TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2018-12-03, n. 201800718

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2018-12-03, n. 201800718
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Reggio Calabria
Numero : 201800718
Data del deposito : 3 dicembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/12/2018

N. 00718/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00695/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 695 del 2016, proposto da
P V, rappresentato e difeso dagli avvocati D O S, M A, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato D O S in Reggio Di Calabria, via Villini Svizzeri Dir. Gulli, n. 5;

contro

l’U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, con domicilio eletto in Reggio Calabria, via Plebiscito, n.15;

per l'annullamento

del provvedimento prot. n. 0066898 del 29 giugno 2016 di rigetto dell’istanza di revoca del divieto di detenzione armi, munizioni ed esplosivi;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2018 la dott.ssa A G C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato in data 23 settembre 2016 il signor Votano ha impugnato il provvedimento di rigetto dell’istanza di riesame del divieto di detenzione di armi e munizioni adottato nei suoi confronti con decreto prefettizio del 17 luglio 2012.

Lamenta il ricorrente la illegittimità del provvedimento impugnato sotto i profili della violazione degli articoli 11, 39 e 43 TULPS, dell’eccesso di potere e del difetto di motivazione.

Deduce, in particolare:

- la carenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di diniego;

- l’insufficienza del mero rapporto di parentela a supportare il divieto di detenzione delle armi;

- la conseguente insufficienza della motivazione.

2. Si è costituito il Ministero dell’Interno che, con memoria del 5 settembre 2018, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, la sua infondatezza.

Rileva l’amministrazione costituita che il provvedimento impugnato conferma il precedente divieto di detenzione armi, per non essere emersi elementi tali da indurre a ritenere superate le cause ostative sottese a quel divieto. Elementi di novità che non sarebbero emersi né nell’istanza di riesame né nelle controdeduzioni depositate in riscontro al preavviso di rigetto ex art. 10 bis della Legge n. 241/90.

3. All’udienza pubblica del 17 ottobre 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4. Ritiene il Collegio che il ricorso non sia meritevole di favorevole apprezzamento.

Sulla materia oggetto di contenzioso “si è formata una ormai univoca giurisprudenza che afferma l’assenza di posizioni di diritto soggettivo con riguardo alla detenzione e al porto di armi, «costituendo tali situazioni delle eccezioni al generale divieto di cui art. 699 c.p. e all’art. 4 comma 1, l. 18 aprile 1975 n. 110. Da tanto deriva che l’Autorità di pubblica sicurezza gode di ampia discrezionalità nel valutare la sussistenza dei requisiti di affidabilità del soggetto nell’uso e nella custodia delle armi, a tutela della pubblica incolumità;
ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del T.U.L.P.S., il compito che esercita l’Autorità non è di tipo sanzionatorio, né tantomeno punitivo, ma di natura cautelare, consistente nel prevenire abusi nell’uso delle armi a tutela della incolumità privata e pubblica. Pertanto, ai fini della revoca dell’autorizzazione e del divieto di detenzione di armi e munizioni, non è necessario che sia stato accertato un determinato abuso delle armi da parte del soggetto istante, ma è sufficiente la sussistenza di circostanze che dimostrino come questi non sia del tutto affidabile al loro uso;
ne consegue che, stante l’ampia discrezionalità dei provvedimenti inibitori, non è neppure necessario un particolare onere motivazionale, bastando piuttosto che nei provvedimenti siano presenti elementi idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate dall’Autorità non siano irrazionali o arbitrarie» (Cons. St., Sez. I, 11 aprile 2018, n. 943;
Cons. St., Sez. III, 17 maggio 2018, n. 2974)”.

Infatti, il r.d. 18 giugno 1931 n. 773, “autorizza l’Amministrazione allo «svolgimento di valutazioni discrezionali ad ampio spettro che diano la prevalenza alle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica rispetto a quelle del privato sì che non possano emergere sintomi e nemmeno sospetti di utilizzo improprio dell’arma in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati» (Cons. St., Sez. I, 13 marzo 2018, n. 617)”. […]

Peraltro, come ripetutamente è stato affermato dalla Sezione, “il divieto di detenzione di armi, munizioni ed esplosivi non implica un concreto ed accertato abuso nella tenuta delle armi, risultando sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell’Autorità amministrativa competente (Cons. St., Sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039;
Sez. III, 31 marzo 2014, n. 1521;
Sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576).

Tenuto conto del carattere preventivo e cautelare del divieto di detenzione delle armi, l’esistenza di sospetti o indizi negativi, che facciano perdere all’Autorità competente la fiducia in merito al buon uso delle armi, è sufficiente ai fini della valutazione negativa formulata nella fattispecie dall’amministrazione” (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza n. 4887 del 9 agosto 2018).

Più in particolare, con riferimento a fattispecie simili a quella in esame, è stato rilevato che legittimamente l'amministrazione revoca il porto d'armi ad un soggetto legato da rapporti di parentela con soggetti controindicati, nel timore che questi possano esigere, vantando diritti morali, aiuto da parte dei propri congiunti, anche solo nella fornitura delle armi (Tar Catania, sez. II, 5 novembre 2007 n. 1801 che richiama: Tar Reggio Calabria, 21 marzo 2003 n. 226;
Tar Valle d'Aosta, 14 novembre 2001 n. 177;
Tar Palermo, 13 ottobre 1999 n. 1978;
Tar Catanzaro, 28 settembre 1998, n. 811).

4.1. Nella fattispecie in esame, le affermazioni dell’odierno ricorrente non sono idonee a contrastare la rilevanza del contesto fattuale su cui si è basata l’Amministrazione nell’assumere il provvedimento gravato.

Le considerazioni svolte dall’amministrazione, alla luce dei principi enunciati, non risultano, contrariamente a quanto sostenuto dal Votano, né illogiche, né incongrue.

Ed invero, la Prefettura ha ritenuto, “tenuto conto dell’istruttoria condotta e del parere contrario espresso dagli Organi di polizia” , non sussistenti “nuovi elementi tali da indurre ad una positiva rivalutazione della posizione della S.V.” ed ha, pertanto, rigettato l’istanza di riesame presentata dall’odierno ricorrente.

Ha confermato, quindi, il divieto imposto con decreto del 17 luglio 2012 e con esso le motivazioni ivi contenute afferenti alle seguenti circostanze:

1) rapporti di parentela con soggetti - nel caso di specie cugini - “di elevato spessore criminale, ritenuti capi o appartenenti ad una nota cosca mafiosa locale caratterizzata da un elevatissimo potere criminale, rappresentata da un oggettivo forte elemento di preoccupazione per la sicurezza pubblica a prescindere dalla condotta dell’interessato non potendosi escludere che le armi stesse possano entrare nella materiale disponibilità di persone socialmente pericolose ed usate per fini illeciti”;

2) sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria in data 3/6/2008 per la violazione dell’art. 648 c.p.

4.2. Ritiene il Collegio di dover rilevare che, con sentenza n. 137 del 6 marzo 2014, questo Tribunale ha rigettato il ricorso proposto dall’odierno ricorrente avverso il decreto prefettizio prot. 5062/W/2012/D.D.A./area I bis – 40675/W/2012 del 17 luglio 2012, ritenendo che la motivazione ivi contenuta, “letta anche alla luce delle dettagliate risultanze che emergono dal rapporto reso in data 26 giugno 2012 dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria sia coerente e logica, non potendosi escludere la sussistenza del dubbio circa un uso improprio delle armi da parte di persone pregiudicate o comunque socialmente pericolose vicine al ricorrente in virtù dei dedotti rapporti di parentela.

In particolare la relazione del Comando Provinciale dei Carabinieri dà atto della circostanza che nei confronti del signor P V è stata emessa nel 2008 sentenza di condanna per il delitto di cui all’art. 648 c.p. e che lo stesso ha rapporti di parentela con i più noti esponenti della consorteria criminale Condello-Imerti- Fontana in quanto cugino di Pasquale Condello (soprannominato “il supremo”) nonché di Vazzana Francesco e Vazzana Andrea, tutti pregiudicati per gravi reati contro l’ordine pubblico. La rete di legami familiari nonché la sussistenza di precedenti penali rappresentati dalla citata sentenza di condanna per il reato di ricettazione, sono stati ritenuti dall’Amministrazione idonei ad integrare il presupposto di pericolo per la pubblica sicurezza in un contesto sociale in cui non è improbabile che chi abbia necessità di rifornirsi di armi possa vantare diritti morali sui membri del nucleo familiare, sebbene si tratti di persone estranee al sodalizio criminoso (cfr Tar Reggio Calabria sent N. 226/03;
Tar Catania sent. N. 392/10;
Tar Palermo sent. N. 1978/99)”.

4.3. La Sezione ritiene che tali circostanze siano tali da supportare in modo altrettanto coerente e logico anche il provvedimento di rigetto dell’istanza di riesame, oggetto dell’odierna impugnativa, non avendo parte ricorrente addotto alcun elemento tale da giustificarne il superamento e tale da escludere la sussistenza del dubbio circa un uso improprio delle armi da parte di persone pregiudicate o comunque socialmente pericolose vicine al ricorrente in virtù dei dedotti rapporti di parentela.

5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono, dunque, poste a carico del ricorrente nella misura fissata in dispositivo.

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