TAR Roma, sez. I, sentenza 2012-03-27, n. 201202900
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N. 02900/2012 REG.PROV.COLL.
N. 02680/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2680 del 2011, proposto da:
Ida D'Ambrosio, rappresentata e difesa dall'avv. A C, presso lo studio del quale elettivamente domicilia in Roma, via Principessa Clotilde, n.2;
contro
Ministero della giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
nei confronti di
V D C;
per l'annullamento:
del verbale n. 228 del 15.07.2010 della Commissione incaricata della valutazione dei candidati del concorso notarile bandito con DDG 10.04.2008 per la nomina a 350 posti di notaio nel punto in cui ha espresso il giudizio di “non idoneo” nei confronti della ricorrente a seguito della lettura del secondo elaborato (atto mortis causa ) – contrassegnato con il n. 1966 – e non ha esaminato il terzo elaborato;
del verbale della stessa Commissione n. 8 del 23.04.2009 con cui sono stati fissati i “criteri per la valutazione degli elaborati”;
della graduatoria pubblicata nel mese di gennaio 2011 nel punto in cui la ricorrente non risulta essere stata ammessa alle prove orali.
Visto il ricorso;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 7 marzo 2012 il cons. A B e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente ha esposto di aver partecipato al concorso a 350 posti di notaio, indetto dal Ministero della giustizia con decreto 10 aprile 2008, di aver sostenuto le tre prove scritte (atto inter vivos commerciale, atto mortis causa , atto inter vivos civile), e di non esser stata ammessa a sostenere la prova orale, essendo stata dichiarata inidonea all’esito della correzione del secondo elaborato.
La ricorrente ha indi impugnato il predetto giudizio di inidoneità, nonché gli atti correlati indicati in epigrafe, avverso i quali ha dedotto le seguenti censure.
1) Violazione degli artt. 10 e 11 del d. lgs. 166/06 e s.m.i. - Violazione dei criteri ai quali la Commissione si è auto-vincolata - Eccesso di potere per erroneità di presupposto e travisamento dei fatti - Motivazione illogica.
La Commissione sarebbe pervenuta all’esclusione della candidata dalle prove orali a mezzo della limitazione della valutazione ai primi due elaborati, pur in assenza dell’ipotesi eccezionale di commissione di errori gravi prevista dal comma 7 dell’art. 11 del d.lgs. 166/06, che consente di dichiarare l’inidoneità del candidato non valutando tutti gli elaborati dal medesimo prodotti.
Quanto sopra si desumerebbe anche dalla circostanza che la Commissione, oltre a ritenere l’atto mortis causa della ricorrente non idoneo, tanto da non passare alla correzione del terzo elaborato, ha ritenuto di esternare anche gli errori asseritamente riscontrati nel primo, ciò che non sarebbe stato necessario in presenza della ricorrenza dell’ipotesi eccezionale di cui sopra.
2) Illegittimità del verbale del 15 luglio 2010 nel punto in cui la ricorrente non è stata dichiarata idonea per illegittimità dei criteri di cui al verbale n. 8 del 23.4.2009 per violazione degli artt. 10 e 11 del d. lgs. 166/06 - Eccesso di potere per irragionevolezza.
I criteri di valutazione fissati dalla Commissione esaminatrice sarebbero assolutamente generici e inadeguati, essendo in essi del tutto assente l’indicazione della tipologia di errori ed omissioni gravi di cui all’art. 11 comma 7 del d. lgs. 166/06, la cui commissione da parte del candidato consente alla Commissione stessa di non procedere alla lettura dei tre elaborati e di non formulare un giudizio unitario, ovvero sarebbero formulati in modo talmente generico da rendere regola quella che la legge individua come eccezione.
La carenza di parametri valutativi unitari avrebbe permesso alla Commissione di valutare di volta in volta, autonomamente, la gravità o meno delle insufficienze e carenze riscontrate.
3) Violazione dell’art. 11 del d. lgs. 166/06 e s.m.i. - Violazione dei criteri ai quali la Commissione si è auto-vincolata - Eccesso di potere per erroneità di presupposto e travisamento dei fatti - Motivazione illogica - Disparità di trattamento.
Dall’esame delle motivazioni addotte dalla Commissione a sostegno del giudizio negativo reso sugli elaborati della ricorrente, partitamente confutate, emergerebbe che gli stessi non sarebbero affetti dalle gravi carenze riscontrate.
Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico degli atti gravati, la ricorrente ne ha domandato l’annullamento.
L'amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l'infondatezza delle esposte censure, sul rilievo della piena legittimità delle operazioni di correzione degli elaborati e della sufficienza, logicità e congruità della motivazione del giudizio negativo, insindacabile nel suo contenuto valutativo, concludendo per il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie argomentazioni difensive.
Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 7 marzo 2012.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Nell’esame delle censure svolte dalla ricorrente, viene in immediato rilievo la seconda doglianza, diretta avverso i criteri predeterminati dalla Commissione competente per la procedura concorsuale de qua .
Va in primo luogo dato atto che, come anche sostenuto dalla ricorrente, costituisce ineludibile obbligo della Commissione esaminatrice procedere alla (pre)determinazione dei criteri di valutazione, alla stregua di quanto previsto dal comma 2 dell’art. 11 del d .lgs. 166/2006.
Tale adempimento riceve accentuata rilevanza ove la fondamentale disposizione di cui al comma 2 dell’art. 11 venga letta in combinato disposto con la previsione di cui al successivo comma 7, atteso che:
- se è vero che è rimessa all’organo concorsuale la “generale” fissazione dei “criteri che regolano la valutazione degli elaborati”;
- la (consentita) possibilità di escludere un candidato dalla partecipazione alle prove orali, nel caso in cui dal primo o dal secondo elaborato emergano “nullità” o “gravi insufficienze”, postula, con ogni evidenza, che siffatte categorie vengano adeguatamente precisate mediante l’individuazione delle tipologie di “errori” suscettibili di essere ricondotte nell’ambito della generica declaratoria di legge.
In altri termini, alla declaratoria generale dei criteri di valutazione accede l’ulteriore onere della specificazione contenutistica delle fattispecie della “nullità” e della “grave insufficienza”: ovvero di quegli elementi che, in ragione della insuperabile, ovvero accentuatamente grave, presenza di inesattezze, consentano di procedere senz’altro alla esclusione del candidato dalla procedura selettiva.
Nella fattispecie, il modus procedendi seguito dalla Commissione è esplicitato nel verbale del 23 aprile 2009, che contiene la declaratoria dei criteri per la valutazione degli elaborati.
Il predetto organismo ha stabilito che, ai sensi del comma 7 dell’art. 11 del d.lgs. 166/2006, “non si procederà alla lettura del secondo o del terzo elaborato, dichiarando non idoneo il candidato:
a) in caso di nullità, comprese quelle formali, previste dalla legge notarile, dal codice civile o da altre leggi dello Stato;
b) in presenza di una delle seguenti “gravi insufficienze” e precisamente:
- travisamento della traccia o esposizione illogica delle soluzioni prescelte ovvero contraddittorietà tra le soluzioni adottate o tra le soluzioni medesime e le relative motivazioni;
- gravi errori di diritto nella scelta delle soluzioni, nell’illustrazione delle parti teoriche o nella redazione dell’atto notarile;
- mancanza sostanziale delle ragioni giustificative della soluzione adottata o delle argomentazioni giuridiche a supporto dei ragionamenti svolti;gravi carenze della parte teorica anche per omessa trattazione di punti significativi della stessa;
- evidente inidoneità nell’analisi e nella risoluzione dei temi posti nella traccia;
- gravi violazioni di legge nella redazione dell’atto notarile;
- errori di ortografia, grammatica o sintassi”.
Nel soggiungere che “analogamente, il candidato sarà dichiarato non idoneo allorquando le mancanze indicate ai punti a) e b) che precedono dovessero risultare dalla lettura del terzo elaborato”, la Commissione ha altresì proceduto all’individuazione, ai sensi del comma 2 dell’art. 10 del d. lgs. 166/2006, dei criteri “generali” di correzione cui attenersi nella valutazione degli elaborati.
Al riguardo, “premesso che le prove sostenute hanno carattere teorico-pratico e che alcune delle numerose questioni implicate dalle tracce potevano essere risolte attraverso differenziati percorsi argomentativi, la Commissione decide preliminarmente di valutare le soluzioni adottate dai candidati per ciascuna questione teorico/pratica contenuta nella traccia, approvando solo quelle che presentino i seguenti ineliminabili caratteri:
- la soluzione sia logica, plausibile e coerente rispetto al contenuto della traccia;
- la soluzione non violi le norme ed i principi dell’ordinamento giuridico;
- l’elaborato sia coerente con la pratica notarile”.
Tanto osservato, rileva il Collegio che la griglia di valutazione “generale” si dimostra correttamente enucleata attraverso l’individuazione dei criteri sopra riportati;e, quindi, attraverso la verificabilità:
- della rispondenza dell’elaborato alla traccia fornita;
- dell’aderenza delle soluzioni prospettate ai principi e alle norme dell’ordinamento giuridico;
- del rispetto delle tecniche redazionali che assistono la formazione degli atti notarili.
Le macrocategorie come sopra fissate dalla Commissione comprendono, poi, anche le species dal medesimo organismo elaborate con specificità quali tipologie sintomatiche della presenza di “nullità” o “gravi insufficienze”, che impongono l’immediata declaratoria di non idoneità al prosieguo della procedura selettiva.
Può aggiungersi che i suindicati criteri “generali” di valutazione volti ad informare l’apprezzamento del contenuto delle prove al fine di pervenire ad un giudizio di non idoneità reso in esito alla correzione di tutti e tre gli elaborati, ovvero alla graduazione del punteggio nel caso di valutata “idoneità” ai fini dell’ammissione alle prove orali, costituiscono ulteriore parametro di riferimento della valutabilità della fattispecie di cui al comma 7 dell’art. 11 del d.lgs. 166/2006, ovvero della presenza di quelle carenze connotate da insanabile ed accentuata gravità, che la Commissione ha comunque provveduto ad elencare partitamente nella loro tipologia strutturale.
Va, indi, escluso che le determinazioni assunte dalla Commissione nella seduta del 23 aprile 2009 si prestino a fondate censure sotto il profilo della legittimità, e, soprattutto, che le stesse non siano da valutarsi idonee ai fini di orientare uniformemente le operazioni di correzione.
Del resto, come è noto, un consolidato indirizzo giurisprudenziale ha definito l’attività di predeterminazione dei criteri di valutazione frutto dell'ampia discrezionalità amministrativa di cui sono fornite le commissioni esaminatrici per lo svolgimento della propria funzione, conseguentemente escludendo che le relative scelte siano assoggettabili al sindacato di legittimità del giudice amministrativo salvo che non siano ictu oculi inficiate da irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti ( ex pluribus , C. Stato, IV, 27 novembre 2008, n. 5862;8 giugno 2007, n. 3012;11 aprile 2007, n. 1643;22 marzo 2007, n. 1390;17 settembre 2004, n. 6155;17 maggio 2004, n. 2881;10 dicembre 2003, n. 8105;2 marzo 2001, n. 1157).
E poiché tale condizione non è rilevabile nella fattispecie, ove i criteri elaborati dalla Commissione del concorso in esame si rivelano idonei a raggiungere la finalità loro assegnata, nonché chiari, pertinenti ed esaustivi, la censura in esame deve essere respinta.
3. Miglior sorte non merita il primo motivo di doglianza.
Esso consiste, in una prima parte, nell’affermazione che la Commissione avrebbe illegittimamente arrestato la valutazione delle prove della ricorrente ai primi due elaborati, pur in assenza dell’ipotesi eccezionale di commissione (nel secondo elaborato) di errori gravi prevista dal comma 7 dell’art. 11 del d.lgs. 166/06.
E’ evidente che il profilo si sostanzia, più che in una censura, nell’inammissibile tentativo dell’interessata di sindacare nel merito gli effetti delle scelte in materia compiute dall’organismo concorsuale.
Né tale tentativo può andare a buon fine considerando il secondo profilo della censura, ovvero il principio di prova che la ricorrente rinviene a conforto del precedente assunto.
Infatti, la (criticata) circostanza che la Commissione abbia esternato anche gli errori riscontrati nel primo elaborato non risulta ex se né contraddittoria con la rilevata presenza nel secondo di errori tali da determinare l’arresto della correzione, né impedita da una qualche ragione logica.
Anzi, l’elemento attesta con ogni chiarezza un elemento positivo connotante l’attività della Commissione esaminatrice del concorso de quo , ovvero che la stessa non si è sottratta dall’onere di esprimere con compiutezza e puntualità ogni operazione comunque effettuata in relazione agli elaborati esaminati.
4. La terza ed ultima censura formulata dalla ricorrente, consistente nella analitica confutazione di tutte le motivazioni addotte dalla Commissione a sostegno del giudizio negativo reso sui propri elaborati, al fine di pervenire alla conclusione che gli stessi non sarebbero affetti dalle carenze riscontrate, richiede di esporre alcune premesse.
In particolare, va rammentato che, dal momento che il giudizio di legittimità non può trasmodare in un pratico rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalle commissioni esaminatrici (con conseguente sostituzione del primo alle seconde), trova espansione il principio per cui l'apprezzamento tecnico delle stesse è sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà.
Infatti, come più volte affermato (anche dalla Sezione), il giudizio delle commissioni esaminatrici, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile – unicamente sul piano della legittimità – per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità:
- se emergenti dalla stessa documentazione
- ed ove tali da configurare un palese eccesso di potere,
senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione ( ex multis , C. Stato, IV, 17 gennaio 2006, n. 172).
