TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2020-10-01, n. 202004142
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 01/10/2020
N. 04142/2020 REG.PROV.COLL.
N. 05075/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5075 del 2019, proposto da
R R, rappresentata e difesa dagli avvocati V R, C D R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Pozzuoli, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento, previa concessione della tutela cautelare
a) del provvedimento dirigenziale prot. n. 0070442 del 10.10.2019 recante: 1) annullamento e revoca del titolo edilizio assentito in data 17/4/84 così come sancito dal TAR Campania con la sentenza n. 8310 del 25.6.206 e comunicato alla Sig. R Rosa in data 15.3.2019 con pec prot. 20041 del 15.3.2019 e recante n. 10/2019 e 2) la decadenza, ai sensi dell'art. 31, comma 11, L. 1150/1942 (oggi trasfuso nell'articolo 15, comma IV, DPR 380/2001) per mancato inizio dei lavori, del titolo edilizio di cui al punto 1 che precede (doc. n. 1);b) del provvedimento dirigenziale prot. n. 0070373 del 10.10.2019 recante l'annullamento del provvedimento n. 20041 del 15.3.2019 (comunicazione di avvio del procedimento di revoca) con cui veniva rilasciato, in ottemperanza alla sentenza di cui sopra, permesso di costruire n. 10/2019;c) di tutti gli atti precedenti, preordinati connessi e consequenziali se ed in quanto lesivi degli interessi della ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pozzuoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 settembre 2020 il dott. D S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Espone la ricorrente di essere proprietaria in Pozzuoli di un’area in via Domitiana, contrada “Costa di Luna”, contrassegnata in catasto al foglio n. 21, particella n. 319.
In data 11 aprile 1984 ella presentava al comune istanza di rilascio di una concessione edilizia per la realizzazione di un “progetto rurale con annessi comodi”.
L’istanza era: a) acquisita il successivo 17 aprile dal servizio tecnico comunale con protocollo n. 17742;b) esaminata favorevolmente dalla commissione edilizia nella seduta del 18 luglio 1984 e dalla commissione beni ambientali nella seduta del 19 luglio 1984;c) ritenuta conforme alle norme vigenti in materia sanitaria dalla nota dell’ufficio igiene del 6 agosto 1984.
Il successivo 3 agosto 1984 il sindaco autorizzava il rilascio del titolo e la ricorrente corrispondeva gli oneri concessori.
Ciononostante il comune non provvedeva al “materiale rilascio” del titolo.
Di qui la proposizione di un ricorso giurisdizionale avverso il silenzio (ricorso n. 6588 del 1988 R.G.) che questo Tribunale accoglieva con la sentenza n. 8310 del 25 settembre 2006 che dichiarava la “ spettanza ” della ricorrente “ al materiale rilascio della concessione edilizia ”, “ già assentita ”.
La ricorrente con varie diffide cercava di ottenere l’esecuzione della sentenza ma, di fronte alla ulteriore inerzia comunale, proponeva ricorso per l’esecuzione del giudicato che questo Tribunale accoglieva con la sentenza n. 53 del 4 gennaio 2019 che assegnava al comune il termine di 60 giorni per il materiale rilascio della concessione edilizia.
Seguiva in data 15 marzo 2019 una nota con cui il comune:
a) comunicava di aver emanato la concessione (che tuttavia non era consegnata né allegata alla nota stessa);
b) comunicava l’avvio del procedimento di annullamento e/o revoca della concessione nel presupposto che: 1) la ricorrente non avesse a suo tempo dimostrato la qualità di coltivatrice diretta;2) per il contrasto dell'intervento con il vigente Piano Territoriale dei campi Flegrei, approvato con D.M. 26.4.1999, e del vigente P.R.G. approvato con Decreto del Presidente dell'Amministrazione provinciale di Napoli n. 69 del 23 gennaio 2002;3) per la mancanza del decreto di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'articolo 146 del D.lgs 42/2004 e del nulla osta ai sensi dell'articolo21 del cit. D.lgs, ricadendo l'intervento in area soggetta a vincolo archeologico;4) per mancato inizio e mancata ultimazione dell’intervento nei termini.
