TAR Napoli, sez. III, sentenza 2020-05-20, n. 202001896
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Pubblicato il 20/05/2020
N. 01896/2020 REG.PROV.COLL.
N. 01217/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1217 del 2016, proposto da
M R A, rappresentata e difesa dagli avvocati O A, M N, R T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Napoli, viale Gramsci, 16;
contro
Comune di Ercolano, in persona del Sindaco pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato N M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Napoli, piazza Trieste e Trento, 48 (presso lo studio dell’avvocato L R);
per l'annullamento
dell'ordinanza n. 76 del 19/11/2015, concernente la demolizione di opere abusive realizzate in Ercolano alla via Vesuvio n. 49, del verbale di accertamento in data 2/4/2007 nonché degli atti presupposti, connessi e conseguenti;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ercolano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza di smaltimento del giorno 12 maggio 2020 il dott. G D V in collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 84, comma 6, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, senza discussione orale e sulla base degli atti, come previsto dal comma 5 della citata norma;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Sig.ra Alvino Maria Rosaria premette di essere comproprietaria, unitamente ai propri germani, di un fondo agricolo in Ercolano (NA) via Vesuvio 49, piano delle Ginestre, allibrato in catasto al Foglio 9, particella 194, detenuto dai componenti della famiglia Cozzolino – Veneruso che impediscono l’accesso e con i quali pende un contenzioso presso il tribunale ordinario per l’accertamento della presunta usucapione da parte degli aventi causa.
Espone che in data 19 gennaio 2016 ha ricevuto la notifica dell’ordinanza di demolizione n. 76/2015 emessa ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001 (interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità) con cui il Comune di Ercolano ha contestato l’abusiva realizzazione di opere edili su un manufatto oggetto di domanda di condono.
Avverso tale provvedimento insorge la ricorrente che affida il gravame ai seguenti motivi di diritto: violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 e della L. n. 241/1990, violazione dei principi del giusto procedimento, trasparenza, imparzialità e pubblicità dell’azione amministrativa, violazione dei principi di affidamento, buona fede e correttezza, eccesso di potere, sviamento, erroneità dei presupposti, erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità, carenza e irragionevolezza della motivazione, violazione dell’art. 97 della Costituzione.
Conclude con le richieste di accoglimento del ricorso e di conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Si è costituito in giudizio il Comune di Ercolano che assume la legittimità dell’azione amministrazione e chiede conclusivamente il rigetto del gravame.
All’udienza del 12 maggio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con un primo ordine di rilievi l’istante afferma di essere estranea all’abuso edilizio posto in essere dagli attuali detentori del fondo e, pertanto, sostiene che l’esecuzione in danno dell’ordine di demolizione e la refusione delle eventuali spese sostenute dall’ente locale per il ripristino dello stato dei luoghi dovrebbe ricadere unicamente sui secondi, così come disposto dall’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001. A sostegno di tale ermeneutica osserva che, oltre ad essere estranei all’illecito edilizio, i comproprietari del fondo non avrebbero neppure la possibilità di accedere al fondo per provvedere all’esecuzione dell’ordine di ripristino, visto che esso è nella disponibilità dei detentori i quali impediscono l’ingresso e con i quali pende giudizio civile innanzi al tribunale ordinario. Precisa che il proprio interesse non è quello di evitare l’abbattimento – al quale anzi dichiara di avere interesse - ma gli effetti patrimoniali conseguenti alla esecuzione in danno, nell’eventualità che non vi adempiano i responsabili dell’abuso;pertanto, chiede un accertamento giudiziale in ordine alla propria impossibilità di adempiere all’ordine di ripristino impartito dall’ente locale e si duole che l’ordinanza sia stata erroneamente notificata anche a sé, in qualità di comproprietaria estranea all’illecito edilizio.
In accoglimento della sollevata eccezione, va dichiarata l’inammissibilità delle censure.
Invero, parte ricorrente si duole dell’eventuale applicazione nei propri confronti delle spese occorrenti per la demolizione dell’opera e per la rimozione e trasporto dei materiali demoliti in caso di inottemperanza dell’ingiunzione demolitoria da parte dei responsabili dell’abuso.
