TAR Torino, sez. II, sentenza 2010-10-29, n. 201003936

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. II, sentenza 2010-10-29, n. 201003936
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 201003936
Data del deposito : 29 ottobre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00287/2008 REG.RIC.

N. 03936/2010 REG.SEN.

N. 00287/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 287 del 2008, proposto da:
P O, rappresentato e difeso dagli avv. E L e M R, con domicilio eletto presso l’avv. E L in Torino, via Barbaroux, 25;

contro

Comune di Carrosio, rappresentato e difeso dall'avv. A F, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Re Umberto I, 6;

per l'accertamento

della sussistenza di gravi carenze ed inefficienze a carico del servizio di distribuzione di acqua potabile a favore dell'abitazione di proprietà del ricorrente;
e della spettanza di ogni onere di manutenzione a carico all'Amministrazione comunale, anche in ragione della titolarità dell'intero impianto di distribuzione in capo al Comune di Carrosio,

nonché per la condanna

nei confronti dell'Amministrazione intimata di tutti i danni subiti e subendi dal ricorrente in considerazione della colpevole inerzia, dei comportamenti tenuti e dagli illegittimi atti adottati dal Comune di Carrosio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Carrosio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2010 il dott. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in oggetto, parte ricorrente espone di essere proprietario di un’abitazione sita in Comune di Carrosio (AL), loc. Borghi (contraddistinta al Catasto Fabbricati al foglio 3, mappale 230, sub. I), come da atto di divisione allegato;
espone che dalla sua edificazione, detta abitazione, situata su una collina, in posizione sopraelevata rispetto al resto del paese, è rifornita di acqua potabile dall’acquedotto mediante raccolta dell’acqua in apposita vasca ed ulteriore pompaggio all’interno di una conduttura lunga oltre un centinaio di metri circa, come da relazione tecnica prodotta.

Si espone ancora che la titolarità del terreno su cui insiste la vasca e la conduttura in oggetto è del Comune di Carrosio e che detto servizio di distribuzione e fornitura è da sempre gravemente insoddisfacente: la pompa utilizzata è spesso soggetta a malfunzionamenti e guasti in conseguenza di sbalzi di pressione e delle sospensioni dell’erogazione dell’acqua operata dall’Amministrazione senza alcun preavviso (il ricorrente e la sua famiglia sarebbero rimasti senza fornitura di acqua potabile per circa 60 giorni);
inoltre, il Comune di Carrosio non provvede ad alcuna verifica delle condizioni igienico-sanitarie della vasca e della conduttura;
infine, si è posta la necessità di provvedere alla sostituzione della vasca citata per ragioni igienico-sanitarie, ma la PA non ha provveduto, né ha consentito che si provvedesse.

Si espone ancora che ogni onere di manutenzione della detta vasca e della pompa sono stati finora sostenuti dal ricorrente, inoltre costretto a sopportare direttamente le spese di energia elettrica necessaria per azionare la pompa;
all’odierno ricorrente viene, invece, addebitato il pagamento di € 129,11 annui a titolo di occupazione di suolo pubblico.

Secondo parte ricorrente, il comportamento indicato sarebbe illegittimo, per i seguenti motivi:

1 – Violazione e/o falsa applicazione dei generali principi in materia di servizi pubblici essenziali ed in particolare delle previsioni riguardanti i servizi pubblici locali ed il servizio idrico. Violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 1 R. D. n 2578 del 1925 (T U dei pubblici servizi dei Comuni e delle Provincie);
art. 91, R.D. n. 383 del 1934 (T.U. della legge comunale e provinciale);
artt. 141 e ss. D. Lgs. n. 152 del 2006 (cd. Codice dell’Ambiente) e delle precedenti disposizioni contenute nella L. n. 319 del 1976 e nella L. n. 36 del 1994 (cd. Legge Galli);
delle previsioni del D.M. 28.5.1993;
e di quelle contenute nel titolo V del T.U. Enti Locali. Illogicità. Ingiustizia grave e manifesta.

2 - Violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni contenute nel “Regolamento di utenza per l’erogazione del servizio idrico integrato nell’ATO 6 Alessandrino”.

