TAR Roma, sez. I, sentenza 2015-02-11, n. 201502458
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N. 02458/2015 REG.PROV.COLL.
N. 04823/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4823 del 2014, proposto da:
U.T.I.M. - Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva e Associazione “Promozione Sociale”, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dagli avv.ti A T C e M M, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, Via Portuense, 104;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento, previa sospensione,
del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013 n. 159 "Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)" pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24.1.2014 n. 19;
nonché di ogni altro atto preparatorio, presupposto, conseguente e comunque connesso con gli atti impugnati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 19 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i soggetti in epigrafe evidenziavano che, in seguito all’entrata in vigore dell’art. 5 d.l. n. 201/2011 (recante “Introduzione dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglie), era emanato il d.p.c.m. n. 159/2013 che dava luogo ad una nuova regolamentazione complessiva del c.d. “ISEE” (Indicatore della situazione economica equivalente e di cui chiedevano l’annullamento in parte, previa sospensione.
Soffermandosi principalmente sulle prestazioni agevolate di cui all’art. 1, lett. f), d.p.c.m. cit. (prestazioni agevolate di natura sociosanitaria rivolte a persone con disabilità e limitazioni dell’autonomia) e sulla rispettiva legittimazione a ricorrere, in quanto portatori di posizioni a tutela di interessi diffusi e del gruppo sociale da loro rappresentato, i soggetti in epigrafe lamentavano, in sintesi, quanto segue.
“ 1) Eccezione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge 214/2011” .
Risultava la violazione della Carta costituzionale (artt. 70, 76 e 77) in quanto la fonte normativa di legge delegava alla PCM l’emanazione di un regolamento, senza però stabilire “norme regolatrici della materia”, ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. n. 400/1988, limitandosi l’art. 5 d.l. cit. a contenere generali e vaghe linee programmatiche che si prestano alle più varie interpretazioni e concedendo in sostanza una “delega in bianco” alla PCM per disciplinare una materia riservata alla esclusiva competenza del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
“ 2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge 214/2011 sotto il profilo della violazione del termine stabilito per l’emanazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri” .
Il d.p.c.m. impugnato risultava pubblicato il 24 gennaio 2014, ben oltre il termine del 31 maggio 2012 previsto dall’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit., termine da considerare perentorio in quanto legato all’emanazione di un regolamento attuativo e non meramente esecutivo.
“ 3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 117 lettera m) della Costituzione”.
Ricordando il nuovo regime di competenze delineato dall’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit. - anche ai sensi della pronuncia della Corte Costituzionale n. 297/2012 che lo riguardava – per il quale le soglie di accesso alle agevolazioni vengono fissate dal Presidente del Consiglio dei Ministri e non più da ciascun ente erogatore, risultava illegittimo l’art. 2 del d.p.c.m. impugnato laddove prevedeva invece che gli enti erogatori potevano individuare, accanto all’ISEE, altri criteri di ulteriore di selezione volte ad identificare specifiche platee di beneficiari ed esercitando così una competenza riservata allo Stato ai sensi del ricordato art. 117, lett. m), Cost.
“ 4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge 214/2011, dell’art. 38 I comma della Costituzione, dell’art. 32 I comma della Costituzione dell’art. 23 della Costituzione e della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità stipulata a New York il 13.12.2006 e ratificata dalla Repubblica Italiana con la legge 18/2009” .
Gli artt. 2, 3 e 6 d.p.c.m. cit. violavano la norma costituzionale, di cui al relativo art. 38, e la ricordata Convenzione di New York in quanto conteggiavano l’ISEE, anche nel caso di disabili non autosufficienti, considerando l’intero nucleo familiare e imponendo, in caso di ricovero in strutture assistenziali di disabili privi di ingenti risorse proprie, il contributo economico all’intero nucleo in questione.
Ciò andava a ledere, nello specifico, il diritto e la dignità del disabile che si vedeva ora costretto a chiedere aiuto alla famiglia di appartenenza, la quale doveva essere invece oggetto di tutela da parte dello Stato secondo quanto impresso nella Convenzione di New York.
Risultava, inoltre, la violazione dell’art. 32 Cost. in quanto risultava così precluso l’effetto di garanzia di cure gratuite a persone in stato di indigenza, soprattutto se colpite da patologie gravemente invalidanti e da non autosufficienza e destinatarie, in quanto tali, del diritto di esigere direttamente prestazioni sanitarie e sociosanitarie, ex art 3, comma 3, l..n. 833/1978 e art. 54 l. n. 289/2002, quali livello essenziale di assistenza.
