TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2022-12-05, n. 202216214
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Pubblicato il 05/12/2022
N. 16214/2022 REG.PROV.COLL.
N. 06112/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6112 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato E P V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Machiavelli, 25;
contro
MINISTERO DELL'INTERNO, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento di rigetto della domanda di concessione della cittadinanza italiana - (prot. K10/404708, del 3 febbraio 2016);
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2022 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in esame il ricorrente, cittadino del -OMISSIS- e residente in Italia da diversi anni, ha domandato l’annullamento del decreto n. K10/404708, del 3 febbraio 2016, con il quale il Ministero dell’interno ha rigettato la sua richiesta di concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f) , della legge n. 91 del 1992.
Le ragioni del diniego, quali delineate dal provvedimento impugnato, risiedono nel contenuto di un rapporto informativo proveniente dalla Questura di -OMISSIS-, nel quale si rilevava che l’interessato aveva a proprio carico due vicende penali, consistenti l’una nell’avvenuta emissione di un decreto penale, emesso in data 3 ottobre 2007 dal Tribunale di -OMISSIS- per il reato di cui all’art. 17 del r.d. n. 773 del 1931 (in riferimento alle previsioni dell’art. 7 del decreto-legge n. 144 del 2005, convertito in legge n. 155 del 2005: nella specie, si trattava della condotta di mancata registrazione dei dati anagrafici dei clienti di un internet-point ), e l’altra nella avvenuta emissione di una sentenza di condanna ormai irrevocabile, emessa sempre dal Tribunale di -OMISSIS- in data 7 aprile 2010, per il reato di cui all’art. 12 del decreto-legge n. 143 del 1991, convertito in legge n. 197 del 1991 (utilizzo indebito di carta di credito altrui). Nonostante le osservazioni formulate, in corso di procedimento, dall’istante (il quale aveva preannunziato la sua intenzione di chiedere l’estinzione del reato per il quale era stata pronunziata sentenza, ed aveva evidenziato di aver sempre tenuto una buona condotta e di essersi pienamente inserito nel contesto sociale), l’amministrazione ha ritenuto – per quanto più rileva in questa sede – che “ non è in atto possibile prevedere la durata del procedimento per l’estinzione di cui sopra ” e che i reati menzionati “ evidenziano una tendenza ad ignorare sistematicamente le leggi e le istituzioni in generale e sono indice di una persistente inaffidabilità […] e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile anche dal rispetto delle norme penali e di civile convivenza ”.
Nel ricorso sono sollevati i motivi di violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 91 del 1992, di eccesso di potere per insufficiente ed inadeguata motivazione e di manifesta illogicità. Secondo il ricorrente, l’amministrazione si sarebbe basata solo sulle risultanze del casellario giudiziale, senza dovutamente approfondire la condotta di vita del richiedente, e non avrebbe considerato il fatto che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, la condotta per la quale il Tribunale di -OMISSIS- ha emesso il decreto penale non costituisce più un illecito. La conseguente richiesta di estinzione del reato, avanzata dall’interessato, è stata accolta dal Tribunale di -OMISSIS- con ordinanza del 7 gennaio 2016. Ne deriverebbe il complessivo difetto di istruttoria in cui sarebbe incorsa l’amministrazione, che non avrebbe correttamente valutato l’assenza di inclinazione a delinquere del ricorrente, anche con riguardo ai fatti che hanno condotto alla condanna del 2010, fatti dai quali sarebbe evidente la buona fede del medesimo. In definitiva, secondo il ricorrente, la pur ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione nella concessione della cittadinanza italiana non potrebbe prescindere dalla valutazione della gravità delle vicende penali considerate, nell’ambito di un’adeguata istruttoria procedimentale.
Con successiva memoria, depositata il 22 dicembre 2021, il ricorrente ha inoltre riferito di aver ottenuto la riabilitazione per entrambe le condanne esistenti a suo carico, e ha depositato, a riprova, l’ordinanza di riabilitazione emessa dal Tribunale di sorveglianza di Bologna del 13 novembre 2018, n. 5116.
2. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, provvedendo al deposito di documenti (tra i quali, una relazione sui fatti di causa predisposta, in data 15 gennaio 2022, dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero stesso).
3. Alla pubblica udienza del 14 ottobre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
4. Il ricorso non è fondato.
Questa Sezione è costante nel ribadire che il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91 del 1992, ai sensi del quale la cittadinanza “ può ” essere concessa ( ex plurimis , di recente, TAR Lazio, Roma, questa sez. V- bis , sentenze n. 2943, n. 2944, n. 2947, n. 3018, n. 3471, n. 5130 e n. 13901 e n. 13910 del 2022).
La valutazione così rimessa agli uffici si riferisce, in particolare, al definitivo inserimento del richiedente all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni di ordine politico-amministrativo. Si tratta, infatti, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, ad. gen., parere n. 9 del 1999;sez. IV, decisioni n. 798 del 1999, n. 4460 del 2000 e n. 195 del 2005;sez. I, decisione n. 1796 del 2008;sez. VI, sentenza n. 3006 del 2011;Sez. III, sentenze n. 6374 del 2018, n. 1390 del 2019 e n. 4121 del 2021;TAR Lazio, Roma, sez. II- quater , sentenze n. 10588 e n. 10590 del 2012, n. 3920 e n. 4199 del 2013).
L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale, mirandosi, ad un tempo, a perseguire la tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale e del rispetto dell’identità nazionale: onde la particolare delicatezza della valutazione rimessa al Ministero dell’interno.
In questo quadro, pertanto, l’amministrazione è chiamata a verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile (cfr., tra le tante, di recente, TAR Lazio, Roma, questa sez. V- bis , sentenze n. 13911 e n. 15944 del 2022). La concessione della cittadinanza – come questa Sezione non ha mancato di rilevare – rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione del nuovo status giuridico (così, da ultimo, TAR Lazio, Roma, questa sez. V- bis , sentenze n. 13901 e n. 13910 del 2022 ).
In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , di questa Sezione, sentenze n. 2945, n. 13170 e n. 15944 del 2022;cfr., inoltre, anche TAR Lazio, Roma, sez. I- ter , sentenze n. 3227 e n. 12006 del 2021;sez. II- quater , sentenza n. 12568 del 2009;Cons. Stato, sez. III, sentenze n. 4121 del 2021, n. 7036 n. 8233 del 2020, n. 7122, n. 2131 e n. 1930 del 2019, n. 657 del 2017 e n. 2601 del 2015;sez. VI, decisioni n. 3103 del 2006 e n. 798 del 1999).
Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole. Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino. Il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , da ultimo, della Sezione, sentenze n. 13901 e n. 13910 del 2022, ed ivi altri precedenti menzionati).
Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso. L’amministrazione ha infatti valutato, in maniera non manifestamente illogica, la situazione del ricorrente, risultando a carico di quest’ultimo due precedenti penali che ben possono rappresentare un indice sintomatico di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano.
Quanto al primo addebito è stato già chiarito (TAR Lazio, questa sez. V- bis , sentenza n. 7813 del 2022) che: “A maggior ragione ove sia in gioco la sicurezza dello Stato stesso e di altri Stati, come nel caso delle misure di contrasto del terrorismo internazionale, introdotte dal DL 144/2005. Tale è il fatto commesso dal ricorrente, che è stato condannato nel 2012 per violazione dell’obbligo di identificazione e registrazione dei clienti cui veniva offerto l’accesso alla connessione internet posto a carico dei gestori degli esercizi pubblici di connessione dall’art. 7 del D.L. 144/2005. Non giova al ricorrente opporre che si tratta di una mera contravvenzione e che è intervenuta - peraltro solo a decorrere dal 1° gennaio 2012 - la depenalizzazione della violazione dell’obbligo di licenza del Questore per internet ad opera del DL 216/2011 (conv. In Legge 14/2012), dato che ciò non vale ad elidere la rilevanza della condotta, sul piano del “fatto storico”, al fine di formulare il giudizio prognostico sull’inserimento dello straniero nella Comunità nazionale, A tal fine la violazione delle norme soprarichiamate, seppure non particolarmente gravi sotto il profilo sanzionatorio penale, rivelano, ai fini della concessione della cittadinanza italiana, una scarsa aderenza ai valori della comunità (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. Il quater, 15 aprile 2015, n. 5554), e, nella fattispecie, ancor minore interesse per la concessione dello status civitatis ove non anche scarsa considerazione degli obblighi che si accompagnano a detta concessione (v. in tal senso Tar Lazio, sez. I ter, n. 5708/2019). In tale prospettiva risulta irrilevante la natura di delitto di contravvenzione del reato, ovvero l’eventuale intervento di una legge di depenalizzazione dello stesso, dato che ciò non elimina il “fatto storico” della commessa violazione che deve essere valutato non al fine di irrogare una pena, “bensì sotto il diverso profilo dell'interesse pubblico del Paese ospite ad accogliere chi lo ha commesso tra i propri cittadini;valutazione che implica anche l'opportunità di evitare di inserire tra questi chi, con la propria condotta, non mostri di condividere alcuni valori dell'ordinamento giuridico ritenuti meritevoli di tutela”, per cui occorre considerarne la “significatività” sotto il profilo della valutazione del grado di integrazione raggiunto e della formulazione del giudizio prognostico sull’utile inserimento nella Comunità nazionale, ai fini della decisione sull’opportunità di concedere la cittadinanza (cfr., tra tante, Tar Lazio, sez. II quater, n. 6616/2015). In tale ottica, l’Amministrazione può legittimamente attribuire un valore diverso a reati puniti con pene lievi in quanto deve considerali, nel loro inquadramento complessivo, per la loro “sintomaticità” ai fini sopra indicati, e, in tale prospettiva funzionale, per l’eventuale conseguenza della concessione della cittadinanza sotto il profilo di agevolare la commissione di reati e/o dell’inserimento del soggetto in una rete facente capo ad gruppi criminali che sfruttino la rete internet per organizzare attività terroristiche internazionali (come, appunto, avveniva in passato, quando ancora non erano disponibili, sul piano tecnologico, metodi alternativi di collegamento internet più comodi e sicuri rispetto agli internet point) ”.
