TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-09-11, n. 201910838

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-09-11, n. 201910838
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201910838
Data del deposito : 11 settembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/09/2019

N. 10838/2019 REG.PROV.COLL.

N. 14056/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14056 del 2018, proposto da
B.M. S.r.l. (Brave), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati C D e F T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Napoli, via dei Mille, 40;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento previa sospensione dell’esecuzione

del provvedimento di rigetto dell’istanza di estensione del giudicato – Prot. 0072100 del 25.10.2018 e notificato via pec in data 25.10.2018 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e del Ministero dell'Economia e delle Finanze, con la relativa documentazione;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 3 luglio 2019 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con rituale ricorso, la B.M. s.r.l. (“Brave” o “BM”) chiedeva l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento in epigrafe con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM” o “Autorità”) aveva rigettato la sua istanza di estensione del giudicato di cui alle sentenze da 4401 a 4406 del 2018 di questo Tribunale.

In particolare, era risultato che, in seguito all’adozione di un provvedimento sanzionatorio per violazione dell’art. 101 TFUE nei confronti della ricorrente e di altre imprese (agenzie di moda), costoro avessero proposto distinti ricorsi a questo TAR, tra cui, però, quello proposto da BM era dichiarato irricevibile per tardivo deposito (oltre il termine dimidiato di legge).

Gli altri ricorsi, con le sentenze sopra ricordate, erano invece accolti “in parte qua”, limitatamente all’importo della sanzione, importo che l’AGCM provvedeva a ricalcolare in ottemperanza a esse.

Appreso ciò, BM provvedeva a inviare all’Autorità un’istanza “di autotutela”, chiedendo di estendere il giudicato anche alla sua posizione, invece non considerata dall’AGCM pure dopo il pagamento integrale dell’originaria sanzione nelle more avvenuto.

Avverso il relativo diniego, in questa sede impugnato e fondato sostanzialmente sulla non obbligatorietà dell’estensione richiesta, anche ai sensi dell’art. 2909 c.c., Brave proponeva, in sintesi, le seguenti censure.

I) Violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione dell’art. 2909 c.c. – Eccesso di potere – Arbitrarietà – Violazione del principio di estensione ultra partes degli effetti favorevoli del giudicato” .

La corretta applicazione dell’art. 2909 c.c. avrebbe dovuto condurre all’accoglimento dell’istanza, in virtù della presenza di due eccezioni all’applicazione della norma suddetta nel processo amministrativo: a) la sussistenza di un potere discrezionale generale la cui applicazione è sempre possibile per l’Amministrazione;
b) la presenza di atti inscindibili, a carattere sostanzialmente e strutturalmente unitario, oggetto del giudicato.

Proprio tale seconda condizione, per la ricorrente, era individuabile nel caso in esame, ove si era censurata un’unica intesa anticoncorrenziale e il Tribunale aveva riconosciuto un mero errore di calcolo addebitabile all’Autorità, in relazione allo specifico “fatturato base” di ciascuna società da valutare e non a un valore percentuale specifico.

II) Violazione dell’art. 3 legge 241/90 – Violazione dell’art. 97 Cost. – Violazione del principio di equità sostanziale – Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 e art. 31 della legge 287/90 – Cattivo uso del potere” .

L’estensione richiesta doveva essere concessa – indipendentemente dal richiamo all’art. 2909 c.c. – anche in applicazione dei principi generali di efficienza, trasparenza e correttezza della p.a., dato che l’ammontare dell’originaria sanzione era stato calcolato per un errore della stessa Autorità, che non doveva fare altro che applicare automaticamente i criteri individuati dal questo TAR, quale attività vincolata, in relazione al fatturato specifico da prendere in considerazione.

III) Violazione del diritto di proprietà ex art. 1 (I Protocollo) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – Violazione del diritto di proprietà ex art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” .

La ricorrente rilevava che, con l’opposto diniego, l’AGCM aveva dato luogo a un illecito arricchimento, in violazione delle norme in rubrica, incidente su un “bene patrimoniale” in maniera illegittima.

IV) Rinvio pregiudiziale (ex art. 19 comma III lett. b TUE e 267 TFUE) alla Corte di giustizia dell’Unione Europea”.

In via subordinata, parte ricorrente chiedeva disporsi rinvio alla Corte UE per evitare la compressione di un diritto inviolabile garantito.

Si costituivano in giudizio l’AGCM e il Ministero dell'Economia e delle Finanze, rilevando, la prima in distinta memoria, l’infondatezza delle tesi esposte nel gravame.

Su istanza di parte la trattazione cautelare era rinviata al merito e, in prossimità della relativa udienza, BM depositava una memoria illustrativa, insistendo nelle sue tesi, anche a confutazione di quanto ritenuto dall’Autorità.

