso atto della valenza strategica del settore dei trasporti, della rapidità di evoluzione della materia e delle opportunità di sviluppo che offre, ha prospettato una strategia di lungo termine - che secondo il documento dovrebbe portarsi a compimento nel 2025 - condotta facendosi latrice di proposte di iniziativa legislativa ed ha sottolineato, ad esempio, come la natura “ smart” dei sistemi tariffari possa essere un tassello utile per orientarli, oltre che all’equilibrio finanziario degli operatori, anche alle esigenze dei consumatori e ai valori dell’Unione (si pensi alla politica ambientale), così ammodernando il sistema dei trasporti.

Pertanto sin dal 2011 nel nostro ordinamento è stato previsto, in sintonia con le strategie europee dei trasporti, un intervento di una Autorità di regolazione (dunque di un soggetto neutro ed indipendente dal governo centrale, caratterizzato per le sue competenze di carattere tecnico) nella determinazione delle tariffe autostradali, con lo specifico scopo di garantire l’efficienza produttiva del settore, il contenimento dei costi e la tutela dei consumatori.

Il citato sistema regolatorio si inserisce in un contesto di fatto in cui la rete autostradale italiana è affidata a concessionarie che beneficiano di contratti di durata spesso pluridecennale, nella maggior parte dei casi ottenuti senza alcuna procedura di evidenza pubblica e spesso soggetti a proroghe giustificate dall’esigenza di completare o implementare gli investimenti o dalla volontà di chiudere pregressi contenziosi, circostanze tutte che rendono la gestione indubbiamente più assimilabile a un monopolio naturale che non a un mercato concorrenziale;
in tale contesto la durata dei rapporti contrattuali, ove intesi come cristallizzati, sarebbe certamente anacronistica rispetto al dinamismo del settore ed agli obiettivi che esso impone in una società moderna, anche in termini di ragionevoli tempi di attuazione delle politiche dei trasporti.

In questo quadro, ad esempio, l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, con nota n. 9346 del 14.3.2018, ha chiesto: di disporre l’affidamento attraverso selezioni ad evidenza pubblica, limitando la durata delle concessioni;
di fissare un durata non ingiustificatamente lunga delle concessioni, con possibilità per i gestori uscenti di indennizzo degli investimenti non ammortizzati;
di evitare proroghe al di fuori dell’evidenza pubblica;
di introdurre una regolazione delle tariffe coerente con la logica del price cap , cioè esattamente quella seguita nei propri atti dall’Autorità di regolazione dei trasporti. La stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato, già dalla comunicazione AS659, “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza”, del 9.2.2010, osservava: “più di recente l’Autorità si è soffermata sugli aspetti critici della normativa prevista dalla convenzione in materia di regolamentazione tariffaria dei relativi servizi offerti alla clientela. Infatti, le disposizioni vigenti prevedono una metodologia di revisione delle tariffe autostradali che, per tutto il periodo di durata della convenzione, e quindi fino al 2038 ( ndr nel caso specifico 2037), si basa sull’adeguamento al tasso di inflazione rilevato dall’Istat per i prezzi al consumo. Tale metodologia, a differenza dei criteri precedentemente applicati, basati su una formulazione di tipo price cap , non consente di verificare gli incrementi di produttività ottenuti dal gestore nel periodo regolatorio, né di rivedere periodicamente le tariffe. In questo modo, gli incrementi di produttività non sono ridistribuiti agli utenti neppure in parte e si trasformano in rendite monopolistiche.”

Le revisioni del sistema tariffario autostradale presentano una storia tormentata, con un primo tentativo di innovazione ad opera del d.l. n. 262/2006, convertito in legge n. 286/2006, su cui è tuttavia intervenuto l’art. 8 duodecies del d.l. n. 59/2009, che ha modificato la disciplina ed approvato per legge tutti gli schemi di convenzione già sottoscritti tra ANAS s.p.a. e i concessionari alla data del 31 luglio 2010, purchè rispettassero determinate condizioni dettate da delibere CIPE.

Di tale tipologia di convenzione “legificata” beneficia la ricorrente.

