TAR Roma, sez. 5S, sentenza 2024-07-25, n. 202415230
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Testo completo
Pubblicato il 25/07/2024
N. 15230/2024 REG.PROV.COLL.
N. 07799/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7799 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento emesso dal Ministro dell'Interno nel procedimento k10/-OMISSIS- del 20.3.2020 notificato in data 9.6.2020 con cui veniva dichiarato il rigetto dell'istanza, presentata dalla stessa, tesa all'ottenimento della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f) della legge 5 febbraio 1992, n 91.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 19 luglio 2024 il dott. Alessandro Tomassetti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe l’odierna ricorrente impugna il provvedimento in data 20.03.2020, con il quale il Ministero dell’Interno ha respinto l’istanza di concessione della cittadinanza italiana presentata ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della legge 5 febbraio 1992 n. 91.
La ricorrente ha prodotto istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana in data 27.10.2015.
L’Amministrazione, esperita l’istruttoria di rito, con provvedimento n. K10/-OMISSIS- del 20.03.2020 ha respinto la domanda dell’interessata, non ravvisando la coincidenza tra interesse pubblico ed interesse della richiedente alla concessione della cittadinanza.
In particolare, dalla documentazione acquisita non è emersa la prova che l’interessata e il nucleo familiare della stessa abbiano percepito redditi uguali o superiori ai richiamati parametri per gli anni di imposta 2017 e 2018.
La ricorrente eccepisce l’illegittimità dell’atto impugnato e ne chiede l’annullamento per insussistenza dei presupposti di legge, violazione degli artt. 3 e 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere e difetto di istruttoria, difetto o grave inadeguatezza della motivazione, violazione della normativa concernente il termine di definizione del procedimento.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, deducendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
All’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 19 luglio 2024 la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato e va respinto.
La ricorrente censura, in primo luogo, il mancato ricevimento del preavviso di diniego, che non le ha permesso di far valere le proprie ragioni o fornire chiarimenti.
La censura è infondata.
Occorre osservare, alla stregua dell’orientamento della giurisprudenza formatosi prima dell’entrata in vigore delle ulteriori modifiche alla legge n. 241/1990, introdotte dal cd. decreto semplificazioni (d.l. 16.7.2020, n. 76 conv. Legge 11.9.2020, n. 120), che ne ha modificato l’art. 10-bis e l’art. 21 octies, era costante nel ritenere che il mancato rispetto dell'art. 10 bis, legge n. 241/1990 non inficia la legittimità del provvedimento, allorquando, in applicazione estensiva dell'art. 21-octies, comma 2, della medesima l. n. 241/1990, emerga nel corso del giudizio che il contenuto dispositivo del provvedimento oggetto di gravame non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato;tale era la normativa applicabile ratione temporis al caso in esame, non trovando applicazione retroattiva la successiva disciplina dell’istituto di cui all’art. 21-octies legge 241/1990. A quest’ultimo riguardo il Collegio non ignora l’esistenza di un contrario orientamento, che ritiene immediatamente applicabili le nuove previsioni normative in quanto attribuisce carattere processuale della relativa norma, tuttavia il Collegio ritiene preferibile attenersi all’orientamento tradizionale, considerato, da un lato, che la natura e la sostanza di tale norma sono oggetto di vivace dibattito dottrinale, e, considerato altresì, dall’altro lato, le conseguenze pratiche dell’adesione a tale opzione, che rimetterebbe in discussione la legittimità di atti che, al momento della loro adozione, risultavano conformi alle regole sul procedimento secondo il “diritto vivente”.
Quanto, poi, alla censura in ordine alla illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge, eccesso di potere e difetto di istruttoria;violazione dell’art. 3 Legge 241/1990 per difetto o grave inadeguatezza della motivazione, la stessa risulta infondata.
Giova in via preliminare osservare che per costante orientamento giurisprudenziale, anche di questa Sezione, l’acquisizione dello status di cittadino italiano rientra nei provvedimenti di concessione, che presuppongono l’esplicarsi di un’amplissima discrezionalità, in capo all’Amministrazione.
Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, nel cui ambito valutativo rientra anche l’accertamento della sufficienza del reddito dell’aspirante cittadino a garantirne il sostentamento.
In tale prospettiva, la giurisprudenza ha costantemente ribadito che la verifica dell’Amministrazione in ordine ai mezzi di sostentamento non è soltanto funzionale a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica, considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale – ratio che è alla base delle norme che prescrivono il possesso di tale requisito per l’ingresso in Italia, per il rinnovo del permesso di soggiorno e per il rilascio della carta di soggiorno – ma è anche funzionale all’accertamento del presupposto necessario a che il soggetto sia poi in grado di assolvere i doveri di solidarietà sociale in modo da “concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 766;id., 16 febbraio 2011, n. 974).
