TAR Bari, sez. III, sentenza 2015-05-14, n. 201500730

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. III, sentenza 2015-05-14, n. 201500730
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201500730
Data del deposito : 14 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00766/2013 REG.RIC.

N. 00730/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00766/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 766 del 2013, proposto da:
E C, L M A R, V C, rappresentati e difesi dall'avv. N Mti, con domicilio eletto presso l’Avv. Raffaele Gargano in Bari alla via P. Amedeo n. 190;

contro

Comune di Sannicandro Garganico, rappresentato e difeso dall'avv. Michele D'Avolio, con domicilio eletto presso l’Avv. Mauro Gargano in Bari alla via Putignani n.7;

per l'annullamento

del diniego del permesso di costruire emesso in data 27/3/13 n. prot. 00140000, nonché della delibera del Commissario Straordinario n. 23/2013 del 13/3/2013 e degli atti presupposti, connessi e consequenziali (tra cui il parere del 26/3/2013 a firma del responsabile del servizio urbanistica e la proposta di delibera);

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sannicandro Garganico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2015 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori Nicola Gargano e MIchele D'Avolio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato il 3/6/2013, i ricorrenti in epigrafe indicati espongono:

- di essere proprietari di un vecchio edificio residenziale sito in Sannicandro Garganico;

- di aver inoltrato al Comune in data 30/11/2011 istanza di permesso di costruire, avente ad oggetto la demolizione e ricostruzione del predetto edificio;

- che in data 27/3/2013 il Comune ha emanato atto definitivo di diniego, motivato con riferimento al mancato rispetto delle altezze previste dalle NTA del vigente PdF.

I ricorrenti (evidenziato che il contrasto tra il progetto e le NTA è conseguenza dell’intervenuto annullamento - ad opera della delibera commissariale n. 23/2013 - della delibera di C.C. n. 43/2009, che prevedeva la possibilità di utilizzare “altezze massime determinate in funzione dell’effettivo aumento volumetrico previsto dalla L.R. 14/2009”) impugnano il predetto diniego, unitamente al parere su cui si fonda ed alla delibera commissariale di annullamento della delibera di C.C., conosciuta solo unitamente al diniego, sulla scorta dei seguenti motivi:

A) quanto alla delibera commissariale:

1) violazione dell’art. 21 nonies l. n. 241/90, non recando essa motivazione sulla sussistenza dell’interesse pubblico all’annullamento della delibera di C.C., adottata quattro anni addietro;

2) falsa applicazione dell’art. 1 della direttiva VAS 42/2001/CE e d. l.vo n. 152/2006: mancata indicazione della norma (asseritamente violata) che impone la trasmissione della delibera al servizio urbanistico della Regione Puglia;
erroneamente, inoltre, il Commissario avrebbe ritenuto necessario che la delibera consiliare – contenendo una variante urbanistica - fosse sottoposta a VAS siccome implicante significativi effetti sull’ambiente, mancando l’individuazione del caso specifico in ipotesi ricorrente (tra quelli previsti dalla direttiva). In ogni caso, la delibera consiliare non sarebbe qualificabile né come atto di pianificazione né come atto incidente sulla destinazione d’uso dei suoli (ipotesi ex art. 3 co. 2 direttiva);
ed invero, limitandosi alla modifica di un solo parametro edilizio (altezza massima) per le zone B, non costituisce variante urbanistica o, al più, introduce una modifica minore da sottoporre a VAS solo in caso di “significativa incidenza” sull’ambiente.

3) violazione del principio del contrarius actus : annullando una delibera contenente una variante urbanistica, la delibera commissariale avrebbe dovuto seguire l’iter procedimentale previsto per l’approvazione di una variante;

4) violazione dell’art. 7 l. 241/90.

B) quanto al diniego del permesso di costruire:

1) invalidità derivata dall’illegittima delibera commissariale;

2) violazione dell’art. 10 bis l. n. 241/90, con conseguente privazione della possibilità per i ricorrenti di apportare modifiche al progetto tali da renderlo assentibile;

C) per entrambi gli atti: eccesso di potere per carenza dei presupposti e violazione dell’art. 134 TUEL: la delibera commissariale è stata pubblicata sull’albo pretorio on line mancante di una pagina;
in ogni caso essa non era ancora efficace per mancato decorso del previsto termine legale di giorni dieci alla data di adozione del gravato diniego, non potendo, pertanto, costituirne presupposto. Tale motivo è stato da ultimo rinunciato.

Sulla base di tali premesse, i ricorrenti chiedono la caducazione degli atti in epigrafe indicati e l’accertamento della sussistenza del diritto all’ottenimento del PdC alla data del 28/1/2013 (data di deposito delle richieste integrazioni) e, in subordine, il riesame della pratica edilizia.

