TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-06-28, n. 202413099
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Pubblicato il 28/06/2024
N. 13099/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01350/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1350 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato M W B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, non costituito in giudizio;
per l’annullamento
del decreto prot. n.-OMISSIS- del 12 settembre 2018, con il quale il Ministero dell’Interno ha rigettato la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierno ricorrente in data 20 novembre 2015, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 maggio 2024 il dott. E M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del decreto del Ministero dell’Interno prot. n.-OMISSIS- del 12 settembre 2018, con il quale è stata rigettata la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierno ricorrente in data 20 novembre 2015, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, essendo emersi sul suo conto “elementi che non consentono di escludere possibili pericoli per la sicurezza della Repubblica” .
Con unico motivo di diritto si lamenta la violazione della legge n. 241/1990 per difetto assoluto di motivazione, nonché eccesso di potere per sviamento della causa tipica, non comprendendosi dal tenore del provvedimento in cosa consistano i possibili pericoli alla sicurezza nazionale rilevati a carico del ricorrente.
Il Ministero dell’Interno non si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.
Con ordinanza collegiale istruttoria n. -OMISSIS-del 26 ottobre 2023 è stata disposta l’acquisizione della relazione riservata dei servizi di sulla base della quale è stato emesso il provvedimento impugnato, successivamente depositata agli atti di causa in data 14 marzo 2024.
Con memoria in data 25 aprile 2024 il ricorrente ha contestato quanto riportato nella relazione riservata dei servizi di intelligence italiani, rilevando altresì che la stessa essa avrebbe dovuto essere corredata dal parere del Consiglio di Stato previsto dall’art. 8 della legge n. 91/1992.
All’udienza pubblica del giorno 29 maggio 2024 la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato e va respinto.
Giova in via preliminare osservare, alla luce della giurisprudenza di recente sintetizzata dalla Sezione (cfr., T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), che l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” (e non deve) essere concessa.
Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;sez. IV n. 798/1999;n. 4460/2000;n. 195/2005;sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;sez. VI, n. 3006/2011;Sez. III, n. 6374/2018;n. 1390/2019, n. 4121/2021;TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;n. 3920/2013;4199/2013).
L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale e se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.
In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.
La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.
In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021;n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;n. 8233/2020;n. 7122/2019;n. 7036/2020;n. 2131/2019;n. 1930/2019;n. 657/2017;n. 2601/2015;sez. VI, n. 3103/2006;n.798/1999).
Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.
Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione dell’odierno ricorrente, essendo emersi sul suo conto “elementi che non consentono di escludere possibili pericoli per la sicurezza della Repubblica” .
Dall’informativa pervenuta a seguito dell’istruttoria disposta dal Tribunale, risulta, in particolare, che il ricorrente “…è stato fiduciariamente indicato come elemento di contatto con soggetti dediti al favoreggiamento dell’ingresso clandestino in Italia e all’organizzazione di matrimoni fittizi di cittadini bengalesi…” .
Al riguardo va ricordato il particolare disfavore dei fatti addebitati al ricorrente in materia di violazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 286/1998, dato che il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è stato ripetutamente ritenuto dalla giurisprudenza in materia un comportamento idoneo a fondare il diniego impugnato, in quanto rientrante tra i reati automaticamente ostativi persino all’acquisto della cittadinanza iure matrimonii , in considerazione della pena edittale, superiore a tre anni di reclusione, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 91/1992.
Va infatti evidenziato che l’art. 12, comma 5, del T.U.I., prevede che “Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell'ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni” , precisando poi che “Quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone, la pena è aumentata da un terzo alla metà” .
