TAR Catanzaro, sez. I, sentenza 2011-05-09, n. 201100686
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N. 00686/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00556/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso R.G. n. 556 del 2008, proposto da “M Salvatore spa”, rappresentato e difeso dagli avv.ti E B e M P C, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Catanzaro, Vico 1 piazza Roma, n. 7;
contro
-Regione Calabria, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. G N, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Catanzaro, Ufficio Legale della Regione Calabria;
-Comune di Lamezia Terme, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. F B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A T, in Catanzaro, via E. Borelli, n. 6;
-Provincia di Catanzaro, in persona del Presidente pro-tempore, non costituito in giudizio;
-Corpo Forestale dello Stato, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
1) del Decreto n. 813 del 06.02.2008 a firma del Dirigente Generale del Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria, di presa d’atto del parere espresso dal Nucleo di Valutazione Ambientale in data 15.11.2007, nel quale si esprime parere contrario, ai fini della compatibilità ambientale, relativamente al progetto di ripristino e recupero ambientale di una cava di calcare in loc. Mendicino-S. Sidero del Comune di Lamezia Terme;
2) del suddetto parere del Nucleo di Valutazione di Impatto Ambientale del 15.11.2007;
3) di ogni altro atto presupposto e/o consequenziale, ancorchè incognito, ed in particolare, per quanto occorra, dell’atto prot. n. 7024 del 19.07.2007 a firma del responsabile dell’Area Gestione del Territorio del Comune di Lamezia Terme e di tutti i suoi allegati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Calabria e di Comune di Lamezia Terme;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del giorno 24 marzo 2011, il cons. Concetta Anastasi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con atto notificato in data il 16.05.2008 e depositato in data 29.5.2008, la ricorrente società impugnava l’epigrafato provvedimento premettendo di aver depositato un progetto per il ripristino ed il recupero ambientale di una cava di calcare dalla medesima gestita in località Mendicino-S. Sidero di Lamezia Terme, esistente sin dal 1957 nonché di aver chiesto, con nota prot. 7452 del 03.07.2006, l’avvio della verifica della V.I.A., ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 12.04.2006.
Esponeva che, successivamente, era intervenuto il Decreto D.G. n. 1398 del 02.03.2007, con cui si stabiliva che il progetto in questione dovesse essere sottoposto alla ulteriore fase di valutazione, come precisato nel parere del Nucleo di V.I.A. del 29.01.2007, che aveva evidenziato la complessità dell’intervento, pur dando atto che l’area si collocava in zona agricola non interessata da vincoli SIC né dal PAI della Regione Calabria e neanche sottoposta a vincoli paesaggistici, archeologici, inibitori o in contrasto con il PRG, benché interessata da vincolo idrogeologico.
Precisava che, pertanto, con nota prot. 5098 del 1.6.2007, chiedeva la pronuncia di compatibilità ambientale, ai sensi degli artt. 26 e ss. D. Lgs. n. 152 del 03.04.2006, di un nuovo progetto, diverso rispetto a quello presentato presso il Comune di Lamezia Terme, il cui studio di impatto ambientale allegato ne avrebbe ampiamente dimostrato la fattibilità tecnica nonché il risultato vantaggioso dal punto di vista ambientale e socio economico.
Con il presente ricorso, lamentava l’illegittimità del diniego espresso con l’epigrafato provvedimento del Direttore Generale del Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria, che avrebbe ampiamente recepito le negative valutazioni della commissione all’uopo incaricata dal Comune di Lamezia Terme, nonostante, invece, l’intervenuto parere positivo da parte della Provincia di Catanzaro.
A sostegno del proprio ricorso, deduceva:
1) violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, carenza istruttoria e difetto dei presupposti;
L’Amministrazione (la Regione Calabria) avrebbe omesso di comunicare i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ai sensi dell’art. 10 bis L. 241/1990.
2) violazione art. 14 e 14 bis della legge n. 241/90, art. 2 DPR 12.4.1996 e art. 1 del Disciplinare allegato alla D.G.R. n. 736/2004, dei principi di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa;
L’Amministrazione avrebbe omesso di indire una conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14 e 14 bis della legge n. 241/1990, come previsto dal D.P.R. 12.4.1996 e dall’art. 1 del Disciplinare Allegato alla DGR n. 736 del 2004, i quali fissano, tra le finalità della procedura di VIA, la semplificazione, la razionalizzazione ed il coordinamento delle valutazioni e degli atti autorizzativi in materia ambientale.
3) violazione art. 4 del Disciplinare allegato alla D.G.R. n. 736/04, carenza istruttoria, travisamento dei presupposti e sviamento;
Il Nucleo V.I.A. avrebbe violato l’art. 4 del disciplinare allegato alla D.G.R. n. 736/2004 perché avrebbe omesso di valutare l’impatto complessivo sull’ambiente individuato nel S.I.A. (studio di impatto ambientale), sostenendo, da un lato, che lo stato attuale della cava richiederebbe interventi urgenti di riqualificazione ambientale e, dall’altro, rigettando contraddittoriamente il Piano di ripristino e recupero ambientale della cava di calcare in località Mendicino – S. Sidero, proposto dalla ricorrente M s.p.a.
4) violazione e falsa applicazione DPR 12.4.1996 e DGR n. 736/2004 , illogicità manifesta, carenza istruttoria, difetto dei presupposti.
Il provvedimento della Regione Calabria sarebbe censurabile anche sotto il profilo dell’intrinseca illogicità.
Concludeva per l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.
Con atto depositato in data 15.6.2008, si costituiva la Regione Calabria e, con memoria depositata in data 16.6.2008, deduceva l’inammissibilità del ricorso perché la notifica nei confronti del Corpo Forestale dello Stato sarebbe avvenuta non già presso la sede dell’Avvocatura dello Stato, ma nella sede propria della P.A.
Eccepiva, inoltre, inammissibilità del ricorso per irricevibilità, in quanto proposto decorsi i sessanta giorni dalla comunicazione delle note prot. n. 5098/07 e n. 5828/07 del 18.2.2008, a firma del D.G. del Dipartimento Ambiente, che sarebbero pervenute alla ricorrente in data 13.3.2008. Deduceva altresì inammissibilità per carenza di interesse, in quanto, con ord. Cons. Stato Sez. IV n. 6247 del 2006, sarebbe stata rigettato la domanda di sospensione del provvedimento amministrativo di annullamento della concessione in sanatoria delle opere necessarie all’esercizio della cava, nonché del provvedimento di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, per cui la ricorrente non potrebbe comunque più utilizzare la cava per cui è causa.
Infine, deduceva l’irricevibilità dell’impugnativa proposta avverso la nota prot. 7024 del 19.7.2007, peraltro non oggetto di specifica censura.
Nel merito, contestava le tesi di parte ricorrente e concludeva per il rigetto del ricorso, con ogni conse quenziale statuizione anche in ordine alle spese.
Con atto depositato in data 17/06/08, si costituiva il Comune di Lamezia Terme, che, con memoria depositata in data 3.2.2011, evidenziava che, in realtà, parte ricorrente, con il progetto de quo, tenderebbe a conseguire lo sfruttamento della cava, come già avvenuto in passato, a seguito del rilascio, da parte del Comune di Lamezia Terme, della concessione edilizia n. 2626 del 14.03.1991 (prodotta in atti) e, inoltre, che l’intero fronte di cava sarebbe stato sottoposto a sequestro penale su richiesta della Procura della Repubblica di Lamezia Terme con provvedimento del giugno 2005, non annullato né revocato, come emergerebbe dalla relazione della Commissione Scientifica e, segnatamente, dal verbale dell’11.09.2006, la quale preciserebbe altresì che i lavori posti in essere dalla M s.p.a. sarebbero finalizzati “a meri fini commerciali, continuando così a rimanere totalmente disattesa l’esigenza di recupero ambientale dell’area in questione”.
Deduceva inammissibilità del ricorso per omessa impugnativa del parere del Comune di Lamezia Terme e della relazione della Commissione Scientifica per l’Emergenza Ambientale, convocata dal Comune di Lamezia Terme che, nelle sedute del 30.06.2006 e dell’11.09.2006, avrebbe reso parere ampiamente sfavorevole al progetto presentato dalla odierna ricorrente, dando altresì atto che sull’area, pur non essendovi vincoli inibitori, vi sarebbero vincoli tutori (idrogeologico e paesaggistico). Inoltre, sarebbero stati presi analiticamente in esame tutti gli elementi tecnici del progetto e, in particolare, sarebbe stato evidenziato che, per l’effetto della “sistemazione” morfologica del fronte di cava (serie di gradoni), il progetto prevederebbe espressamente il prelievo, nei 5 anni, di 3.443.707 mc di roccia, da frantumarsi nel sottostante impianto e commercializzati. Infine, non sarebbe stato impugnato, neanche formalmente, il parere negativo prot. 38704 del 2.07.2007 del Comune di Lamezia Terme. Nel merito, deduceva l’infondatezza del gravame, con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese.
Con memoria depositata in data 9.2.2011, parte ricorrente replicava alle eccezioni svolte ex adverso ed insisteva nelle già prese conclusioni.
Con memoria depositata in data 28.2.2011, la Regione Calabria ribadiva la legittimità del proprio operato.
Con memoria depositata in data 7.3.2011, il Comune di Lamezia Terme insisteva nelle già prese conclusioni.
Alla pubblica udienza del 24 marzo 2011, il ricorso passava in decisione.
DIRITTO
1. Vengono impugnati il Decreto n. 813 del 06.02.2008 a firma del Dirigente Generale del Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria, di presa d’atto del parere negativo del Nucleo di Valutazione Ambientale in data 15.11.2007, ai fini della compatibilità ambientale, relativamente al progetto di ripristino e recupero ambientale di una cava di calcare in loc. Mendicino-S. Sidero del Comune di Lamezia Terme, il suddetto parere del Nucleo di Valutazione di Impatto Ambientale del 15.11.2007 nonché ogni altro atto presupposto e/o consequenziale, ancorchè incognito, ed in particolare, per quanto occorra, dell’atto prot. n. 7024 del 19.07.2007 a firma del responsabile dell’Area Gestione del Territorio del Comune di Lamezia Terme
Può prescindersi dalla disamina delle molteplici eccezioni di inammissibilità svolte dalle parti resistenti, in quanto il ricorso è infondato nel merito.
2. Con il primo motivo, la ricorrente società deduce violazione dell’obbligo di comunicazione del preavviso di rigetto.
Osserva il Collegio che, sebbene il suddetto profilo di illegittimità potrebbe essere suscettibile di valutazione positiva, con conseguente declaratoria di illegittimità dell’atto impugnato, l’ipotetica fondatezza dello stesso non sarebbe, comunque, in grado di fare conseguire alcuna utilità alla parte ricorrente per le ragioni che saranno evidenziate in sede di disamina degli altri mezzi (sostanziali) di gravame. Ne discende l'esigenza di derogare all'ordinaria graduazione logica dei motivi di impugnazione: non si verifica, d'altronde, alcuna concreta lesione del “principio della domanda”, dal momento che parte ricorrente si è astenuta dal richiedere il prioritario accoglimento della censura in questione, attesa la minima satisfattività di un ipotetico accoglimento della stessa rispetto al contenuto sostanziale del bene della vita al cui conseguimento la ricorrente società aspira.
2.2.1. Possono essere esaminati congiuntamente gli ulteriori profili di gravame, su cui si incentra l’impugnativa in correlazione con lo specifico interesse di parte ricorrente, giacchè presuppongo la soluzione di identiche questioni e, preliminarmente, quella della qualificazione della effettiva finalità che il progetto presentato dalla ricorrente società intende perseguire.
Con il secondo motivo, parte ricorrente deduce che l’Amministrazione avrebbe omesso di indire una conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14 e 14 bis della legge n. 241/1990, come previsto dal D.P.R. 12.4.1996 e dall’art. 1 del Disciplinare Allegato alla DGR n. 736 del 2004, i quali fissano, tra le finalità della procedura di VIA, la semplificazione, la razionalizzazione ed il coordinamento delle valutazioni e degli atti autorizzativi in materia ambientale.
Con il terzo motivo, parte ricorrente deduce che il Nucleo V.I.A. avrebbe violato l’art. 4 del Disciplinare allegato alla D.G.R. n. 736/2004 poiché avrebbe omesso di valutare l’impatto complessivo sull’ambiente individuato nel S.I.A. (studio di impatto ambientale), sostenendo, da un lato, che lo stato attuale della cava richiederebbe interventi urgenti di riqualificazione ambientale e, dall’altro, rigettando contraddittoriamente il Piano di ripristino e recupero ambientale della cava di calcare in località Mendicino – S. Sidero, proposto dalla ricorrente M s.p.a.
Con il quarto motivo, deduce che il provvedimento della Regione Calabria sarebbe censurabile anche sotto il profilo dell’intrinseca illogicità.
La difesa della Regione Calabria ribadisce che, in base al combinato disposto degli artt.5, 26 e 27 della legge regionale n. 40 del 2009, non potrebbero essere rilasciate autorizzazioni per attività estrattive, come vanno sostanzialmente qualificate quelle previste dal progetto presentato dalla parte ricorrente. Anche il Comune di Lamezia Terme insiste nell’evidenziare detta finalità del progetto, al di la del titolo a suo avviso fuorviante di “piano di ripristino ambientale”, e ribadisce il notevole impatto ambientale dello stesso.
Va premesso che la legge regionale n. 40 del 2009, invocata dalla Regione, non può trovare applicazione con riferimento al caso di specie, “ratione temporis”, ai sensi dell’art. 11 delle Preleggi, giacchè la vicenda sottoposta all’esame di questo Giudice concerne un procedimento definito con l’epigrafato Decreto n. 813 del 06.02.2008.
2.2.2. Il progetto presentato dalla ricorrente società concerne un sito avente la superficie di complessivi mq 268415, cioè di ettari 26,8415 (relazione geologica al progetto, pag. 5 ), attiva fin dal 1957. Non risulta, inoltre, in contestazione che, già con concessione edilizia n. 2626 del 14.3.1991 del Comune di Lamezia Terme, era stato assentito alla medesima società un progetto avente analoghe finalità di recupero ambientale, come da documentazione prodotta in atti dal Comune di Lamezia Terme.
La relazione al progetto, a firma direttore tecnico, nel capitolo “5.4. Metodologia di esecuzione dei lavori e profilature” precisa: “Il materiale costituente la cava in esame è di tipo calcareo puro dolomitico. La conoscenza stratigrafica dell’area ha consentito di stabilire la sottile presenza di una sottile coltre di terreno vegetale facilmente asportabile con l’uso dei mezzi meccanici, per una profondità di 0,20-0,40 m. . A profondità maggiori la compattezza e la resistenza del materiale è tale da rendere necessario l’uso dell’esplosivo per il modellamento dei fronti di scavo. L’abbattimento di una roccia così tenace può avvenire solo ed esclusivamente tramite l’uso degli esplosivi. Tale tecnica d’altra parte è già stata regolarmente e periodicamente usata nella conduzione della medesima cava nel precedente periodo di attività . L’uso degli esplosivi in cava “Mendicino” è regolarmente autorizzato…..Il materiale proveniente dalle sistemazioni di recupero e riqualificazione sarà accumulato inizialmente nei piazzali già individuati alle varie quote dell’area interessata, da dove sarà caricato sui camion per il trasporto all’impianto di frantumazione ubicato nel sottostante piazzale quindi si raccoglierà in cumuli di varia pezzatura per la commercializzazione….Il materiale proveniente dall’attività di recupero sarà pari a circa 3.443.707 mc di materiale ripartiti approssimativamente: il primo anno, 1.332.021 mc;il secondo anno 655065 mc;il terzo anno 279031 mc;il quarto anno 940617 mc;il quinto anno 236971 mc…” (pag. 17-18) .
La descrizione dell’intervento, come rilevato anche dal parere della Commissione Scientifica riportato in senso al parere del nucleo di VIA del 15.11.2007, facente parte integrante del provvedimento impugnato, evidenzia che, nel progetto in questione, “l’impatto ambientale risulta essere quello derivante dal cavo, cioè dai volumi asportati e non già dalle pendenze dei fronti di scavo che il progetto esaminato non risolve”.
Invero, il parere di VIA evidenzia che “la previsione di effettuare ulteriori scavi ed asporto di materiale per 3,5, milioni di mc, con un considerevole arretramento del fronte cava, certamente non è in linea con il dichiarato obiettivo di risanamento ambientale e non comporta un miglioramento delle condizioni finali dei fronti di cava che rimangono con pendenze simili a quelle attuali”.
Quanto alle connesse problematiche idrogeologiche, la medesima relazione al progetto presentato dalla ricorrente società, al par. “5.3. La regimentazione delle acque”, afferma: “ L’acqua piovana di ruscellamento superficiale, che interessa l’area di cava, per mezzo del progettato intervento di recupero, verrà opportunamente indirizzata in canali naturali o artificiali predisposti all’occorrenza, che per lo più seguiranno le pendenze impostate per le berme e quelle naturali, lungo il perimetro dell’area. In tal modo il deflusso viene convogliato verso la rete di canali di scolo già esistenti alle quote inferiori, che vano ad alimentare il canale naturale più importante che si snoda a Sud-Ovest, costituito appunto dal torrente Spilinga” (pag. 17).
Tali previsioni generiche e tendenti a rinviare ad un futuro assetto il dettaglio dell’esecuzione dei lavori di natura idrogeologica consentono di ritenere non macroscopicamente illogica né irrazionale la motivazione del parere di V.I.A., richiamato “per relationem” dall’impugnato provvedimento, secondo cui: “non è previsto uno studio idrogeologico con rigimazione delle acque superficiali, che consente di porre rimedio ingegneristico e naturalistico a deflusso interrotto del torrente Spilinga, per come accertato dal sopralluogo effettuato dall’UTC in data 14.2.2006 dal quale è stato rilevato l’anomalo percorso del torrente Spilinga che è stato deviato dal proprio alveo naturale” (pag. 6).
Ed invero, la disamina del progetto e la relazione tecnica depongono nel senso della sostanziale non illogicità della valutazione, effettuata negli atti impugnati, dell’intervento in questione, alla stregua di una vera e propria istanza di autorizzazione a coltivare una cava già attiva in passato, al di là del nome proposto di “Piano di Ripristino e Recupero Ambientale”.
2.2.3. La Direttiva Comunitaria 27 giugno 1985 85/337/CEE, con l'art. 4, come modificato dall'art. 1 della Direttiva del Consiglio n. 11 del 03-03-1997 CE, successivamente integrato dall'articolo 3 della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 35 del 26-05-2003 n. 97/11/CE, disciplina l'istituto della valutazione di impatto ambientale, distinguendo i progetti, elencati nell'Allegato I, che vi devono essere sottoposti, da quelli, elencati nell'Allegato II, per i quali viene demandata agli Stati membri la determinazione dei criteri e dei presupposti che rendono obbligatorio il rispetto della relativa procedura.
La disposizione comunitaria si compone, quindi, di due tipi di prescrizioni: la prima, immediatamente precettiva e vincolante, che impone l'acquisizione della V.I.A. per i progetti indicati nell'Allegato I, senza che al legislatore nazionale residui alcun margine di apprezzamento in ordine ai presupposti costituivi del relativo obbligo;la seconda, contenuta nel comma 2 dell'art. 4, che conferisce agli Stati membri un margine di discrezionalità, per specificare taluni tipi di progetti da sottoporre a valutazione di impatto o per fissare criteri e soglie da adottare, salvi, beninteso, i limiti derivanti dall'obbligo di prescrivere comunque la procedura V.I.A. nei casi di rilievo per loro natura, dimensioni e ubicazione (conf.: Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sent. 24 ottobre 1996, in causa C-72/95;22 ottobre 1998, in causa C-310/1995;Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sent. 7 gennaio 2004, procedimento C-201/02).
Fra questi dell’Allegato II indica, al punto 2, (“ Industria estrattiva”), lettera a), “Cave, attività minerarie a cielo aperto e torbiere”, con esclusione dei “progetti non compresi nell'allegato I” , cioè di quelli espressamente menzionati al punto 19 del predetto Allegato I, che indica “cave e attività minerarie a cielo aperto, con superficie del sito superiore a 25 ettari, oppure torbiere, con superficie del sito superiore a 150 ettari”, per i quali la precitata Direttiva 27 giugno 1985 85/337/CEE, come modificata, prescrive l’acquisizione obbligatoria del progetto di VIA.
Per quest’ultima ipotesi, come già accennato, la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che non è consentito agli Stati membri dispensare a priori e globalmente dalle procedure di VIA determinate classi di progetti, elencati nell’allegato II della Direttiva 85/337/CEE, ovvero sottrarre alla suddetta procedura uno specifico progetto in forza di un atto legislativo nazionale o sulla base di un esame in concreto del progetto (conf.: Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sent. 24 ottobre 1996, in causa C-72/95;22 ottobre 1998, in causa C-310/1995;Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sent. 7 gennaio 2004, procedimento C-201/02).
Invero, risulta chiarito che gli Stati membri, quanto ai progetti di cui all’allegato II alla Direttiva, possono fissare criteri o soglie, che però non hanno lo scopo di sottrarre anticipatamente all’obbligo di valutazione talune classi complete di progetti ... ma mirano unicamente ad agevolare la valutazione delle caratteristiche complete di un progetto al fine di stabilire se sia soggetto al detto obbligo.
E’ quindi non revocabile in dubbio la sussistenza dell’obbligo di assoggettare a VIA i progetti, previsti nell’Allegato II della ridetta Direttiva Direttiva 85/337/CEE, che siano idonei a provocare impatti rilevanti sull’ambiente.
2.2.4. Nel caso di specie, il progetto presentato dalla ricorrente società, in base alla relazione geologica ad esso allegata ( pag. 5), concerne un sito avente la superficie di complessivi mq 268415, cioè di ettari 26,8415, rientrerebbe tra quelli di cui all’Allegato I della Direttiva 85/337/CEE, con riferimento ai quali non residua alcun margine discrezionale al legislatore nazionale.
Ma, anche a voler ritenere il progetto in questione come ricadente nelle previsioni di cui all’Allegato II della suddetta Direttiva CEE, non può escludersi che la PA debba procedere alla valutazione degli interessi pubblici coinvolti ed alla verifica preventiva delle situazioni vincolistiche e di assetto territoriale dei luoghi, in coerenza con l’art. 9 Cost., al fine di accertare la eventuale compromissione del territorio in dipendenza della attività estrattiva, come previsto dagli artt. 20- 23 e 32 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e, prima, dal D.P.R. 12 aprile 1996, contenente l'atto di indirizzo e coordinamento in ordine alla applicazione dell'articolo 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146 ( relativo a condizioni, criteri e norme tecniche per l'applicazione della procedura di impatto ambientale ai progetti inclusi nell'Allegato II alla Direttiva del Consiglio 85/337/CEE, con particolare riferimento alla necessità di individuare idonei criteri di esclusione o definire procedure semplificate per progetti di dimensioni ridotte o durata limitata, realizzati da artigiani o piccole imprese ), invocato dalla parte ricorrente.
Invero, l'art. 1, comma 6, del D.P.R. 12 aprile 1996 stabilisce che "per i progetti elencati nell'allegato B, che non ricadono in aree naturali protette, l'autorità competente verifica, secondo le modalità di cui all'art. 10 e sulla base degli elementi indicati nell'allegato D, se le caratteristiche del progetto richiedono lo svolgimento della procedura di valutazione d'impatto ambientale".
La valutazione espressa dalla conferenza di servizi - in cui concorre l'apporto di componenti in possesso di specifica qualificazione nel settore minerario, oltreché in quello della tutela del paesaggio e del territorio in genere - anche se non risolutiva in via definitiva di ogni questione afferente alla coltivazione della cava esplica un effetto condizionante di ogni successiva determinazione conclusiva da parte della P.A. .
Va, al riguardo, rammentato che, con sentenza della Corte di Giustizia Europea 3 luglio 2008, in procedimento C-215/06, è stato ribadito che, a livello di processo decisionale, è necessario che l’autorità competente tenga conto il prima possibile delle eventuali ripercussioni sull’ambiente di tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione, dato che l’obiettivo consiste nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, piuttosto che nel combatterne successivamente gli effetti.
Nella specie, risultando pacifico il coinvolgimento dell'assetto idrogeologico del sito, è evidente che, ai fini del rilascio del titolo autorizzatorio, si richiede una coerenza del progetto redatto dalla società interessata con le esigenze di prevenzione da ogni indebita ed irreversibile compromissione dei luoghi per effetto dell'attività estrattiva.
Né possono ritenersi scarsamente rilevanti le osservazioni svolte nei vari pareri intervenuti nel corso del procedimento, in ordine alle negative incidenze dell’attività sul territorio, che, sul piano motivazionale e con riferimento al profilo strettamente tecnico, appaiono non facilmente superabili, avuto particolare riguardo alla rilevanza del materiale da estrarre ed al complesso dell'attività produttiva.
Pertanto, calando i superiori principi nel caso di specie, alla luce dei vari elementi evidenziati, ritiene il Collegio che l’operato della P.A. che ha, in sostanza, valutato l’intervento in questione, al di là del nome proposto, alla stregua di una vera e propria istanza di autorizzazione a coltivare una cava già attiva in passato, non appare inficiato dai vizi di macroscopica illegittimità denunziati.
In definitiva, le censure svolte non possono essere condivise.
2.3. Può essere, quindi, esaminato il primo profilo di gravame, con cui parte ricorrente deduce omessa comunicazione del cosiddetto “preavviso di rigetto”, ai sensi dell’'art. 10-bis della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 15 del 2005, al fine di consentire il contraddittorio tra privato ed amministrazione prima dell'adozione di un provvedimento negativo.
La previsione trova applicazione con riferimento a tutti i procedimenti ad iniziativa di parte, ad eccezione di quelli espressamente esclusi (procedure concorsuali e procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali) e, quindi, anche nel caso di specie.
Al riguardo, giova rilevare che la norma di carattere processuale di cui all'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 ha inteso escludere la possibilità di annullare un provvedimento (comunque illegittimo) quando ricorrano necessariamente tutti questi elementi: a) violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti;b) natura vincolata del provvedimento;c) essere "palese" che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
La seconda parte della norma è relativa ad un tipico vizio procedimentale (art. 7 della l. n. 241/90: violazione dell'obbligo di avvio del procedimento) e prevede che il provvedimento non sia annullabile "qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato".
Nel caso di specie, esclusa l’applicabilità dell'art. 7, della legge n. 241/90, può trovare applicazione soltanto la prima parte dell'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990.
Ed invero, dalla ritenuta non illegittimità del provvedimento impugnato, discende che, quand'anche la P.A. avesse inviato il cosiddetto “preavviso di rigetto”, in ogni caso le osservazioni di parte ricorrente non avrebbero potuto interferire sul contenuto della decisione amministrativa censurata.
Pertanto, anche questa censura può essere rigettata.
In definitiva, il ricorso si appalesa infondato e va rigettato.
La complessità della fattispecie consiglia di disporre l’integrale compensazione delle spese e degli onorari del presente giudizio.