Quanto al secondo addebito, questo TAR, pur riconoscendo il minore peso a carico dell’intera collettività della condotta afferente a reati contro il patrimonio, ha comunque ritenuto non irragionevole la sua considerazione sfavorevole, ai fini delle valutazioni sull’accoglimento dell’istanza di cittadinanza italiana demandate all’Autorità procedente, che l’abbia presa in considerazione quale “indicatore” sotto il profilo della significatività in termini di mancata adesione ai valori di “solidarietà” che ci si aspetterebbe da chi aspira a divenire concittadino (cfr. TAR Lazio. sez. I- ter , n. 3543/2021, nonché, da ultimo, TAR Lazio, questa sez. V- bis , n. 7951 del 2022;cfr., più in generale, quanto al disvalore attribuito dall’ordinamento giuridico all’“indebito utilizzo” di una carta di credito, la fattispecie incriminatrice già prevista dall’art. 55, comma 5, del d.lgs. n. 231 del 2007, e ora confluita nell’art. 493- ter c.p., che stabilisce una pena detentiva superiore, nel massimo edittale, a tre anni, sicché tale fattispecie rientra tra i reati automaticamente ostativi, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera b , della legge n. 91 del 1992, come da consolidata giurisprudenza in materia).
E ciò, coerentemente all’indirizzo accolto da questo TAR, secondo cui ai fini della valutazione in ambito amministrativo della condotta e dell’inserimento sociale dell’interessato, “le valutazioni volte all’accertamento di una responsabilità penale si pongono su di un piano assolutamente differente e autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo, con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possano valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali penali” ( ex multis , TAR Lazio, Roma, sez. I- ter , sentenze n. 10323 del 2021, n. 3345 del 2020, n. 347 del 2019 e n. 6824 del 2018;sez. II, sentenza n. 1833 del 2015).
In ogni caso, il comportamento delittuoso dell’istante, nonostante l’intervenuta estinzione del reato, rimane valutabile come fatto storico e, quindi, può essere ragionevolmente considerato come indicativo di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e civili e tale da giustificare il diniego di riconoscimento della cittadinanza italiana (così, da ultimo, anche sentenze n. 13901 e n. 13910 del 2022, citt.).
Deve infine aggiungersi che alcun rilievo può attribuirsi alla circostanza, da ultimo documentata dal ricorrente, dell’intervenuta riabilitazione per entrambi i reati. A prescindere dal fatto che la riabilitazione è stata pronunciata nel 2021, quindi successivamente all’adozione del provvedimento in questa sede gravato (cfr., della Sezione, la sentenza n. 8308 del 2022), deve qui ribadirsi – con il costante orientamento della Sezione – che l’amministrazione, in sede di valutazione della domanda di cittadinanza, è chiamata, comunque, a prendere in considerazione il “fatto storico” per il particolare valore sintomatico che esso può assumere in quel procedimento, in disparte gli effetti che la riabilitazione dispiega sul piano strettamente penale (in tal senso, tra le tante, di recente, TAR Lazio, Roma, questa sez. V- bis , sentenze n. 8749, n. 8751 e n. 9291 del 2022).
4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono da liquidarsi in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.