Tuttavia, allo stato non risulta che detto abbattimento sia stato eseguito né che sia stata adottata alcuna ingiunzione di pagamento, avverso cui l’istante potrà proporre autonomo gravame. In altri termini, non è ravvisabile alcun concreto pregiudizio derivante dalla notifica dell’atto e quindi non sussiste allo stato l’interesse concreto ed attuale a ricorrere ex art. 100 c.p.c. con conseguente inammissibilità del gravame ex art. 35, comma 1, lett. b) del c.p.a.
A tale proposito, non giova il richiamo al precedente ricorso proposto dalla medesima ricorrente in analoga fattispecie (R.G. n. 4221/2015), accolto da questo T.A.R. con sentenza n. 1174/2016. Difatti, quel giudizio aveva ad oggetto una ingiunzione al pagamento degli oneri di ripristino sostenuti dall’amministrazione per l’esecuzione di una demolizione in presenza di abuso per il quale veniva rilevata l’estraneità della ricorrente. Viceversa, nella causa in esame, come si è visto, allo stato non si è concretizzata l’esecuzione dell’impugnata ordinanza demolitoria e non è stato richiesto alla ricorrente il pagamento degli oneri di abbattimento del manufatto.
Con ulteriori motivi di gravame la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 33 del D.Lgs. n. 267/2000 che, al comma 2, prevede la c.d. fiscalizzazione dell’abuso qualora non sia praticabile la demolizione;al riguardo lamenta che il Comune non avrebbe svolto alcuna attività istruttoria per verificare la praticabilità di soluzioni alternative alla riduzione in pristino. Ancora, deduce il difetto di motivazione per presunta mancata specificazione delle opere abusive da abbattere e di quali porzioni insistano sul suolo della ricorrente, nonché l’omessa comunicazione di avvio del procedimento e l’errata indicazione della data di inizio dell’esecuzione in danno (16 marzo 2015), siccome antecedente alla notifica del provvedimento effettuata il 19 gennaio 2016.
Le deduzioni non hanno pregio.
L'ingiunzione a demolire costituisce, anche rispetto alla fattispecie di cui all' art. 33, D.P.R. n. 380 del 2001, la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo e sanzionatorio. La norma in questione individua, infatti, come soluzione prioritaria, proprio quella del ripristino dello stato dei luoghi, a conferma della gravità dell'abuso e dell’imprescindibilità del previo rilascio del titolo edilizio abilitativo. La disposizione prevede al più la possibilità, qualora emergano difficoltà tecniche in sede di esecuzione della demolizione, di irrogare la sanzione pecuniaria. Questa evenienza rileva, tuttavia, solo nella fase esecutiva, sicché la sua assenza nell'ordinanza di demolizione - al pari dell'eventuale presenza circa gli impedimenti tecnici a demolire - non costituisce vizio dell'ordinanza medesima (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, n. 4529/2019).
Va poi respinto il dedotto difetto di motivazione in ragione della puntuale indicazione delle opere di cui si ingiunge l’abbattimento e dei corrispondenti riferimenti catastali, così come la censura riferita alla omessa comunicazione di avvio del procedimento alla luce del consolidato indirizzo pretorio secondo cui l'ordine di demolizione che consegue all'accertamento della natura abusiva delle opere edilizie realizzate costituisce un atto dovuto, pertanto la relativa ordinanza deve essere emanata senza indugio e in quanto tale non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 7872/2019;n. 7872/2019).
Quanto infine alla erronea indicazione della data di inizio dell’esecuzione, alla luce delle deduzioni dell’intimata amministrazione, è evidente che trattasi di mero errore ostativo nella indicazione dell’anno (16 marzo 2015 anziché 2016), sicché deve escludersi qualsiasi rilievo invalidante.
In definitiva, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va dichiarato in parte inammissibile e, per il resto, va rigettato.
Ad una valutazione complessiva della vicenda sostanziale può disporsi la compensazione delle spese processuali tra le parti costituite.