TAR Roma, sez. II, sentenza 2015-02-05, n. 201502135
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N. 02135/2015 REG.PROV.COLL.
N. 13320/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 13320 del 2014, proposto da:
E Appalti e Costruzioni Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F N, M V T, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F N in Roma, Via Oslavia, 14;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. A G, domiciliata presso l’Avvocatura Capitolina in Roma, Via Tempio di Giove, 21;
per l'annullamento
della nota prot. 38521 del 3 settembre 2014, con cui l'amministrazione capitolina ha comunicato la revoca della procedura indetta nel 2005 per l'affidamento in project financing dell'intervento di recupero e gestione dell'edificio ex scuola via A. Vertunni da adibire a casa albergo per anziani e residenze;
di ogni altro atto presupposto, connesso e correlato
nonché per il risarcimento dei danni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2015 il dott. R C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
La ricorrente espone che, con avviso indicativo del 2005, pubblicato ai sensi e per gli effetti dell’art. 37 bis legge n. 109 del 1994, il Dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana di Roma Capitale ha sollecitato la presentazione di proposte per la realizzazione e gestione, in regime di project financing, di alcuni interventi, tra cui anche quello avente ad oggetto i lavori di recupero e la gestione dell’edificio ex scuola via A. Vertunni da adibire a casa albergo per anziani e residenze speciali/servizi aggiuntivi, dando atto del loro inserimento nel piano triennale di investimento 2005-2007 e dando atto che era “previsto il diritto a favore del promotore ad essere preferito ai soggetti migliori offerenti nelle successive fasi della procedura negoziata”.
Soggiunge di avere presentato una proposta corredandola di tutta la documentazione prescritta dalla legge e dal menzionato avviso e che, in data 5 maggio 2008, l’amministrazione ha comunicato di non ritenere percorribile la soluzione del diritto di superficie, ma di voler assicurare l’equilibrio economico finanziario attraverso la corresponsione di un contributo in conto capitale pari ad euro 2.500.000,00 invitando E a riformulare la proposta con ulteriori prescrizioni.
Rappresenta altresì di avere risposto a tale sollecitazione e di avere tempestivamente presentato una nuova proposta, alla quale è seguita una nuova istruttoria, nel cui ambito l’amministrazione ha interloquito a più riprese con i vari proponenti allo scopo di chiarire meglio e specificare i contenuti delle rispettive proposte.
Pone ancora in rilievo che, avendo appreso per le vie brevi che la sua proposta era stata l’unica giudicata fattibile e valutabile in termini di rispondenza all’interesse pubblico dalla Commissione a ciò preposta, si è resa disponibile ad eventuali integrazioni e specificazioni, mentre la gara è rimasta sostanzialmente ferma.
Di talché, in data 25 luglio 2014, ha diffidato l’amministrazione a comunicare lo stato della procedura e le ragioni della sua mancata conclusione nonché a porre in essere tutti gli atti necessari a garantire la più rapida conclusione.
Roma Capitale, con l’impugnato atto del 3 settembre 2014, ha comunicato che il procedimento per l’individuazione del promotore relativo al project financing in discorso si intende revocato.
Pertanto, E ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi di impugnativa:
Violazione dei principi generali di buon andamento, imparzialità, trasparenza ed economicità nonché violazione degli artt. 3, 7, 8, 9, 10, 13, 21 bis e 21 quinquies l. n. 241 del 1990 e s.m.i., degli artt. 2 e 79, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006 e s.m.i., dell’art. 41 Dir. 2004/18/CEE e dell’art. 1337 c.c. Eccesso di potere per simulazione, sviamento, illogicità manifesta, contraddittorietà e grave difetto di istruttoria.
La revoca non sarebbe supportata dai presupposti che necessariamente dovrebbero legittimarla.
La motivazione sarebbe insufficiente in quanto affermare che la carenza di risorse finanziarie fa venire meno l’interesse pubblico all’intervento equivarrebbe ad invertire i termini del problema, potendo al più giustificare la ragione per cui all’intervento non sia stato ancora dato vita, ma non il venire meno dell’interesse alla sua realizzazione.
L’amministrazione, peraltro, avrebbe potuto rappresentare agli interessati il problema della carenza di fondi per verificare congiuntamente la presenza di soluzione alternative idonee a garantire l’equilibrio economico-finanziario dell’operazione e così la sua realizzazione.
Inoltre, nella motivazione dell’atto, mancherebbe ogni riferimento alla valutazione comparativa degli interessi coinvolti e, d’altra parte, E, la cui proposta è stata la sola giudicata valutabile dall’amministrazione, non sarebbe stata avvisata dell’avvio del procedimento.
