TAR Palermo, sez. I, sentenza 2022-06-15, n. 202201979
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Pubblicato il 15/06/2022
N. 01979/2022 REG.PROV.COLL.
N. 01745/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1745 del 2019, proposto da-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. C L P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, e domicilio eletto presso lo studio del predetto difensore in Palermo, via Agrigento n. 15/A;
contro
Il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui uffici, siti in Palermo, via Valerio Villareale n. 6, è per legge domiciliato;
nei confronti
di -OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
1) dell’art. 14 comma 1° del PCD 1°.8.2013, protocollo GDAP-0279684-2013, recante Mobilità a domanda del personale dei ruoli direttivi di Polizia penitenziaria nella parte in cui prevede che le funzioni di vicecomando utili ai fini della attribuzione del punteggio debbano essere “effettivamente svolte”, con riferimento ai periodi di assenza dal lavoro per interdizione per maternità;
2) del provvedimento m_dgGDAP 03/05/2019.0139248.U, notificato alla ricorrente il 9.5.2019 del Ministero della giustizia DAP Direttore Generale del Personale e delle Risorse, Uff. II – Corpo di Polizia Penitenziaria, Sez. IV Settore dei Funzionari del Corpo, con cui in applicazione dell’art.14, c. I del PCD 1.8.2013, recante “Mobilità a domanda del personale dei ruoli direttivi di Polizia Penitenziaria” è stato rettificato in pejus il punteggio attribuito alla ricorrente nella graduatoria per titoli della procedura di mobilità a domanda del personale appartenente alla carriera dei funzionari del corpo di polizia penitenziaria, relativa alla sede del CGM della Sicilia Palermo, ed è stata riformulata la graduatoria stessa collocando la ricorrente non più al 1°, ma al 2° posto;
3) Del provvedimento m_dgGDAP in corso di notifica con il quale è stata respinta l’istanza proposta dalla ricorrente allo stesso Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria - Direttore Generale, di revoca della predetta rettifica in pejus e di riformulazione della graduatoria,
4) Della graduatoria definiva nella procedura di mobilità straordinaria indetta il 19.7.2018 con provvedimento n.0236753, recante Mobilità a domanda del personale dei ruoli direttivi di Polizia penitenziaria, adottata all’esito dei colloqui espletati per il conferimento degli incarichi di comandante di reparto degli istituti penitenziari per adulti e minori di cui alla Tabella A allegata alla nota 19.7.2018, con riferimento ai nominativi, ivi riportati, dei funzionari utilmente collocatisi per il conferimento degli incarichi presso le strutture del Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità di cui alla Tabella B allegata alla nota, dove la ricorrente figura al 2° posto per l’incarico scelto presso il CGM della Sicilia Palermo. Notificata alla ricorrente il 13.6.2019;
5) di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale;
E per l’accertamento e la declaratoria
del diritto della ricorrente ad essere collocata al 1° posto della graduatoria per il posto di funzione presso il CGM della Sicilia Palermo, formata nella procedura di mobilità straordinaria a domanda del personale appartenente ai ruoli direttivi del Corpo di Polizia penitenziaria, indetta con provvedimento GDAP n. 0236753 del 19.7.2018 del Ministero della Giustizia – Dipartimento Amministrazione Penitenziaria – Direzione Generale del personale e delle Risorse, Ufficio II Corpo di Polizia Penitenziaria Sez. IV Settore dei Funzionari del Corpo, e ad essere assegnata nella sede scelta del Centro di Giustizia Minorile – CGM della Sicilia Palermo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste la documentazione depositata dalla resistente Amministrazione, e la documentazione e la memoria prodotte dalla ricorrente;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del giorno 9 giugno 2022 il consigliere dott.ssa M C, e udito il difensore di parte ricorrente, presente come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
A. – Con il ricorso in esame l’odierna istante ha impugnato gli atti indicati in epigrafe – e, in particolare, il provvedimento del 3 maggio 2019 del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), con cui – in applicazione dell’art.14 del decreto del Capo Dipartimento del 1° agosto 2013, recante “Mobilità a domanda del personale dei ruoli direttivi di Polizia Penitenziaria” – è stato rettificato in pejus il punteggio attribuitole nella graduatoria per titoli della suddetta procedura di mobilità relativa alla sede del CGM della Sicilia, Palermo, ed è stata riformulata la graduatoria definitiva (pure impugnata) collocando la ricorrente non più al primo, ma al secondo posto per tale sede.
Con lo stesso mezzo ha chiesto, ove occorra, la disapplicazione dell’art.14, co. 1, del su citato decreto del 1° agosto 2013 nella parte in cui pone, come indefettibile condizione per la valorizzazione delle funzioni di vicecomandante, che le stesse siano state “effettivamente svolte”.
