TAR Napoli, sez. III, sentenza 2016-08-27, n. 201604111

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. III, sentenza 2016-08-27, n. 201604111
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201604111
Data del deposito : 27 agosto 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/08/2016

N. 04111/2016 REG.PROV.COLL.

N. 03313/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3313 del 2014, proposto da:
DE CRESCENZO GENNARO, rappresentato e difeso dall’Avv. R M ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. E A in Napoli, alla Via Cervantes, n. 44;

contro

COMUNE DI ERCOLANO, in persona dal legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv. ti N Mlli e S S, presso il quale ultimo domicilia in Napoli, al Parco Comola Ricci, n. 165;

per l'annullamento

- del provvedimento prot. n. 15170 adottato in data 28 marzo 2014 dal Dirigente del Settore Pianificazione Urbanistica - Ufficio Condono Edilizio - del Comune di Ercolano di rigetto dell’istanza di sanatoria degli abusi edilizi di cui all’art. 39, L. n. 724/1994 in ditta D C G - prot. n. 52969 del 16.11.1994 - fascicolo n. 22 bis;

- di tutti gli atti anteriori, preordinati, connessi e conseguenti, ivi compreso il preordinato parere tecnico amministrativo dell’Ufficio Condono Edilizio di Ercolano da ultimo reso in data 26 novembre 2012 secondo cui “L’istanza di condono edilizio prot. n. 52969 del 16.11.1994 - Fascicolo n. 22 bis è accoglibile solo per le porzioni di immobili di cui all’originaria istanza, mentre per le opere aggiuntive e successive l’istanza sono da adottare i consequenziali provvedimenti repressici. Precisamente saranno oggetto di repressione edilizia le seguenti opere: collegamento di tutta la struttura con muratura e copertura di esse con ampliamento volumetrico. Inoltre, un corpo di fabbrica raffigurato nei progetti con la lettera “A”, modificato nella copertura rispetto alla originaria istanza di condono”.


Visti gli atti tutti di causa;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’intimato Comune;

Visti gli atti tutti della causa;

Viste le memorie prodotte dalle parti;

Uditi - relatore alla pubblica udienza del 19 luglio 2016 il dr. Vincenzo Cernese - i difensori delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso, notificato il 3.6.2014 e depositato il giorno 21 successivo, D C G - nella dedotta qualità di proprietario di un manufatto sito in Ercolano, alla Via S.B. Cozzolino n. 100 bis distinto in catasto al folio 8, p. lla 437 sub 1 cat. C/1 piano, della consistenza catastale di 103 mq., ricompreso in un compendio immobiliare realizzato ed ultimato, nello stato di fatto in cui si trova in epoca antecedente al 31 dicembre 1993 e ricompreso in zona E/Agricola del vigente P.R.G., nonché in zona omogenea R.U.A. del vigente P.T.P. dei Comuni vesuviani - riferisce, in fatto che:

- il predetto manufatto è stato oggetto di istanza di sanatoria degli abusi edilizi di cui all’art. 39 legge 724/94 - prot. n. 52969 del 16.11.1994 - Fasciolo n. 22 bis, integrata con documentazione prodotta in data 10.12.2010 a seguito di richiesta istruttoria dell’Ente inviata il precedente 10 ottobre, da cui nulla si evinceva in ordine alla possibile relativa presunta tardività, né parziale, né totale;

- in un primo tempo, con parere reso dall’U.T.C., in data 26.12.2012, l’amministrazione aveva riconosciuto che l’istanza di condono di cui trattasi era accoglibile in parte dovendosene escludere solo il “collegamento di tutta la struttura con muratura e copertura di esse con ampliamento volumetrico “ e la modifica afferente ad una copertura ;
in sede di determinazione finale il dirigente ha ritenuto, sulla scorta dei medesimi presupposti di fatto, di rigettare in toto l’istanza di condono edilizio, all’uopo erroneamente reputando che dal confronto di non meglio precisata e le risultanze istruttorie emergerebbe che detti interventi “sono stati realizzati successivamente alla presentazione della domanda di condono”;

- ciononostante, con provvedimento prot. n. 15170, adottato in data 28 marzo 2014 dal Dirigente del Settore Pianificazione Urbanistica - Ufficio Condono Edilizio il Comune di Ercolano, adottato in modo non del tutto coerente con gli esiti istruttori, si è determinato a rigettare in toto la suddetta istanza di sanatoria.

Date tali premesse e preso atto che il verbale di sequestro delle opere connotanti la domanda di condono di cui trattasi è datato 30 dicembre 1993, allorquando la P.M. accertò invero l’esecuzione di lavori in difformità a precedente titolo manutentivo “consistente nella realizzazione di un ampliamento di un manufatto preesistente….;
abbattimento parziale e ricostruzione per tre lati difforme da altro immobile preesistente, D C G, avverso la predetta determinazione, propone la formale impugnazione in epigrafe avverso gli atti pure in epigrafe indicati.

All’uopo, a sostegno del ricorso, parte ricorrente deduceva profili di violazione di legge (artt. 31 e ss., L. 47/1985;
art. 39, L. 724/93) e di eccesso di potere, per contraddittorietà con precedenti, irragionevolezza, erroneità dei presupposti di fatto e di diritto ed altri profili).

L’intimato Comune si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso, sì come inammissibile ed infondato.

In data 4.11.2015, in sostituzione del precedente difensore del Comune, si costituiva in giudizio l’Avv. N Mlli riportandosi a tutto quanto già dedotto nell’interesse dell’Ente territoriale nella pregressa memoria di costituzione.

Alla pubblica udienza del 19 luglio 2016 la causa passava in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è fondato e, nei termini di cui appresso, deve essere accolto.

Al riguardo rilievo preminente riveste il primo motivo di gravame sotto il dedotto profilo di eccesso di potere per contraddittorietà, irragionevolezza, contrasto con i precedenti, difetto di motivazione.

Con tale profilo parte ricorrente deduce che il provvedimento impugnato è inficiato da una istruttoria non coerente e non dettagliatamente ostesa che ha portato a determinazioni conclusive di segno differente rispetto a quello inizialmente prospettato. Infatti, in un primo tempo, con parere reso dall’U.T.C. in data 26.12.2012, l’Amministrazione aveva riconosciuto che l’istanza di condono di che trattasi era accogliibile in parte dovendosene escludere solo “il collegamento di tutta la struttura con muratura e copertura di esse con ampliamento volumetrico” e la modifica afferente ad una copertura;
invece, in sede di determinazione finale, il dirigente, sulla scorta dei medesimi presupposti di fatto, ha ritenuto di rigettare in toto l’istanza di condono edilizio, all’uopo reputando che, dal confronto di non meglio precisate risultanze istruttorie emergerebbe che detti interventi sono “stati realizzati successivamente alla presentazione della domanda di condono”.

L’ordine di idee di parte ricorrente è condivisibile.

L’impugnato del provvedimento prot. n. 15170 adottato in data 28 marzo 2014 con cui veniva rigettata l’istanza di sanatoria degli abusi edilizi di cui all’art. 39, L. n. 724/1994 in ditta D C G - prot. n. 52969 del 16.11.1994 - fascicolo n. 22 bis è stato emanato richiamandosi <<
il parere tecnico-amministrativo espresso in data 26.11.2012 dall’Ufficio Condono Edilizio, reso dal tecnico incaricato dall’Amministrazione Comunale con il quale è emerso che l’istanza di condono edilizio prot. n. 52969 del 16.11.1994 - Fascicolo n. 22 bis è accoglibile solo per le porzioni di immobili di cui all’originaria istanza, mentre per le opere, aggiuntiva e successiva l’istanza sono da adottare i consequenziali provvedimenti repressivi. Precisamente saranno oggetto di repressione edilizia le seguenti opere: “collegamento di tutta la struttura con muratura e copertura di esse con ampliamento volumetrico. Inoltre, un corpo di fabbrica raffigurato nei progetti con la lettera “A” modificato nella copertura rispetto all’originaria istanza di condono >>.

Pertanto con il suddetto parere si poneva una precisa e netta linea di demarcazione tra le opere per le quali era stata presentata la domanda di condono e quelle realizzate - sul presupposto della loro autonoma seperabilità ed individualità - successivamente, riservandosi alle prime opere la possibilità di un provvedimento di accoglimento della istanza di condono e preannunciando per quelle successive l’adozione dei consequenziali provvedimenti repressivi.

Impostazione e criterio siffatti sono stati seguiti anche in occasione dell’invio della “comunicazione di avvio del procedimento - artt. 7, 8 e 10 bis, Legge 241/90 - Finalizzato all’adozione di provvedimenti repressivi opere abusive”, di cui alla nota prot. n. 14970 del 5 aprile 2013, versata agli atti del giudizio ed avente ad oggetto: “Istanza di sanatoria per abusi edilizi di cui all’art. 39 legge 724/94 - prot. n. 52969 del 16.11.1994 - Fascicolo n. 22 bis.”, con la quale, dopo avere “Ritenuto di potere esprimere parere di procedibilità tecnica limitatamente alle opere oggetto della originaria istanza di condono edilizio e parere di improcedibilità per le opere aggiuntive e successive l’istanza come sopra descritte”, si comunicava, ai sensi dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, l’avvio del procedimento finalizzato alla demolizione delle opere abusive realizzate successivamente alla presentazione dell’istanza di condono, consistenti in: “collegamento di tutta la struttura con muratura e copertura di esse con ampliamento volumetrico. Inoltre un corpo di fabbrica distinto nei progetti con la lettera “A” modificato nella copertura rispetto all’originaria all’atto dell’istanza di condono”, avvertendosi che l’iter amministrativo della pratica di condono prot. n. 52969del 16.111994 - Fascicolo n. 22 bis, risulta improcedibile soltanto nelle more dell’ottemperanza ai provvedimenti repressivi che saranno emessi da questo Ente.

Invece, in assenza di alcun elemento di valutazione innovativo e/o sopravvenuto, inspiegabilmente, in sede di determinazione finale, il dirigente ha ritenuto di rigettare in toto l’istanza di condono edilizio, individuando quale motivo di rigetto la circostanza (mai in precedenza ostentata) che, dal confronto di non meglio precisate risultanze istruttorie emergerebbe che detti interventi sono “stati realizzati successivamente alla presentazione della domanda di condono”.

Né alla circostanza che il provvedimento finale risulta, all’evidenza, adottato in modo non del tutto coerente con gli esiti istruttori, può ovviarsi affermando nell’impugnato provvedimento che “il preavviso di diniego, previsto dall’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 costituisce un atto privo di contenuto provvedimentale con cui l’Amministrazione rende noto all’interessato il suo intendimento del tutto provvisorio, di procedere al diniego della sua domanda”, atteso che, pur non avendo contenuto provvedimentale, il preavviso di diniego è un atto che ha una sua rilevanza nell’ambito della formazione progressiva della decisione istruttoria procedimentale, nell’ottica segnata dall’art. 6, co. 1, lett. e) della legge n. 241 del 1990, il dirigente competente non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.

Ne deriva altresì che in presenza di elementi di contraddittorietà e di perplessità emersi nel corso dell’istruttoria esperita, non può non risultarne inficiata anche la motivazione della determinazione finale di rigetto integrale della domanda di condono.

Nota il Collegio che il contrasto logico o comunque, la disconnessione riscontrata nel provvedimento finale rispetto ad atti e circostanze emerse nel corso del procedimento è particolarmente grave allorquando il predetto contrasto si appalesa nella non perfetta coincidenza della determinazione finale con la comunicazione preventiva dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, ai sensi dell’art. 10 bis L. n. 241/1990

In tale caso è evidente lesione dei principi del contraddittorio e della partecipazione al procedimento, in quanto l’inserimento, nel provvedimento conclusivo di motivi, assenti o, comunque, non integralmente esplicitati, nel c.d. preavviso di rigetto, finisce con il frustrare, sul piano della effettività, lo scopo partecipativo dell’istituto, facendo venire a mancare nell’interessato una fondamentale garanzia, tipica del giusto procedimento, costituita dalla possibilità di articolare valide controdeduzioni alle argomentazioni ostative.

Il rubricato art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, prevede che: <<
Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda >>
ed, indubbiamente, l’ampio raggio d’azione di un siffatto obbligo deriva da una legge, che se non costituzionale, è, indubbiamente da considerare di “sostanza costituzionale” in quanto tesa a dare attuazione ai principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.

Infatti con una siffatta previsione, superando le perplessità sorte anche in giurisprudenza circa la necessità o meno della comunicazione di avvio del procedimento anche nei procedimenti ad istanza di parte, il Legislatore, esaltando la partecipazione dell’interessato ai processi decisionali che lo riguardano e con evidente finalità di deflazione del contenzioso giudiziario, ha inteso garantire un proficuo contraddittorio proprio allorquando il procedimento sta per concludersi con l’emanazione di un provvedimento sfavorevole all’interessato.

Secondo condivisa giurisprudenza: <<
La violazione da parte della P.A. dell’art. 10 bis L. n. 241/1990, relativo all’obbligo di inoltrare all’interessato la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ha carattere assorbente e comporta l’annullamento del provvedimento conclusivo del procedimento in quanto è risultata preclusa - per la parte interessata - la partecipazione al procedimento >>
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III ter, 8.9.2005, n. 6618 e T.A.R. Lazio, sez. II, 18 maggio 2005, n. 3921).

Tuttavia, al fine di non frustrare la funzione garantistica cui sopra si accennava e perché l’istituto del c.d. preavviso di diniego possa assolvere alla finalità di assicurare la partecipazione sul piano della effettività e non si risolva in un mero formalismo fine a se stesso prestandosi ad abusi o elusioni, necessita che i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, come comunicati nel c.d. preavviso si ritrovino o, comunque, si presentino in linea di coerenza logica con la parte motiva del provvedimento negativo, che magari potrà anche risultarne arricchito con l’aggiunta di ulteriori rilievi conseguenti alle osservazioni presentate dall’interessato, ma non potrà contenere una motivazione del tutto estranea ai motivi in precedenza comunicati ex art. 10 bis.

Secondo condivisa giurisprudenza <<
L'istituto del preavviso di rigetto, di cui all'art. 10- bis, l. 7 agosto 1990 n. 241, ha lo scopo di far conoscere alla P.A., in contraddittorio rispetto alle motivazioni da essa assunte in base agli esiti dell'istruttoria espletata, le ragioni fattuali e giuridiche dell'interessato che potrebbero contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale derivante, appunto, dalla ponderazione di tutti gli interessi in campo;
con la conseguente illegittimità del provvedimento di diniego la cui motivazione sia arricchita di ragioni giustificative diverse e ulteriori rispetto a quelle preventivamente sottoposte al contraddittorio procedimentale attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza del privato, dato che altrimenti l'interessato non potrebbe interloquire con l'amministrazione anche su detti profili differenziali né presentare le proprie controdeduzioni prima della determinazione conclusiva dell'ufficio. E salvo che il provvedimento finale si discosti dalla motivazione contenuta nel preavviso solo in funzione dell'esigenza di replicare alle osservazioni presentate dal privato >>
(T.A.R. Catania sez. I, 30/07/2015, n. 2103).

Nella fattispecie, come agevolmente percepibile dal raffronto fra la nota n. prot. 14970 del 5.4.2013, recante il preavviso di diniego ex art. 10 bis citato ed il provvedimento prot. n. 15170 adottato in data 28 marzo 2014, contenente il definitivo provvedimento di diniego totale, si rileva una evidente e rilevante asimmetria motivazionale, nel senso che in tale ultimo provvedimento si rinvengono motivazioni ulteriori e, comunque, non pienamente collimanti rispetto a quelle preannunciate nel preavviso di diniego, in tal modo vanificandosi del tutto le osservazioni e le memorie difensive presentate dall’interessato.

Né in contrario rileva che - come riferito nel medesimo provvedimento impugnato - in concreto “avverso il preavviso non sono pervenute osservazioni da giustificare la legittimità delle opere contestate nell’avvio del procedimento prot. 14970 del 5.4.2013, atteso che ciò che rileva, ai fini della illegittimità del provvedimento impugnato, è che l’interessato, in ogni caso, non è stato messo in grado di presentare, a ragion veduta, osservazioni difensive in ordine alle effettive ragioni (in particolare sulla circostanza che gli interventi in discussione “sono stati realizzati successivamente alla presentazione della domanda di condono”) per le quali l’istanza non sarebbe stata, poi, accolta.

In definitiva, ogni altra censura assorbita, il ricorso è fondato e deve essere accolto con il conseguente annullamento del provvedimento prot. n. 15170 del 28.3.2014 e con salvezza per quelli ulteriori.

Le spese di giudizio, come di regola, seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

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