La ricorrente ha altresì proposto istanza di risarcimento del danno in quanto la condotta dell’amministrazione evidenzierebbe una violazione delle regole di buona fede e correttezza dettate dall’art. 1337 c.c. a tutela dell’affidamento dei contraenti.
In sostanza, l’amministrazione avrebbe coinvolto l’impresa in una procedura molto onerosa in termini di investimento, avrebbe portato avanti la procedura per quattro anni considerando unicamente la proposta di E ed ingenerando di conseguenza il legittimo affidamento alla nomina di promotore ed avrebbe infine revocato la gara dopo altri quattro anni, rendendo inutile l’intera procedura.
La Società ricorrente, pertanto, ha chiesto il ristoro delle spese di presentazione della proposta pari ad € 67.243,07, tanto a titolo di risarcimento del danno ex art. 1337 c.c. quanto, eventualmente, a titolo di indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinquies, comma 1 bis, l. n. 241 del 1990.
Ad E spetterebbe altresì il risarcimento del danno da perdita di chance in quanto la revoca avrebbe precluso in radice ogni possibilità di vedersi nominata promotore acquisendo il diritto alla realizzazione dell’opera;per la relativa quantificazione occorrerebbe fare riferimento al mancato utile, forfetizzato dal legislatore nel 10% del valore dell’investimento.
Infine, spetterebbe alla Società il danno da ritardo nella conclusione del procedimento, in una misura ritenuta equitativa.
Roma Capitale, con analitica memoria, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie a sostegno ed illustrazione delle rispettive difese.
All’udienza pubblica del 21 gennaio 2015, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso si articola in un’azione di annullamento ed in una triplice azione di condanna al risarcimento del danno: da lesione dell’interesse legittimo, per responsabilità precontrattuale e da ritardata conclusione del procedimento,
L’azione di annullamento è stata proposta avverso il provvedimento di revoca della procedura di project financing alla quale la Società aveva mostrato interesse, mentre le tre azioni di condanna al risarcimento del danno sono autonome e distinte nei presupposti e nella pretesa patrimoniale, essendo la prima (risarcimento per equivalente patrimoniale da lesione di interesse legittimo) indirizzata ad ottenere il ristoro anche del lucro cessante, la seconda (risarcimento per responsabilità precontrattuale) indirizzata ad ottenere il ristoro del danno emergente e la terza (risarcimento del danno da ritardo) indirizzata ad ottenere un ristoro in via equitativa.
2. L’azione di annullamento è infondata e va di conseguenza respinta.
Roma Capitale, con l’impugnato atto del 3 settembre 2014, in risposta alla nota del 25 luglio 2014 di diffida alla conclusione del procedimento relativo alla procedura di project financing “recupero e gestione dell’edificio ex scuola via A. Vertunni da adibire a casa albergo per anziani e residenze speciali/servizi aggiuntivi”, ha comunicato alla Società E che “il procedimento di individuazione del ‘promotore’ e di ‘dichiarazione del pubblico interesse’ dell’opera, successivamente alla scelta della migliore proposta da parte dell’apposita commissione, non ha avuto seguito in quanto le notorie difficoltà economiche dell’Ente non hanno consentito di stanziare in bilancio la somma di € 2.500.000,00 richiesta a titolo di ‘prezzo’ che l’amministrazione avrebbe dovuto corrispondere al futuro concessionario quale quota di partecipazione al partenariato pubblico privato”.
L’amministrazione ha soggiunto che, con nota del 21 maggio 2014, “è stato richiesto alla Ragioneria Generale comunale di inserire in bilancio lo stanziamento necessario con esito negativo, non essendo la somma ricompresa nel piano investimenti 2014-2016 approvato dall’Assemblea Capitolina”.
Roma Capitale, infine, ha precisato che “la mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera, nella fattispecie sotto forma di contribuzione pubblica per partecipare al PPP, si concretizza nel venire meno dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’intervento, dal quale l’amministrazione non può prescindere”, sicché “il procedimento avviato per l’individuazione del promotore relativo al project financing indicato in oggetto, si ritiene revocato”.
Nella procedura di project financing, la selezione del promotore presenta caratteri peculiari in quanto è volta in primo luogo alla ricerca di una proposta che integri l’individuazione e la specificazione dell’interesse pubblico perseguito.
Nel disciplinare l’istituto del project financing, infatti, sono state distinte le fasi in cui si sviluppa il complesso procedimento volto alla realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari da parte dell’amministrazione, prevedendo che, a seguito della presentazione di una proposta da parte dei soggetti cui è riconosciuta tale facoltà, l’amministrazione valuta la medesima a sua volta propedeutica all’indizione della procedura di gara per l’aggiudicazione della concessione.