Il Comune si è costituito resistendo alla domanda e deducendo, in particolare:

- che l’annullamento della delibera di C.C. era atto doveroso, siccome la stessa era affetta da un vizio procedurale che ne determinava la sostanziale inesistenza;
peraltro, l’invocato art. 21 nonies l. n. 241/90 non sarebbe applicabile nel caso in esame, non venendo in rilevo alcun provvedimento destinato ad incidere sulla sfera giuridica di uno specifico destinatario;

- la trasmissione della delibera di C.C. alla Regione è prevista dall’at. 55 l.r. 56/80.

All’udienza del 9/4/2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

Esigenze di chiarezza consigliano di illustrare sinteticamente il punto nodale della controversia.

1) la L. R. Puglia n. 14 del 30.07.2009 recante “Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale”, stabilisce:

- all’art. 4 co. 3: “ Gli interventi di ricostruzione devono essere realizzati nel rispetto delle altezze massime e delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici. In mancanza di specifica previsione in detti strumenti, si applicano altezze massime e distanze minime previste dal d.m. lavori pubblici 1444/1968 ”;

- al comma 2 dell’art. 6: “ I comuni, con deliberazione del consiglio comunale da adottare entro il termine di sessanta giorni, a pena di decadenza, dalla entrata in vigore della presente legge, possono disporre motivatamente:

[..omissis ..]

c) la definizione di parti del territorio comunale nelle quali per gli interventi di cui agli articoli 3 e 4 della presente legge possono prevedersi altezze massime e distanze minime diverse da quelle prescritte dagli strumenti urbanistici vigenti ”;

2) con delibera del C.C. n. 43/2009 è stata prevista per gli interventi di cui agli artt. 3 e 4 l. r. 14/2009 in zona omogenea B di completamento la possibilità di utilizzare “ altezze massime determinate in funzione dell’effettivo aumento volumetrico previsto dalla L.R. 14/2009 ”;

3) con successiva delibera commissariale n. 23/2013 (impugnata) è stata annullata la delibera consiliare di cui innanzi;

4) tale annullamento ha determinato la “reviviscenza” delle NTA del vigente PdF con riferimento alle altezze massime e, dunque, il diniego del permesso di costruire richiesto dai ricorrenti per contrasto tra le altezze “progettate” e quelle consentite.

Tanto premesso, giova preliminarmente vagliare i motivi di ricorso relativi alla delibera commissariale, aventi priorità logica rispetto al gravato diniego di PdC, stante la lamentata illegittimità (anche) derivata di quest’ultimo.

Tale atto si rivela illegittimo, per violazione dell’onere motivazionale imposto dall’art. 21 nonies l. 241/90.

Nel caso in esame, il Commissario si è limitato, infatti, ad evidenziare taluni profili di illegittimità “formale” della delibera consiliare annullata che – a prescindere dalla loro fondatezza - non sono da soli sufficienti a sorreggerne l’annullamento, ove ad essi non si accompagni, quantomeno, l’individuazione delle ragioni di interesse pubblico che militano per la rimozione dell’atto.

Pur conoscendo il recente approdo giurisprudenziale che limita l’applicazione dell’art. 21 nonies “atteso che si tratta di regole operanti solo allorché l’Amministrazione rimuova un atto concreto che ha attribuito ad uno o più soggetti determinati uno specifico beneficio e non, invece, quando ad essere abrogati siano atti normativi” (TAR Toscana, sez. 3, sent. 10/3/2015 n. 389), non ravvisa il Tribunale ragioni idonee a far ritenere che in ipotesi di annullamento di una delibera di C.C. di contenuto generale si versi al di fuori delle coordinate tracciate dall’art. 21 nonies: manca, infatti, nella legge 241/90 una norma che espressamente sottragga gli atti normativi, amministrativi generali e di pianificazione ai principi dell’autotutela, così, come, ad esempio disposto in tema di partecipazione (ex art. 13) e accesso (art. 24 co. 1 lett. C).

Nel caso in esame, poi, necessita dare conto delle prescrizioni ricavabili dalla normativa regionale: la L. R. n. 14 del 30.07.2009 reca “Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale”.

Come già visto, il comma 2 dell’art. 6 stabilisce: “ I comuni, con deliberazione del consiglio comunale da adottare entro il termine di sessanta giorni, a pena di decadenza, dalla entrata in vigore della presente legge, possono disporre motivatamente: [..omissis ..] c) la definizione di parti del territorio comunale nelle quali per gli interventi di cui agli articoli 3 e 4 della presente legge possono prevedersi altezze massime e distanze minime diverse da quelle prescritte dagli strumenti urbanistici vigenti ”.