La ricorrente contestava la nota del comune e cercava (vanamente) di porre in esecuzione la sentenza n. 53 del 2019.
Infine con provvedimento del 10 ottobre 2019 prot. n. 70442 il comune annullava e revocava il titolo edilizio assentito in data 17 aprile 1984 e ne dichiarava altresì la decadenza nel presupposto che:
a) la richiedente non avesse dimostrato il possesso della qualità di coltivatrice diretta e/o imprenditrice agricola all'epoca della domanda;
b) l'opera assentita risultasse in contrasto con il vincolo assoluto di inedificabilità imposto dall'articolo 1- quinquies della legge 8.8.85 n. 431;
c) che il titolo all'epoca assentito non fosse munito di nulla osta ambientale ex articolo 7 della legge 1089/1939;
d) l'istante non avesse dato inizio ai lavori dopo che il titolo era stato assentito e dopo il pagamento degli oneri concessori;
e) in conseguenza dell'approvazione del Piano territoriale di Campi Flegrei con D.M. 26.4.1999, sussistesse ex articolo 12 delle N.T.A. il divieto di ogni edificazione sull'area in cui ricade l'intervento, classificata “Zona PIR”;
f) l’opera fosse in contrasto con il vincolo archeologico esistente sull’area.
In verità occorre puntualizzare che il 10 ottobre 2019 il comune adottava due distinti provvedimenti;un primo provvedimento con il quale annullava il titolo edilizio assentito il 17 aprile 1984 (prot. n.70373) e un secondo provvedimento (prot. n. 70442) recante, come già visto, annullamento, revoca e declaratoria di decadenza del titolo formatosi il 17 aprile 1984 e implicante “annullamento e sostituzione” di quello recante il prot. n. 70373.
Di qui la proposizione del ricorso all’esame con cui la signora R impugna entrambi i provvedimenti del 10 ottobre 2019 di cui denuncia l’illegittimità: a) per violazione dei giudicati formatisi sulle sentenze nn. 8310 del 2006 e 53 del 2019;b) per violazione dell’articolo 4, comma 6, della legge 28 gennaio 1977 n. 10 secondo cui la concessione edilizia una volta rilasciata è irrevocabile (principio peraltro ribadito dall’articolo 11 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380);c) per violazione sotto vari profili dei principi in materia di riesame codificati nell’articolo 21- nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 d) per difetto di presupposti dato che a parte l’impossibilità di giustificare l’annullamento sulla base di norme sopravvenute alla formazione del titolo, queste norme non stabiliscono comunque un vincolo di inedificabilità sull’area;in ordine alla decadenza per mancato inizio e ultimazione dei lavori nei termini, la ricorrente evidenzia che il titolo non le è mai stato consegnato materialmente sicchè i termini mai hanno iniziato a decorrere.
Il comune di Pozzuoli resiste al ricorso.
Con ordinanza n. 79 del 15 gennaio 2020 la sezione ha fissato la trattazione del ricorso alla udienza pubblica del 8 aprile 2020. La trattazione era quindi rinviata alla udienza pubblica del 9 settembre 2020 in applicazione dell’articolo 84 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.
Il ricorso è infondato.
Il Collegio non può fare a meno di rilevare che le motivazioni poste a base del ritiro della concessione, mai materialmente rilasciata alla ricorrente, sono in larga parte infondate se non pretestuose.
Va stigmatizzato anzitutto che il comune non abbia mai dato esecuzione alle sentenze del Tribunale, nonostante le abbia fatte passare in giudicato, rilasciando materialmente la concessione edilizia.
Deve poi ritenersi che il titolo della ricorrente fosse insuscettibile sia di revoca che di annullamento.
Sotto il primo profilo per principio risalente alla legge 28 gennaio 1977, n. 10 e ribadito dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 la concessione edilizia (ora permesso di costruire) una volta rilasciata è irrevocabile.
