TAR Roma, sez. III, sentenza 2019-07-17, n. 201909428

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2019-07-17, n. 201909428
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201909428
Data del deposito : 17 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/07/2019

N. 09428/2019 REG.PROV.COLL.

N. 07052/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7052 del 2018, proposto da:
A Z, rappresentato e difeso dagli avvocati G G e F D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dello stesso avv. G G in Roma, via Dandolo n. 19/A;

contro

Universita' degli Studi Roma “La Sapienza”, in persona del Rettore e legale rappresentante p.t., Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'accertamento

- del diritto soggettivo del ricorrente ad essere assunto quale ricercatore a tempo determinato di tipo B presso l'Ateneo resistente nel S.S.D. ING-IND/24, ad esito del concorso indetto con decreto rettorale n. 1900/2016 del 3 maggio 2016, con richiesta di condanna dell'Ateneo alla stipulazione del contratto;

- ove possa occorrere, per l’annullamento della nota dell'Ateneo prot. n. 43358 del 22 maggio 2018.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Universita' degli Studi Roma La Sapienza e del Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2019 il dott. C V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il dott. A Z è docente di ruolo nella scuola primaria dal primo settembre 2007 e, al momento della presentazione del ricorso, lavorava presso l’Istituto Comprensivo “E Q V” di Roma.

Dal 1 febbraio 2009 al 31 ottobre 2012 egli usufruiva di un’aspettativa, senza corresponsione di assegni, presso l’Istituto scolastico suddetto, ai sensi dell’art. 22, comma 3, ultimo periodo, della Legge n. 240 del 2010, in quanto, in quel periodo, percepiva un assegno universitario di ricerca ai sensi della stessa legge. In seguito, il medesimo usufruiva di un ulteriore periodo di aspettativa senza assegni, ai sensi dell’art. 24, comma 9-bis, della Legge n. 240 del 2010, avendo instaurato con l’Ateneo resistente un rapporto triennale da ricercatore a tempo determinato, disciplinato dall’art. 24, comma 3, lett. a), della stessa legge (c.d. ricercatore di tipo A), con decorrenza dal 1 novembre 2012 e scadenza al 31 ottobre 2015.

In data 6 novembre 2012, mentre era in servizio presso l’Università “La Sapienza” come ricercatore in forza del menzionato contratto, il dott. Z - a suo dire su invito dell’Ateneo - inviava una nota alla persona del M R, ove si leggeva: “Il sottoscritto […] dichiara sotto la propria responsabilità di non avere altri rapporti di impiego pubblico o privato e di non trovarsi in nessuna delle situazioni di incompatibilità” (doc. 4 ric.).

Il contratto da ricercatore a tempo determinato di tipo A, giunto il 31 ottobre 2015 alla sua naturale scadenza, veniva prorogato per due anni, fino al 31 ottobre 2017 (vedi documentazione sub 5 ric.).

In vista della proroga, il dott. Z, in data 30 ottobre 2015, aveva inoltrato all’Istituto scolastico di appartenenza apposita istanza di prolungamento dell’aspettativa già in corso (come detto, non retribuita) e in data 6 novembre 2015 inviava all’Ateneo un nuovo modulo prestampato avente tenore testuale identico al precedente, attestante l’assenza di altri rapporti in corso di impiego pubblico ovvero privato. Con nota prot. n. 4087 del 18 novembre 2015 (doc. 7), la dirigente scolastica dell’Istituto “E.Q. Visconti” concedeva un ulteriore periodo di aspettativa dall’insegnamento, ma soltanto fino al 31 gennaio 2017 (e non, come richiesto dal dott. Z, fino al 31.10.2017, termine finale del contratto da ricercatore prorogato);
ciò in quanto, a suo avviso, “ dopo un’attenta analisi delle varie normative che prevedono il suo tipo di aspettativa effettuata anche con l’ausilio della sig.ra (….) dell’Ufficio scolastico, a cui mi sono rivolta personalmente, il suo periodo di aspettativa si concluderà il 31 gennaio 2017, termine ultimo superato il quale si andrebbe oltre il limite di 8 anni in totale, che è il tetto massimo di cumulabilità per le varie tipologie di assenza per aspettativa di cui ha usufruito da febbraio 2009. Dopo tale data, pertanto, verrà collocato fuori ruolo con la conseguente perdita della titolarità. In alternativa, potrà rientrare nel suo posto di appartenenza” (nota prot. n. 2881/B3 del 20 novembre 2015 - doc. 8 ric.).