È lo stesso legislatore regionale ad imporre, quindi, che l’ente supporti la deroga con adeguata motivazione, che non può prescindere dagli interessi pubblici e privati coinvolti dall’ agere amministrativo nel caso concreto. Lo stesso onere motivazionale non può, pertanto, non imporsi anche alla delibera che, in autotutela, intervenga a rimuovere tale “motivata” deroga (in omaggio al principio del contrarius actus ). La lettura delle due delibere de quibus (quella consiliare e quella commissariale che l’ha poi annullata) rivela che la prima è dotata di un corredo motivazionale incentrato sull’interesse pubblico perseguito (con specifico richiamo agli obiettivi del sostegno all’attività edilizia e del rinnovo del patrimonio edilizio comunale) del tutto assente nella seconda.

Sulla necessità di un’espressa motivazione in ordine alla ricorrenza di esigenze di interesse pubblico per l’eventuale esercizio del potere di autoannullamento si è di recente espressa questa Sezione (sent. 29/1/2015 n. 156), proprio per sostenere l’illegittimità di una delibera di C.C. intervenuta a modificare quanto già stabilito in una precedente delibera in attuazione proprio dell’art. 6 co. 2 L.R. 14/2009.

Fondato è anche il motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 10 bis della l. 241/1990 e s.m.i. in relazione all’adozione del diniego di PdC.

Tale censura risulta puntualmente formulata da parte ricorrente non soltanto con riferimento al mero profilo della violazione formale, bensì nella sua sostanziale articolazione, nel senso che i ricorrenti hanno evidenziato in sede giurisdizionale tutte le concrete ragioni che avrebbero avuto diritto di dedurre in sede di contraddittorio e di osservazioni nell’ambito del sub procedimento di cui al citato art. 10 bis;
non va, infatti, sottaciuto che il potere vincolato che il Comune esercita nel corso del procedimento per il rilascio di un PdC affonda le sue radici, nel caso in esame, proprio nella delibera commissariale gravata. La quaestio iuris della legittimità di tale delibera (la cui adozione ha inciso su uno dei parametri edilizi da rispettare per l’edificazione) avrebbe potuto essere discussa in sede procedimentale prima dell’approdo in quella giurisdizionale.

Né alcuna delle note del Comune contenenti richieste di integrazioni documentali potrebbe tener luogo dell’omessa comunicazione ex art. 10 bis, riferendosi quelle al distinto profilo della volumetria assentibile;
risulta ex actis che il “motivo ostativo” costituito dal mancato rispetto delle altezze massime è emerso solo per effetto dell’annullamento della delibera di C.C. del 2009 a mezzo della delibera commissariale del marzo 2013, successiva alla corrispondenza tra il Comune e i richiedenti, risalente al periodo febbraio/agosto 2012 (cfr. docc. 18 e ss. produzione parte resistente).

Né, infine, l’Amministrazione in questa sede ha fornito prova idonea a supportare l’applicabilità alla fattispecie in esame del disposto di cui all’art. 21 octies l. 241/1990. Ed invero, pur trattandosi di un provvedimento avente natura vincolata, non sussiste l’immediata palese evidenza che il contenuto dispositivo dello stesso non avrebbe potuto essere diverso alla stregua delle osservazioni degli interessati, avuto riguardo alla natura dei profili tecnico-giuridici in gioco come risultanti dalle deduzioni processuali delle parti.

Per le suesposte considerazioni, assorbiti i restanti motivi di ricorso, la domanda va accolta, con consequenziale annullamento degli atti gravati.

Quanto all’azione di accertamento del diritto all’ottenimento del permesso di costruire, il Collegio ritiene di non discostarsi dall’orientamento già espresso da questa Sezione secondo cui la domanda risulta inammissibile “in quanto ipotesi non ricompresa tra quelle previste in via tassativa dall’ordinamento processuale (dall’art. 31 commi 1, 2, 3;
31 comma 4;
34 comma 1 lett. c;
34 commi 3 e 5;
114 comma 4 c.p.a.), che non prevede un’azione generale di accertamento, bensì solo ipotesi tipizzate e tassative. Trattasi pertanto di domanda del tutto atipica ed estranea all’ambito delle azioni ammesse nel giudizio amministrativo e, in quanto tale, inammissibile” (Tar Bari, sez. 3, sentt. 18/4/13 n. 588 e 5/2/14 n. 173). Né può essere trascurata la circostanza che il potere amministrativo in questione risulta connotato da margini – seppur minimi - di discrezionalità e dalla necessità di vagliare aspetti tecnici ulteriori rispetto a quelli di “mera” portata edilizia/urbanistica, ostativi ad un intervento “sostitutivo” dell’A.G.

Le spese seguono la soccombenza.

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