Ha dedotto avverso tali atti l’articolata censura di Violazione e falsa applicazione degli articoli 2 paragrafo 2 lettera c);14, paragrafo 2;e 15 della Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5.7.2006 riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della Costituzione - Violazione e falsa applicazione degli articoli 25 e 29 del D. LGS. N.198/2006 – codice delle pari opportunità - Violazione e falsa applicazione dell’art.22 D. LGS n.151/2001 - Eccesso di potere .
Ha, quindi, chiesto l’annullamento degli atti impugnati e la declaratoria del diritto ad essere collocata al primo posto della graduatoria per il posto di funzione presso il CGM della Sicilia, Palermo, previa rivalutazione, quale servizio effettivamente svolto, del periodo di assenza per interdizione dal servizio, per maternità, dal 25 novembre 2014 al 28 ottobre 2015;con vittoria di spese.
B. – Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia.
C. – Il controinteressato, pur ritualmente intimato, non si è costituito.
D. – In vista della trattazione del ricorso nel merito entrambe le parti costituite hanno depositato documentazione;e la ricorrente con memoria conclusiva ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Quindi, all’udienza pubblica del giorno 9 giugno 2022 – presente il difensore della ricorrente come da verbale – la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
A. – Viene in decisione il ricorso promosso dall’odierna istante avverso il provvedimento del 3 maggio 2019, notificato alla predetta il 9 maggio 2019, del Ministero della Giustizia (DAP), con il quale è stato rettificato in pejus il punteggio attribuito alla predetta nella graduatoria per titoli della procedura di mobilità a domanda del personale appartenente alla carriera dei funzionari del corpo di polizia penitenziaria, relativa alla sede del CGM della Sicilia, Palermo, ed è stata riformulata la graduatoria definitiva – pure impugnata – collocando la ricorrente non più al primo, ma al secondo posto.
B. – Il ricorso è fondato nei sensi appresso precisati, per la ritenuta fondatezza dell’articolata censura dedotta.
Deve premettersi che la modificazione in pejus del punteggio assegnato alla ricorrente è stata determinata dalla mancata valutazione del periodo dal 25 novembre 2014 al 28 ottobre 2015 relativo alle funzioni di vice-comando - utile ai fini dell’attribuzione del punteggio per la formazione delle graduatorie per la mobilità del personale dei ruoli direttivi – durante il quale la predetta si trovava in interdizione per maternità: l’ufficio procedente, nel rivedere tale punteggio, ha ritenuto di interpretare l’inciso “effettivamente svolte” riferito alle suddette funzioni contenuto nell’art.14, co. 1, del decreto 1° agosto 2013 del Capo Dipartimento (in atti), nel senso di attività effettivamente e concretamente svolta, escludendo dal computo detto periodo di interdizione.
L’applicazione che l’ufficio ha fatto di tale disposizione contrasta con la norma primaria contenuta nell’art. 22, commi 3 e 5, della l. n.151/2001 e, altresì, con la direttiva UE 2006/54.
La disposizione nazionale – riferendosi ai periodi di congedo per maternità – stabilisce che:
- “ 3. I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie .”;
- “ 5. Gli stessi periodi sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti ”.
Tale disposizione – che era già contenuta nell’art. 3, co. 2, della l. n. 903/1977 (poi abrogato dall’art. 57 del d. lgs. n. 198/2006) – pone l’equivalenza, ai fini della progressione in carriera, fra i periodi di effettivo servizio e i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, tranne nei casi in cui la contrattazione collettiva subordini la promozione a particolari requisiti;circostanza, questa, non risultante nel caso di specie dall’esame della disciplina della procedura di mobilità, né tantomeno evidenziata dalla resistente Amministrazione negli atti impugnati.
Devono inoltre essere richiamati i “considerando” 2, 23 e 25 della su citata direttiva 2006/54, secondo cui:
- “ (2) La parità fra uomini e donne è un principio fondamentale del diritto comunitario, ai sensi dell'articolo 2 e dell'articolo 3, paragrafo 2, del trattato [CE], nonché ai sensi della giurisprudenza della Corte di giustizia.
Le suddette disposizioni del trattato sanciscono la parità fra uomini e donne quale "compito" e "obiettivo" della Comunità e impongono alla stessa l'obbligo concreto della sua promozione in tutte le sue attività .”;
(...)
- “ (23) Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia risulta chiaramente che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti della donna in relazione alla gravidanza o alla maternità costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso. Pertanto, occorre includere esplicitamente tale trattamento nella presente direttiva ”;
(...)
- “ (25) Per chiarezza, è altresì opportuno prevedere esplicitamente la tutela dei diritti delle lavoratrici in congedo di maternità, in particolare per quanto riguarda il loro diritto a riprendere lo stesso lavoro o un lavoro equivalente e a non subire un deterioramento delle condizioni di lavoro per aver usufruito del congedo di maternità nonché a beneficiare di qualsiasi miglioramento delle condizioni lavorative cui dovessero aver avuto diritto durante la loro assenza .”.