Come già chiarito dalla giurisprudenza in materia, condivisa dalla Sezione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 8006/2022), legittimamente l’Amministrazione può fondare il rifiuto della naturalizzazione sulla violazione della normativa in materia di immigrazione clandestina, in quanto il fatto storico può essere considerato come indice di carente inserimento e mancata adesione ai principi fondamentali che regolano la convivenza civile all’interno del nostro ordinamento, ritenendo che “risulta, in particolare, perfettamente coerente con l’interesse primario dello Stato alla scrupolosa osservanza delle leggi, la valutazione che precluda l’ottenimento della cittadinanza italiana a chi, essendo straniero, ha commesso reati (ancorché estinti per prescrizione) volti a favorire l’ingresso clandestino di immigrati nel territorio nazionale” (vedi, in tal senso, Cons. Stato, Sez. III, n. 1837/2019,
La valutazione compiuta dal Ministero appare pertanto insindacabile in questa sede, risultando preminente l’esigenza di salvaguardia della sicurezza nazionale rispetto all’interesse del richiedente all’acquisto della cittadinanza italiana, che essendo per sua natura irrevocabile, presuppone che “nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda” (così Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017 n. 657).
Il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione presuppone infatti l’accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazionale e non già sul semplice riferimento dell’interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze.
Occorre nondimeno rilevare che, nei casi in cui il rigetto della domanda di cittadinanza è fondato su ragioni inerenti la sicurezza della Repubblica, il provvedimento di diniego è sufficientemente motivato, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, quando consente di comprendere l’iter logico seguito dall’amministrazione nell’adozione dell’atto, non essendo necessario che vengano espressamente indicate tutte le fonti ed i fatti accertati sulla base dei quali è stato reso il parere negativo (così T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, 3 marzo 2014 n. 2453;vedi, di recente, sez. V bis, n. 13911/2022 e 11806/2022;Cons. St. sez. III, n. 2192/2019, n. 8133/2020;3886 e 3896/2021, 5679/2021, 6720/2021 e 8084/2022).
Va inoltre precisato, sotto il profilo sostanziale, che non vi è ragione per dubitare dell’attendibilità delle informazioni pervenute dagli organismi preposti ai servizi di sicurezza dello Stato, quindi, di fonte ufficiale, raccolte e vagliate da detti organismi pubblici nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali, e che non è sufficiente, a sminuirne l’attendibilità, la mera rassicurazione del ricorrente di non essere coinvolto in attività criminose del tipo dianzi descritte, non essendovi ragioni per privilegiare, nelle contrapposte versioni, quest’ultimo.
Inoltre il carattere secretato delle informazioni assunte a carico dello straniero e poste a base del provvedimento di diniego della cittadinanza italiana non ne consente l’ostensione, come prevede l’art. 2, comma 1, lett. d), del decreto del Ministero dell’Interno n. 415/1998, sicché anche qualsivoglia, eventuale, lamentela in ordine all’omissione del preavviso di rigetto si rivela infondata, anche in considerazione del fatto che la partecipazione del privato non avrebbe potuto condurre ad un esito diverso.
Deve parimenti essere esclusa la fondatezza della dedotta violazione degli artt. 6 e 8 della legge n. 91/1992 (omessa acquisizione del parere conforme del Consiglio di Stato), in quanto si tratta di norme dettate per le ipotesi di maggior favore della cittadinanza per matrimonio con cittadino italiano ex art. 5 della legge n. 91/1992 - in cui, vista l’esigenza di tutela dell'unità familiare, il richiedente vanta un vero e proprio diritto soggettivo allo status - senza considerare che peraltro che l’art. 6 tra i motivi automaticamente ostativi al rilascio dello status annovera anche quelli inerenti alla sicurezza della Repubblica (lett. c del comma 1).
Va infine aggiunto, per completezza, quanto alla dedotta conduzione di una vita normale ed integrata nel contesto economico e sociale di riferimento, che i soggetti implicati in organizzate attività criminose del tipo riscontrate a carico dell’odierno ricorrente, spesso si appalesano all’esterno come persone ordinarie proprio al fine di non insinuare sospetti nelle autorità del Paese ospitante.
Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.
Nulla per le spese di lite stante la mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata.