TAR Salerno, sez. II, sentenza 2020-01-28, n. 202000146

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. II, sentenza 2020-01-28, n. 202000146
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 202000146
Data del deposito : 28 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/01/2020

N. 00146/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01860/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1860 del 2019, proposto da
A C, S M M, G C, G M, F V, E P, M G, G D L, rappresentati e difesi dagli avvocati S C, F L, S L S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A B, A D M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento,

previa sospensione:

a) della delibera n.35 del 16.09.2019 - successivamente pubblicata - con la quale il Consiglio Comunale di Salerno ha approvato il “Regolamento degli Istituti di partecipazione” nella parte in cui inibisce la possibilità a cittadini residenti ed elettori del Comune di Salerno della partecipazione al procedimento volto alle iniziative popolari relative alla presentazione di istanze e petizioni ed alla promozione di referendum consultivi;

b) di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Salerno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2019 la dott.ssa M A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale, anche in ordine alla possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Come esposto dai ricorrenti, “il giudizio concerne la definizione degli ambiti entro i quali un Comune può limitare il diritto – contestualmente garantito - dei propri cittadini residenti e maggiorenni, dotati di elettorato attivo e passivo, di utilizzare gli strumenti di partecipazione consistenti nella presentazione di proposte e petizioni popolari e nella promozione di referendum consultivi”.

In particolare il ricorso è proposto avverso le disposizioni contenute nel regolamento, approvato con delibera di C.C. n. 35 del 16.9.2019, degli istituti di partecipazione che hanno inibito ai residenti da meno di cinque anni del Comune di Salerno, ancorché iscritti nelle liste elettorali dello stesso Comune, la possibilità di proporre istanze e petizioni (art.3 del Regolamento) ovvero di promuovere il Referendum consultivo (art.9 e 13 del Regolamento).

Oggetto di impugnazione sono anche le disposizioni, pure previste nel medesimo regolamento, che impongono, secondo la prospettazione di parte ricorrente, limitatissimi termini assegnati ai promotori per la raccolta delle firme occorrenti per la proposizione del quesito referendario e per il suo successivo deposito (art.13 del Regolamento) e ricavabili da una platea ridotta di potenziali firmatari (i residenti da più di cinque anni nel Comune).

Si sostiene in ricorso che, pacifica essendo la consistenza di diritto della posizione giuridica soggettiva in capo ai ricorrenti, non possa il Comune comprimerla e comunque non secondo le modalità in concreto adottate.

Controdeduce il Comune di Salerno sostenendo di aver esercitato il proprio potere regolamentare discrezionalmente, ribadendo la ragionevolezza della scelta di limitare il diritto di partecipazione a cittadini dei quali non sia accertato la stabile collegamento con il territorio, desunto, quest’ultimo, non irragionevolemente, secondo la prospettazione difensiva, dal decorso di un congruo lasso di tempo dall’acquisita condizione di residente.

Previo avviso alle parti, non occorrendo integrazioni istruttorie e trattandosi di questione di puro diritto, la causa è stata riservata in decisione con sentenza in forma semplificata all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 18 dicembre 2019.

DIRITTO

Va preliminarmente ritenuta l’ammissibilità del ricorso, benché rivolto avverso un atto regolamentare, giacché impingente su disposizioni, contenute nello stesso e direttamente preclusive, senza necessità di intermediazione di un atto attuativo, dell’esercizio del diritto di partecipazione riferito alla facoltà di proporre istanze e petizioni (art. 3) ovvero di promuovere il referendum consultivo (art. 9 e 13), nei confronti dei cittadini del Comune di Salerno quivi residenti da meno di cinque anni.

Sono altresì contestate le disposizioni regolamentari che impongono termini definiti ristrettissimi ai promotori per la raccolta delle firme occorrenti per la proposizione del quesito referendario e per il suo successivo deposito (art.13 del Regolamento) e ricavabili da una platea ridotta di potenziali firmatari (i residenti da più di cinque anni nel Comune).

Giova riportare il testo delle disposizioni, contenute nel regolamento, contestate, o rilevanti per la definizione della controversia, come segue:

art. 2 - (Titolari del diritto di iniziativa popolare):

“Il diritto di iniziativa popolare è riconosciuto ai residenti del Comune di Salerno da almeno 5 anni, che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età”;

art. 3 – (Istanze e petizioni)

“1. L’istanza di cui all’articolo 51 dello Statuto consiste in una richiesta scritta ed esaustiva su una specifica questione e l’eventuale soluzione proposta, espressa in forma scritta.

2. La petizione di cui all’articolo 51 dello Statuto consiste in una richiesta, espressa in forma scritta e sottoscritta da minimo 500 residenti da almeno 5 anni e di maggiore età al momento della sottoscrizione, a provvedere su un oggetto determinato. (…)”;

art. 9 – (Comitato promotore)

“1. Gli/le elettori/elettrici che intendono promuovere referendum devono costituirsi in apposito Comitato promotore formato da almeno tre componenti e devono presentare richiesta scritta al Sindaco, contenente i termini del quesito che si intende sottoporre a referendum consultivo formulato ai sensi del successivo art. 12 comma 3. Il Sindaco, entro 60 giorni dal ricevimento, trasmette all’ufficio elettorale la richiesta per la verifica delle sottoscrizioni.

2. La richiesta deve inoltre contenere: a) le prime 150 firme, di cittadini iscritti nelle liste elettorali del Comune e ivi residenti da almeno 5 anni, debitamente autenticate a sottoscrizione della proposta di referendum;
sono comprese le firme dei componenti del Comitato promotore;
b) una relazione illustrativa della proposta di referendum;
c) indirizzo, recapito telefonico e di posta elettronica delle persone che compongono il Comitato promotore, per le comunicazioni previste dal Regolamento.

3. L’Ufficio elettorale comunale effettua il riscontro circa il numero e la regolarità delle sottoscrizioni sia sotto il profilo dell’autenticazione sia dell’iscrizione dei firmatari nelle liste elettorali del Comune e residenti da almeno 5 anni, entro 15 (quindici) giorni dal ricevimento della richiesta da parte del Sindaco, quindi trasmette l’esito dei riscontri effettuati al Sindaco, che ne informa il Comitato promotore.

4. Qualora dai riscontri effettuati venga accertata l’insufficienza del numero delle firme o la loro irregolarità, l’Ufficio elettorale comunale invita i soggetti interessati ad integrare le firme mancanti o irregolari entro il termine di 7 (sette) giorni dal ricevimento della richiesta di integrazione. Decorso il termine previsto per la presentazione delle integrazioni senza che le stesse siano state presentate, o nel caso in cui decorso tale termine permanga l’irregolarità, l’Ufficio elettorale comunale dichiarerà l’improcedibilità della richiesta di referendum entro 10 giorni trasmettendo l’esito dei riscontri effettuati al Sindaco che ne informa il Comitato promotore”;

art. 13 – (Raccolta delle firme)

“1. A seguito del giudizio di ammissibilità della commissione di Garanzia, il Comitato promotore provvede alla raccolta delle ulteriori firme, per il referendum consultivo: sono richieste le sottoscrizioni formali di almeno 1/10 di cittadini/e iscritti/e nelle liste elettorali del Comune, residenti nel Comune da almeno 5 (cinque) anni alla data della sottoscrizione, comprese le sottoscrizioni dei Promotori. (…)

3. A tal fine, entro 45 (quarantacinque) giorni dalla comunicazione della decisione di ammissibilità del referendum, il Comitato promotore, pena l’improcedibilità del referendum, deposita presso il Protocollo generale del comune, i moduli per la raccolta delle firme. Il Segretario generale o suo delegato provvede, entro 15 (quindici) giorni dal deposito, alla vidimazione dei moduli destinati alla raccolta firme, apponendo su ciascuno di essi il timbro, la data e la propria firma.