A fronte della comunicazione che precede e temendo di perdere la titolarità della cattedra scolastica, in data 1 febbraio 2017 il dott. Z rientrava in servizio presso l’Istituto e sottoscriveva una “ richiesta autorizzazione incarico” (doc. 10 ric.), nella quale il medesimo, facendo riferimento alla necessità di svolgere le attività connesse ad proprio incarico retribuito di «RTD-A» (acronimo di “Ricercatore a tempo Determinato tipo A” ) presso l’Università, sino al 31 ottobre 2017, si impegnava a rendere quest’ultima prestazione, “in assenza di contrasto e conflitti anche potenziali con le attività istituzionali (scolastiche, ndr) , in orari diversi da quelli di servizio e non interferirà con i compiti e i doveri di ufficio del dipendente” .

Dal 2 febbraio 2017, rientrato in servizio presso l’Istituto “Visconti”, il dott. Z iniziava a percepire la retribuzione stipendiale da parte dell’Amministrazione scolastica.

Il successivo 4 novembre 2017, tuttavia, la Dirigente scolastica diffidava il dott. Z dal proseguire le sue attività di ricercatore presso l’Università “La Sapienza” e comunicava la revoca della precedente autorizzazione dell’incarico presso l’Università, con efficacia retroattiva a far data dal 5 ottobre 2017 (doc. 12 ric.).

In data 25 ottobre 2017, la stessa Dirigente scolastica ha inviato due comunicazioni di contenuto analogo, rispettivamente, alla Ragioneria territoriale dello Stato e all’Ufficio scolastico regionale per il Lazio (docc. nn. 14 e n. 15). Nelle due note si legge che, ad avviso dell’Istituto, si era verificata una situazione di incompatibilità riguardante la posizione del dott. Z che, dal 01/02/2017 al 31/10/2017, benché docente in servizio presso l’IC Visconti, ha continuato a svolgere il rapporto individuale di lavoro subordinato a tempo determinato di diritto privato, presso l’Università, percependo lo stipendio da ricercatore.

Successivamente, in data 9 settembre 2016, il medesimo ha partecipato al concorso (indetto con decreto rettorale n. 1900/2016 del 3 maggio 2016) per ricercatore a tempo determinato di tipo B presso l'Università “La Sapienza” nel Settore Scientifico Disciplinare ING-IND/24, risultandone vincitore. Il Consiglio del Dipartimento di Ingegneria chimica, materiali e ambiente, ha espresso parere favorevole alla sua chiamata, al pari della Giunta della Facoltà (allegato n. 16).

In data 19 dicembre 2017, tuttavia, il Consiglio di amministrazione dell’Università, all’atto di adottare la delibera di assunzione del ricorrente, a causa delle informazioni provenienti dall’I.C Visconti (in merito all’assunzione di incarico di ricercatore ritenuto incompatibile e alla percezione di doppio stipendio da parte del ricorrente) ha ritenuto opportuno soprassedere e richiedere un parere sulla vicenda all’Avvocatura dello Stato. Nel verbale si leggono diversi accenni critici sulla condotta tenuta dal ricorrente per avere negato, nelle comunicazioni all’Università, l’esistenza di altri rapporti di impiego e/o di situazioni di incompatibilità.

Dopo un prolungato lasso di tempo senza l’adozione di alcun provvedimento e a seguito di diffida dell’interessato, l’Ateneo, con nota del 22 maggio 2018, prot. n. 43358 (impugnata), ha fornito la seguente testuale comunicazione: “Come è noto, l’Avvocatura Generale dello Stato, con prot. n. 84575 del 14.02.2018, ha rappresentato la necessità, prima di assumere qualsiasi determinazione sulla vicenda, di acquisire il parere della Direzione Generale del Personale Scolastico del MIUR riguardo all’eventuale sussistenza di motivi ostativi alla chiamata della S.V. in qualità di RTDB. La informiamo che questa Amministrazione ha provveduto reiterare la richiesta di parere, a tutt’oggi non ancora pervenuto, per sottoporre all’approvazione del Consiglio di Amministrazione la proposta di chiamata della S.V., necessariamente condizionata all’esito delle valutazioni del MIUR, così come richiesto dall’Avvocatura Generale dello Stato”.