Tali disposizioni del d.p.c.m. impugnato non erano comunque coerenti con (o autorizzate da)la delega di cui all’art. 5 d.l.n. 201/2011, in quanto il richiamo in tale norma di rango legislativo alla necessità di tenere conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia non poteva che essere considerato in contraddizione con la precedente normativa, con i principi costituzionali e la Convenzione di New York sopra richiamati, che espressamente prevedono la necessità di valutare il reddito del solo assistito, a meno di considerare l’art. 5 cit. quale norma in contrasto con la Carta costituzionale per quanto sopra richiamato.
I soggetti ricorrenti lamentavano, infine, anche la violazione dell’art. 23 Cost. laddove il d.p.c.m. impugnato imponeva una prestazione patrimoniale senza autorizzazione legislativa.
5) Ulteriore profilo del motivo di impugnazione sopra dedotto. Eccesso di potere sotto i profili della irragionevolezza, della ingiustizia minifesta e dello sviamento dalla causa tipica” .
L’art. 6, comma 3, d.p.c.m. cit. considerava che l’ISEE doveva tenere conto anche dei figli non conviventi nel caso di prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo (salvi casi di estraneità accertati in sede giurisdizionale e dalla pubblica autorità competente) ma tale fattispecie non era in alcun modo autorizzata dall’art. 5 d.l. cit. e causava una abnorme estensione della nozione di “nucleo familiare”.
Anche la su ricordata deroga appariva illogica, in quanto si escludevano dal carico del naturale obbligo di solidarietà i figli di cui non è riconosciuto il rapporto affettivo o la prestazione di aiuti economici, con relativa prova a carico degli interessati, tramite autorità giurisdizionali o amministrative, ben difficile da individuare e definire.
“ 6) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge 214/2011. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge 18/1980 e dell’art. 1 della legge 508/1998.”
L’art. 4, comma 2, lett. f) d.p.c.m. cit. risultava illegittimo laddove includeva nel computo ISEE i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, ricomprendendo quindi indebitamente anche indennità finalizzate a fornire al disabile risorse occorrenti per sostenere le maggiori spese in ragione della propria disabilità. Tra i trattamenti considerati rientrerebbe, quindi, anche l’indennità di accompagnamento di cui all’art. 1 l. 18/1980, posta a carico di persone che hanno subito gravi patologie invalidanti e che è necessaria per le attività continue di assistenza di cui hanno bisogno tali soggetti e non per incrementare il reddito personale.
“ 7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge 214/2011. Eccesso di potere per irragionevolezza e disparità di trattamento”.
L’art. 5, comma 2, d.p.c.m. cit. si palesava illegittimo laddove utilizzava il valore catastale ai fini IMU per determinare il valore reddituale dell’abitazione di proprietà. La determinazione, in tal senso, appariva contraddittoria con il regime di detrazione, pressoché integrale, del canone di locazione previsto invece nel precedente art. 4 e comunque non sostenuta da alcuna disciplina nella fonte primaria.
In rapporto alla precedente regolamentazione, di cui al d.lgs. n. 109/1998, che prevedeva il valore catastale ai fini ICI, l’attuale base di calcolo sul valore catastale IMU si rilevava nettamente superiore, come da simulazione che i ricorrenti illustravano in dettaglio.
“ 8) Violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 315 bis c.c.”
Il d.p.c.m. impugnato, nel non prevedere apposite detrazioni, non considerava che il disabile grave, l’anziano malato cronico non autosufficiente e la persona colpita da demenza senile richiedenti le prestazioni potevano dover far fronte talvolta all’obbligo di mantenimento nei confronti del coniuge e dei figli sprovvisti di redditi propri.
“ 9) Violazione dell’art. 38 I comma della Costituzione sotto il profilo della mancata previsione dell’adeguamento delle franchige al costo della vita. Eccesso di potere per irragionevolezza ed ingiustizia manifesta” .
Le franchige previste all’art 4 del d.p.c.m. cit., non considerando alcun adeguamento al costo della vita, contrastavano con l’art. 38 Cost. e con il principio, ormai generalizzato nel nostro ordinamento, della rivalutazione automatica delle somme destinate ad assicurare l’effettiva realizzazione di esigenze sociali.
Si costitutiva in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, illustrando le proprie tesi, orientate alla reiezione del ricorso, in note allegate da Uffici del M.E.F.
Alla camera di consiglio cautelare era disposto rinvio alla trattazione del merito.
In prossimità della pubblica udienza, le parti ricorrenti depositavano una memoria ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi, con riferimento ai motivi n. 4, 5 e 7.
Alla pubblica udienza del 19 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio rileva l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
L’art. 5 del d.l. n. 201/2011, nel testo derivante dalla legge di conversione n. 214/2011 e dal successivo d.l. n. 95/2012, conv. in l. n. 135/2012, recita testualmente quanto segue: “ Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio 2012, sono rivisti le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico;migliorare la capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero, al netto del debito residuo per l’acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte relative;permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni. Con il medesimo decreto sono individuate le agevolazioni fiscali e tariffarie nonché le provvidenze di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere più riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso. A far data dai trenta giorni dall'entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la determinazione dell'ISEE, attuative del decreto di cui al periodo precedente, sono abrogati il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio 1999, n. 221. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definite le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli dell’ISEE, anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione e gli enti pubblici e prevedendo la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all’ISEE, attraverso l’invio telematico all’INPS, da parte degli enti erogatori, nel rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente articolo a favore del bilancio dello Stato e degli enti nazionali di previdenza e di assistenza sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’attuazione di politiche sociali e assistenziali. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede a determinare le modalità attuative di tale rassegnazione. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio 2012, sono rivisti le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico;migliorare la capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero, al netto del debito residuo per l’acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte relative;permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni. Con il medesimo decreto sono individuate le agevolazioni fiscali e tariffarie nonché le provvidenze di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere più riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso. A far data dai trenta giorni dall'entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la determinazione dell'ISEE, attuative del decreto di cui al periodo precedente, sono abrogati il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio 1999, n. 221. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definite le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli dell’ISEE, anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione e gli enti pubblici e prevedendo la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all’ISEE, attraverso l’invio telematico all’INPS, da parte degli enti erogatori, nel rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente articolo a favore del bilancio dello Stato e degli enti nazionali di previdenza e di assistenza sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’attuazione di politiche sociali e assistenziali. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede a determinare le modalità attuative di tale riassegnazione ”.
Ebbene, dall’articolato testo ora riportato non emerge la vaghezza e l’indeterminatezza lamentate dai soggetti ricorrenti, atteso che il legislatore ha chiaramente indirizzato il Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i Ministri evidenziati, a rivedere le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’ISEE fondandoli essenzialmente sulla (ri)definizione di “reddito disponibile” tale da includere somme e quote patrimoniali e di reddito di soggetti familiari determinati, valorizzando la componente patrimoniale anche estera, considerando le tipologie diverse di prestazioni.
La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 297/2012, ha inoltre evidenziato che “Il denunciato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, in particolare, ha affidato, come visto, al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di determinare con proprio decreto quei peculiari LIVEAS afferenti a prestazioni o servizi sociali o assistenziali che sono effettuati a richiesta dell'interessato, non sono destinati alla generalità dei soggetti e sono, comunque, collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche. La norma, infatti, prevede che il suddetto decreto: a) determini il nuovo indicatore del reddito (ISEE) che gli enti erogatori debbono prendere in considerazione per consentire l'accesso a servizi agevolati;b) introduca indicatori diversi in ragione delle varie tipologie di prestazione sociale;c) fissi la soglia di reddito richiesta agli interessati per ottenere l'accesso alle varie tipologie di prestazioni sociali agevolate. La predisposizione di indicatori differenziati, proprio perché correlata alla contestuale individuazione di una gamma diversificata di tipologie di prestazioni assistenziali, implica la specifica determinazione del livello essenziale di erogazione delle prestazioni medesime. Essa, infatti, si risolve nella identificazione degli «standard strutturali e qualitativi delle prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione», che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte indicato come rientrante nella competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 232 del 2011;nello stesso senso, sentenze n. 296, n. 287 e n. 203 del 2012;n. 322 del 2009;n. 168 e n. 50 del 2008;n. 383 e n. 285 del 2005).La norma impugnata, pertanto, costituisce espressione dell'esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di LIVEAS, ai sensi dell'art. 117, secondo comma lettera m), Cost.”.
Da tale ricostruzione appare evidente la completezza della struttura del testo legislativo di delega e la conformità dell’operato del legislatore, sotto tale profilo, all’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
Non si rileva infatti la perentorietà del termine del 31 maggio 2012 richiamato nell’art. 5 cit.
Secondo i principi giurisprudenziali in argomento e sotto un profilo sostanziale, un termine può definirsi “perentorio” quando dalla sua scadenza deriva l’impossibilità di compiere, anche in epoca successiva, l'attività amministrativa correlata, implicandosi così l’estinzione del potere alla scadenza del termine. Un termine, viceversa, può dirsi “ordinatorio” allorché la sua scadenza non fa venir meno il potere di agire, fermo restando che - salva la possibilità di proroga a mezzo della stessa fonte che lo aveva stabilito e, altresì, prima della sua scadenza - il mancato rispetto di detto genere di termine può esporre a responsabilità colui che, in difetto di legittima proroga, non lo abbia rispettato, e consente ai soggetti interessati (e quindi legittimati perchè portatori di un interesse legittimo al rispetto del termine) a esperire in giudizio ogni azione idonea a costringere l'obbligato a svolgere l'attività dovuta (C.G.R.S., 19.4.12, n. 396).
Nel caso di specie non vi era alcuna previsione di estinzione del potere né era definito il termine stesso come perentorio né era prevista alcuna conseguenza sostanziale sulla sua inosservanza, così che il medesimo può definirsi meramente ordinatorio e il suo mancato rispetto non comporta l’illegittimità dell’intero d.p.c.m. impugnato, come invece prospettato dai ricorrenti (Cons. Stato, Sez. VI, 27.2.12, n. 1084).
Al Collegio non appare fondato neanche il terzo motivo di ricorso.
Nella suddetta sentenza n. 297/2012, la Corte Costituzionale ha precisato che “… la competenza statale alla quale va ricondotta la normativa impugnata, concernente la determinazione di livelli essenziali delle prestazioni, non attiene ad una «materia» in senso stretto, ma costituisce una competenza esclusiva e "trasversale", idonea a investire una pluralità di materie (sentenze n. 203 del 2012;n. 232 del 2011;n. 10 del 2010;n. 322 del 2009;n. 168 e n. 50 del 2008;n. 162 e n. 94 del 2007;n. 282 del 2002). Detta peculiare competenza comporta «una forte incidenza sull'esercizio delle competenze legislative ed amministrative delle regioni» (sentenza n. 8 del 2011;n. 88 del 2003), tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale collaborazione tra Stato e Regione (sentenze n. 330 e n. 8 del 2011;n. 309 e n. 121 del 2010;n. 322 e n. 124 del 2009;n. 162 del 2007;n. 134 del 2006;n. 88 del 2003), salvo che ricorrano ipotesi eccezionali (nella specie non sussistenti) in cui la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) «non permetta, da sola, di realizzare utilmente la finalità [...] di protezione delle situazioni di estrema debolezza della persona umana», tanto da legittimare lo Stato a disporre in via diretta le prestazioni assistenziali, senza adottare forme di leale collaborazione con le Regioni (sentenza n. 10 del 2010, a proposito della social card, ricondotta ai LEP e messa in connessione con gli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.). Proprio in ragione di tale impatto sulle competenze regionali, lo stesso legislatore statale, nel determinare i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie o di assistenza sociale, ha spesso predisposto strumenti di coinvolgimento delle Regioni (nella forma dell'«intesa») a salvaguardia delle competenze di queste. Nella specie, non è dubbio che la determinazione dell'ISEE, delle tipologie di prestazioni agevolate, delle soglie reddituali di accesso alle prestazioni e, quindi, dei LIVEAS incide in modo significativo sulla competenza residuale regionale in materia di «servizi sociali» e, almeno potenzialmente, sulle finanze della Regione, che sopporta l'onere economico di tali servizi. È, dunque, evidente che la suddetta determinazione dell'ISEE richiede la ricognizione delle situazioni locali e la valutazione di sostenibilità finanziaria, tramite acquisizione di dati di cui gli enti erogatori delle prestazioni dispongono in via prioritaria.
Sulla base di tali premesse (che, nel caso di specie, rinvenivano la necessità della leale collaborazione Stato/Regione nell’attuazione dell’art. 5 cit.) deve leggersi il contesto in cui è inserito l’art. 2 richiamato dai ricorrenti.
Tale norma deve essere interpretata sotto tale profilo, laddove prevede e “fa salve” le competenze regionali in materia di formazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e socio-sanitarie e “le prerogative dei comuni”. La norma di cui a tale art. 2, poi, specifica con attenzione che “… In relazione a tipologie di prestazioni che per la loro natura lo rendano necessario e ove non diversamente disciplinato in sede di definizione dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni, gli enti erogatori possono prevedere, accanto all’ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali specificamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari. E’ comunque fatta salva la valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l’ISEE .”
Da ciò ne consegue che l’ISEE oggetto dell’art. 5 cit. è ben differenziato e identificato nella sua sostanza ed è prevista per gli enti regolatori – nell’ambito della ricognizione delle “situazioni locali” anche di ordine finanziario – solo la possibilità di prevedere criteri “ulteriori” – e non integrativi – di selezione unicamente della platea dei beneficiari e ciò in relazione alle attribuzioni regionali specificamente previste in materia di assistenza socio-sanitaria, secondo il su ricordato riparto di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 297/12.
Non è, dunque, prevista alcuna elaborazione di criteri “paralleli” o “alternativi” all’ISEE, come ritenuto dai ricorrenti, ma unicamente la possibilità di allargare la platea dei beneficiari mediante criteri ulteriori, che non si sovrappongono o sostituiscono l’ISEE, ma lo integrano secondo le attribuzioni regionali specifiche e facendo comunque salva – come ribadito esplicitamente dal ricordato art. 2 – la “valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l’ISEE”, a conferma della circostanza per la quale è comunque l’ISEE il nucleo valutativo imposto per determinare la condizione economica di riferimento.
Né è provato, comunque, che tali ulteriori criteri – ancora da adottare da parte degli enti erogatori - siano già ora lesivi per i disabili rappresentati dai soggetti ricorrenti, per cui emerge anche un profilo di carenza di interesse alla proposizione del motivo.
Infondato si palesa anche il quarto motivo di ricorso sulla circostanza di conteggiare l’ISEE considerando l’intero nucleo familiare, anche in caso di ricovero del disabile in strutture residenziali diurne o continuative.
Come evidenziato dal Consiglio di Stato (Sez. III, sent. 14.1.14, n. 99) la normativa di riferimento “…individua l’insieme dei soggetti cui sono posti i doveri di solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi ai restanti compiti propri del nucleo familiare di appartenenza, dal momento che, come la Corte costituzionale ha sottolineato nella sentenza n. 296 del 19.12.2012, la previsione di una compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei familiari, può costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la permanenza dell’anziano presso il nucleo familiare ed è, comunque, espressiva di un dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla collettività, grava anzitutto sui prossimi congiunti”.
Ebbene, in tal senso non si individua alcuna discriminazione nei confronti dei disabili in quanto non risulta impedita nei confronti di costoro, se non autosufficienti, l’accesso alle cure sanitarie, ai sensi degli artt. 32 e 38 Cost., in quanto la disciplina in materia di ISEE comprende la componente sociale che non può essere né scissa né oscurata da quella sanitaria, facendo di quest’ultima l’esclusivo parametro di riferimento al quale ancorare, anche sul piano costituzionale, la valutazione della normativa in materia (Cons. Stato, Sez. III, n. 99/14 cit.).
Né può invocarsi la violazione della Convenzione di New York del 13 dicembre 2006.
Sempre nella medesima sentenza n. 99/14 cit. il Consiglio di Stato, con argomentazioni che il Collegio richiama facendole proprie, ha precisato che tale Convenzione “…non esclude che alla relativa spesa partecipi, foss’anche per una piccola frazione, pure l’assistito o chi per lui” (Cons. St., sez. III, 3.7.2013, n. 3574). Né ciò comporta, ha osservato la Sezione, alcun vulnus alla dignità dell’assistito, giacché la di lui situazione di intrinseca debolezza va salvaguardata anche, per quanto sia possibile e secondo quanto afferma la stessa Corte costituzionale, con il favorire la permanenza di questi presso il nucleo familiare. In ogni caso ritiene il Collegio che la considerazione del reddito dei familiari ai fini ISEE non si ponga in contrasto con il complessivo significato delle disposizioni della Convenzione di New York del 13 dicembre 2006 e, in particolare, con gli artt. 3, 9 e 19, laddove essi valorizzano la posizione individuale del disabile anche indipendentemente dal proprio nucleo familiare. Al riguardo non può sottacersi che il dovere di solidarietà familiare costituisce una ulteriore guarentigia, per il malato, che si affianca al dovere di solidarietà sociale e che tale fondamentale e primario dovere di solidarietà familiare si esprime anche nella considerazione, da parte dell’ordinamento dei singoli Stati, del reddito dei parenti prossimi al fine di determinare la quota assistenziale di compartecipazione dell’assistito al mantenimento presso una struttura sociosanitaria. Tale è del resto l’orientamento del più recente legislatore nazionale che, con l’art. 5 del d.l. 201/2011, convertito in l. 214/2011, ha previsto che, nel fissare il nuovo indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), occorra adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico.”.
Non si rileva, infine, la violazione dell’art. 23 Cost, in quanto non risulta imposta alcuna prestazione ma solo una rideterminazione della distribuzione sociale di obblighi di solidarietà.
Gli argomenti di cui alla precedente trattazione portano anche a ritenere infondato il quinto motivo di ricorso, in quanto il dovere di solidarietà familiare sopra richiamato non può essere limitato ragionevolmente ai soli figli conviventi né pare impossibile fornire la prova della deroga per estraneità del figlio in termini di rapporti affettivi ed economici, visto l’esplicito richiamo alla pubblica autorità competente e alla sede giurisdizionale, soggetti che operano in maniera idonea a fornire ogni documentazione necessaria.
Per mera linearità espositiva, il Collegio ritiene di passare ad esaminare gli ulteriori motivi di ricorso di cui riconosce l’infondatezza.
In particolare, per quel che riguarda il settimo motivo di ricorso, il Collegio ritiene legittimo l’art. 5, comma 2, del d.p.c.m. impugnato laddove utilizza il valore catastale IMU per valutare il patrimonio immobiliare.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha potuto che tenere conto dell’aggiornamento complessivo della normativa fiscale e catastale (quest’ultima in via di definizione esecutiva) vigente nell’ordinamento. Risultano comunque dei temperamenti, in ordine alla valutazione dei solo 2/3 dell’abitazione principale, nel rispetto dell’impulso di cui all’art. 5 d.l. n. 201/2011 a valorizzare “in misura maggiore” la componente patrimoniale, sia in Italia che all’estero, pur con l’attenuazione dovuta dall’identificazione di agevolazioni fiscali.
La complessa simulazione contenuta nel ricorso, quindi, non può rilevare sotto il profilo di cui al presente motivo, perché richiama l’intera situazione personale legata all’applicazione del nuovo indice “ISEE” e non contiene una rivalutazione proporzionale con la situazione precedente e il calcolo del patrimonio immobiliare su base ICI, comunque non più in vigore e non più invocabile.
Parimenti infondato è l’ottavo motivo di ricorso.
Il dovere di solidarietà familiare sopra richiamato non può che essere interpretato unitariamente, così che la compartecipazione al calcolo reddituale per coniugi e figli conviventi deve essere uniforme. Ciò nel rispetto dell’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit. che impone di tenere conto dei pesi dei carichi familiari e ferma restando la facoltà, pure sopra ricordata, di cui all’art. 2 d.p.c.m. cit. di consentire agli enti erogatori criteri ulteriori di selezione accanto all’ISEE.
Infondato è anche il nono motivo, in quanto l’esposizione normativa deve intendersi allo stato attuale e non è prevista alcuna esclusione della possibilità di revisione e aggiornamento delle franchige e detrazioni, sia su impulso della stessa Amministrazione che delle parti sociali interessate, al fine di renderle efficaci nel tempo.
Premesso ciò, resta da esaminare il sesto motivo di ricorso, di cui il Collegio riconosce invece la fondatezza.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale…valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero…” debba essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.
A tale scopo possono essere richiamati i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco il richiamo alla componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato estero (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli.
Più che da un risparmio di spesa, tale impostazione normativa era orientata a rispettare un principio di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art. 38 Cost., legato all’”emersione” di situazioni solo apparentemente equivalenti ad assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione delle norme costituzionali sopra richiamate, avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la Presidenza del Consiglio ha disposto che “ Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a) ;”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF.
Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali, previdenziali e indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie.
Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex ll. nn. 210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della “disabilità”, è stato adottato.
Né può convenirsi con l’osservazione secondo cui tale estensione della nozione di “reddito disponibile” sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova disciplina.
Tale tesi non tiene conto dell’effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente orientata e tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad introdurre specifiche detrazioni e franchige su un concetto di “reddito” (impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 d.p.c.m. siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata “disabilità”.
Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile” eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l. cit.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF.
Per quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto solo in parte.
Le spese del giudizio possono eccezionalmente compensarsi per la novità della fattispecie.