3 - Violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni normative previste in materia di titolarità degli acquedotti (artt. 822 c.c. e 143 d. lgs. 152 del 2006). Applicazione dell’istituto dell’accessione. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 R.D. 383 del 1934 (T.U. della legge comunale e provinciale).

Veniva, inoltre, proposta domanda di risarcimento del danno.

Si costituiva l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 13 ottobre 2010, il ricorso veniva posto in decisione.

DIRITTO

Rileva il Collegio, preliminarmente, che, sotto il profilo del servizio pubblico, sulla base del quale parte ricorrente intesta il ricorso al Giudice Amministrativo, la domanda di accertamento risulta attinente ad un rapporto individuale di utenza del servizio pubblico di erogazione dell’acqua, atteso che vengono in contestazione sia gravi inefficienze, sia gli importi pretesi quali canoni di occupazione, sia, infine, la mancanza di oneri manutentivi.

Pertanto, sembrerebbe, prima facie, che il ricorrente abbia introdotto una controversia relativa al rapporto individuale di utenza e che spetti, pertanto, alla giurisdizione del giudice ordinario la relativa cognizione.

Sebbene, infatti, nel regime scaturito dalla dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 33 d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come sostituito dalla l. n. 205 del 2000, sia venuta meno l’espressa esclusione di tali controversie dall’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, tale esclusione va confermata e ribadita, in quanto la Corte costituzionale, nel ridefinire l’ambito della predetta giurisdizione esclusiva, ha precisato che questa postula l’inerenza della controversia ad una situazione di potere della P.A., laddove la controversia avente ad oggetto rapporti individuali di utenza non vede coinvolta la P.A. come autorità (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 25 giugno 2008, n. 3226).

Né la giurisdizione del G.A. è configurabile per il fatto che la controversia investa l’atto amministrativo generale (o il regolamento) con il quale sono determinati gli obblighi per il tipo di utenza in oggetto, atteso che al riguardo viene in rilievo il potere del G.O., ai sensi dell’art. 5 l. n. 2248 del 1865, all. E, di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi (seppure incidentalmente e non in via diretta) la cui efficacia condizioni l’esistenza ed il contenuto del diritto sostanziale costituente l’oggetto del processo (cfr. Cassazione civile, Sez. Un., 2 marzo 2006, n. 4584).

E’ pur vero che la controversia introdotta da un utente del servizio pubblico di acquedotto, il quale non deduca in giudizio il suo rapporto di utenza con il Comune, ma contesti l'organizzazione del servizio sotto vari profili (qualità dell'acqua, perdite nella rete e nelle condotte di adduzione, registrazione dei consumi presso gli uffici pubblici) e sostenga che il servizio non si presenta pienamente fruibile per il consumatore va riservata al giudice amministrativo. Infatti, una tale domanda non censura "incidenter tantum" il provvedimento amministrativo, chiedendone la disapplicazione ai fini della tutela del diritto soggettivo al pagamento di un canone contrattualmente stabilito, ma investe in via principale le scelte discrezionali dell'ente, in ordine alla determinazione del canone, e contesta l'organizzazione del servizio, facendo valere una situazione giuridica qualificabile come interesse legittimo correlato ad un atto adottato dall'ente territoriale come autorità nell'esercizio di una potestà amministrativa, al di fuori di un rapporto negoziale di tipo paritetico. (Cassazione civile, Sez. Un., 10 settembre 2004, n. 18263 e Cassazione civile, Sez. Un., 13 ottobre 1997, n. 9962).

Tuttavia, nel caso di specie, parte ricorrente contesta la sua specifica fornitura, non l'organizzazione del servizio in generale, ovvero comportamenti dell'Amministrazione intesi al perseguimento di finalità di ordine generale e discrezionalmente attuati in esecuzione di pubblici poteri;
ciò è evidente nella parte narrativa, tutta incentrata sul singolo rapporto PA-utente;
di conseguenza, la domanda rientra a pieno titolo nell’ambito delle controversie relative a rapporti individuali di utenza.

Né può ritenersi che, in seguito all’entrata in vigore del d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (in Suppl. ordinario n. 148 alla Gazz. Uff., 7 luglio, n. 156), recante attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (delega al governo per il riordino del processo amministrativo), cd. Codice del processo amministrativo, sia mutato il criterio di radicamento della giurisdizione in materia di servizi pubblici, criterio che comunque deve mettersi in relazione a quanto stabilito dal Giudice delle Leggi, con la nota sentenza n. 204 del 2004.

E’ pur vero che tale norma è entrata in vigore posteriormente alla data di proposizione del presente ricorso e, quindi, lascerebbe intatta l’operatività del principio di perpetuatio iurisdictionis, scolpito icasticamente dall’art. 5 del c.p.c. e, in quanto esprimente principio generale, applicabile anche al processo amministrativo (sia in ossequio ad un ormai consolidata giurisprudenza, sia in applicazione, oggi, dell’art. 39 del Codice suddetto, concernente i rinvii cd. esterni del Codice alla disciplina del processo civile);
tuttavia, per il noto principio di immediata applicabilità dello ius superveniens attributivo di giurisdizione (o di competenza), le norme sopravvenute in corso di giudizio che modifichino la giurisdizione e la competenza trovano applicazione anche nei giudizi pendenti se tale giurisdizione o competenza venga, per l'effetto, attribuita ai giudici dinanzi ai quali la causa pende, ovvero dinanzi ai quali la causa stessa dovrebbe essere ripresa o riassunta se fosse dichiarato che, al momento della domanda, essi mancavano della giurisdizione o della competenza che hanno esercitato (cfr., recentemente, Cassazione civile, sez. II, 9 giugno 2010, n. 13882).

Tale principio, che discende dal principio di economia dei giudizi, ha assunto, oggi, una nuova e più ampia dimensione, nonché copertura costituzionale nell’art. 111 Cost. (ragionevole durata del processo), imponendo all’interprete, nella risoluzione di questioni attinenti alle norme sullo svolgimento del processo, come quella di specie, una nuova sensibilità e un nuovo approccio ermeneutico che tenga conto non solo della coerenza logico-concettuale della norma e dei relativi concetti giuridici sul piano tradizionale, ma anche del suo impatto operativo sull’obiettivo pratico (di importanza costituzionale, legata ad esigenza di tutela di un diritto fondamentale protetto a livello di Convenzione europea dei diritti dell’Uomo) di assicurare la ragionevole durata del processo, in combinazione con l’art. 24 della Costituzione.

Peraltro, il principio di matrice giurisprudenziale di immediata applicabilità dello ius superveniens trova una sua specifica disciplina nell’art. 8 della l. 31 maggio 1995, n. 218 sulla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, che stabilisce che (per la determinazione della giurisdizione italiana) si applica l'articolo 5 del codice di procedura civile, ma la giurisdizione sussiste se i fatti e le norme che la determinano sopravvengono nel corso del processo.

Tale regola si deve intendere espressiva di un principio generale, altrimenti risultando incomprensibile la sua collocazione esclusivamente nell’ambito del diritto internazionale privato.

Occorre, però, a questo punto, stabilire se la nuova disciplina della giurisdizione esclusiva sui servizi pubblici contenuta nell’anzidetto Codice, determini tale effetto.

Il giudizio del Collegio è di segno negativo.

Infatti, l’art. 133, comma 1, lett. c), di detto Codice stabilisce che “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”. Si tratta, come è evidente, di una disposizione normativa omologa a quelle abrogata ex art. 33 d. lgs. 80 del 1998, cui si devono associare, necessariamente, i medesimi contenuti normativi, con la conseguenza che saranno da espungersi, dal novero delle controversie ricadenti nella giurisdizione esclusiva del G.A., quelle concernenti i servizi pubblici, di qualsiasi specie, afferenti a rapporti individuali di utenza, concernenti, cioè, il singolo rapporto di fornitura del servizio tra gestore e privato cittadino utente.

Potrebbe ancora dubitarsi, sotto diverso angolo visuale, che il ricorrente abbia proposto, con i suoi riferimenti alle gravi inefficienze del servizio, una azione (ante-litteram) ai sensi del D. Lgs. 20 dicembre 2009, n.198 (in Gazz. Uff., 31 dicembre n. 303), in attuazione dell'articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorso per l'efficienza delle Amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici.

Tuttavia, in disparte la considerazione che tale atto normativo predispone un nuovo e diverso diritto d’azione e non si limita a stabilire una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva, il che renderebbe in radice inapplicabile l’anzidetto principio di perpetuatio iurisdictionis, si deve osservare che tale atto citato, che introduce nel nostro sistema, la cd. class action contro la PA, impone determinati presupposti quanto a legittimazione (stabiliti nel comma 1), relativi ad interessi afferenti ad una pluralità omogenea di utenti (cd. “classe”) che non si ravvisano nel caso di specie, ove si lamenta un ben specifico e nitido rapporto individuale di utenza.

Inoltre, a conferma dell’impossibilità di applicare tale decreto, si osserva che tale nuova azione non comporta la possibilità di chiedere il risarcimento del danno per equivalente (art. 1, comma 6), come invece si chiede nel caso in esame, trattandosi di azione ibrida tra una forma peculiare di reintegrazione specifica dell’interesse collettivo leso, suscettibile di esecuzione mediante ottemperanza, ex art. 5, e una forma di collaborazione dell’utenza per rendere efficiente il servizio, collaborazione attuata mediante strumenti giudiziali.

Tale azione, peraltro, prevede una condizione di procedibilità consistente nell’invio di una previa diffida (art. 3) di cui nel caso concreto non è traccia.

Infine, a dirimere ogni dubbio circa la non applicabilità di tale normativa sopravvenuta, viene in rilievo l’art. 7 che condiziona la concreta applicazione del decreto alle Amministrazioni ed ai concessionari di servizi pubblici nazionali e locali (art. 7, comma 2) all’emanazione di atti con cui si definiscano in via preventiva gli obblighi contenuti nelle carte di servizi e gli standard qualitativi ed economici;
atti, da ascriversi alla categoria dei regolamenti di esecuzione (art. 17, comma 1, l. 400 del 1988), condizionanti la stessa operatività della fonte primaria, att che, al momento, non sono stati ancora emanati, rendendo in radice inapplicabile il decreto allo stato attuale

Esclusa, pertanto, che alla giurisdizione di questo giudice si possa pervenire sotto il profilo della materia servizi pubblici ovvero sotto l’aspetto dell’azione per l'efficienza delle Amministrazioni, è esatta l’osservazione di parte resistente (implicita nei suoi atti difensivi) secondo cui la controversia in questione afferisce a concessione di beni pubblici, quindi sottoposta alla giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell’art. 5 della l. 1034 del 1971 e, oggi, dell’art. 133, comma 1, lett. b), CPA, secondo cui “le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche”.

Infatti, con la deliberazione di G.M. del 16.2.1983 (doc. n. 1 PA), il Comune aveva autorizzato il ricorrente ad occupare il suolo demaniale per la realizzazione di una vasca e di una tubazione per l’acqua, previo pagamento della tassa di occupazione di suolo pubblico;
si tratta, all’evidenza, di una concessione di bene demaniale per realizzare opere a beneficio del privato.

Chiarita la questione relativa alla giurisdizione del G.A., si può, ora, passare ad esaminare il merito del ricorso.

Come emerge dalla documentazione in atti, a partire dalla citata deliberazione del 16.2.1983, con regolare pagamento negli anni del canone di occupazione di suolo pubblico, fino alla Delibera di G.C. n. 13 del 2.5.2007 (doc. n. 3 PA), lo status giuridico dell’intero impianto, comprendente vasca, fabbricato ad uso vano tecnico, impianto di pompaggio e condotta di adduzione, è privato;
tali impianto fruisce di una concessione di uso di suolo pubblico, costituente servitù permanente, che è gestita dal privato proprietario e non dal Comune, limitandosi quest’ultimo ad erogare l’acqua a detto impianto.

Né si può sostenere che la proprietà comunale del terreno su cui insistono le opere avrebbe determinato l’acquisizione per accessione da parte del Comune stesso dell’impianto, atteso che, evidentemente, nessuna acquisizione per accessione si verifica laddove le opere insistano su terreno altrui in forza di rapporto convenzionale, quale è la concessione di occupazione di suolo pubblico;
il relativo problema si potrà porre alla scadenza della concessione, circostanza questa ancora del tutto ipotetica, quindi non attuale.

Nel caso di specie, il Comune convenuto risulta aver adempiuto agli obblighi ad esso incombenti, fornendo la provvista dell’acqua potabile ed erogandola dalla propria vasca di accumulo all’impianto privato del ricorrente.

Né risulta provato, neppure indiziariamente, che il Comune abbia sospeso l’erogazione dell’acqua potabile;
ciò dovrebbe attribuirsi esclusivamente al malfunzionamento del proprio impianto privato di pompaggio e adduzione, di pertinenza del ricorrente, che potrà eventualmente effettuare tutte le sostituzioni dovute previo nuovo convenzionamento, il quale sostituirà quello precedente che è accessorio al provvedimento di concessione (cd. concessione- contratto), evidentemente da aggiornare, mutando i riferimenti dell’oggetto.

Peraltro, nella Relazione Tecnica geom. Brengio (doc. n. 2 PA, p. 2) viene espressamente dichiarata la disponibilità del ricorrente a tale stipulazione.

Inoltre, il Comune non può aver violato le disposizioni del Regolamento di utenza per l’erogazione del servizio idrico integrato nell’ATO 6 Alessandrino, atteso che l’acquedotto è gestito direttamente dal Comune stesso e non già dall’Ambito Territoriale 6 Alessandrino, come risulta dall’Allegato C del Contratto (doc. n. 4 PA) avendo il Comune stesso stipulato con detto ATO 6 esclusivamente una Convenzione di Cooperazione in forza di Delibera C.C. n. 20/98 del 23.09.1998 (doc. n. 5 PA).

Incidentalmente, si può osservare che l’art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, introdotto dall’art. 1, comma 1-quinquies della legge 26 marzo 2010, n. 42, prevede che decorso un anno dalla data di entrata in vigore della legge stessa, sono soppresse le Autorità d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni. Decorso lo stesso termine, ogni atto compiuto dalle Autorità d'ambito territoriale è da considerarsi nullo. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, le Regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Le disposizioni di cui agli articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 sono efficaci in ciascuna Regione fino alla data di entrata in vigore della legge regionale di cui al periodo precedente. I medesimi articoli sono comunque abrogati decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge".

Tale disposizione è stata introdotta dal Parlamento in sede di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 recante Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni, inserendo (anzi, riproponendo) la soppressione degli ATO fra le misure finalizzate al contenimento delle spese negli enti locali. Va ricordato, infatti, che già l'art. 2, comma 38, della legge finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) prevedeva che le Regioni, nell'esercizio delle rispettive prerogative costituzionali in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti avrebbero proceduto, entro il 1º luglio 2008, fatti salvi gli affidamenti e le convenzioni in essere, alla rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei medesimi servizi secondo i principi dell'efficienza e della riduzione della spesa.

Le norme della legge finanziaria 2008 sono rimaste sostanzialmente inattuate;
così il legislatore ha riproposto la disposizione con termini precisi di attuazione: il 27 marzo 2011, trascorso il quale:

- sono soppresse le Autorità d’Ambito Territoriale di cui agli articoli 148 (Autorità d’Ambito per la gestione delle risorse idriche) e 201 (Autorità d’Ambito per la gestione integrata dei rifiuti urbani) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni;

- ogni atto compiuto dalle Autorità è da considerarsi nullo;

- sono abrogati gli articoli 148 e 201 del D. Lgs. 152/2006.

Nel caso di specie, tuttavia, l’ATO in esame non viene neppure in rilievo, come detto.

Inconferenti, infine, appaiono i riferimenti al Regio Decreto 3 marzo 1934, n. 383, testo unico della legge comunale e provinciale, decreto parzialmente abrogato dall'articolo 64 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e successivamente abrogato interamente dall'articolo 274 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. A norma dell'articolo 273 del medesimo decreto, resta fermo soltanto il disposto dell'articolo 19 del decreto suddetto del 1934 (non conferente al caso di specie).

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, il ricorso deve essere respinto, in quanto infondato.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

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