Il Comune di Roma (ora Roma Capitale), con avviso indicativo per l’anno 2005, ha informato che, ai sensi dell’art. 14 l. n. 109 del 1994 e s.m.i., ha inserito nel programma triennale delle opere pubbliche 2005-2007, elenco 2005 e nella variazione al programma approvata con delibera di Giunta Comunale n. 187 del 1° agosto 2005, tra gli altri interventi da realizzare con il metodo della finanza di progetto ai sensi dell’art. 37 bis l. n. 109 del 1994, l’intervento relativo al recupero edificio ex scuola in via A. Vertunni da adibire a casa albergo per anziani e residenze speciali (Mun. 7) per un importo stimato di € 3.000.000,00.
Con tale avviso, l’amministrazione comunale ha posto in rilievo che è stato svolto uno studio di prefattibilità il quale fornisce informazioni di carattere tecnico per il successivo studio, a carico del proponente privato, della fattibilità e della gestione dell’opera stessa, indica i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti ai promotori e fissa le condizioni di ammissibilità delle proposte non precludendo ai proponenti l’autonoma valutazione e la facoltà di presentare proposte integrative e migliorative
Ha rappresentato altresì che le proposte dovranno essere corredate di tutti gli elaborati richiesti dal comma 1 dell’art. 37 bis della legge n. 109 del 1994 e s.m.i. e da quelli elencati nella scheda di prefattibilità elaborata dall’amministrazione comunale, la quale, a suo insindacabile giudizio, avrebbe dovuto individuare, ai sensi dell’art. 37 ter l. n. 109 del 1994, la proposta da mettere a gara secondo il successivo art. 37 quater.
L’avviso indicativo per il 2005 ha infine soggiunto che è previsto il diritto a favore del promotore ad essere preferito ai soggetti migliori offerenti nelle successive fasi di procedura negoziata solo nel caso in cui il promotore adegui la propria proposta a quella giudicata dall’amministrazione più conveniente.
Detto avviso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in data 15 novembre 2005 e, entro il termine ivi indicato del 5 gennaio 2006, sono pervenute tre proposte da parte di operatori privati.
La Commissione incarica di esaminare e valutare le proposte presentate, con verbale n. 11 del 15 dicembre 2006, ha valutato non fattibili le tre proposte in quanto, con specifico riferimento alla proposta E, dal punto di vista urbanistico, la previsione di opere accessorie (residenze speciali) in regime di diritto di superficie a titolo di prezzo contrasta con la destinazione d’uso previsto dallo strumento urbanistico vigente.
La Commissione stessa, peraltro, d’intesa con l’Ufficio, ha rimesso gli atti all’organo dirigenziale affinché verifichi se sussiste in capo all’amministrazione la possibilità e la compatibilità di prevedere un “prezzo” in conto investimento tramite il ricorso al mercato creditizio.
Con delibera di Consiglio Comunale n. 291 del 22 dicembre 2007, l’amministrazione ha deciso di contribuire con un “prezzo” di € 2.500.000,00 (Iva compresa) da corrispondere in conto investimento.
Di talché, con determinazione dirigenziale n. 865 del 30 aprile 2008, l’amministrazione ha preso atto delle valutazioni conclusive espresse dalla Commissione ed ha invitato i tre soggetti proponenti alla riformulazione di una nuova proposta da presentare nei termini e con le modalità da stabilire in apposita lettera d’invito.
La Commissione costituita con determinazione dirigenziale del 2 febbraio 2009, in relazione ai due plichi pervenuti contenenti le proposte, nella seduta del 23 febbraio 2009, ha escluso dalla procedura dell’iter valutativo la proposta presentata dall’altra impresa, mentre ha stabilito di proseguire l’iter valutativo della sola proposta di E in quanto la mancanza della documentazione atta a dimostrare il possesso dei requisiti di “promotore” attiene a profili formali, da colmare mediante integrazione.
Nella successiva seduta del 9 marzo 2009, la Commissione ha proceduto all’esame della documentazione presentata da E dalla quale ha riscontrato numerose incongruenze e criticità e tali criticità sono state ancora evidenziate, con particolare riferimento alla problematiche urbanistiche, nella seduta del 29 aprile 2009, in cui la Commissione ha stabilito di convocare la Società per una audizione.
L’audizione si è tenuta il 27 maggio 2009 ed E ha fornito documentazione e chiarimenti per la valutazione della proposta con nota del 17 giugno 2009.