Alla pubblica udienza del 3 luglio 2019 la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso non può trovare accoglimento.

L’infondatezza nel merito dei singoli profili dedotti consente pertanto di prescindere dall’approfondimento dell’eccezione della AGCM, secondo cui non ci sarebbe da estendere alcun “giudicato”, in quanto la ricorrente non era stata estranea al contenzioso ma vi aveva partecipato, con conseguente sentenza di irricevibilità.

Premesso ciò e in relazione a quanto dedotto nel primo motivo, secondo il quale si sarebbe realizzata nel caso di specie una delle due alternative condizioni che possono indurre all’estensione del giudicato nel processo amministrativo in deroga al principio di cui all’art. 2909 c.c., quale la presenza di un atto “inscindibile”, il Collegio osserva che tale tesi non è condivisibile.

Sullo specifico profilo, secondo cui la sentenza che pronuncia sulla violazione dell’art. 101 TFUE avrebbe ad oggetto un atto a contenuto inscindibile, quantomeno nella parte in cui afferma la sussistenza dell’intesa stessa e, di conseguenza egualmente inscindibili, e valevoli nei confronti di tutti i soggetti sanzionati, dovrebbero considerarsi gli effetti dell’accertata insussistenza dell’intesa, tra cui il valore della sanzione definitivamente irrogata, il Collegio richiama quanto già dedotto sul punto, ove questa Sezione non ha ritenuto in caso analogo la presenza di un atto di tale conformazione.

E’ stato in termini precisato infatti che: “ … Come più volte affermato dalla Corte di Cassazione, infatti, il provvedimento con il quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato accerta la violazione dell'art. 2 della legge n. 287 del 1990 ed applica alle imprese interessate distinte sanzioni amministrative pecuniarie non è atto indivisibile, concernente più soggetti unitariamente considerati, come sarebbe in presenza di un atto collettivo, bensì un atto plurimo, riguardante cioè una pluralità di soggetti, ciascuno dei quali è titolare di una situazione giuridica autonoma.

In relazione al tale tipo di provvedimento, dunque, ‘ogni impresa è titolare di una posizione giuridica differenziata, la quale non viene meno per il fatto che alla base siano state postulate intese anticoncorrenziali, perché, pur in presenza di tali intese, oggetto del provvedimento restano le condotte delle singole compagnie, ciascuna delle quali è stata destinataria dell'ordine d'inibizione e delle sanzioni amministrative distintamente irrogate’ (così, Cassazione civile, SS.UU. 29 aprile 2005, n. 8882;
sulla pluralità ed autonomia, dal punto di vista passivo, dei rapporti generati da una condotta illecita posta in essere da una pluralità di soggetti rilevante ai sensi dell’art. 5 della legge n. 689/1981, pur in presenza di un rapporto caratterizzato da identità di fatto generatore di responsabilità, vedi pure Cassazione civile, SS.UU. 30 settembre 2009, n. 20935 e giurisprudenza ivi richiamata)
” (TAR Lazio, Sez. I, 30.4.15, n. 6241;
v. anche 4.1.17, n. 84 e Cons. Stato, Sez. VI, 29.1.16, n. 362).

La rilevata ascrivibilità del provvedimento gravato ad un atto plurimo, a contenuto scindibile, fa venire meno, quindi, uno dei due presupposti riconosciuti dalla stessa ricorrente per l’estensione del giudicato, mentre l’altro, relativo al potere discrezionale sempre riconoscibile, non è invocabile in quanto mera facoltà dell’Amministrazione e non certo “atto dovuto”, secondo l’impostazione del gravame propria della ricorrente.

Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.

Come si evince dalla lettura delle richiamate sentenze nn. 4401-06 del 2018, lungi dall’individuare un mero errore di calcolo, questa Sezione ha svolto un ragionamento sostanziale per individuare la base di fatturato di riferimento.

In particolare è stato precisato che “… Ne consegue che, ai fini della corretta applicazione, nel caso che ne occupa, del richiamato art. 15, comma 1, legge 287/1990, la sanzione pecuniaria da applicare in concreto alla ricorrente Elite, doveva essere parametrata al 10% del fatturato globale dell’impresa ricorrente conseguito nell’ultimo anno intero di partecipazione all’accertata infrazione, al netto degli importi incassati per conto delle modelle a titolo di compenso per la prestazione professionale svolta (cd. fee) e a queste puntualmente retrocessi. Tali compensi, infatti, ai fini che qui rilevano, costituiscono un costo per il cliente dell’agenzia che offre i servizi di model management, cui corrisponde un corrispettivo per la modella, ma non anche per l’agenzia intermediaria, la quale si limita ad incassarli per conto della professionista e a retrocederli alla medesima, con corrispondente iscrizione, alle pertinenti voci di ricavo e di costo del proprio conto economico, e reciproca elisione, di importi di pari ammontare, e conseguente neutralità finanziaria ed economica della complessiva operazione.

