TAR Bari, sez. II, sentenza 2014-05-29, n. 201400649

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. II, sentenza 2014-05-29, n. 201400649
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201400649
Data del deposito : 29 maggio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00084/2012 REG.RIC.

N. 00649/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00084/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 84 del 2012, proposto da:
Vinorte S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. F P, M P, con domicilio eletto presso F P in Bari, via Venezia, n.14;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Dipartimento I.C.R.F., Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distr.le Stato Di Bari, domiciliata in Bari, via Melo, n. 97;
Agea-Agenzia Per Le Erogazioni in Agricoltura;

per l'annullamento

in parte qua,

della nota prot. n. 0011878 del 27.10.2011, ricevuta dalla ricorrente in data 7.11.2011, del Direttore dell’Ufficio di Bari del Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della tutela della qualità e repressioni frodi dei prodotti agro-alimentari, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, avente ad oggetto “VINORTE S.r.l. (p. IVA 01943350718), legalmente rappresentata da

ZAZZERA

Vincenzo Lorenzo (CF ZZZVCN55D10G131Q) nato a Orta Nova (FG) il 10 aprile 1955 e residente in Foggia via Cappuccini P. Russo, sn –richiesta provvedimenti amministrativi: a) attestato prestazioni obbligatorie ex art. 47 Reg. CEE 822/887 – annata vinicola 1999/2999;
b) attestato prestazioni obbligatorie ex art. 37 Reg. CEE 1493/99 – annata vinicola 2000/2001;
c) attestato operazioni aumento gradazione alcolica – mod. “C” – annata vinicola 2001/02;
d) inesattezza dichiarazione vitivinicola 2000/01”, e degli atti e provvedimenti comunque connessi, con cui si è reiterata la sospensione del rilascio delle attestazioni richieste dalla ricorrente in relazione alle operazioni vinicole da essa svolte nel corso della campagna vinicola di riferimento;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Dipartimento I.C.R.F. e di Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2014 la dott.ssa Flavia Risso e uditi per le parti i difensori avv.ti M P e F P, per la ricorrente e l'avv. dello Stato Donatella Testini, per le Amministrazioni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in epigrafe la società Vinorte S.r.l. ha impugnato il provvedimento con cui l’Ispettore Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei Prodotti Agro Alimentari (I.C.R.F.) ha sospeso (a seguito di una precedente sospensione) il rilascio dell’ attestazione di assolvimento delle c.d. prestazioni obbligatorie ex art. 47 del regolamento CEE n. 822/87, in relazione ad operazioni vinicole compiute nel corso della campagna vinicola 1999/2000, del modello C per la campagna vinicola 2001/2002, nonché l’efficacia dell’attestazione di assolvimento delle c.d. prestazioni obbligatorie ex art. 37 del Regolamento CE 1493/99, per la campagna vinicola 2000/2001.

L’I.C.R.F. ha motivato l’adozione di tale provvedimento di sospensione con la sussistenza di un procedimento penale non ancora definito che “per quanto risulta nel P.V. di contestazione della Guardia di Finanza – Nucleo P.T. Puglia GRF del 29.03.2004” “potrebbe risultare ostativo al rilascio delle attestazioni richieste”, nonché con la sussistenza di ordinanze d’ingiunzione (provvedimenti sanzionatori adottati ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 898 del 1986), inerenti i medesimi fatti oggetto di un procedimento penale già concluso con un’archiviazione (indebita percezione di aiuti comunitari per falsità di alcune forniture di uva), che costituirebbero ancora ostacolo al rilascio delle attestazioni richieste.

Più nello specifico, una ordinanza attingerebbe “la correttezza sostanziale della dichiarazione vinicola 1999/2000 (…) poiché risulterebbero inesistenti le forniture della AGRI EUROPA, a beneficio della stessa Vinoforte, per quintali 6.833, 20 di uva da vino”, un’altra attingerebbe “la correttezza sostanziale sia della succitata dichiarazione vinicola 1999/2000 (…) sia della dichiarazione vinicola 2000/2001 (…) poiché risulterebbero inesistenti – oltreché le suddette forniture della vendemmia 1999 per quintali 6.833,20 – anche ulteriori forniture della vendemmia 2000 dalla medesima AGRI EUROPA a beneficio della stessa Vinoforte per quintali 19.929”.

La società ricorrente deduce i seguenti motivi di censura:

Violazione dell’art.97 della Costituzione. Violazione degli artt. 1, 2, della legge n. 241 del 1990. Violazione degli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981. Violazione degli artt. 652 e 34c279fca3::LRD0FB9A8699DD7D64A57B::1988-12-29">654 cod. proc. pen. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti. Eccesso di potere per sviamento ed ingiustizia manifesta. Violazione dell’art. 13 del reg. CEE n. 1294/96. Violazione dell’art. 13 del reg. CEE n. 1294/96. Violazione dell’art. 33 d.lgs. n. 228 del 2001. Violazione dei consideranda e dell’art. 1, comma 2, e 2, comma 1, del reg. CEE n. 2988/95. Eccesso di potere per contraddittorietà.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e l’Ispettorato Centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari – Ufficio di Bari chiedendo la reiezione del ricorso.

Con nota depositata in data 5.3.2014, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali – Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari – Ufficio di Bari ha fatto presente che, essendo venuti meno i motivi ostativi della sospensione (le ordinanze ingiunzioni sono state annullate dal giudice ordinario e il procedimento penale definitivamente archiviato), sono stati adottati gli atti richiesti dalla ricorrente.

Con nota depositata in data 19.03.2014 il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali – Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari – Ufficio di Bari, considerata l’adozione e il successivo deposito degli atti richiesti e ritenendoli pienamente satisfattivi dell’interesse del ricorrente, ha chiesto la dichiarazione della cessata materia del contendere ai sensi dell’art. 34, u.c. del c.p.a.

Con nota depositata in data 21.03.2014 la società ricorrente ha riconosciuto che l’adozione degli atti sopra citati “rende improcedibile, per cessazione della materia del contendere”, la domanda di annullamento formulata dalla stessa, ma contestualmente ha insistito per l’accoglimento del ricorso ai fini risarcitori, ai sensi del combinato disposto degli artt. 30, comma 5 e 34, comma 3 c.p.a.

All’Udienza del 23 aprile 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. - In via preliminare, il Collegio deve verificare se, nel caso di specie, debba essere pronunciata la cessata materia del contendere, così come prospettato dall’Amministrazione con nota depositata il 19.3.2014 e dalla Vinorte S.r.l. con nota depositata il 21.3.2014 e non, invece, l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse.

Sul punto, è opportuno ricordare brevemente qual è la differenza tra la sentenza di merito della cessazione della materia del contendere e la sentenza di rito di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse.

La prima deve essere emessa dal giudice quando, nel corso del giudizio, la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta (art. 34, comma 5 del c.p.a.). La seconda, invece, di carattere più generale, viene emessa dal giudice ogni qualvolta venga meno, per qualsiasi causa, l’interesse delle parti alla decisione (art. 35, comma 1, lett.c), per esempio quando l’atto impugnato abbia cessato di produrre i suoi effetti o il processo non possa per qualsiasi motivo produrre un risultato utile per il ricorrente.

Più nello specifico, in giurisprudenza è stato osservato che la cessazione della materia del contendere, “non è formula istituzionalizzata di terminazione del processo civile od amministrativo, ma solo il riflesso processuale del mutamento della situazione sostanziale, quando questa dà luogo al venir meno della ragion d’essere della lite, in forza di un fatto sopravvenuto che priva i litiganti di ogni interesse a proseguire il giudizio e del quale le parti devono dare atto al giudice mediante contemporaneo e conforme mutamento delle conclusioni definitive nel processo civile, e delle loro domande nel processo amministrativo. Se, invece, nonostante la sopravvenienza di quel fatto, il ricorrente concluda per l’accoglimento della domanda come originariamente proposta, il giudice non può terminare la sentenza con un provvedimento sulle sole spese, ma dovrà pronunciare l’improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse ovvero l’accoglimento se tale interesse permanga” (Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 2003, n. 603. In senso analogo Cass., sez. II, 8 giugno 1996, n. 5333).

Nel caso di specie, la ricorrente, nella stessa nota sopra richiamata, ha insistito per l’accoglimento del ricorso ai fini risarcitori e, quindi, per la declaratoria di illegittimità degli atti impugnati, ai sensi del combinato disposto degli articoli 30, comma 5 e 34, comma 3 c.p.a.

Ora, si deve ritenere che la richiesta della Vinorte S.r.l. di proseguire il giudizio ai fini dell’accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati, dimostri, in realtà, che la pretesa della ricorrente non è stata pienamente soddisfatta con l’adozione, da parte dell’I.C.R.F., dei provvedimenti dalla stessa richiesti.

Pertanto, secondo il Collegio, dato che la pretesa della ricorrente non è stata pienamente soddisfatta, la formula decisoria corretta per il caso in esame è l’improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse.

2. – Ciò posto, risulta necessario verificare se sussistano i presupposti per proseguire il giudizio ai soli fini dell'accertamento autonomo della asserita illegittimità dell'atto.

Oggi, ai sensi dell’art. 34, comma 3 del c.p.a. il giudice amministrativo deve pronunciarsi sull’illegittimità dell’atto amministrativo impugnato anche nel caso in cui sia venuto meno l’interesse all’annullamento dell’atto, qualora sussista l’interesse ai fini risarcitori.

Il Codice del processo amministrativo contempla cioè la possibilità di una azione di mero accertamento, intendendosi, con tale espressione, “le ipotesi in cui l'accertamento, anziché limitarsi a momento logico propedeutico al giudizio sulle altre azioni di cognizione (di condanna e costitutiva), esaurisce in sé lo scopo del processo. Con la particolarità che (…) L'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), piuttosto, è integrato dalla necessità di economizzare un giudizio già instauratosi (ma destinato a concludersi in rito, per via di sopravvenienze), deragliandone il percorso in funzione dell'accertamento di una parte (quella riferita alla illegittimità dell'atto) dei fatti costituitivi necessari ai fini dell'accoglimento della (eventuale) azione risarcitoria (in sostanza, dall'annullamento dell'atto si passa ad una sentenza generica su di una frazione dell'an della pretesa risarcitoria)” (T.A.R. Napoli, sez. I, 13 dicembre 2013, n. 5744).

Il presupposto per l’ammissibilità della domanda ex art. 34, comma 3, c.p.a. è l’ esplicita istanza di parte, o comunque una espressa "manifestazione" di interesse del ricorrente a fini risarcitori, o nel ricorso introduttivo o in corso di giudizio, ciò in quanto “tra la dichiarazione di improcedibilità ed il mero accertamento della fondatezza dei vizi, non vi è alcuna continenza effettuale, ben potendo la parte preferire (ai fini, ad esempio, delle spese processuali) la chiusura in rito del giudizio ad una pronuncia che (se negativa) potrebbe rivelarsi per la parte in vario modo controproducente” (T.A.R. Napoli, sez. I, 13 dicembre 2013, n. 5744). Inoltre, senza una espressa o implicita istanza di parte, il giudice che provvedesse ad accertare l’illegittimità dell’atto impugnato ai soli fini risarcitori determinerebbe la violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, andrebbe cioè ultra petita.

Nel caso in esame, la società ricorrente ha richiesto espressamente, nella nota depositata in data 21.03.2014, l’accoglimento del ricorso ai fini risarcitori, ai sensi del combinato disposto degli artt. 30, comma 5 e 34, comma 3 c.p.a., riservandosi di proporre domanda risarcitoria, in separata sede.

Ciò posto, sulla sufficienza, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di accertamento della illegittimità degli atti impugnati ai sensi dell’art. 34, comma 3, del c.p.a., della manifestazione di interesse in tal senso da parte del ricorrente, il Collegio rileva un contrasto giurisprudenziale.

Secondo un primo orientamento, l’unica condizione imprescindibile per rendere operativa la norma in argomento è che emerga la reale e inequivoca intenzione del ricorrente di ottenere una pronuncia di accertamento della sola illegittimità del provvedimento, anche se non tradotta in formule sacramentali e perché ciò accada “è sufficiente che il ricorrente manifesti una tale intenzione in qualunque fase del processo, anche in appello, e senza particolari formalità oppure che tale intenzione emerga inequivocamente dallo svolgimento del processo;
in altri termini è necessario che l'intendimento del ricorrente sia concretamente verificabile dal giudicante e non sia ricollegato ad un mero vezzo/capriccio del ricorrente” (T.A.R. Milano, sez.I, 24 ottobre 2013, n. 2371;
Cons. Stato, sez. IV, 18 maggio 2012, n. 2916).

Secondo una posizione più estrema (che il Collegio non ritiene di condividere) quand'anche l'annullamento dell'atto impugnato non risultasse più utile per la parte ricorrente e, quindi, la relativa domanda fosse divenuta improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, il giudice dovrebbe comunque accertare l'illegittimità dell'atto stesso ove sussistesse un interesse della parte medesima a fini risarcitori. Tale interesse, di fatto, sussisterebbe sempre, dato che l'accertamento va compiuto anche qualora la domanda di risarcimento, non proposta in via congiunta con la domanda di annullamento, non sia in effetti ancora stata proposta nemmeno in sede separata, e difettino dichiarazioni dell'interessato di intento in tal senso (Cons. Stato, sez. IV, 18 maggio 2012, n. 2916).

Una parte della giurisprudenza amministrativa ritiene, invece, che la generica affermazione circa l’interesse all’accertamento della illegittimità dell’atto al fine di un’eventuale, futura proposizione di un’azione risarcitoria, non sia sufficiente affinché il giudice si pronunci su tale domanda (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6703;
Consiglio di Stato, sez. VI, 20 luglio 2011, n. 4388;
T.A.R. Catania sez. III, 18 marzo 2013, n. 802).

Più nello specifico, il Consiglio di Stato ha evidenziato che il ricorrente deve quantomeno allegare la sussistenza dei presupposti dell’eventuale azione risarcitoria e, in particolare, del danno patito. Ciò al fine di evitare attività giurisdizionale inutile “Se è vero che, con l'accertamento dell'illegittimità degli atti impugnati ai soli fini del risarcimento, il giudice non si esprime sul fumus boni iuris della susseguente azione di danni, a lui spetta comunque valutare almeno la sussistenza dell'interesse ai fini risarcitori, in difetto del quale la declaratoria di illegittimità correrebbe il rischio di rimanere meramente astratta. Pertanto è ragionevole ritenere che, proprio a evitare un possibile inutile esercizio della funzione giurisdizionale, il ricorrente abbia almeno l'onere di allegare compiutamente i presupposti per la successiva proposizione dell'azione risarcitoria, a partire ovviamente dal danno sofferto” (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6703). “Ai sensi dell'art. 34 c.p.a. non può ammettersi che la mera e indimostrata allegazione di un generico interesse ai fini risarcitori possa rappresentare un vero e proprio passe — partout attraverso il quale scardinare (rectius: aggirare) il dato oggettivo costituito dall'insussistenza di un interesse all'ulteriore coltivazione del ricorso e attraverso cui far surrettiziamente rientrare nel giudizio un interesse all'impugnativa di cui si sia in concreto accertata l'insussistenza” (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 luglio 2011, n. 4388).

Il ricorrente, nel caso in esame, si è limitato a richiedere espressamente, nella nota depositata in data 21.03.2014, l’accoglimento del ricorso ai fini risarcitori, ai sensi del combinato disposto degli artt. 30, comma 5 e 34, comma 3 c.p.a, riservandosi di proporre domanda risarcitoria, in separata sede.

Egli non ha allegato i presupposti dell’eventuale azione risarcitoria e, tantomeno, la sussistenza del danno.

Tuttavia, a prescindere dall’inammissibilità della domanda di accertamento per la totale genericità della stessa (i presupposti dell’azione risarcitoria non sono stati né provati, né allegati) che deriverebbe dall’adesione all’ultimo degli orientamenti citati, questo Collegio, in relazione alle censure sollevate nel ricorso de quo, ritiene che l’ atto impugnato non sia illegittimo.

L’ICFR, con il provvedimento oggetto di impugnazione, legittimamente ha confermato la sospensione dei procedimenti amministrativi volti al rilascio delle attestazioni, nonché del modello C, sino alla conclusione del procedimento penale che “per quanto risulta nel P.V. di contestazione della Guardia di Finanza – Nucleo P.T. Puglia GRF del 29.03.2004” poteva “risultare ostativo al rilascio delle attestazioni richieste”, nonché dei giudizi di opposizione alle ordinanze ingiunzioni.

L’esistenza del procedimento penale richiamato nel provvedimento impugnato sarebbe già da sola sufficiente a giustificare la conferma della sospensione dei procedimenti amministrativi oggetto di questo giudizio. Tuttavia, per legittimare la conferma della sospensione, l’Amministrazione evidenzia altresì la pendenza di giudizi aventi ad oggetto due ordinanze ingiunzioni.

Le ordinanze oggetto di opposizione, così come evidenziato dall’Amministrazione nel provvedimento impugnato e confermato dal ricorrente nel ricorso, sono fondate sulle medesime risultanze di indagini del procedimento penale che aveva costituito la causa della originaria sospensione dei procedimenti de quibus (i fatti contestati riguardano le presunte fittizie forniture di uva da vino dalla Agri Europa alla Vinorte S.r.l. di quintali 6.833, 20 per la campagna vinicola 1999 2000 e di ulteriori quintali 19.929 per le campagne 1999/2000 e 2000/2001 che avrebbero fatto conseguire alla ricorrente l’indebita percezione di aiuti comunitari).

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che l’accertamento negativo in sede penale della sussistenza dei fatti ipotizzati ha efficacia anche extraprocessuale ai sensi degli artt. 652 e 654 c.p.p., circa la materialità dei fatti in contestazione.

Gli articoli invocati dal ricorrente non sono applicabili nel caso in esame.

In primo luogo perché il decreto di archiviazione adottato dal GIP nel procedimento penale n. 4785/2004, ai sensi degli artt. 408 e 409 c.p.p., per intervenuta estinzione del reato per prescrizione, è un provvedimento per il quale non si è verificata la condizione richiesta dagli articoli 652 e 654 della pronuncia a seguito di dibattimento (Cassazione civile, sez. III, 21 luglio 2006, n. 16768;
T.A.R. Venezia, sez. II, 06 aprile 2005, n. 1362 secondo il quale è “precluso qualsivoglia effetto vincolante rinveniente da altre determinazioni della magistratura penale favorevoli all'indagato, quale un mero provvedimento di archiviazione assunto in forma di decreto ai sensi degli art. 408 e 409 c.p.p., "ex se" insuscettibile di costituire "res iudicata").

Non solo, l’autorità di cosa giudicata del decreto di archiviazione sopra richiamato si deve altresì escludere per il suo specifico contenuto. Infatti, l’archiviazione viene disposta dal GIP per estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Ebbene, le Sezioni Unite della Cassazione hanno evidenziato che"La disposizione di cui all'art. 652 c.p.p. (così come quelle degli artt. 651, 653 e 654 del codice di rito penale) costituisce un'eccezione al principio dell'autonomìa e della separazione dei giudizi penale e civile, in quanto tale soggetta ad un'interpretazione restrittiva e non applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. Ne consegue che la sola sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima) pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, mentre alle sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non va riconosciuta alcuna efficacia extrapenale, benché, per giungere a tale conclusione, il giudice abbia accertato e valutato il fatto…in quest'ultimo caso, il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione" (Cassazione civile, sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1768).

Ne consegue che il decreto sopra richiamato non riveste autorità di cosa giudicata in eventuali giudizi civili.

Per quanto riguarda poi la sentenza penale di assoluzione del ricorrente nel procedimento penale 312/2013 (avente ad oggetto gli stessi fatti del procedimento penale 4785/2004, così come segnalato dal P.M. nella richiesta di archiviazione) perché il fatto non sussiste, si evidenzia che la stessa è stata adottata dal GUP in sede di giudizio abbreviato. Come hanno evidenziato le Sezioni Unite della Cassazione la sentenza penale irrevocabile pronunciata (non in seguito a dibattimento, ma) a conclusione del giudizio abbreviato non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, benché sia parificata, a determinate condizioni e ai soli fini del giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il risarcimento, a quella emessa a seguito di dibattimento (Cassazione civile sez. un., 19 gennaio 2010, n. 674).

Del tutto inconferente risulta, infine, il richiamo all’Adunanza Plenaria n. 10 del 2005 la quale, anzi, conferma quanto sopra evidenziato. Infatti, l’Adunanza Plenaria citata dal ricorrente si limita ad evidenziare che nel processo amministrativo possono fare stato solo le sentenze penali irrevocabili pronunciate in seguito a dibattimento, secondo quanto espressamente stabilito dall'art. 652, c.p.p., e non già le sentenze che dichiarano l’estinzione del reato per avvenuta oblazione, pronunciate ai sensi dell'art. 162 bis, c.p., prima dell'apertura del dibattimento.

Ne deriva la totale autonomia del giudice civile nel valutare i fatti posti a base delle ordinanze-ingiunzioni opposte (indebita percezione di aiuti comunitari ottenuta mediante la dichiarazione di fittizie forniture di uva da vino dalla Agri Europa alla Vinorte S.r.l. di quintali 6.833, 20 per la campagna vinicola 1999 2000 e di ulteriori quintali 19.929 per le campagne 1999/2000 e 2000/2001).

Il ricorrente sostiene che comunque l’asserita falsità della fornitura di quintali 19.929 era stata smentita in sede civile con la sentenza n. 124/08 del Tribunale di Cerignola resa inter partes e passata in giudicato di accoglimento.

Sul punto si evidenzia che, affinché possa esplicarsi l'efficacia di giudicato è necessaria non solo l'identità soggettiva ma anche quella oggettiva tra rapporto definito e quello da definire. Pertanto, se dal rapporto controverso mutano alcuni elementi, con conseguente venir meno della originaria causa petendi, il pregresso giudicato cessa di operare (Cass. 19 aprile 2000 n. 5092).

Nel caso di specie, l'azione dalla quale è scaturito il procedimento giudiziario conclusosi con la sentenza passata in giudicato riguardava un oggetto diverso, e cioè, un’ordinanza ingiunzione diversa (relativa ad illeciti differenti) da quelle sulle quali il giudice ordinario doveva ancora pronunciarsi al momento dell’adozione dei provvedimenti con i quali l’amministrazione ha confermato la sospensione dei procedimenti amministrativi de quibus.

L’opportunità di confermare la sospensione dei procedimenti non viene messa in discussione dal fatto che l’efficacia delle due ordinanze fosse stata sospesa dal Tribunale di Foggia, Sezione di Cerignola, ai sensi dell’art. 22, u.c. della legge n. 689 del 1981. Infatti, l’intervenuta sospensione dell’efficacia di tali atti non vincolava in nessun modo il giudice ordinario nel successivo giudizio di merito, il quale ben avrebbe potuto ritenere sussistente la falsità delle forniture.

Infine, privo di efficacia di giudicato nei giudizi di opposizione alle ordinanze ingiunzioni è altresì il lodo arbitrale del 6.04.2004 che avrebbe escluso ogni falsità delle operazioni di fornitura di 19.929 quintali di uva, avendo anch’esso un oggetto diverso (e cioè, l’accertamento della infondatezza della richiesta di restituzione dei contributi comunitari formulata dall’ A.G.E.A.) ed essendo stato pronunciato nei confronti di un soggetto diverso dalla parte resistente del giudizio di opposizione alle ordinanze ingiunzioni (e cioè l’A.G.E.A. e non il Ministro delle politiche agricole e forestali).

Pertanto, si ritiene che la decisione dell’Amministrazione di confermare la sospensione dei procedimenti amministrativi sino alla conclusione dei giudizi di opposizione alle rimanenti ordinanze ingiunzioni risponda alle esigenze cautelari già ben evidenziate dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 4182/2011 che ha riconosciuto la legittimità dei provvedimenti di sospensione originari dei procedimenti de quibus “Deve essere premesso come i provvedimenti impugnati abbiano palesemente funzione cautelare, relativa alla sospensione di pagamenti in favore di una impresa coinvolta nelle indagini riguardanti l'indebita percezione di finanziamenti comunitari”.

Tutto ciò premesso, in relazione alle censure sollevate dal ricorrente e agli eventuali futuri fini risarcitori, l’operato dell’Amministrazione che ha confermato la sospensione dei procedimenti sino alla definizione dei giudizi di opposizione delle ordinanze ingiunzioni non risulta essere illegittimo.

Sulla base delle considerazioni sopra esposte, la domanda di annullamento originaria deve dichiararsi improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, mentre la domanda di accertamento della illegittimità dell’atto impugnato ai sensi dell’art. 34, comma 3, del c.p.a. deve essere respinta.

In considerazione della natura, peculiarità ed estrema delicatezza delle questioni sottese alla presente controversia, vanno ravvisate gravi ed eccezionali ragioni di equità per compensare le spese del presente giudizio ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c.

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