La Commissione, nella seduta del 19 giugno 2009 di cui al verbale n. 6, ha concluso nel seguente modo: “nel riconoscere che il nuovo schema progettuale crea i presupposti per la generazione di flussi di cassa superiori a quelli previsti nel piano economico finanziario già presentato, si subordina la verifica di sostenibilità economico finanziaria alla presentazione da parte del proponente di un nuovo piano economico finanziario aggiornato che recepisca le scelte progettuali illustrate nel documento presentato, fornendo adeguate garanzie all’amministrazione comunale rispetto alla sostenibilità ed alla bancabilità del progetto”.
A questo punto, di fatto, la procedura si è interrotta.
E, con nota del 25 luglio 2014, ha invitato e diffidato l’amministrazione a comunicare lo stato della procedura di gara e le ragioni della sua mancata conclusione ed a provvedere comunque, senza ulteriori ritardi, a porre in essere tutti gli atti e provvedimenti necessari a garantirne la più rapida conclusione;in esito a tale nota, Roma Capitale, in data 3 settembre 2014, ha adottato l’atto impugnato.
Ne consegue che la Società ricorrente ha formulato una proposta per la realizzazione dei lavori, ma non ha mai acquisito la qualità di “promotore” in senso tecnico in quanto l’amministrazione non ha mai individuato e dichiarato di pubblico interesse il progetto presentato.
3. L’azione di annullamento è infondata e va di conseguenza respinta.
L’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 dispone che il provvedimento ad efficacia durevole può essere revocato per sopravvenuti motivi di interesse pubblico ovvero nel caso di mutamento delle situazioni di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Nel caso di specie, non v’è dubbio che l’amministrazione comunale abbia proceduto alla revoca del procedimento avviato nel 2005 per l’individuazione del promotore relativo al project financing in questione per sopravvenuti motivi di interesse pubblico.
Nel provvedimento, infatti, come in precedenza indicato, è specificato che “il procedimento di individuazione del ‘promotore’ e di ‘dichiarazione del pubblico interesse’ dell’opera … non ha avuto seguito in quanto le notorie difficoltà economiche dell’Ente non hanno consentito di stanziare in bilancio la somma di € 2.500.000,00 richiesta a titolo di ‘prezzo’ che l’amministrazione avrebbe dovuto corrispondere al futuro concessionario quale quota di partecipazione al Partenariato Pubblico Privato”.
Pertanto, Roma Capitale, in ragione delle sopravvenute difficoltà economiche – in proposito, giova osservare che l’art. 78, comma 1, d.l. n. 112 del 2008. modificato dalla legge di conversione n. 133 del 2008, ha disposto che, al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi strutturali di risanamento della finanza pubblica e nel rispetto dei principi indicati dall’art. 119 Cost., nelle more dell’approvazione della legge di disciplina dell’ordinamento, anche contabile, di Roma Capitale ai sensi dell’art. 114, comma 3, Cost., con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, il Sindaco del Comune di Roma, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, è nominato Commissario straordinario del Governo per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del Comune e delle società da esso partecipate, con esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati, e per la predisposizione ed attuazione di un piano di rientro dall’indebitamento pregresso ed altresì che l’art. 78, comma 6, del citato decreto legge ha stabilito che i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui ai commi 1 e 2 prevedono in ogni caso l’applicazione, per tutte le obbligazioni contratte anteriormente alla data di emanazione del medesimo DPCM, dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 248 e del comma 12 dell’art. 255 del d.lgs. n. 267 del 2000, ossia delle norme dettate in tema di enti dissestati – ha mutato la propria scala di priorità nel selezionare i bisogni da soddisfare della collettività stanziata sul territorio, ritenendo opportuno soprassedere alla procedura di project financing in discorso.
In sostanza, nel non proseguire la procedura, l’amministrazione comunale è intervenuta, invero attraverso il suo comportamento inerte già dal secondo semestre del 2009, a disciplinare un nuovo e diverso assetto di interessi e ciò in quanto essa, nella sua continua attività di cura dell’interesse pubblico, non perde mai il potere di procedere e provvedere.
Il potere di revoca, infatti, ha la sua ratio nei principi di continuità e di necessità dell’azione amministrativa e cioè nell’esigenza che l’azione amministrativa si adegui all’interesse pubblico allorquando questo muti. Ne discende la qualifica di provvedimento motivato di secondo grado con cui l’amministrazione competente ritira con efficacia ex nunc un atto inficiato da vizi di merito in base ad una sopravvenuta valutazione degli interessi.
Nella fattispecie in esame, quindi, la revoca si presenta adeguatamente motivata dando conto dei presupposti giuridici e fattuali a base della sua adozione.
