TAR Roma, sez. III, sentenza 2018-02-21, n. 201801978
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Pubblicato il 21/02/2018
N. 01978/2018 REG.PROV.COLL.
N. 10255/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10255 del 2005, proposto da
R.T.I. – RETI TELEVISIVE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, via Panama n. 12 presso lo studio dell’avv. L M che, unitamente all’avv. G R, la rappresenta e difende nel presente giudizio
contro
AUTORITA’ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI, in persona del legale rappresentante p.t., domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso la Sede dell’Avvocatura Generale dello Stato che ex lege la rappresenta e difende nel presente giudizio
per l'annullamento
della delibera n. 83/05/CSP del 14 luglio 2005 con cui l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha ordinato alla ricorrente di pagare la sanzione amministrativa di euro ventimila/00 per la violazione dell’art. 15 comma 10 della legge n. 223/1990;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 19 gennaio 2018 il dott. M F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso spedito per la notifica a mezzo posta l’11 novembre 2005 e depositato il 18 novembre 2005 la R.T.I. – Reti Televisive Italiane s.p.a. ha impugnato la delibera n. 83/05/CSP del 14 luglio 2005 con cui l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha ordinato alla ricorrente di pagare la sanzione amministrativa di euro ventimila/00 per la violazione dell’art. 15 comma 10 l. n. 223/1990.
Con atto depositato l’8 marzo 2011 la ricorrente ha presentato la dichiarazione di persistenza di interesse ai sensi dell’art. 1 comma 1 dell’allegato 3 al d. lgs. n. 104/2010.
L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, costituitasi in giudizio con comparsa depositata il 09/01/18, ha chiesto il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 19 gennaio 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
La R.T.I. – Reti Televisive Italiane s.p.a. impugna la delibera n. 83/05/CSP del 14 luglio 2005 con cui l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha ordinato alla ricorrente di pagare la sanzione amministrativa di euro ventimila/00 per la violazione dell’art. 15 comma 10 l. n. 223/1990.
L’intimata Autorità ha applicato la gravata sanzione in quanto:
- la ricorrente, esercente l’emittente televisiva nazionale “Italia Uno”, ha diffuso, nell’ambito del programma “La Fattoria”, una bestemmia “che, oltre ad essere offensiva della sensibilità religiosa dei telespettatori, è idonea, anche in relazione all’orario di trasmissione (immediatamente contiguo alla fascia oraria della c.d. <televisione per tutti>) a suscitare nei minori in ascolto la legittimazione all’uso di un linguaggio blasfemo” (pag. 1 del provvedimento del 14 luglio 2005);
- la pronuncia della bestemmia è avvenuta nell’ambito di un “reality show” (“La Fattoria”) seguito da una larga fascia di pubblico;
- “la circostanza che l’organizzazione del programma abbia preventivamente adottato ogni cautela per evitare situazioni che possono recare nocumento ai minori e che si sia trattato di un episodio involontario non esclude la responsabilità dell’emittente giacché grava sulla stessa l’obbligo di vigilare sulla rispondenza delle trasmissioni alla normativa vigente in materia di diffusione di programmi radiotelevisivi” (pag. 3 del provvedimento).
Con la prima censura la ricorrente, richiamando la distinzione tra fattispecie di pericolo concreto ed astratto operata dalle sentenze nn. 6759 e 6760/2004 della Corte di Cassazione in riferimento all’art. 15 comma 10 l. n. 223/90, prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 15 citato ed eccesso di potere sotto vari profili in quanto la condotta contestata non sarebbe, in concreto, idonea a ledere lo sviluppo dei minori come desumibile dal messaggio complessivo trasmesso dal programma che ha immediatamente espulso il protagonista della bestemmia;inoltre, il concetto di “contiguità” dell’orario di trasmissione rispetto alla “fascia oraria della c.d. <televisione per tutti>”, presente nel provvedimento impugnato, non avrebbe alcun fondamento normativo e si presterebbe ad un utilizzo arbitrario con conseguente violazione del principio di tassatività delle condotte sanzionabili.
Per questi motivi, ad avviso della ricorrente, la motivazione del provvedimento impugnato non sarebbe idonea a rendere contezza del pericolo concreto di lesione dell’interesse tutelato dall’art. 15 l. n. 223/90.
Il motivo è infondato.
Secondo l’art. 15 comma 10 l. n. 223/90, “è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità”.
Nell’interpretare la disposizione in esame, la Corte di Cassazione con sentenza n. 6760/2004 (richiamata nel provvedimento impugnato) ha evidenziato che:
- “mentre le fattispecie di illecito amministrativo prefigurate dal secondo e dal terzo periodo dell'art. 15 comma 10 debbono essere qualificate siccome di pericolo "presunto" o "astratto" - quelle previste dal primo periodo…debbono essere qualificate siccome di pericolo <concreto>o <effettivo>";
- “nelle prime, infatti, il "pericolo" non risulta inserito tra gli elementi costitutivi delle fattispecie stesse: in queste ci si limita a tipizzare la condotta vietata in base alla valutazione, fondata sull'esperienza, secondo cui alla sua realizzazione si accompagna, <tipicamente>o <generalmente>appunto, la messa in pericolo dei beni protetti. E la lettura delle relative disposizioni rende evidente che il legislatore, in questi casi, tenendo conto della natura e delle caratteristiche del mezzo radiotelevisivo e dei possibili effetti dei suoi <messaggi>sul pubblico indeterminato ed indeterminabile dei destinatari, ha scelto, mediante il divieto assoluto di trasmissione di programmi radiotelevisivi aventi i contenuti vietati, di tutelare <incondizionatamente>- vale a dire, senza prevedere eccezioni - principi, valori ed interessi ritenuti primari per la stessa convivenza sociale e civile, quali il ripudio della violenza come modello di comportamento sociale, il buon costume, la tolleranza, il pluralismo nelle sue molteplici dimensioni, e di sacrificare perciò, previo bilanciamento dei valori in gioco, la libertà di informazione radiotelevisiva (cfr., ad es., Corte costituzionale, sent. n. 333 del 1991)”;
- “nelle seconde, invece, come emerge inequivocabilmente dalla stessa littera legis ("... programmi che possano nuocere ..."), il "pericolo" - inteso come rilevante possibilità che al compimento della condotta vietata ("trasmissione del programma") consegua la lesione ("nocumento") dei beni protetti ("sviluppo psichico o morale dei minori") - rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie: ciò comporta che, ai fini dell'integrazione dell'illecito, è richiesta la effettiva sussistenza del pericolo stesso, desumibile da specifiche e rilevanti circostanze della fattispecie concreta (ad es., oggetto, contenuto, orario e/o modalità di trasmissione del programma, etc.)”.
Il Tribunale ritiene che il provvedimento impugnato abbia correttamente applicato i principi individuati dal giudice di legittimità.
Va, innanzi tutto, rilevato che l’“idoneità” della condotta a porre, in concreto, in pericolo il bene tutelato dall’art. 15 comma 10 l. n. 223/90 deve tenere conto della particolare rilevanza del bene stesso, quale desumibile anche dalle numerose fonti normative interne ed internazionali citate dalla sentenza della Cassazione (tra cui la Convenzione internazionale per i diritti del fanciullo, ratificata con legge n. 176/91, la Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, approvata con legge n. 327/91, e le direttive 89/552/CEE e 97/36/CE).
Infatti, le disposizioni di cui all’art. 15 comma 10 l. n. 223/90 <sono chiaramente volte alla tutela dello “sviluppo fisico, psichico e morale” del minore nei suoi rapporti con il medium radiotelevisivo ed alla protezione dello stesso da qualsiasi trasmissione o programma che sia idoneo ad arrecarvi pregiudizio. In altri termini, anche a fondamento delle disposizioni in esame…sta il riconoscimento del legislatore che questa, in ragione della sua "mancanza di maturità fisica ed intellettuale", ha bisogno "di una protezione e di cure particolari", al fine "dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità" (tali espressioni sono contenute nel "preambolo" della Convenzione sui diritti del fanciullo dianzi richiamata);e che il particolare medium radiotelevisivo, per le sue note caratteristiche e per i suoi effetti, costituisce, da tempo e sempre più, insieme ad altri mezzi di comunicazione interpersonale e di massa (quale "Internet" in tutte le sue applicazioni), una delle componenti più importanti ("accanto", ad esempio, alla famiglia ed alla scuola) nello "sviluppo psichico e morale" del minore>(Cass. n. 6760/2004).
Proprio l’esigenza di particolare protezione del minore e la rilevanza del mezzo televisivo in relazione allo sviluppo dello stesso inducono il Tribunale a ritenere che il giudizio avente ad oggetto l’esistenza del pericolo, in concreto, per il bene (“sviluppo psichico o morale dei minori”) tutelato dalla prima parte dell’art. 15 comma 10 l. n. 223/90, debba essere improntato ad un particolare rigore.
Ciò posto, la pronuncia di una bestemmia risulta, per il suo contenuto, di per sé evidentemente idonea a pregiudicare lo sviluppo morale e psichico dei minori in ragione dell’offesa al sentimento religioso insita in essa.
Tale idoneità, poi, deve essere valutata anche con riferimento al contesto in cui si è verificato l’episodio in quanto la pronuncia di una bestemmia veicolata dal mezzo televisivo, caratterizzato di per sé da alta diffusività, comporta il concreto rischio di una legittimazione ad usare nel linguaggio comune tali espressioni non commendevoli, rischio nella fattispecie aggravato dal fatto che la frase è stata proferita nell’ambito di un reality show ovvero di un programma seguito da una larga fascia di pubblico, anche minore.
Anche l’orario in cui l’episodio si è verificato, le 22,40, “immediatamente contiguo alla fascia oraria della c.d. <televisione per tutti>(così il provvedimento impugnato a pag. 1) è stato correttamente valorizzato dall’Autorità ai fini della concreta pericolosità della condotta che deve essere necessariamente desunta dalle modalità della stessa e non esclusivamente da “specifici parametri di riferimento predeterminato”, come, invece, deduce la ricorrente (pag. 8 dell’atto introduttivo).
L’idoneità delle circostanze, fin qui evidenziate, ai fini della configurazione del concreto pericolo di lesione del bene tutelato dall’art. 15 comma 10 l. n. 223/90 non risulta, poi, nella fattispecie elisa e, nemmeno, attenuata dal “messaggio complessivo trasmesso dal programma” (pag. 6 dell’atto introduttivo), desunto dalla ricorrente dall’espulsione dell’autore dell’episodio, in quanto evento intervenuto successivamente alla pronuncia dell’espressione blasfema.
Con la seconda censura la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 15 comma 10 e 31 comma 3 l. n. 223/90 e 3 l. n. 689/81, dei principi generali in materia di illeciti amministrativi ed eccesso di potere sotto vari profili in quanto l’Autorità avrebbe omesso di accertare se l’infrazione contestata sia riconducibile alla condotta cosciente e volontaria e ad un’azione soggettivamente rimproverabile e, comunque, colposa dal momento che nulla avrebbe potuto lasciare supporre la pronuncia della bestemmia.
Il motivo è infondato.
Il provvedimento impugnato ha ritenuto, sotto il profilo soggettivo, la responsabilità della ricorrente in ordine alla condotta contestata addebitando alla stessa l’inosservanza dell’“obbligo di vigilare sulla rispondenza delle trasmissioni alla normativa vigente in materia di diffusione di programmi radiotelevisivi” (pag. 3 dell’atto).
La valutazione in esame concerne specificamente il profilo soggettivo della condotta essendo in essa implicito il giudizio di non sufficienza delle cautele adottate dalla ricorrente.
Come ritenuto da questo Tribunale in una fattispecie analoga (TAR Lazio – Roma n. 9821/2017), la pronuncia di un’espressione di turpiloquio gratuita ed offensiva del sentimento religioso non ha i caratteri di una “sortita” imprevedibile e ciò anche tenuto conto della natura del programma (reality show “La Fattoria”) in cui l’episodio si è verificato.
Da quanto è possibile desumere da internet, il regolamento del programma prevede(va) “che un gruppo di vip…abbandoni le comodità della vita abituale per vivere in una fattoria con solo gli oggetti essenziali. Ogni settimana si svolgono le nomination e i concorrenti vengono progressivamente eliminati mediante il <televoto>. In finale i tre o quattro concorrenti rimasti si contenderanno il premio in denaro. Ogni settimana si svolgono delle prove che riguardano la vita quotidiana in una fattoria, o almeno ciò che l'immaginario collettivo ritiene tali. Se vincono la prova i concorrenti avranno in premio cibo oppure l'immunità dalla nomination” (citazione tratta da Wikipedia).
Proprio le particolari condizioni in cui operavano i partecipanti e la serrata competizione esistente tra gli stessi, costituenti alcuni dei principali elementi di richiamo del programma televisivo, rendevano non implausibile il ricorso ad espressioni dello stesso tipo di quelle contestate alla ricorrente.
L’episodio in esame, pertanto, contrariamente a quanto dedotto nel gravame, non assume il carattere di circostanza eccezionale ed imprevedibile e, quindi, avrebbe dovuto essere oggetto di idonee misure preventive, individuate dalla ricorrente, quali, ad esempio, la sottoscrizione, da parte dei partecipanti, di impegni giuridicamente vincolanti ad evitare tali comportamenti o, come ha ritenuto il TAR Lazio in analoga fattispecie, la predisposizione di “meccanismi di controllo dei dialoghi dei partecipanti (vigilanza continuativa sul contenuto delle conversazioni dei partecipanti in quanto dirette al pubblico televisivo/adozione di strumenti tecnici di immediata eliminazione della bestemmia con conseguente impossibilità di percezione da parte degli utenti)” (TAR Lazio – Roma n. 9821/2017).
Con la terza censura la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 15 comma 10 e 31 comma 3 l. n. 223/90 e 11 l. n. 689/81 ed eccesso di potere per difetto di motivazione in quanto nell’applicazione della sanzione l’Autorità avrebbe omesso di tenere conto dell’assoluta episodicità ed estemporaneità della condotta e dell’univoco messaggio di deplorazione trasmesso successivamente dalla trasmissione.
Il motivo è infondato.
Secondo l’art. 11 l. n. 689/81 “nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.
Tali criteri risultano nella fattispecie rispettati in quanto l’Autorità, nell’applicare una sanzione pecuniaria congruamente determinata nella misura di meno della metà rispetto al massimo edittale, risulta avere correttamente valutato, da una parte, la gravità della violazione e l’organizzazione e le condizioni economiche della ricorrente e, dall’altra, la condotta tenuta dalla ricorrente stessa successivamente al fatto con l’espulsione del concorrente.
Non condivisibile è il riferimento, presente nella censura, all’impossibilità di operare alcun efficace controllo preventivo che costituisce circostanza non veritiera (come argomentato in riferimento alla precedente doglianza) e, comunque, non rilevante ai fini della graduazione della sanzione in quanto criterio necessario per l’attribuzione stessa della responsabilità.