Ad avviso del ricorrente, l’Amministrazione ha inteso provocare uno stallo procedimentale a fronte di un vero e proprio diritto soggettivo all’assunzione vantato dal dott. Z, stante il superamento del concorso pubblico per ricercatore di tipo B, con approvazione della relativa graduatoria.

Con ricorso notificato in data 8.6.2019 al MIUR e in data 11.6.2018 all’Università degli studi di Roma “La Sapienza” il dott. Z ha articolato i seguenti motivi di doglianza avverso l’operato dell’Amministrazione, che gli ha finora impedito di accedere all’ambita posizione di ricercatore di tipo B presso il Dipartimento Ingegneria Chimica Materiali Ambiente:

1) Violazione dell’art. 71 del d.P.R. n. 445 del 2000 e degli artt. 22 e 24, comma 9-bis, della Legge n. 240 del 2010;
eccesso di potere per difetto dei presupposti, per carenza di istruttoria e per travisamento dei fatti: la vicenda sopra narrata non potrebbe in alcun modo precludere la presa di servizio del ricorrente;
il tenore letterale delle sue dichiarazioni non integrerebbe mendacio alcuno in quanto al momento di formalizzare all’Ateneo le successive dichiarazioni circa l’assenza di cause di incompatibilità, egli era in effetti in aspettativa;
il medesimo, in ogni caso, era legittimato a svolgere le attività di ricercatore di tipo A, poi prorogato per un biennio;
la sua condotta sarebbe stata comunque leale verso l’Ateneo al quale ha reso note tutte le circostanze sopra esposte, con nota del 4.12.2017 (doc. 21 ric.);
il ricorrente rileva inoltre che, per quanto risulta dal verbale del 19.12.2017 del CdA dell’Università, l’Area Affari Legali de “La Sapienza”, nel proprio parere, aveva mostrato di non ritenere le dichiarazioni del ricorrente pregiudizievoli per l’esito della selezione;

2) Violazione dell’art. 16 della l. n. 241 del 1990. Violazione dell’art. 26, tabella a), n. 121, del Regolamento di Ateneo relativo alla “attuazione delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. Violazione, sotto altro profilo, dell’art. 16 della legge sul procedimento. Violazione dell’art. 2 della Legge sul procedimento. Incompetenza: ai sensi della citata norma regolamentare universitaria l’assunzione del ricorrente come ricercatore sarebbe dovuta avvenire entro sei mesi dalla pubblicazione del decreto di nomina del Commissione: tale termine è stato ampiamente violato stante la nomina della Commissione giudicatrice con D.R. n. 642 del 21.2.2017;
in generale sono stati violati tutti i termini procedimentali per pervenire all’esito del procedimento, considerato che il parere richiesto all’Avvocatura dello Stato aveva carattere del tutto facoltativo ed il mancato rilascio di esso non poteva giustificare lo stallo procedimentale;
l’Università, inoltre, avrebbe interpellato sulla vicenda, per un’ulteriore valutazione, una Direzione Generale del MIUR del tutto incompetente, ai fini dell’adozione della determinazione in merito all’assunzione del dott. Z.

La conclusione formulata dal ricorrente mira alla sua assunzione in servizio come ricercatore a tempo indeterminato di tipo B, in relazione al concorso di cui è risultato vincitore.

Si sono costituiti in resistenza il MIUR e l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”.

Quest’ultima ribadisce, in particolare, la legittimità della propria azione amministrativa, la quale, a suo avviso, è stata determinata nelle sue modalità (contestate dall’odierno ricorrente) proprio dal comportamento posto in essere dal dott. Z e dal fatto che per un certo periodo – e, segnatamente, dal 01.02.017 al 31.10.2017 – egli ha percepito un doppio stipendio (uno da parte dell’Ateneo e l’altro dall’ istituto scolastico dove insegnava), “a seguito di dichiarazioni rese – anche – nei confronti di questo Ateneo che si sono rilevate mendaci”.

In esito alla camera di consiglio del 18 luglio 2018, la Sezione, con ordinanza n. 4514/2018, ha ritenuto che “…la pretesa azionata dal ricorrente e la complessità della fattispecie ad essa sottostante mal si prestino a soluzioni a carattere interinale da assumere sulla base di una cognizione sommaria dei fatti di causa;…. le esigenze cautelari di parte ricorrente possano trovare adeguata considerazione, ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a., attraverso la sollecita fissazione dell’udienza di merito…”.

In vista dell’udienza di merito ha prodotto memoria conclusionale il ricorrente.

Quindi alla pubblica udienza del giorno 3 aprile 2019 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

Il dott. A Z, con decreto rettorale n. 1852/2017, è stato proclamato vincitore della procedura volta al reclutamento di un ricercatore a tempo determinato ai sensi dell’art. 24, comma 3, lettera b), della l. n. 240 del 2010 per il settore scientifico - disciplinare ING/IND 24. Quindi, il 22 settembre 2017 è intervenuto l’atto con il quale il Consiglio di Dipartimento di Ingegneria Chimica Materiali e Ambiente ha deliberato all’unanimità la chiamata del ricorrente ed ha inoltrato alla Giunta la proposta.

La Giunta, nella seduta del 3 ottobre 2017, ha espresso parere favorevole in relazione alla predetta proposta “con voto unanime”.

Come sopra esposto, in data 12 ottobre 2017 è giunta all’Ateneo resistente la nota della Dirigente dell’Istituto scolastico “E Q V” , con la quale è stato rappresentato che il ricorrente avrebbe tenuto l’Istituto stesso all’oscuro del rapporto da ricercatore a tempo determinato di “tipo A” già instaurato, rendendosi responsabile di una doppia percezione di stipendio per le mensilità che vanno dal febbraio all’ottobre del 2017. Sulla scorta delle informazioni desunte da questa missiva, oltre che a causa di due dichiarazioni che l’Ateneo stesso chiese al ricorrente di firmare, rispettivamente in data 6 novembre 2012 (vale a dire, quando egli era ricercatore a tempo determinato di “tipo A” presso l’Università, e in aspettativa non retribuita presso l’Amministrazione scolastica), ed in data 2 novembre 2015 (quando egli versava nella stessa situazione di cui sopra, ma in regime di proroga del contratto “di tipo A”), il Consiglio di Amministrazione dell’Università, in sede di delibera di assunzione del ricorrente (19 dicembre 2017 ), ha ritenuto di dover richiedere un parere facoltativo all’Avvocatura dello Stato circa la sussistenza di cause ostative alla stipula del contratto, dopo aver già ottenuto il parere favorevole dell’Ufficio legale interno all’Ateneo.

Il Collegio ritiene che, pur dandosi atto della non piena trasparenza della condotta tenuta dall’interessato nel fornire le dovute informazioni all’Ateneo ove ha prestato servizio in qualità di ricercatore, non sia giustificata la posizione soprassessoria ed inerte assunta dall’Università resistente che - nella vana attesa di un parere (meramente facoltativo) da parte dell’Avvocatura erariale e, su suggerimento di questa, di una valutazione (anch’essa di mera opportunità) da parte del MIUR – ha ampiamente superato i termini procedimentali per provvedere in merito all’assunzione in servizio del ricorrente, non dando seguito ed attuazione, in tal modo, ai propri stessi provvedimenti (approvazione della graduatoria concorsuale, delibera di chiamata del Consiglio di Dipartimento, con parere favorevole della Giunta) i quali, in assenza di provvedimenti formali di autotutela, sono da ritenere pienamente validi ed impegnativi per l’Ateneo nei confronti del dott. Z.

La condotta di quest’ultimo che, peraltro, mostra profili di un atteggiamento non collaborativo e non del tutto chiaro con le istituzioni scolastiche (da approfondire, se del caso, in sede disciplinare), va ricondotta nelle sue giuste dimensioni, tenendo conto dei seguenti profili:

- in data 1 febbraio 2017 il ricorrente ha presentato all’Istituto scolastico di appartenenza una “richiesta autorizzazione incarico” (doc. 10 ric.) nella quale si specificava sia il tipo di incarico (ricercatore di Tipo A), sia la retribuzione percepita;
lo stesso Istituto scolastico Visconti, informato di ciò, ha di fatto autorizzato la ripresa in servizio del ricorrente (e quindi, di fatto, ha reso possibile lo svolgimento del doppio servizio e la percezione della doppia retribuzione), ponendo la sola condizione che lo svolgimento dell’incarico esterno non interferisse con l’attività di insegnante;

- soltanto il successivo 4.11.2017 l’Istituto scolastico, con nota prot. n. 3178/B3 (datata 27.10.2017, v. doc. 12) ha comunicato al dott. Z la revoca della precedente autorizzazione, diffidandolo dal proseguire la sua attività di ricercatore universitario;

- quanto alla presunta dichiarazione non veritiera nei confronti dell’Università, alla quale il ricorrente ha comunicato (in data 6 novembre 2012 e successivamente, in occasione della proroga del rapporto, il 2 novembre 2015) di “ non avere altri rapporti di impiego pubblico o privato e di non trovarsi in alcuna delle situazioni di incompatibilità”, si deve osservare che: al momento di presentazione di dette comunicazioni il ricorrente era in posizione di aspettativa senza assegni presso l’Istituto scolastico di appartenenza, condizione che lo legittimava “pleno jure” ad assumere e, dopo la proroga, a proseguire la sua attività di ricercatore di tipo A stante la previsione dell’art. 24, comma 9-bis, legge n. 249 del 2010 secondo cui “Per tutto il periodo di durata dei contratti di cui al presente articolo, i dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono collocati, senza assegni né contribuzioni previdenziali, in aspettativa ovvero in posizione di fuori ruolo nei casi in cui tale posizione sia prevista dagli ordinamenti di appartenenza”.

La norma appena citata, pertanto, non esclude in assoluto l’instaurazione del rapporto contrattuale di ricerca (tipo a o tipo b) con l’Università in presenza di un rapporto lavorativo in corso con una pubblica amministrazione, limitandosi ad imporre il temporaneo “congelamento” di quest’ultimo attraverso l’istituto dell’aspettativa non retribuita o, in alternativa, del collocamento fuori ruolo.

Ciò chiarito, il Collegio non ritiene legittima la scelta del Consiglio di Amministrazione di procrastinare “sine die” l’assunzione della determinazione finale di sua competenza, in attesa del parere dell’Avvocatura dello Stato (vedi delibera del 19.12.2017, n. 488, doc. 14 res.). Ai sensi dell’art. 16 della legge 241/90, infatti, “gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni, sono tenuti a rendere i pareri ad essi obbligatoriamente richiesti entro venti giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora siano richiesti pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso, che comunque non può superare i venti giorni dal ricevimento della richiesta. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere facoltativo o senza che l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, l’amministrazione richiedente procede indipendentemente dall’espressione del parere”.

Nella specie si trattava certamente di parere facoltativo (e così va anche qualificato l’ulteriore parere richiesto, per il tramite dell’Avvocatura, al MIUR e, come l’altro, mai rilasciato), il che faceva salva la possibilità per l'Amministrazione procedente anche di disattendere, ove fosse stato reso, il parere reso dall'Avvocatura dello Stato.

Alla luce di questa norma, l’Università resistente, di fronte al ritardo dell’Avvocatura di Stato nel fornire il parere, avrebbe potuto e dovuto procedere indipendentemente dall’espressione del parere. A maggior ragione ove si consideri che anche la Giunta, nella seduta del 3 ottobre 2017, aveva espresso con voto unanime parere favorevole alla proposta di chiamata del ricorrente.

La situazione di “stallo procedimentale” motivata con il mancato rilascio (fino ad oggi) del parere “de quo” è dunque del tutto ingiustificata, dovendo il procedimento avere la sua conclusione con la determinazione, da parte del CdA dell’Università resistente, sulla presa in servizio del ricorrente, vincitore di regolare concorso.

Non può ritenersi, poi, che le condotte imputabili al ricorrente si pongano come cause ostative all’assunzione del medesimo nel nuovo ruolo di ricercatore di tipo B, a seguito della vittoria del concorso indetto con D.R. n. 1900/2016 del 3.5.2016, atteso, in primo luogo, che si tratta di condotte (da valutare sul piano della “colpa” del ricorrente, anche tenendo conto delle ondivaghe indicazioni a lui fornite dall’Istituto scolastico in occasione della proroga dell’incarico da ricercatore di tipo B e successivamente, v. supra), che non concernono in alcun modo l’ultima procedura concorsuale ma il precedente ed ormai esaurito contratto di ricercatore di tipo B, prorogato il 6 novembre 2015 e scaduto il 31.10.2017. Ove anche si volesse, in ipotesi, individuare una dichiarazione del ricorrente non corrispondente al vero (o, meglio, il mancato aggiornamento di quanto già dichiarato all’Ateneo), in esito a procedimento da instaurarsi “ad hoc”, ciò potrebbe avere conseguenze soltanto su tale pregresso rapporto, ove si seguisse in ipotesi, la tesi dell’Amministrazione scolastica secondo cui il ricorrente avrebbe raggiunto il periodo massimo di aspettativa consentita, avrebbe illegittimamente ottenuto l’autorizzazione alla prosecuzione dell’incarico da ricercatore universitario e, quindi, indebitamente cumulato, per un certo periodo, i due stipendi (arg. ex 75 d.P.R. n. 445 del 2000).

Ma la nuova procedura concorsuale vinta dal ricorrente è vicenda del tutto distinta ed autonoma.

Invero la fattispecie per cui è causa trova un suo preciso referente normativo nell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 (dedicato a “Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi”) a mente del quale “7. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.” L’ultimo periodo della disposizione limita l’ambito delle possibili sanzioni, per una condotta quale quella astrattamente imputabile al ricorrente (secondo la tesi dell’Amministrazione), alla responsabilità disciplinare e all’obbligazione di restituzione di quanto percepito sulla base di incarichi non autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza (ovvero, deve ritenersi, non autorizzabili, sebbene di fatto autorizzati). E’ evidente che l’obbligo restitutorio può riguardare soltanto il rapporto tra il ricorrente e la scuola dove egli insegnava (sua “amministrazione di appartenenza”). La possibilità di avviare un procedimento disciplinare nei confronti del dott. Z è, allo stato, soltanto un’ipotesi che né l’Istituto scolastico né l’amministrazione universitaria hanno, fino ad oggi, ritenuto di portare a compimento. In ogni caso, sia l’uno che l’altro strumento sanzionatorio rispetto ad eventuali condotte improprie dell’odierno ricorrente, rimasti entrambi inattuati per scelta delle diverse Amministrazioni coinvolte, non possono incidere né sui requisiti di partecipazione al successivo concorso, né sul suo svolgimento, né sul suo esito, sicchè, l’intera vicenda non può legittimamente porsi come causa ostativa all’assunzione.

Sul punto è assai significativo che, da quanto si legge nel verbale del C.d.A. del 19.12.2017, “…ai fini della partecipazione alla procedura selettiva per il reclutamento di RTDB, non è richiesto di dichiarare l’inesistenza di un altro impiego pubblico o privato” e che “… è parere dell’Area Affari Legali che la verifica di ulteriori e diversi profili di incompatibilità, derivanti dalla predetta dichiarazione del dott. Z, non sia preclusiva dell’esito della selezione e dell’inoltro a questo Consiglio della proposta di chiamata per RTDB….”.

Poiché nella stessa deliberazione soprassessoria del Consiglio di amministrazione dell’Ateneo non vengono esplicitate cause ostative all’assunzione del dott. Z ulteriori rispetto a quelle ivi dubitativamente esposte (con l’avviso contrario dell’Area Servizi Legali), le quali sono da ritenere, invece, infondate per le ragioni sopra esposte, la domanda in esame deve essere accolta, con conseguente declaratoria del diritto del ricorrente ad essere assunto in servizio presso il Dipartimento di competenza;
ferma restando la necessità, per lo stesso, di non potere contestualmente proseguire il l’insegnamento presso l’Istituto scolastico, nei confronti del quale sarà onere dell’interessato chiedere il collocamento in aspettativa senza assegni, ove possibile, ovvero, in alternativa, in posizione di fuori ruolo (nell’osservanza dell’art. 24, comma 9-bis, legge n. 240 del 2010);
con la possibilità, per l’Amministrazione di procedere, se del caso, al recupero di somme indebitamente corrisposte al dott. Z nel periodo di riferimento (dal 01/02/2017 al 31/10/2017) in cui risulta, sulla base di quanto eccepito dall’Amministrazione stessa, che lo stesso abbia cumulato i due incarichi di docente scolastico e ricercatore universitario.

Le spese possono essere interamente compensate tra tutte le parti private, stante la peculiarità delle vicenda.

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