Né, possono assumere rilievo dirimente le altre censure di legittimità prospettate dalla ricorrente in relazione al suo mancato coinvolgimento nel procedimento ed alla omessa comparazione e valutazione degli interessi in gioco.
La posizione di E, sebbene la proposta presentata dalla stessa sia stata la sola ancora oggetto di valutazione da parte della Commissione, non poteva dirsi consolidata e fonte di un affidamento meritevole di tutela alla positiva conclusione della vicenda ed alla conseguente attribuzione del bene della vita in quanto, come già osservato, non era intervenuta alcuna dichiarazione di pubblico interesso sul progetto in relazione al quale la Commissione, nella seduta del 19 giugno 2009 di cui al verbale n. 6, aveva ancora rilevato la presenza di criticità.
In sostanza, alla verifica di fattibilità del progetto e dell’assenza di elementi ostativi alla realizzazione dell’opera, sarebbe dovuta necessariamente seguire l’individuazione della proposta di pubblico interesse e, solo a seguito di tale individuazione, l’amministrazione avrebbe potuto procedere alla indizione della gara di cui all’art. 37 quater, comma 1, lett. a), della legge n. 109 del 1994;individuazione della proposta di pubblico interesse che nel caso in esame non era ancora intervenuta
La giurisprudenza, peraltro, ha avuto modo di chiarire che nel project financing l’amministrazione, anche una volta individuato il promotore e ritenuto di pubblico interesse il progetto dallo stesso presentato, non è tenuta a dare corso alla procedura di gara, ma è e rimane libera di scegliere – attraverso valutazioni attinenti al merito amministrativo e non sindacabili in sede giurisdizionale – se, per la tutela dell’interesse pubblico, sia più opportuno affidare il progetto per la sua esecuzione ovvero rinviare la sua realizzazione ovvero non procedere affatto (cfr. Cons. Stato, III, 20 marzo 2014, n. 1365).
Nemmeno può ritenersi che la revoca degli atti della procedura avrebbe dovuto comportare la previsione di un indennizzo in favore della Società proponente.
L’amministrazione, infatti, ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990, ha l’obbligo di provvedere all’indennizzo se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, mentre, nel caso di specie, nessun pregiudizio può dirsi prodotto in quanto la proposta presentata da E, al momento dell’interruzione della procedura, non era stata ancora individuata e dichiarata di pubblico interesse, sicché nessun affidamento tutelabile può ritenersi sorto in capo all’impresa e nessun pregiudizio in suo danno può ritenersi presente.
All’infondatezza dell’azione di annullamento dell’atto di revoca segue l’infondatezza e la reiezione dell’azione di risarcimento del danno per equivalente patrimoniale in quanto, in assenza dell’illegittimità del provvedimento fonte del danno, difetta in radice il fondamentale elemento costitutivo della responsabilità risarcitoria aquiliana da attività amministrativa illegittima.
4. L’esame dell’azione di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale dell’amministrazione capitolina ex art. 1337 c.c. costituisce il punto di maggiore complessità della controversia.
In tal caso, il danno ingiusto risarcibile deriverebbe dalle lesione di un diritto soggettivo, il diritto alla libertà negoziale, per effetto della condotta illecita dell’amministrazione che avrebbe coinvolto in trattative inutili l’impresa ricorrente.
Il Collegio rileva in primo luogo che la giurisdizione del giudice adito su tale pretesa risarcitoria sussiste in quanto la materia cui afferisce la controversia, comunque relativa ad una procedura di affidamento di pubblici lavori, è riservata, a sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e1), in via esclusiva al giudice amministrativo.
La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può coesistere con lo svolgimento di un’attività amministrativa legittima o che, comunque, abbia superato lo scrutinio giurisdizionale di legittimità (cfr. Adunanza Plenaria Cons. Stato, 5 settembre 2005, n. 6).
In particolare, nell’ambito di un procedimento propedeutico alla scelta del contraente dell’amministrazione, può configurarsi, a prescindere da una eventuale responsabilità civile per lesione dell’interesse legittimo derivante da provvedimento illegittimo, una responsabilità di tipo precontrattuale per violazione di norme imperative che pongono “regole di condotta”.
Le regole di legittimità e di condotta operano su piani distinti: non è necessaria la violazione delle regole di legittimità per aversi responsabilità precontrattuale e, viceversa, l’inosservanza delle regole di condotta può non determinare l’illegittimità della procedura di affidamento (cfr. Cons. St., IV. 15 settembre 2014, n. n. 4674, che, peraltro, utilizza la locuzione “regole di validità” in luogo della locuzione “regole di legittimità” qui preferita).