Risulta evidente che per rendere seri e non del tutto velleitari gli obiettivi delle nuove strategie tariffarie in ambito autostradale previsti dal legislatore nel 2011, in un contesto in cui ogni organo di controllo e autorità indipendente ha rilevato serie criticità, non poteva che immaginarsi una forma di armonizzazione del nuovo sistema tariffario con le concessioni autostradali in essere, dovendosi altrimenti avallare una sorta di “congelamento”, per almeno un ventennio circa a partire dal primo intervento del 2011, di buona parte di tali obiettivi dichiaratamente strategici e strutturalmente altamente dinamici.

In tale contesto si inserisce la modifica dell’art. 37 co. 2 lett. g) del d.l. n. 201/2011 ad opera dell’art. 16 co. 1 lett a) del d.l. 28 settembre 2018 n. 109, che oggi attribuisce all’ART la competenza: “con particolare riferimento al settore autostradale, a stabilire per le nuove concessioni nonché per quelle di cui all'articolo 43, comma 1 e, per gli aspetti di competenza, comma 2 , sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap , con determinazione dell'indicatore di produttività X a cadenza quinquennale per ciascuna concessione;
a definire gli schemi di concessione da inserire nei bandi di gara relativi alla gestione o costruzione;
a definire gli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali per le nuove concessioni;
a definire gli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali, allo scopo di promuovere una gestione plurale sulle diverse tratte e stimolare la concorrenza per confronto.”

A partire dal 2018, dunque, la competenza tariffaria dell’ART è stata attivata anche in occasione delle periodiche revisioni delle concessioni in essere, scaduto il singolo periodo regolatorio.

Infatti l’art. 37 del d.l. n. 201/2011, nella versione attualmente vigente, richiama sia il comma 1 che il comma 2 dell’art. 43 del medesimo d.l., che disciplinano gli aggiornamenti e le revisioni delle convenzioni autostradali laddove comportino variazioni o modificazioni al piano degli investimenti (art. 43 co. 1), ovvero anche qualora non comportino dette variazioni e siano approvate in forza della fisiologica procedura di revisione del periodo regolatorio (art. 43 co. 2).

La competenza dell’ART risulta ulteriormente rafforzata dalla previsione dell’art. 43 co. 2 bis del d.l. n. 201/2011, secondo il quale “nei casi di cui ai commi 1 e 2 il concedente, sentita l’Autorità di regolazione dei trasporti, verifica l’applicazione dei criteri di determinazione delle tariffe, anche con riferimento all’effettivo stato di attuazione degli investimenti già inclusi in tariffa.”

Parte ricorrente propone una decontestualizzata e restrittiva lettura della disposizione in questione (in specifico dell’art. 43 co. 2 del d.l. n. 201/2011) sostenendo innanzitutto che la facoltà dell’ART di intervenire sulle tariffe in concomitanza con le periodiche revisioni delle concessioni sarebbe confinata ai casi di cui al comma 1 dell’art. 43 del d.l. n. 201/2011;
tale prima proposta interpretativa cozza con il tenore letterale della legge che attribuisce all’ART una competenza ad intervenire anche per le revisioni disegnate dal comma 2 del medesimo articolo, cioè quelle che non presuppongono una variazione del piano degli investimenti.

L’art. 43 co. 2 del d.l. n. 201/2011 recita: “Gli aggiornamenti o le revisioni delle convenzioni autostradali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, che non comportano le variazioni o le modificazioni di cui al comma 1, sono approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro trenta giorni dall'avvenuta trasmissione dell'atto convenzionale ad opera dell'amministrazione concedente”;
per tale norma la ricorrente sembra sostenere che essa avrebbe ad oggetto unicamente delle revisioni caratterizzate dalla particolarità di avvenire su “iniziativa del concedente”.

La tesi è frutto di una lettura anacronistica e nuovamente decontestualizzata della norma, in quanto la disposizione, correttamente intesa, non intende descrivere fattispecie peculiari ma il puro e semplice ordinario meccanismo di revisione della concessione.

Il meccanismo legale di periodica revisione tariffaria qui in discussione, la cui disciplina si rinviene nell’art. 21 del d.l. n. 355/2003, più volte invocato da parte ricorrente, all’epoca in cui è stato introdotto l’art. 43 del d.l. n. 201/2011 fisiologicamente prevedeva una iniziativa del concedente (all’epoca ANAS s.p.a.) nei confronti del competente Ministero (la previsione era coerente con la pertinente clausola della convenzione prodotta in giudizio di cui la ricorrente è a tutt’oggi titolare).

L’art. 21 del d.l. n.355/2003, tuttavia, attualmente, recita: “Il concessionario formula al concedente, entro il 15 ottobre di ogni anno, la proposta di variazioni tariffarie che intende applicare nonché la componente investimenti dei parametri X e K relativi a ciascuno dei nuovi interventi aggiuntivi. Con decreto motivato del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro il 15 dicembre, sono approvate o rigettate le variazioni proposte. Il decreto motivato può riguardare esclusivamente le verifiche relative alla correttezza dei valori inseriti nella formula revisionale e dei relativi conteggi, nonché alla sussistenza di gravi inadempienze delle disposizioni previste dalla convenzione e che siano state formalmente contestate dal concessionario entro il 30 giugno precedente”.

Tale versione della norma è frutto di una pluralità di modifiche normative, l’ultima delle quali è intervenuta nel 2013.

Per contro il maccanismo che il d.l. n. 201/2011 art. 43 co 2 (che non ha subito modifiche nel tempo) descriveva, presupponendolo quale sistema ordinario di periodica revisione delle concessioni, era quello coevo, dettato, per quanto qui di interesse, sempre dal d.l. n. 355/2003 art. 21 co. 5 nella versione antecedente alla modifiche del 2013 (e non incisa in parte qua dallo stesso d.l. n. 201/2011, che pure è intervenuto anche sull’art. 21 del d.l. n. 355/2003) che recitava: “Il concessionario provvede a comunicare al concedente, entro il 31 ottobre di ogni anno, le variazioni tariffarie che intende applicare nonchè la componente investimenti del parametro X relativo a ciascuno dei nuovi interventi aggiuntivi. Il concedente, nei successivi trenta giorni, previa verifica della correttezza delle variazioni tariffarie, trasmette la comunicazione, nonchè una sua proposta, ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, i quali, di concerto, approvano o rigettano le variazioni proposte con provvedimento motivato nei quindici giorni successivi al ricevimento della comunicazione. Il provvedimento motivato può riguardare esclusivamente le verifiche relative alla correttezza dei valori inseriti nella formula revisionale e dei relativi conteggi, nonchè alla sussistenza di gravi inadempienze delle disposizioni previste dalla convenzione e che siano state formalmente contestate dal concessionario entro il 30 giugno precedente”.

La norma, in questa formulazione, come già visto, riproduceva pedissequamente il testo storico dei meccanismi di revisione delle concessioni autostradali tuttora proposto dall’art. 18 della convenzione di cui la ricorrente è titolare.

In definitiva il sistema originario di revisione delle concessioni (in essere ancora in epoca coeva all’art. 43 del d.l. n. 201/2011, quando concedente era ANAS s.p.a.) seguiva il seguente schema trilaterale: proposta del concessionario al concedente/verifica del concedente cha faceva propria l’istanza di revisione e si faceva tramite presso il Ministero competente /provvedimento ministeriale di revisione tariffaria.

Nel 2013 la formulazione della disposizione ha subito una semplificazione, in quanto dal 2012 è il Ministero stesso delle infrastrutture e dei trasporti che ha assunto il ruolo di concedente nella gestione della rete autostradale in luogo di ANAS, sicchè il meccanismo trilaterale non ha più alcun senso. In tale nuovo contesto deve essere letto anche l’art. 43 co. 2 del d.l. n. 201/2011;
quest’ultimo infatti sconta una formulazione mai allineata con l’evoluzione del sistema concessorio e quindi, per ragioni storiche, non descrive più fedelmente l’attuale meccanismo di revisione delle concessioni, che all’epoca vedeva un concedente, ANAS s.p.a., diverso dal MIT, il quale ultimo invece, attualmente, cumula la funzione di concedente.