16.3 L’eventuale considerazione dei corrispettivi in parola ai fini della determinazione del fatturato dell’agenzia di modelle, quindi, verrebbe a falsare la rappresentazione della dimensione economico-finanziaria dell’impresa sanzionata, con elusione della ratio equitativa e correttiva di cui al richiamato articolo 15, comma 1, legge 287/1990.” (sent. n. 4401/18 cit.).

Ne consegue che non è stato individuato un errore di fatto che – forse – avrebbe potuto discrezionalmente indurre l’AGCM a ripensare le sue originarie conclusioni ma un errore di diritto.

Ciò si rileva ancor più specificamente nella sentenza n. 4406/18, ove è indicato che: “… Premesso quanto finora precisato, meritevole di positivo apprezzamento è invece la doglianza di cui al punto iv), relativa all’inclusione, agli specifici fini del calcolo dell’importo-base, di voci che non rappresentano, propriamente, “fatturato”, in quanto relative a meri riaddebiti di incassi che l’impresa aveva percepito ma di competenza delle modelle. Si tratta, per l’impresa, di poste attive che, tuttavia, facendo applicazione della nozione di volume delle vendite dei beni e dei servizi oggetto dell’infrazione appena delineata, non appaiono a questo riconducibili, in quanto frutto di meri rimborsi che nemmeno indirettamente potrebbero ricollegarsi all’oggetto dell’intesa o ai ricavi realizzati dalla ricorrente per l’avervi preso parte. Peraltro, se è vero, come sottolinea la difesa erariale, che il dato quantitativo del fatturato complessivo assunto da AGCM è stato fornito dalla stessa ricorrente, è altrettanto vero che, da un lato, su richiesta degli Uffici dell’Autorità, le imprese coinvolte hanno fornito anche dati contabili disaggregati per meglio comprendere la natura degli importi ivi indicati e, dall’altro, che la prospettazione di parte non esimeva comunque l’Autorità dal compiere una corretta e autonoma valutazione economico-giuridica dei dati alla stessa forniti.

Ne consegue che, ai fini della corretta applicazione, nel caso che ne occupa, del richiamato art. 15, comma 1, legge 287/1990, la sanzione pecuniaria da applicare in concreto alla ricorrente doveva essere parametrata al fatturato globale conseguito nell’ultimo anno intero di partecipazione all’accertata infrazione, al netto degli importi incassati per conto delle modelle a titolo di compenso per la prestazione professionale svolta (cd. “fee”) e a queste retrocessi. Tali compensi, infatti, ai fini che qui rilevano, costituiscono un costo per il cliente dell’agenzia che offre i servizi di “model management”, cui corrisponde un corrispettivo per la modella, ma non anche per l’agenzia intermediaria, la quale si limita ad incassarli per conto della professionista e a retrocederli alla medesima, con corrispondente iscrizione, alle pertinenti voci di ricavo e di costo del proprio conto economico, e reciproca elisione, di importi di pari ammontare, e conseguente neutralità finanziaria ed economica della complessiva operazione.

L’eventuale considerazione dei corrispettivi in parola ai fini della determinazione del fatturato dell’agenzia di modelle, quindi, verrebbe a falsare la rappresentazione della dimensione economico-finanziaria dell’impresa sanzionata, con elusione della ratio equitativa e correttiva di cui al richiamato articolo 15, comma 1, legge 287/1990.

Alla luce di quanto dedotto, pertanto, non vi era alcuna attività vincolata legata a errore materiale di calcolo a cui era obbligata l’Autorità – secondo quanto invece dedotto nel terzo motivo di ricorso, in relazione al quale può prescindersi dall’approfondire il tema dell’ingiustificato arricchimento proprio della giurisdizione dell’a.g.o. – rilevando invece quanto previsto dall’art. 2909 c.c. come invocato nel provvedimento impugnato.

Infondato è anche il richiamo alla normativa dell’Unione Europea, in quanto la stessa ricorrente ammette che la compatibilità con l’art. 1 del Protocollo richiamato di un ingerenza dell’Amministrazione (o “persona”) su beni patrimoniali può avvenire quando tale ingerenza è legittima e al servizio di un interesse legittimo pubblico generale, come appunto accaduto nel caso di specie di applicazione di una potestà sanzionatoria originata dall’ordinamento, anche eurounitario.

Di conseguenza – a prescindere dalla genericità della richiesta di rimessione di questione pregiudiziale alla Corte UE di cui al quarto motivo – non si rinvengono i presupposti di fatto e, soprattutto, di diritto per sottoporre alla Corte UE la questione pregiudiziale come indicato dalla ricorrente.

Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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