Anche il superamento dell’equazione concettuale tra discrezionalità tecnica e merito non pone nel nulla il limite del controllo giurisdizionale, dato dal fatto che l'applicazione della norma tecnica non sempre si traduce in una legge scientifica universale, caratterizzata dal requisito della certezza: ed anzi, quando contiene concetti giuridici indeterminati, dà luogo ad apprezzamenti tecnici ad elevato grado di opinabilità (sul punto, Tar Lazio, Roma, I, 25 giugno 2004, n. 6209).
Non possono, pertanto, trovare favorevole considerazione in questa sede quelle censure che mirino a contestare le valutazioni delle commissioni proponendo una diversa lettura delle modalità di soluzione delle varie questioni poste dalla traccia oggetto di concorso: è evidente, invero, che in tal modo si chiede alla sede giurisdizionale di sovrapporsi alla valutazione di merito resa dalle commissioni esaminatrici.
L’elaborazione giurisprudenziale in tema di discrezionalità tecnica che ha precisato che, nel controllo giurisdizionale sull’esercizio del potere che ha quale presupposto la valutazione di un fatto, in base a conoscenze scientifiche (nella fattispecie derivanti dalla scienza giuridica), la cognizione del giudice amministrativo è comunque piena e non solo estrinseca, investendo, quindi, non solo le modalità del procedimento valutativo ma anche l’attendibilità del giudizio espresso dall’organo amministrativo, rinviene un limite oggettivo a tale apprezzamento, costituito “dalla opinabilità e relatività di ogni valutazione scientifica e dalla impossibilità per il giudice di sostituirsi all’amministrazione, in quanto il potere di valutazione sia stato attribuito dall’ordinamento all’amministrazione stessa e non si verta in tema di giurisdizione di merito” (C. Stato, IV, 13 ottobre 2003, n. 6201).
A ciò si aggiunge l’evidenza costituita dal fatto che ciò che conta, in sede di valutazione degli elaborati svolti in una procedura per l'accesso ad una professione a numero chiuso, non è solamente la esattezza delle soluzioni giuridiche propugnate e prescelte, ma anche (e soprattutto) la modalità espositiva.
Ove così non fosse, dovrebbe ammettersi che tutti i candidati estensori di elaborati recanti soluzioni in qualche modo corrette debbano necessariamente superare la prova concorsuale, il che non può sicuramente avvenire, posto che le finalità del concorso risiedono nella selezione dei migliori e non già di tutti coloro che dimostrino di saper comunque giungere a conclusioni esatte.
La più recente giurisprudenza in materia (C. Stato, IV, 2 marzo 2011, n. 1350) ha ribadito i limiti che incontra il sindacato giurisdizionale in subiecta materia.
In particolare, è stato precisato che le valutazioni espresse dalle commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell'elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio), e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l'espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l'idoneità tecnica e culturale, ovvero attitudinale dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile (vedi anche C. Stato, IV, 3 dicembre 2010, n. 8504;29 febbraio 2008, n. 774;22 gennaio 2007, n. 179).
Applicando alla fattispecie tali consolidati canoni ermeneutici, il Collegio non rinviene nella fattispecie la possibilità di procedere ad uno scrutinio delle singole valutazioni espresse dalla Commissione in relazione ai vari aspetti delle prove della ricorrente fatte oggetto di negativo apprezzamento, come sostanzialmente dalla medesima suggerito con il motivo di gravame all’esame.
Ciò in quanto l’opinabilità delle questioni giuridiche sottese ai quesiti, spesso articolati e complessi, che connotano le prove d'esame del concorso notarile impedisce di esaminarle in un’ottica rigidamente meccanicistica, tale da imporre alla Commissione la mera verifica in ordine all'esattezza – o meno – delle risposte fornite: laddove, diversamente, il giudizio sulle soluzioni offerte dal candidato è spesso condizionato in modo determinante dal percorso logico e dalle argomentazioni che le sostengono, nell'ambito di una più generale valutazione sulla completezza e la logica interna dell'elaborato.
Con ogni evidenza, tali profili attengono alla sfera di giudizio riservata alla piena discrezionalità della Commissione, rispetto alla quale non è in alcun modo ammissibile la “sostituzione” dell'organo giurisdizionale, sostanzialmente invocata dalla parte ricorrente.
Con altrettanta evidenza, gli stessi profili non permettono di conferire rilevanza all’operazione pure svolta dalla ricorrente di messa a confronto di singole parti del proprio elaborato con altre singole parti di elaborati di altri candidati valutati idonei.
Il motivo non può, pertanto, trovare accoglimento.
5. Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.