L’art. 15 della stessa direttiva, relativo al rientro dal congedo di maternità, stabilisce che “Alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza.”.
Va a questo punto richiamata la sentenza n.595 del 6 marzo 2014 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale pronunciandosi su una domanda di rinvio pregiudiziale in una controversia con la stessa Amministrazione penitenziaria – che aveva escluso una dipendente da un corso di formazione per l’assunzione della qualifica di vice commissario di polizia penitenziaria a seguito della sua assenza da detto corso per più di 30 giorni per congedo obbligatorio di maternità – ha rilevato che “… un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità costituisce una discriminazione basata sul sesso e che l'articolo 14, paragrafo 1, di tale direttiva precisa gli ambiti in cui non deve essere effettuata alcuna discriminazione. In tal senso, le discriminazioni dirette o indirette sono vietate per quanto riguarda le condizioni di accesso al lavoro, ivi compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, l'accesso a tutti i tipi e a tutti i livelli di orientamento professionale, formazione, perfezionamento e riqualificazione professionali, nonché l'esperienza professionale, le condizioni di occupazione e di lavoro e la partecipazione ad un'organizzazione rappresentativa di lavoratori o simili (v., in tal senso, sentenza Sarkatzis Herrero, cit., punto 36).
26 Si deve rilevare, in secondo luogo, che l'articolo 15 di tale direttiva prevede che alla fine del periodo di congedo per maternità la donna abbia diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza …” (cfr. Corte di Giustizia Unione Europea, Sez. I, 6 marzo 2014, n. 595/12).
Le disposizioni su menzionate – e, in particolare, la disposizione specifica contenuta nell’art. 15 – sono state ritenute dalla Corte di Giustizia sufficientemente chiare e precise, da potere produrre un effetto diretto e, pertanto, direttamente applicabili dal giudice nazionale (cfr. Corte di Giustizia UE, 6 marzo 2014, n. 595/12 cit.);e nel caso in esame il mancato computo del periodo di interdizione per maternità ha comportato per la ricorrente la mancata acquisizione di una migliore condizione lavorativa cui aspirava.
Osserva d’altro canto il Collegio che la circostanza che l’interdizione sia stata richiesta dalla lavoratrice non esclude, all’evidenza, che tale opzione – che, come si chiarirà tra breve, risulta in qualche modo “necessitata” per la tipologia di attività svolta – sia rivolta alla tutela del nascituro e della maternità naturale: conseguentemente, in presenza del quadro normativo su delineato, non si può aderire ad un approccio interpretativo che, in assenza di una disciplina specifica che subordini il beneficio a particolari e specifici requisiti, neghi la computabilità del periodo di interdizione quale servizio effettivamente prestato.
Deve, del resto, osservarsi che la richiesta di interdizione è stata accolta dall’amministrazione in considerazione della tipologia di attività svolta, rientrante tra quelle ritenute a rischio ai sensi dell’art. 7 del d. lgs. n. 151/2001, e in quanto, ai sensi del comma 6 dello stesso art. 7, era stato ritenuto impossibile il disimpegno della lavoratrice ad altre mansioni (v. nota prot. n. 7390 del 24 novembre 2014 dell’Assessorato regionale del lavoro, depositata dalla ricorrente in data 28 aprile 2022).
Deve pertanto concludersi nel senso che l’espressione, riferita alle funzioni “effettivamente svolte”, contenuta nell’art. 14 del decreto del Capo Dipartimento datato 1° agosto 2013, debba essere intesa, coerentemente con il quadro normativo sopra delineato, come comprensiva anche dei periodi di interdizione per maternità, essendo questa l’unica interpretazione che consente di non pervenire ad un trattamento differenziato della lavoratrice avente natura discriminatoria.
Per tutto quanto esposto e rilevato, il ricorso, in quanto fondato nei sensi sopra precisati, deve essere accolto e, per l’effetto, vanno annullati:
- il provvedimento del 3 maggio 2019, con cui è stato rettificato in pejus il punteggio attribuito alla ricorrente nella graduatoria per titoli della procedura di mobilità a domanda del personale appartenente alla carriera dei funzionari del corpo di polizia penitenziaria, relativa alla sede del CGM della Sicilia Palermo, ed è stata riformulata la graduatoria stessa collocando la ricorrente non più al primo, ma al secondo posto;
- la graduatoria definiva nella parte in cui la ricorrente è stata collocata al secondo posto.
L’Amministrazione, in sede di riedizione del potere, dovrà riformulare la graduatoria valutando alla ricorrente, quale servizio effettivamente svolto, il periodo di assenza per interdizione dal servizio, per maternità, dal 25 novembre 2014 al 28 ottobre 2015.
C. – Avuto riguardo ai peculiari profili della controversia, sussistono i presupposti per compensare tra le parti le spese di giudizio.