Sotto il secondo profilo - a parte il rilievo che in larga parte le motivazioni del ritiro rimandano a vizi dell’originaria istruttoria del comune (che si era risolta in senso favorevole alla ricorrente) - va osservato che è del tutto evidente che nella fattispecie, anche ad ammettere che il titolo non fosse ab origine rilasciabile per le ragioni indicate dal provvedimento impugnato difettano in radice i presupposti per l’annullamento come codificati dall’articolo 21- nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241;un annullamento a distanza di ben 35 anni e nonostante due sentenze favorevoli non è più consentito dato che il “termine ragionevole” entro il quale il potere di riesame può essere esercitato è ormai ampiamente decorso;in ogni caso l’annullamento avrebbe richiesto un attento bilanciamento degli opposti interessi tenuto conto che la ricorrente vanta una posizione di affidamento particolarmente qualificata perché radicata sul lungo tempo trascorso e sugli esiti favorevoli del pregresso contenzioso;a ciò si aggiunge che la ricorrente sostiene - senza essere stata in alcun modo contraddetta - che il terreno cui si riferisce la controversia, ancorché ricadente in zona agricola, si trova in realtà all’interno di un condominio (“Parco La Palombara”) e in un’area pressoché completamente urbanizzata sicchè nemmeno si comprendono quali potrebbero essere le particolari e pressanti esigenze di salvaguardia ambientale che possano giustificare un annullamento che a distanza di decenni priverebbe la ricorrente delle utilità che ha conseguito attraverso un defatigante iter giudiziario.
Il riferimento alla decadenza per il mancato inizio e completamento dei lavori nei termini appare in questa prospettiva quasi paradossale dato che non si comprende a quali termini si riferisca il comune avendo esso omesso il materiale rilascio del titolo che i termini avrebbe dovuto fissare dando certezza alla loro decorrenza. Se la ricorrente non ha attuato illo tempore il progetto la responsabilità è chiaramente collegata al mancato materiale rilascio del titolo da parte del comune;né può pensarsi che sia possibile intraprendere la realizzazione di un immobile prima che il comune rilasci materialmente la concessione edilizia (ora il permesso di costruire) pur in presenza di un’istruttoria ormai conclusa (e persino di oneri concessori versati, come nella fattispecie).
Senonchè il provvedimento impugnato - che è un tipico atto plurimotivato (o meglio un atto complesso dato che contiene sia un annullamento che una declaratoria di decadenza) - si basa anche sulla contrarietà del progetto alla normativa urbanistica sopravvenuta che incontestatamente qualifica l’area in cui il progetto dovrebbe essere realizzato come zona agricola su area archeologica regolamentata dall’articolo 37 della norme di attuazione (cfr. il certificato di destinazione urbanistica depositato dal comune di Pozzuoli).
Al riguardo l’articolo 15 D.P.R. n. 380 - che riprende una norma contenuta nell’articolo 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 - è chiaro nello stabilire che “ il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio ”.
L’articolo 37 delle norme tecniche di attuazione è altrettanto chiaro nello stabilire che in tale zona gli interventi ammessi “ sono quelli previsti dal vigente Piano Paesistico nelle zone di Protezione Integrale e di Protezione Integrale con Restauro Paesistico-Ambientale (artt. 11 e 12 delle Norme di Attuazione del Piano Paesistico) ” con espressa esclusione di nuove costruzioni.
Ciò comporta effettivamente la decadenza della concessione edilizia della ricorrente, non avendo rilievo sotto questo profilo la circostanza che ella non abbia potuto iniziare i lavori a causa del comportamento quantomeno ostruzionistico tenuto per anni dal comune, dato che la decadenza del titolo per il contrasto con le norme urbanistico-edilizie sopravvenute opera per così dire in modo oggettivo.
In sostanza se dell’annullamento non sussistono le condizioni, la declaratoria di decadenza è giustificata dalla sopravvenuta regolamentazione urbanistico-edilizia dell’area che la rende insuscettibile di interventi di nuova costruzione. Solo sotto tale profilo il provvedimento del comune risulta legittimo. Impregiudicata ovviamente ogni ipotesi di responsabilità civile dell’amministrazione per le sue inerzie e ritardi.
Il ricorso va quindi conclusivamente respinto.
Le spese di giudizio possono essere interamente compensate in considerazione della peculiarità della fattispecie.