In sostanza non vi è dubbio che l’art. 43 co. 2 del d.l. n. 201/2011 faccia riferimento alle periodiche ed ordinarie revisioni convenzionali (a prescindere delle evoluzioni procedimentali dovute al mutare delle competenze), e tra queste figurano anche le revisioni tariffarie;
a tale comma due (nel suo significato sostanziale e non in quello letterale e vetusto) fa rinvio la norma che disciplina la competenza dell’ART relativa alle periodiche revisioni tariffarie dei concessionari autostradali.

Ancora sostiene parte ricorrente che, nel procedimento ordinario di revisione della concessione, non sarebbe prevista alcuna interlocuzione dell’ART con il MIT;
premesso che, come visto, è lo stesso art. 37 co. 2 lett. g) del d.l. n. 201/2011, come modificato nel 2018, ad attribuire esplicitamente compiti all’ART in materia di revisione delle tariffe autostradali in relazione alle revisioni periodiche delle concessioni in essere, l’interlocuzione di ART con i soggetti deputati alla verifica e gestione delle tariffe autostradali, quali che essi siano nella contorta e spesso non coordinata evoluzione normativa, è prevista, come visto, già anche nella lett. a) del comma 2 dell’art. 37 del n. 201/2011 e nell’art. 36 del d.l. n. 98/2011 (anche se in origine limitata alle nuove concessioni).

Fatta tale complessa ma necessaria premessa ne discende che non è sostenibile, come si legge in ricorso, che il nuovo sistema tariffario che si impernia sulla regolazione ART sia stato “ ex novo ” introdotto con l’art. 13 d.l n. 162/2019. L’articolo in questione si è infatti limitato a dilatare i termini procedimentali per la revisione tariffaria del 2020 per consentire che il procedimento stesso avvenga in coerenza con il nuovo quadro normativo, disegnato a partire dal 2011, reso applicabile anche alle concessioni in essere nel 2018 e divenuto operativo con il completarsi dell’attività regolatoria condotta da ART nel corso del 2019. Tantomeno è sostenibile che un cinquantennale operatore del settore si dichiari “sorpreso” da una evoluzione di disciplina del sistema tariffario rispetto alla quale, in ogni sede, ivi compresa quella europea, il dibattito è in corso da almeno un decennio e da una attività regolatoria dell’ART che, per la sua stessa natura, è avvenuta in contraddittorio con gli stakeholders del settore, ivi inclusa la ricorrente, contraddittorio che si è dipanato proprio a partire dalla ricordata delibera ART n. 16 del 18 febbraio 2019 di avvio del procedimento per la regolazione tariffaria in relazione alle concessioni in essere e si è concluso, svariati mesi dopo, con la delibera ART n. 77 del 19 giugno 2019.

Così correttamente inquadrata la disciplina normativa pertinente si procede al vaglio delle censure di compatibilità eurounitaria e legittimità costituzionale, che si ritengono, per come prospettate nel presente giudizio, infondate.

La ricorrente tenta di porre in discussione l’intero nuovo quadro normativo inerente la revisione delle tariffe dei concessionari autostradali muovendo da un semplice atto soprassessorio (unico oggetto del contendere in questa sede) il cui presupposto è tuttavia, certamente, che la società debba presentare una documentazione coerente con il nuovo quadro normativo, in modo che il procedimento di revisione tariffaria avvenga secondo il vigente sistema regolamentare.

La ricorrente, per altro, non formula alcuna considerazione o valutazione concreta circa gli effetti di tale nuovo sistema sulla sua posizione;
si intende dire che la posizione di parte ricorrente non muove da alcun tipo di raffronto puntuale tra il vecchio sistema di revisione periodica delle tariffe disegnato dalla concessione di cui è titolare e il nuovo meccanismo di revisione tariffaria;
dal ricorso introduttivo non è infatti in alcun modo dato evincere quale sarebbe l’effetto economico concreto del nuovo sistema di revisione tariffaria, quale la sua concreta incidenza sulla redditività della concessione e l’equilibrio economico finanziario del gestore (aspetto che, si ricorda, figura tra gli elementi che l’Autorità di regolazione deve salvaguardare) e tantomeno è dato comprendere quale in concreto sia l’attuale equilibrio economico finanziario del rapporto, poiché la parte muove dall’assunto che, in sostanza, essendo titolare di una concessione di durata ancora decennale nessuna modifica alle sue condizioni sarebbe mai apportabile in virtù del principio della certezza giuridica e del legittimo affidamento, come elaborati dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea e dalla Corte Costituzionale.

Posto in questi termini l’assunto non trova alcun conforto nella giurisprudenza di entrambe le Corti.

Muovendo dalle problematiche di diritto eurounitario, la ricorrente enfatizza l’ovvio principio pacta sunt servanda, nonché il principio del legittimo affidamento, come manifestazione della certezza giuridica, ponendo tuttavia la questione in termini riduttivi.

Peraltro la ricorrente beneficia di una posizione “contrattuale” anomala, frutto di una scelta legislativa della cui natura “provvedimentale” (ancorchè di favore) sarebbe forse lecito dubitare, poiché i testi convenzionali, come dalla stessa ricordato, sono stati appunto “legificati”;
la parte privata viene così a trovarsi nella condizione talvolta di invocare, come fa nel caso di specie, il principio pacta sunt servanda proprio della contrattualistica, e, talaltra, a fronte di eventuali iniziative di attivazione di istituti di tipo contrattuale, una copertura normativa.

Nello specifico, per quanto concerne il principio dell’affidamento, non può trascurarsi che l’accordo di cui si discute è un accordo di durata (ventennale) e che la giurisprudenza euronitaria in materia è costruita su casi concreti, da cui si evincono tuttavia puntuali elementi di valutazione, necessariamente altrettanto concreti, delle singole fattispecie;
il giudice europeo non postula affatto una astratta petizione di principio di immodificabilità di ogni posizione acquisita, l’unica invece in verità sostenuta in ricorso.

Si legge infatti nella pronuncia della Corte di Giustizia 20.12.2017, in causa C 322/16 (resa proprio in una ipotesi di normativa che ha inciso in senso sfavorevole per il concessionario su un rapporto di concessione):

“46. Occorre sottolineare che il principio della certezza del diritto, il quale ha come corollario quello della tutela del legittimo affidamento, impone, segnatamente, che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare qualora esse possano avere conseguenze sfavorevoli sugli individui e sulle imprese (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2015, Berlington Hungary e a., C 98/14, EU:C:2015:386, punto 77 e la giurisprudenza ivi citata).

47 Tuttavia, un operatore economico non può riporre affidamento nel fatto che non interverrà assolutamente alcuna modifica legislativa, bensì può unicamente mettere in discussione le modalità di applicazione di una modifica siffatta (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2015, Berlington Hungary e a., C 98/14, EU:C:2015:386, punto 78 e la giurisprudenza ivi citata).

48 A questo proposito, occorre osservare che incombe al legislatore nazionale prevedere un periodo transitorio di durata sufficiente per permettere agli operatori economici di adeguarsi, ovvero un sistema di compensazioni adeguate (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2015, Berlington Hungary e a., C 98/14, EU:C:2015:386, punto 85 e la giurisprudenza ivi citata).

49 Se invero spetta al giudice del rinvio verificare, alla luce della giurisprudenza citata ai punti precedenti, e procedendo ad una valutazione globale di tutte le circostanze pertinenti, se la normativa nazionale in discussione nel procedimento principale sia conforme al principio della tutela del legittimo affidamento, occorre però notare come risulti dall’ordinanza di rinvio che la legge n. 220/2010 prevedeva un termine di 180 giorni a partire dalla sua entrata in vigore per introdurre le nuove condizioni che essa fissava, mediante la firma di un atto di integrazione della convenzione accessiva alla concessione. Tale termine appare in linea di principio sufficiente per permettere ai concessionari di adeguarsi a dette condizioni .”

La sentenza sovrariportata basterebbe da sola a fugare i dubbi di compatibilità eurounitaria della modifica normativa, per come prospettati in ricorso. Scendendo nel concreto la Corte ha evidenziato come la parte privata potrebbe, al più, mettere in discussione le modalità con le quali il legislatore è intervenuto sul rapporto;
una modalità compatibile con la tutela dell’affidamento secondo la Corte è quella di prevedere regimi transitori o comunque tempistiche che consentano agli interessati di organizzarsi in vista dell’impatto della nuova disciplina.

Come ampiamente ricostruito in precedenza, l’applicazione del nuovo sistema tariffario alle concessioni in corso nel rispetto delle cadenze periodiche di revisione è stata prevista dal legislatore sin dal d.l. n. 109 del 28 settembre 2018;
la sua concreta attuabilità ha presupposto l’elaborazione e sistematizzazione di atti di regolazione (che, come già ricordato, sono stati adottati previo contraddittorio anche con la ricorrente) la cui gestazione ed elaborazione ha richiesto quasi un semestre nel corso del 2019;
nel presente giudizio si discute dell’applicabilità dell’intero meccanismo alla revisione tariffaria prevista per l’anno 2020, cioè oltre un anno dopo la prima introduzione del nuovo sistema di revisione tariffaria.

Nel caso concreto quindi, volendo seguire le indicazioni della Corte di giustizia, risultano ampiamente rispettati ragionevoli tempi per l’introduzione effettiva delle modifiche, che la Corte ha valutato come congrui per consentire agli interessati di adeguarsi al nuovo sistema quando ad esempio sono pari a 180 giorni.

Ancora si legge nella sentenza resa in data 11.6.2015 in causa C-98/14, sempre in tema di modifiche normative incidenti su rapporti concessori: “La Corte ha parimenti dichiarato che un operatore economico non può basare il suo affidamento sulla mancanza totale di modifiche normative, ma unicamente mettere in questione le modalità applicative di siffatte modifiche (v., in tal senso, sentenza Gemeente Leusden e Holin Groep, C‑487/01 e C‑7/02, EU:C:2004:263, punto 81).

79 Parimenti, il principio di certezza del diritto non impone la mancanza di modifiche legislative, ma richiede piuttosto che il legislatore nazionale tenga conto delle situazioni specifiche degli operatori economici e preveda, eventualmente, taluni adeguamenti all’applicazione delle nuove norme giuridiche (sentenze VEMW e a., C‑17/03, EU:C:2005:362, punto 81, nonché Plantanol, C‑201/08, EU:C:2009:539, punto 49;
v., in tal senso, sentenza Gemeente Leusden e Holin Groep, C‑487/01 e C‑7/02, EU:C:2004:263, punto 70).

80 In base a una giurisprudenza consolidata, spetta al solo giudice del rinvio esaminare se una normativa nazionale sia conforme ai principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento;
la Corte, pronunciandosi su un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, è unicamente competente a fornire a tale giudice tutti gli elementi interpretativi rientranti nell’ambito del diritto dell’Unione che possano consentirgli di valutare tale conformità (v., segnatamente, sentenze Plantanol, C‑201/08, EU:C:2009:539, punto 45 e giurisprudenza ivi citata, nonché Ålands Vindkraft, C‑573/12, EU:C:2014:2037, punto 126)”.

La Corte prosegue analizzando un’ipotesi di revoca di una concessione in essere (qui non pertinente) e ribadisce comunque l’esigenza, già valutata per il caso di specie, che sia dato all’operatore economico un congruo lasso di tempo per adeguarsi. Nella specifica pronuncia la Corte analizza anche l’incidenza delle modifiche del rapporto di durata (si ricorda in quel caso concreto interrotto) sul diritto di proprietà che, nella giurisprudenza eurounitaria, presenta una estensione lata, volta a contemplare posizioni giuridiche di vantaggio che, ancorché non qualificabili dominicali in senso stretto, tuttavia accedono a prerogative consolidate del titolare. Nella giurisprudenza della CEDU (sentenza Centro Europa 7 s.r.l. e Di Stefano

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi