TAR Genova, sez. II, sentenza 2013-03-05, n. 201300426

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. II, sentenza 2013-03-05, n. 201300426
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 201300426
Data del deposito : 5 marzo 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00851/2012 REG.RIC.

N. 00426/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00851/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 851 del 2012, proposto da:
M D G, rappresentato e difeso dagli avv. P P, A P, con domicilio eletto presso P P in Genova,

XX

Settembre8/19;

contro

Ministero dell'Interno, Prefettura di Genova, Questura di Genova, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Genova, viale Brigate Partigiane N. 2;

per l'annullamento

provvedimento di rigetto ricorso amministrativo e d.a.spo. aventi ad oggetto divieto di accedere ai luoghi ove si svolgono incontri di calcio di qualsiasi serie e categoria anche giovanili o amichevoli, di accedere senza giustificato motivo, nei luoghi interessati alla sosta ed al transito dei tifosi;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Prefettura di Genova e di Questura di Genova;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2013 il dott. O M C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento in data 10 maggio 2012, con cui il Questore di Genova ha vietato di accedere, per un periodo di tre anni, ai luoghi ove si svolgono incontri di calcio di qualsiasi serie e categoria nonché di fare accesso, senza giustificato motivo, ai luoghi interessati alla sosta e al transito dei tifosi.

Tale provvedimento - adottato ai sensi dell’art. 6, comma 1, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 - richiama le relazioni della locale D.I.G.O.S. in ordine ai disordini verificatisi all’interno dello stadio “Ferraris” di Genova, durante l’incontro calcistico Genoa/Siena del 22 aprile 2012, quando numerosi tifosi della compagine ospitante, dopo aver superato le porte divisorie tra il settore gradinata nord e i distinti, avevano invaso quest’ultimo settore e, ponendosi al di sopra o nelle immediate vicinanze del tunnel d’accesso agli spogliatoi, avevano inscenato un’aspra contestazione nei confronti dei giocatori del Genoa, causando la sospensione della partita.

Attraverso le riprese fotografiche della polizia, il ricorrente sarebbe stato riconosciuto fra i tifosi appartenenti al gruppo artefice della contestazione che, scavalcata la recinzione, si era posizionato nelle vicinanze del tunnel d’accesso agli spogliatoi.

Le riprese effettuate dalle videocamere installate sui tornelli di accesso confermavano, inoltre, che il ricorrente aveva fatto ingresso allo stadio tramite il tornello della gradinata nord, dovendosi quindi ritenere comprovato il passaggio al settore distinti, che integra la violazione del divieto sancito dall’art. 6 bis, comma 2, della legge n. 401/1989.

L’esponente denuncia i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto i profili del difetto di istruttoria, della carenza dei presupposti, della contraddittorietà e illogicità, conclusivamente instando per l’annullamento del provvedimento impugnato, previa sospensione dell’esecuzione.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Genova, in rappresentanza dell’intimato Ministero dell’interno, contrastando nel merito la fondatezza del ricorso e opponendosi al suo accoglimento.

In prossimità della pubblica udienza, la difesa erariale ha depositato un’articolata memoria e parte ricorrente ha controdedotto con note di replica.

Il ricorso, infine, è stato chiamato all’udienza del 23 gennaio 2013 e ritenuto in decisione.

DIRITTO

E’ controversa, nel presente giudizio, la legittimità del provvedimento recante divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive (cd. “D.A.SPO.”), adottato nei confronti dei ricorrenti per i fatti meglio descritti in premessa, verificatisi durante l’incontro calcistico Genoa/Siena del 22 aprile 2012, valido per il campionato di serie A.

Le censure di legittimità dedotte dall’esponente nel contesto dei tre motivi di ricorso concernono:

a) la carenza dei presupposti di legge per l’applicazione della contestata misura interdittiva, atteso che i fatti accertati e posti a fondamento della stessa non avrebbero formato oggetto di preventiva denuncia all’autorità giudiziaria;

b) la genericità del provvedimento, nel quale non sarebbero stati specificamente indicati i luoghi ai quali si estende il divieto di accesso;

c) la violazione del principio di gradualità della sanzione, asseritamente sproporzionata rispetto ai fatti attribuiti al ricorrente.

Censure che, al di là della specificità del caso in esame, s’incentrano sui limiti che nel nostro ordinamento incontra l’esercizio del potere sotteso all’adozione del DASPO.

Tanto da sollecitare il Collegio ad individuare, entro l’economia della decisione, il quadro di riferimento normativo.

È affermazione recente della Corte costituzionale n. 115 del 2011 che ”in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale posto a base dello Stato di diritto”. E’ indispensabile, aggiunge la Corte, “che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa”.

Si è altresì chiarito che l’imposizione di obblighi di non fare, ossia la comminazione di divieti, rientra nel concetto di prestazione imposta di cui all’art. 23 cost., in quanto imponendo l’omissione di un comportamento altrimenti riconducibile alla sfera del legalmente lecito, è anch’essa restrittiva della libertà dei cittadini, suscettibile di essere incisa solo dalle determinazioni di un atto legislativo.

Principi tutti che sono applicabili a più forte ragione al DASPO che è misura di prevenzione a carattere personale ad effetto interdittivo incidente sui diritti di rilevo costituzionale (artt. 16 e 17 cost). Il divieto presuppone che venga in rilievo un comportamento cui siano riferibili gli attributi della “tipicità obiettiva”, dell’antigiuridicità e della colpevolezza (Corte cost. n. 48 del 1994 e ord. n. 153 del 2007).

In particolare il DASPO è misura a carattere preventivo che – almeno nell’ipotesi qui considerata (art. 6,comma 1, l.401/1989) su cui specificamente infra – è accessoria e propedeutica alla sanzione di rilievo penale, e si fonda sul dato oggettivo del contrasto tra la condotta accertata e la tutela dell’ordine pubblico in occasione delle manifestazioni sportive. Contrasto che in termini diacronici va attualizzato alla situazione presente con una sorta di valutazione prognostica dell’incidenza del comportamento sull’ordine pubblico ed il cui riscontro deve essere ancorato ad oggettivi riferimenti fattuali, stante la generale garanzia di libertà di circolazione.

Tale da imporre una valutazione, caso per caso, non suscettibile di essere formulata in termini generici o supplita con motivazione stereotipica.

Sicchè fermi gli accertamenti in fatto eseguiti dagli organi preposti alla vigilanza all’interno dello stadio, e fatti propri dall’amministrazione, la misura più non si giustifica qualora, in base a quegli stessi accertamenti, risulti del tutto evidente l’assenza della c.d. tipicità obiettiva, da cui prende altresì le mosse il procedimento penale.

Vale a dire qualora difetti, come nel caso in esame, la piena corrispondenza dei fatti contestati alle ipotesi (normative) astratte ritenute pregiudizievoli dell’ordine pubblico come espressamente previste dall’art. 6, comma 1, l. 401/1989.

E’ dirimente osservare che non risulta provato che il ricorrente abbia indebitamente superato la recinzione integrativa della condotta materiale prevista all’art. 6 bis comma 2, l. 401/89. Trova piuttosto credito, secondo le allegazioni in fatto contenute negli atti depositati in giudizio, l’antitetica situazione dell’accesso del ricorrente all’area degli spalti contigua attraverso la porta della recinzione aperta.

Aggiungasi che la pubblica amministrazione non può limitare le libertà personali in misura eccedente quella strettamente necessaria per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare.

Tanto sinteticamente precisato, appare fondata la censura di eccesso di potere quanto a sproporzione tra i fatti attribuiti al ricorrente e la durata della misura interdittiva concretamente applicata nei suoi confronti.

Impregiudicata la gravità dei fatti nel loro complesso e l’eventuale rilevanza penale dei comportamenti attribuiti al prevenuto, pare, infatti, che questi ultimi non possano logicamente essere considerati meritevoli dell’applicazione di una misura interdittiva, assai limitativa della sfera individuale del ricorrente, la cui durata triennale si attesta in posizione mediana fra il minimo e il massimo previsto dalla legge.

Va rilevato, al riguardo, come la responsabilità del ricorrente venga essenzialmente fatta discendere dall’indebito accesso al settore dello stadio che era loro precluso, mentre non sono stati individuati come i soggetti che hanno materialmente infranto le porte divisorie fra i due settori o, tanto meno, ha ferito lo steward che le presidiava.

Trattasi di una condotta priva di disvalore soggettivo che solo la recente legislazione emergenziale tesa a contrastare la violenza negli stadi ha voluto considerare come reato.

Nella specie, peraltro, non risulta una correlazione diretta e univoca del comportamento in esame con manifestazioni di tifo violento, poiché non è dimostrato che la “migrazione” della massa dei tifosi nel settore limitrofo avesse il fine precostituito di turbare il regolare svolgimento della competizione sportiva.

Quanto alle successive minacce nei confronti dei giocatori del Genoa, che hanno cagionato la sospensione dell’incontro, la documentazione fotografica in atti raffigura l’odierno ricorrente in posizione piuttosto defilata (non al di sopra del tunnel d’accesso agli spogliatoi né della rete di recinzione), in atteggiamento composto, senza che la sua postura potesse far sospettare una

avrebbe fatto parte del “gruppo artefice della contestazione”.

Considerata l’obiettiva rilevanza del comportamento ascritto, come emergente dalla documentazione versata in atti, non pare congrua, pertanto, la valutazione di gravità che ha indotto l’amministrazione a desumerne una diagnosi di particolare pericolosità dei soggetti, tale da prevalere aprioristicamente sugli elementi favorevoli allo stesso (l’assenza di precedenti) e da giustificare l’ampia durata della misura interdittiva applicata nei loro confronti.

Tanto più che ne risulta pregiudicata la possibilità di differenziare adeguatamente sul piano sanzionatorio la posizione dei ricorrenti rispetto a quella degli altri tifosi realmente responsabili delle intimidazioni che avevano portato alla sospensione dell’incontro: in violazione dell’art. 97 cost. predicativo del principio d’imparzialità dell’azione amministrativa che nella applicazione pratica si traduce nel dovere di assumere un trattamento giuridico specifico per ciascuna diversa situazione di fatto, oggetto di disciplina.

Per le considerazioni sopra rassegante risulta altresì fondata la censura che lamenta la violazione dell’art. 6, comma 1, della legge n. 401/1989 nonché il vizio di eccesso di potere per carenza dei presupposti, atteso che i fatti accertati dall’autorità di pubblica sicurezza e posti a fondamento della misura interdittiva applicata nei suoi confronti non avrebbero formato oggetto, contrariamente a quanto prescritto dalla disposizione citata, di preventiva denuncia all’autorità giudiziaria.

La difesa erariale contrasta la tesi di parte ricorrente, sostenendo che la previa denuncia non sarebbe condizione di legittimità per l’applicazione del D.A.SPO. e che, nella fattispecie, detto presupposto si sarebbe comunque concretizzato in modo tempestivo in quanto, al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, era stata già inoltrata una comunicazione all’autorità giudiziaria per i fatti verificatisi all’interno dello stadio e l’odierno ricorrente, pur non compreso tra i soggetti segnalati in tale occasione, era già stato individuato fra i tifosi indebitamente transitati al settore distinti.

In realtà il citato art. 6, comma 1, prevede che il questore possa applicare la misura interdittiva in esame, alternativamente, nei confronti delle persone che:

a) risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per uno dei reati ivi elencati;

b) hanno preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive;

c) nelle medesime circostanze, hanno incitato, inneggiato o indotto alla violenza;

inoltre, l’ultimo periodo del comma 1 - introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a), n. 1), del d.l. 8 febbraio 2007, n. 8 convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41- configura il caso di coloro che:

d) sulla base di elementi oggettivi, risultano avere tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive o tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni stesse.

Nel caso in esame, l’autorità di pubblica sicurezza, contestando all’odierno ricorrente di aver tenuto un “comportamento antigiuridico” atto a configurare puntuali “violazione di legge”, ha ricollegato l’applicazione della misura di prevenzione alla sospetta colpevolezza per determinati reati.

Non ricorre, pertanto, l’ipotesi residuale di cui alla lettera d) suindicata che, facendo riferimento alle condotte genericamente idonee a porre in pericolo la sicurezza pubblica, consente di esercitare il potere interdittivo anche in casi privi di rilevanza penale.

Ricorre, invece, l’ipotesi di cui alla lettera a), atteso che l’odierno ricorrente è stato riconosciuto fra i soggetti che, superando le porte divisorie fra i settori gradinata nord e distinti, si sarebbero resi responsabili del reato previsto dall’art. 6 bis, comma 2, della legge n. 401/1989.

In tal caso, però, l’applicazione della misura di prevenzione, pena la violazione dle principio di legalità sostanziale della misura di prevenzione, non può prescindere, come si evince con chiarezza dalla lettera della legge, dalla previa condanna del soggetto per tale reato o, perlomeno, dalla sua denuncia all’autorità giudiziaria.

Nel contesto del provvedimento impugnato, si accenna anche al reato previsto dall’art. 6 quater della legge n. 401/1989 in quanto, come meglio descritto nella comunicazione della D.I.G.O.S. in data 26 aprile 2012, il passaggio dei tifosi nel settore distinti avrebbe comportato la formazione di una “massa critica” che ha esercitato violenza nei confronti degli incaricati all’instradamento degli spettatori (“steward”), uno dei quali riportava lesioni giudicate guaribili in dieci giorni.

Anche nelle fattispecie relative alla partecipazione ad episodi di violenza, occorre, peraltro, che i prevenuti, prima dell'applicazione dell'inibitoria di accesso agli impianti calcistici, siano stati identificati e denunciati all’autorità giudiziaria per le ipotesi di reato loro ascritte (Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2011, n. 2573;
idem, sez. V, 21 giugno 2005, n. 3245).

Tale è, senza dubbio, il significato della disposizione in esame, una volta depurata degli incisi relativi ai richiami normativi: “Nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni ... ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, il questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive …”.

Come è agevole ricavare dallo stesso provvedimento impugnato, ove si dà atto che nei confronti dell’odierno ricorrente “verrà inoltrata comunicazione notizia di reato alla competente A.G.”, tale incombente non aveva avuto luogo anteriormente all'adozione della misura di prevenzione che risulta applicata, pertanto, in assenza del presupposto previsto dall'art. 6, comma 1, della legge n. 401/1989.

Risulta irrilevante, del resto, che, al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, altri soggetti fossero già stati segnalati all’autorità giudiziaria per gli stessi reati ovvero che, a tale data, il ricorrente fosse già stato individuato fra i soggetti autori dell’invasione del settore distinti, poiché la denuncia nei suoi confronti è stata formalizzata solo con atto del 23 maggio 2012, successivo all’applicazione del D.A.SPO.

Il motivo di ricorso, in conclusione, è fondato e comporta l’illegittimità del provvedimento impugnato nella sua interezza.

Conclusivamente il ricorso deve essere accolto.

La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese di lite.

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