(…) 6. I moduli vidimati contenenti le firme raccolte devono essere depositati dal Comitato dei Promotori presso l’ufficio elettorale entro 60 (sessanta) giorni dalla data di consegna dei fogli vidimati”;

Art. 14 – (Verifica della regolarità della raccolta firme)

“1. Entro 30 (trenta) giorni dal deposito delle firme l’Ufficio elettorale comunale rilascia i certificati di iscrizione nelle liste elettorali e di residenza, verificando: a) che le firme siano nel numero richiesto e siano state raccolte sugli appositi moduli vidimati dal Segretario Generale o da suo delegato, con le modalità di cui al precedente articolo;
b) che i firmatari siano elettori iscritti nelle liste elettorali del Comune, siano residenti nel Comune da almeno 5 (cinque) anni, alla data della sottoscrizione (…)”.

Il regolamento comunale prescrive, dunque, il requisito della residenza da almeno cinque anni per esercitare i diritti di partecipazione, di presentare petizioni o promuovere referendum e regola in conformità a tale presupposto tutti i procedimenti nel regolamento disciplinati.

Si tratta, in sostanza, di una limitazione del diritto civico di partecipazione all’amministrazione delle Comunità locali, che, secondo la prospettazione di parte ricorrente (cfr. ricorso, I motivo), pure sarebbe garantito, indistintamente, a tutti i “cittadini”, dallo Statuto comunale (e prima ancora dalla legge e dalla Costituzione), laddove al Regolamento è rimessa la sola disciplina delle modalità, forme, materie e modalità di indizione e di svolgimento dell’iniziativa referendaria.

Al riguardo, i ricorrenti richiamano l’art. 7 del Decreto legislativo n. 267/2000 (TUEL), che attribuisce agli Enti locali la potestà regolamentare “nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo Statuto” , e il suo successivo art 8, comma 3, che stabilisce che “nello Statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere altresì determinate le garanzie per il loro tempestivo esame. Possono essere, altresì, previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini”.

Alcuna limitazione sarebbe dunque prevista nell’indicato testo unico, né nello Statuto.

Il ricorso è fondato, nei termini che seguono.

Va anzitutto ricordato, in proposito, che la partecipazione popolare alla gestione politico-amministrativa della cosa pubblica è un diritto fondamentale, garantito dalla Costituzione, che, all’articolo 3, comma 2, impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l’effettiva partecipazione di tuti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Ad illuminare il senso di tale norma concorrono anche gli articoli 1 e 2 della Costituzione, laddove il primo stabilisce che la sovranità ed il suo esercizio appartengono al “popolo” e il secondo esprime la centralità dei diritti della persona ed il loro completamento nelle formazioni sociali.

Il riconoscimento della peculiare importanza attribuita dal sistema alla partecipazione popolare, quale valore fondamentale e carattere della democrazia politica, ha trovato consacrazione anche a livello di legislazione ordinaria.

In particolare, l’articolo 8 del TUEL (D.Lgs. 267/2000), già sopra richiamato, delinea diversi istituti di partecipazione “popolare”, tra l’altro prevedendo “forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi” e “garanzie per il loro tempestivo esame”.

Lo stesso articolo contiene, quindi, la possibilità, per gli enti locali, di prevedere il referendum consultivo, su richiesta di un adeguato numero di “cittadini”, mentre agli statuti degli enti locali spetta disciplinare, nel dettaglio, “le forme di consultazione della popolazione, le procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte e l’eventuale referendum”.

Il diritto riconosciuto ai “cittadini” ha evidentemente la finalità di concorrere alla gestione politico-amministrativa della cosa pubblica, in funzione di controllo diffuso dell’operato delle istituzioni rappresentative.

Ai fini della corretta individuazione dei soggetti chiamati a partecipare alle “forme di consultazione della popolazione”, a livello di enti locali, occorre, dunque, preliminarmente definire il concetto di “popolazione”, che è costituita dalle “persone che compongono la comunità territoriale”, e dunque richiedendosi, di norma, la compresenza dei requisiti della cittadinanza e della residenza.

Le forme di partecipazione di cui ci si occupa sono dunque, in base al citato art. 8, terzo comma, del TUEL, aperte ai “cittadini residenti”.

Lo stesso art. 8, comma 5, del TUEL autorizza, poi, gli enti locali a promuovere “forme di partecipazione” sia per i cittadini UE che per gli stranieri” regolarmente soggiornanti”, disciplinandone il loro esercizio negli statuti, estendendo, quindi, la possibilità di partecipazione anche a chi, pur non essendo “cittadino”, comunque abbia uno stabile collegamento con il territorio, non irragionevolmente desunto, questo sì, dalla durata di tale “collegamento” di volta in volta stabilita.

Ma questo vale, come detto, per chi non possa vantare la condizione di “cittadino”.

Quest’ultimo, in quanto tale, gode di tutti di diritti discendenti dal proprio status, ivi compresa la possibilità di stabilire la sede dei propri affari e interessi in un qualsiasi luogo della Repubblica, acquistandone la residenza, che è situazione giuridicamente normata, e non automaticamente riconosciuta, cui la legge fa conseguire cospicue conseguenze (cfr. art. 43, comma 2, C.C. e segg.).

Dalla lettura coordinata delle due disposizioni sopra indicate contenute nell’art. 8 del TUEL, può dunque conclusivamente dirsi che, mentre la partecipazione popolare è normativamente riconosciuta ai “cittadini residenti”, la stessa può essere estesa anche agli “stranieri” residenti dallo statuto che ben può, in questo caso, disciplinare ulteriormente il “legame” degli stessi con il territorio.

Se dunque si tratta di un “diritto” riconosciuto ai “cittadini”, rinviare la possibilità di suo concreto esercizio ad un termine, collegato alla maturazione di un periodo ritenuto “congruo”, di “stabile collegamento sul territorio”, significa non altro che negare il diritto stesso, di fatto istituendo un indebito ostacolo al suo esercizio e una sorta di “graduatoria” degli aventi diritto, in evidente violazione dell’apicale principio di uguaglianza tra “cittadini” (ex art. 3 Cost.).

Del resto, lo stesso Statuto riconosce il diritto di promuovere il referendum consultivo agli “elettori” del Comune stesso (art 54, comma 1, dello Statuto comunale), e tali sono i “residenti”, senza operare alcuna distinzione in base alla data di acquisizione della condizione legittimante (la residenza, appunto).

Posto, dunque, che il diritto è riconosciuto, senza limitazioni, anche dalla fonte statutaria, non può che concludersi che esula dal potere regolamentare la possibilità di comprimere il diritto civico di partecipazione, che resta, quindi, garantito a tutti i “cittadini” della comunità locale (dunque, ivi residenti) senza limitazioni temporali legate alla durata della condizione di cittadino residente.

Tale limitazione in alcun modo può ricondursi alla disciplina delle “modalità, forme, materie e modalità di indizione e svolgimento dell’iniziativa referendaria”, che attengono alla concreta regolamentazione delle procedure, ma giammai alla determinazione dei requisiti soggettivi di esercizio, fissati dalla legge e dallo Statuto.

Il ricorso va dunque accolto con l’annullamento, in parte qua, delle disposizioni che limitano soggettivamente l’esercizio dei diritti civici ai residenti da almeno cinque anni nel Comune di Salerno e, ancora in parte qua, delle disposizioni che regolano i procedimenti di partecipazione civica richiamando tale limitazione.

Ritiene, poi, il Collegio, che il conseguente allargamento della platea dei legittimati escluda la pure dedotta irragionevolezza dei termini per l’esercizio dei relativi diritti, con riferimento all’art. 13 del regolamento;
tale previsione, peraltro, è compatibile con il potere esercitato, come sopra detto, in quanto attinente alla concreta regolamentazione delle procedure e non sembra, in sé, palesemente illogica, non essendovi alcuna dimostrazione dell’impossibilità o estrema difficoltà di esercizio dei diritti conseguente alla dedotta insufficienza dei termini.

La natura della controversia e la novità della questione giustificano la integrale compensazione delle spese inter partes, fatta eccezione per il contributo unificato che grava sul Comune di Salerno soccombente.

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