In tali casi - rilevato che le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede - il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale consegue alla violazione degli obblighi di buona fede ed alla lesione del legittimo affidamento del privato.
La responsabilità precontrattuale, si è detto, individua la responsabilità per lesione della libertà negoziale, nel senso che non tutela l’interesse all’adempimento, ma l’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili.
Su un piano generale, il Collegio osserva che, durante le trattative, le parti devono comportarsi non soltanto secondo buona fede, ma anche con diligenza, atteso che la responsabilità precontrattuale si ravvisa pure in ipotesi di comportamento colposo quando, ad esempio, una parte conduce trattative senza verificare le sue concrete possibilità di impegnarsi.
La svolgimento delle trattative, peraltro, non comporta alcun obbligo di contrarre atteso che il contraente conserva il potere di negoziare e di recedere fino a quando il contratto non è perfezionato, mentre l’eventuale responsabilità del soggetto deriva piuttosto dall’avere dolosamente o colposamente indotto l’altra parte a confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto.
L’elemento psicologico colposo, in particolare, sussiste quando una parte non si attiene alla normale prudenza nell’indurre l’altra parte a confidare nella conclusione del contratto, nel senso che porta avanti le trattative senza verificare le proprie possibilità o senza avere una sufficiente determinazione.
Il limite delle trattative oltre il quale il contraente può confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto dipende dalle circostanze concrete e, in linea di principio, può ravvisarsi quando i contraenti hanno raggiunto un’intesa di massima sui punti essenziali dell’affare dovendo ancora definire i dettagli di più marginale importanza o quando l’accordo è completamente raggiunto ma rimane da tradurlo nella forma necessaria alla sua validità.
Con particolare riferimento alla responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, il Collegio rileva che chi entra in contatto con un ente pubblico può pretendere che nelle trattative e nella fase di formazione del contratto l’amministrazione serbi un comportamento improntato ai precetti della buona fede e della normale diligenza ai quali sono tenuti in generale i contraenti al fine di evitare di ingenerare nei terzi, anche se per mera colpa, un ragionevole affidamento poi deluso sulla conclusione del contratto.
Il recesso ingiustificato dalle trattative può ravvisarsi, propriamente, quando l’amministrazione pubblica revoca il proprio impegno senza alcuna ragione o adducendo pretesti o motivi che dovevano essere noti già al momento iniziale delle trattative.
La responsabilità precontrattuale dell’amministrazione può propriamente profilarsi quando risulta che le trattative sono state iniziate e portate avanti senza la diligente verifica della propria disponibilità a concludere il contratto.
Il Collegio ritiene che nella controversia in esame, non sussista una responsabilità precontrattuale dell’amministrazione capitolina
In primo luogo, occorre ribadire che, alla data del 19 giugno 2009, in cui è stato compiuto l’ultimo atto relativo alla procedura in esame prima che la stessa si interrompesse, E, sebbene la sua proposta fosse l’unica delle tre proposte originarie ad essere ancora oggetto di esame, non aveva acquisito alcuna posizione consolidata o di legittimo affidamento non essendo stata individuata e dichiarata di pubblico interesse la proposta presentata.
Viceversa, dal verbale n. 6 del 19 giugno 2009, risulta che la Commissione abbia formulato le seguenti osservazioni: “alla luce della valutazione effettuata, si ravvisa lo sforzo della società E Srl a voler recepire i ‘desiderata’ dell’A.C., impegnandosi a modificare le criticità rilevate dalla commissione, relativamente agli aspetti urbanistici, costruttivi, delle caratteristiche del servizio e della gestione, del piano economico finanziario e della bozza di convenzione al fine di soddisfare le esigenze dell’Amministrazione Comunale”, sicché si rileva “una complessiva fattibilità della proposta dal punto di vista dell’impostazione progettuale, delle funzioni previste e delle caratteristiche gestionali, pur evidenziando la necessità di modificare quegli aspetti per cui la valutazione ha rilevato carenze, nonché ad integrare ulteriormente la proposta con la documentazione necessaria a mettere l’A.C. nelle condizioni di concludere l’istruttoria di valutazione” ed infine “nel riconoscere che il nuovo schema progettuale crea i presupposti per la generazione di flussi di cassa superiori a quelli previsti nel piano economico finanziario già presentato, si subordina la verifica di sostenibilità economico finanziaria alla presentazione da parte del proponente di un nuovo piano economico finanziario aggiornato che recepisca le scelte progettuali illustrate nel documento presentato, fornendo adeguate garanzie all’amministrazione comunale rispetto alla sostenibilità e alla bancabilità del progetto”.
A questa stregua, non sussiste alcun dubbio che, rebus sic stantibus, la proposta non fosse stata ancora dichiarata di pubblico interesse, essendo stata, invece, ritenuta necessaria la presentazione di un nuovo piano economico finanziario propedeutico alla verifica di sostenibilità economico finanziaria.
L’unico profilo di perplessità sul rispetto delle regole di condotta gravanti sul soggetto che conduce delle trattative si collega alla circostanza che, successivamente alla redazione del richiamato verbale del 19 aprile 2009, come indicato nella memoria di replica depositata dalla ricorrente, non si sia mai comunicato l’esito della seduta e non si sia mai avanzato ulteriori richieste di integrazione del progetto.
Peraltro, se è vero che Roma Capitale non ha più informato E dello stato della procedura, è altrettanto vero che l’interessata avrebbe potuto rendersi parte diligente per acquisire informazioni, atteso che il comportamento inerte dell’amministrazione in alcun caso avrebbe potuto condurre all’attribuzione del bene della vita sperato.
L’inerzia dell’amministrazione è senz’altro “compensata” dalla scarsa diligenza dell’impresa a chiedere, in tempi ragionevoli, quale fosse stato l’esito della valutazione e se il Comune avesse intenzione o meno di proseguire la procedura di project financing.
In altri termini, mentre l’inerzia dell’amministrazione in nessun caso ha potuto creare un affidamento meritevole di tutela in favore di E in ordine alla qualificazione di pubblico interesse del progetto presentato, essendo necessaria l’adozione di uno specifico provvedimento amministrativo di individuazione e dichiarazione di pubblico interesse, l’atteggiamento inerte dell’impresa ha potuto far sorgere nell’amministrazione una ragionevole presunzione di sopravvenuto disinteresse alla prosecuzione della valutazione del progetto.
Infatti, dopo le integrazioni fornite da E con nota del 17 giugno 2009 a seguito dell’audizione della stessa nella seduta del 27 maggio 2009, l’impresa risulta avere nuovamente manifestato il proprio interesse alla procedura soltanto con la diffida alla conclusione del procedimento in data 25 luglio 2014, vale a dire a distanza di oltre cinque anni e due mesi.
Tale evoluzione della vicenda porta ad escludere, in definitiva, che l’amministrazione capitolina abbia tenuto una condotta violativa della libertà negoziale della ricorrente e, quindi, porta ad escludere la ricorrenza dei presupposti per la configurabilità di un’ipotesi di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. in quanto non è affatto dimostrato che abbia coinvolto colposamente la ricorrente in trattative inutili.
D’altra parte, l’art. 30, comma 3, c.p.a., nell’ipotesi di azione di risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi, esclude che siano risarcibili i danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.
L’estensione analogica di tale norma all’azione di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale dell’amministrazione porterebbe comunque ad escludere nel caso di specie la condanna risarcitoria perché la ricorrente, sollecitando celermente la tempestiva conclusione della procedura, anche avvalendosi eventualmente dello strumento processuale dell’azione avverso il silenzio, avrebbe potuto indurre l’amministrazione comunale ad ultimare la procedura stessa in un momento tale da evitare la produzione del danno di cui la ricorrente ha chiesto il ristoro.
5. E ha altresì proposto azione di risarcimento del danno da ritardo nella conclusione del procedimento,
L’art. 2 bis l. n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 7 l. n. 69 del 2009 obbliga le pubbliche amministrazioni al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, introducendo il c.d. danno da ritardo.
Nel disciplinare le azioni di condanna, il codice, all’art. 30, co. 2, prevede analogamente che possa essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante non solo dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, ma anche dal mancato esercizio di quella obbligatoria.
Il punto focale, più complesso e più dibattuto, dell’esegesi normativa concerne la risarcibilità ex se dell’interesse del privato al rispetto della tempistica procedimentale, vale a dire se la responsabilità amministrativa possa prescindere dalla spettanza del bene della vita costituente il lato interno della posizione di interesse legittimo dedotto nell’istanza pretensiva, ovvero se sia necessario dimostrare l’effettiva lesione al conseguimento o al conseguimento tempestivo di tale utilità.
In altri termini, la questione fondamentale che si pone è se sia risarcibile il danno da mero ritardo indipendentemente dalla fondatezza della pretesa azionata con l’istanza avanzata all’amministrazione.
Negli ultimi anni è venuto delineandosi un orientamento, che oggi può ritenersi prevalente, in ragione del quale la ratio della norma introdotta nel 2009 è quella di presupporre che per il richiedente, titolare dell’interesse legittimo pretensivo, anche il tempo sia o possa essere un bene della vita.
La giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un procedimento amministrativo, qualora incidente su interessi pretensivi agganciati a programmi di investimento di cittadini o imprese, è sempre un costo, visto che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento condizionandone la relativa convenienza economica (ex multis: Cons. Stato, V, 21 giugno 2013, n. 3408;Cons. Stato, V, 28 febbraio 2011, n. 1271;Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 4 novembre 2010, n. 1368).
In questa prospettiva, ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell’aumento del c.d. rischio amministrativo e, quindi, in maggiori costi, attesa l’immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamento.
Va da sé, allora, che la risarcibilità del danno derivante dal mero ritardo dell’azione amministrativa e cioè a prescindere dalla fondatezza della pretesa avanzata con l’istanza, postula che il tempo sia esso stesso un bene della vita, differente rispetto a quello perseguito con la richiesta pretensiva, ed avente parimenti natura sostanziale e non meramente procedimentale.
Il bene della vita oggetto della posizione giuridica sostanziale, in altri termini, è in questo caso costituito dalla tempestiva eliminazione dell’incertezza circa il possibile svolgimento dell’attività richiesta con l’istanza che ha dato avvio al procedimento e, quindi, si configura come diritto alla certezza dei tempi dell’azione amministrativa al fine di autodeterminarsi ed orientare la propria libertà economica.
La ritardata conclusione del procedimento, infatti, può incidere negativamente sull’impegno di risorse, così come può comportare la rinuncia ad altre opportunità o ad avvalersi di altre circostanze favorevoli che non abbiano durata indefinita .
La convenienza economica di determinati investimenti e di determinate scelte di vita, in sostanza, può certamente risentire dell’inerzia amministrativa.
Il fluire del tempo, in tal modo, non determina il venire meno del potere/dovere dell’amministrazione di concludere, sia pure in ritardo, il procedimento, ma costituisce un inadempimento ad un obbligo di legge che può portare, in presenza della dimostrazione di un danno effettivo, alla concretizzazione di un illecito ed alla conseguente responsabilità aquiliana dell’amministrazione inadempiente.
Il tempo, come detto, è un bene della vita, ma la sua lesione può produrre o meno un danno risarcibile e di tale eventuale produzione deve essere fornita una prova idonea e puntuale.
Insomma, al pari delle altre fattispecie di illecito aquiliano, la lesione del bene della vita non determina una automatica responsabilità risarcitoria dell’amministrazione, che nasce solo quando un danno sia stato prodotto e sia adeguatamente provato.
Per ogni ipotesi di responsabilità della pubblica amministrazione, la prova dell’esistenza del danno deve essere fornita in modo rigoroso dal ricorrente, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti e, se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise.
Peraltro, quando il soggetto onerato dell’allegazione e della prova dei fatti non vi adempie, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito, né può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato onere probatorio da parte del privato (ex multis: Cons. Stato, V, 28 febbraio 2011, n. 1271;Cons. Stato, V, 13 giugno 2008, n. 2967).
La consulenza tecnica d’ufficio, in particolare, non è destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla stessa parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell’onere della prova posti dall’art. 2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche non possedute.
In pratica, al di là di mere enunciazioni di principio e di formulazioni di stile circa il danno che la parte ricorrente sostenga di avere subito per il ritardo nella conclusione del procedimento, occorre in concreto l’allegazione specifica della prova del danno subito, in assenza della quale nessun danno può ritenersi effettivamente valutabile e, per questo, risarcibile.
Pertanto, ove il danno derivante dal mero ritardo nella conclusione del procedimento non sia in concreto provato dalla parte ricorrente su cui grava il relativo onere, l’eventuale azione di risarcimento del danno deve essere respinta non perché il mero ritardo dell’amministrazione, producendo la lesione del tempo come bene della vita, non possa essere astrattamente fonte di responsabilità aquiliana, ma perché, non essendo stata data concreta prova dell’avvenuta produzione del danno, non c’è l’oggetto del risarcimento.
Nella fattispecie in esame, E si è limitata a chiedere il danno da ritardo nella conclusione del procedimento in misura equitativa, ma non ha fornito alcun elemento di prova di un danno effettivamente subito per effetto del ritardo nell’azione amministrativa.
Di qui, l’infondatezza anche di tale domanda risarcitoria e la sua reiezione.
6. L’assoluta peculiarità della fattispecie e la sua complessità fattuale inducono a ritenere equa la compensazione integrale delle spese del giudizio tra le parti.