TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2019-06-20, n. 201907989

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2019-06-20, n. 201907989
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201907989
Data del deposito : 20 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/06/2019

N. 07989/2019 REG.PROV.COLL.

N. 09318/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9318 del 2003, proposto da
Società Ginnastica Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A F, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, 7;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. U G, domiciliata presso l’Avvocatura Comunale in Roma, via Tempio di Giove, 21;

per l'annullamento

della determinazione dirigenziale del Comune di Roma (ora Roma Capitale) n. 270 dell’11.06.2003 di demolizione delle opere abusive e di ripristino dello stato dei luoghi in relazione alle opere realizzate senza titolo in via del Muro Torto n. 5 e della determinazione n. 226 del 30.04.2003 di sospensione lavori e di ogni atto presupposto o connesso del procedimento


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2019 la dott.ssa Ofelia Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in epigrafe la Società Ginnastica Roma ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, la determinazione dirigenziale del Comune di Roma (ora Roma Capitale) n. 270 dell’11.06.2003 di demolizione delle opere abusive e di ripristino dello stato dei luoghi in relazione alle opere realizzate senza titolo in via del Muro Torto n. 5 e la determinazione n. 226 del 30.04.2003 di sospensione lavori ed ogni atto presupposto o connesso del procedimento.

Avverso gli atti impugnati la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del DPR n. 380/2001 (ex art. 14 della l.n. 47/1985) in relazione all’art. 36 del DPR n. 380/2001 (ex art. 13 della l.n. 47/1985);
2) eccesso di potere per difetto di istruttoria e per errore e difetto dei presupposti, violazione dell’art. 3 della l.n. 241/1990, violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost.;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 15 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG di Roma, eccesso di potere per difetto di istruttoria e per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del DPR n. 380/2001 (ex art. 14 della l.n. 47/1985), eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea descrizione del preteso abuso edilizio, violazione dell’art. 24 e dell’art. 113 Cost.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Con ordinanza n. 5747/2003 del 18.11.2003 il Tribunale ha accolto la sospensiva.

All’udienza pubblica del 10.05.2019 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

DIRITTO

La Società Ginnastica Roma, associazione sportiva senza scopo di lucro, esercente la sua attività sin dal 1919 in un’area di proprietà del Comune di Roma, assegnatale in concessione, posta a ridosso delle Mura Aureliane, in prossimità di Porta Pinciana, ha lamentato l’illegittimità dei provvedimenti con i quali Roma Capitale le aveva contestato il carattere abusivo di una serie di manufatti realizzati in tale sito (consistenti in “locale distaccato circa cm 80 dalle Mura Aureliane, adibito a ripostiglio di circa mq 11,25 con altezza all’imposta di m. 2,5 e al colmo di m. 3;
locale distaccato di circa 20 cm dalle Mura Aureliane, adibito a palestre pesi, di circa mq 47/50 con altezza all’imposta di m. 2,40 e al colmo 3,20;
locale prefabbricato distaccato di circa un metro dalle Mura Aureliane adibito a locale ristoro di circa mq 45,00 ed altezza all’imposta di circa m. 2,80, da cui, mediante un tunnel di collegamento, si accede ad un’altra struttura reticolare di legno avente funzione di sostegno di piante rampicanti, perimetralmente corredata di teli in PVC pesanti all’uopo utilizzati per chiudere provvisoriamente il manufatto di circa m. 28,60, alto all’imposta 2,15 m e al colmo 2,55 m, utilizzato come pertinenza del locale ristoro e come area ludica per giochi da tavolo;
locale distaccato di circa m. 1,10 dalle Mura Aureliane, adibito a sala riunioni ed ambiente sociale di circa mq 40,00 avente copertura a falde;
piccolo manufatto incastonato tra i bastioni delle Mura Aureliane adibito a volumetria tecnica a falda unica all’imposta di m. 2,50 e al colmo di m. 3,00”), le aveva ordinato l’immediata sospensione dei lavori e le aveva, infine, ingiunto la demolizione di tutti gli immobili privi di titolo.

A sostegno delle sue domande, la ricorrente ha dedotto di aver presentato, in data 17.07.2003, per i manufatti privi di titolo, istanza di rilascio di una concessione edilizia in sanatoria ex art. 36 del DPR n. 380/2001 e che l’Amministrazione Comunale non avrebbe potuto portare ad esecuzione l’ordine di demolizione nelle more della pronuncia su tale istanza di sanatoria;
Roma Capitale sarebbe, altresì, incorsa in difetto di istruttoria e di motivazione, essendo intervenuta “a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dei manufatti contestati (oltre trent’anni per quanto riguarda il locale ristoro ed il locale riunioni ed oltre sessant’anni per le restanti strutture)” senza in alcun modo chiarire, dinanzi all’affidamento ingenerato nella società, l’interesse pubblico attuale alla rimozione degli abusi edilizi e senza tener conto, in particolare, dei servizi resi all’utenza dalla ricorrente (non solo cura dell’attività agonistica degli atleti, ma anche vari servizi a titolo gratuito all’utenza disagiata o ai pazienti in riabilitazione) e del carattere ormai essenziale per tutti i fruitori degli impianti sportivi della presenza all’interno della struttura di uno spazio adibito a ristorante e a locale riunioni.

I provvedimenti impugnati sarebbero, poi, secondo la ricorrente, stati emessi in contrasto con l’art. 15 delle NTA al PRG allora vigente, che classificava la zona in questione come destinata a verde pubblico naturale o attrezzato, e, quindi, come area adibita ad un uso del tutto compatibile con le opere da essa realizzate, sia pure senza titolo, “in quanto le attrezzature sportive … (sarebbero risultate) … ben inserite nel contesto paesaggistico e … (non avrebbero alterato) l’ambiente esistente”.

Nelle determinazioni oggetto di causa non sarebbero, infine, stati indicati chiaramente neppure gli abusi edilizi accertati dall’Amministrazione cosicchè la ricorrente non avrebbe potuto verificare l’iter logico seguito nell’esercizio del potere di disciplina edilizia.

Tali censure sono infondate e devono essere respinte.

La presentazione dell’istanza di accertamento di conformità avanzata dalla ricorrente il 17.07.2003 – che, come riconosciuto da questo Tribunale con sentenza n. 7354/2016, pronunciata su ricorso avverso il silenzio, è stata rigettata tramite provvedimento tacito di diniego ai sensi dell’art. 36 del DPR n. 380/2001 - non rende del tutto inefficace l’ordine di demolizione (come avviene, invece, nel caso di domanda di condono), ma determina esclusivamente la sospensione dell’esecuzione di tale ordine per il tempo necessario all’emissione di un provvedimento espresso o all’integrazione del silenzio-rigetto.

Come affermato dalla costante giurisprudenza amministrativa, infatti, “l’intervenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità non paralizza i poteri sanzionatori comunali e non determina, pertanto, alcuna inefficacia sopravvenuta o invalidità di sorta dell’ingiunzione di demolizione, comportando invece che l’esecuzione della sanzione è da considerarsi solo temporaneamente sospesa. La giustificazione di questo orientamento sta nell’evitare che l’ente locale, in caso di rigetto dell’istanza di sanatoria, sia tenuto ad adottare un nuovo provvedimento di demolizione delle opere abusive, altrimenti finendosi per riconoscere in capo al privato destinatario del provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare attraverso un sostanziale suo annullamento, quel medesimo provvedimento” (Cons. St., Sez. VI, 5.11.2018 n. 6233;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 4.07.2018 n. 4420).

Quanto al preteso difetto di istruttoria e di motivazione sull’attualità dell’interesse pubblico alla demolizione e sull’affidamento maturato dal privato, non può che ribadirsi che “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso (o) il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso…” (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III , 18.02.2019, n. 262;
Consiglio di Stato, Sez. IV , 25.03.2019 , n. 1942).

Irrilevanti risultano, dunque, a tal fine sia le doglianze relative alla mancata presenza nei provvedimenti impugnati dell’esplicitazione delle ragioni alla base dell’ordine di demolizione, diverse dall’abusività delle opere, sia le argomentazioni svolte in rapporto ai servizi resi dalla ricorrente in favore della collettività o di utenze disagiate o alla pretesa compatibilità dei manufatti realizzati con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie della zona, comunque vincolata.

Dinanzi al rigetto tacito dell’istanza presentata dalla ricorrente ex art. 36 DPR n. 380/2001, non impugnato, la Società Ginnastica Roma non ha, in verità, in nessun modo dimostrato la doppia conformità delle opere de quibus alla disciplina urbanistica ed edilizia, al momento della loro realizzazione e al momento della loro valutazione da parte dell’Amministrazione.

I manufatti, edificati tutti, in ogni caso, per ammissione della stessa ricorrente, in un periodo in cui era già necessario, sul territorio di Roma Capitale, il rilascio di una concessione edilizia, sono, infine, esattamente identificati nella loro posizione e nelle loro dimensioni nel provvedimento impugnato che li distingue nettamente dalle altre opere che compongono gli impianti sportivi, ma che non risultano rilevanti dal punto di vista urbanistico ed edilizio e come tali non sono oggetto dell’ordine di demolizione.

Per le argomentazioni che precedono, inammissibile in quanto non idonea ad apportare elementi utili al giudizio è, infine, la richiesta istruttoria ribadita dalla ricorrente anche all’udienza di discussione, in relazione all’accertamento della effettiva epoca di realizzazione degli immobili.

In conclusione, il ricorso avverso l’ordine di demolizione deve essere, perciò, come detto, rigettato.

Inammissibile per tardività, nonché per difetto di efficacia del provvedimento già al momento della sua impugnazione è, in verità, il ricorso nella parte relativa all’ordine di sospensione lavori che, adottato il 30.04.2003 e notificato il 15.05.2003, alla data della proposizione del gravame (12.09.2003) aveva già perso la sua efficacia, limitata ai sensi dell’art. 27 comma 3 del DPR n. 380 a 45 giorni dalla notifica, per la sua natura cautelare.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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