Tra i diritti e i doveri che lo straniero viene ad acquisire quando viene inserito a pieno titolo nella comunità nazionale, non assume infatti un ruolo secondario il dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica, funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali (cfr., da ultimo, T.A.R. Lazio, sez I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;id., n. 1902/2018;Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).
La verifica del requisito reddituale deve, in particolare, riguardare non solo il triennio precedente alla richiesta di concessione della cittadinanza – ex d.m. 22 novembre 1994, adottato in base all’art. 1, comma 4, d.P.R. 18 aprile 1994, n. 362 (cfr., T.A.R. Lazio, sez. I ter, 14 gennaio 2021, n. 507;id., 31 dicembre 2021, n. 13690) – ma anche il periodo successivo, in quanto lo straniero deve dimostrare di possedere una certa stabilità e continuità nel possesso del requisito fino al giuramento (cfr. art. 4, comma 7, D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572, secondo cui “Le condizioni previste per la proposizione dell’istanza di cui all’art. 9 della legge devono permanere sino alla prestazione del giuramento di cui all’art. 10 della legge”).
Per quanto riguarda, invece, la soglia minima del reddito, l’Amministrazione ha ritenuto di fissare ex ante dei parametri minimi indefettibili di reddito - in ragione di una valutazione a monte circa la congruità degli stessi a garantire l’autosufficienza economica del richiedente - facendo riferimento a quelli che, ai sensi dell’art. 3 del D.L. 25.11.89 n. 382, consentono di ritenere esentati dalla partecipazione alla spesa sanitaria i titolari di pensione di vecchiaia con reddito imponibile fino a € 8.263,31, incrementato fino a € 11.362,05 di reddito complessivo in presenza del coniuge a carico e in ragione di ulteriori € 516,00 per ogni figlio a carico;soglia ritenuta congrua dalla giurisprudenza in materia proprio in quanto indicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere in modo idoneo e continuativo sé e la famiglia, senza gravare negativamente sulla comunità nazionale (Cons. Stato, sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3958).
Il parametro appena riportato costituisce un requisito minimo indefettibile, per cui l’insufficienza del reddito dichiarato può costituire - ex se - causa idonea a giustificare il diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro (la persistenza di tale situazione è comunque assicurata dal permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo UE).
La legittimità della suddetta valutazione è stata affermata dalla giurisprudenza costante in materia, condivisa anche da questa Sezione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 1590/22;1698/22;1724/22;sez. I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;6 settembre 2019, n. 10791;Tar Lazio, sez. II quater, 2 febbraio 2015, n. 1833;13 maggio 2014, n. 4959;3 marzo 2014, n. 2450;18 febbraio 2014, n. 1956, 10 dicembre 2013, n. 10647;Cons. Stato sez. I, parere n. 240/2021;parere n. 2152/2020;Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726), che ne ha da ultimo ricostruito le ragioni giuridiche sulla base dell’analisi della normativa che disciplina la posizione dello straniero nel nostro ordinamento giuridico (cfr., T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. n. 14163/2023 e 14172/2023).
Tanto premesso, occorre rilevare che la documentazione acquisita e gli ulteriori approfondimenti istruttori hanno evidenziato l’insufficienza del reddito percepito negli anni 2017 e 2018 rispetto ai parametri sopra richiamati.
Al riguardo, del resto, occorre rilevare che le dedotte circostanze inerenti la separazione dal marito
dell’istante, indicate dalla difesa della ricorrente, non risultano dirimenti in quanto la separazione è circostanza attuatasi nel 2019 mentre i redditi insufficienti attengono agli anni 2017 e 2018, periodo nel quale il nucleo familiare era composto dalla ricorrente, dal coniuge e da tre figli a carico.
La stessa incapienza reddituale rilevata in sede di contestazione e di reiezione (con un’insufficienza quantificata rispettivamente in - € 649,93 nel 2017 e - € 630,06 nel 2018, assumendo la cifra di riferimento di € 12.910,05, come parametro reddituale minimo ammesso) viene confermata, peraltro, nelle medesime osservazioni prodotte dall’interessata tramite il suo legale.
Appare pertanto chiaro l’iter logico seguito dall’Amministrazione, che ha basato il proprio provvedimento sulla documentazione richiamata, dalla quale risulta l’insufficienza del reddito posto a sostegno della domanda di cittadinanza.
Va peraltro evidenziato che, per quanto riguarda il periodo in cui il possesso del reddito di sussistenza deve essere soddisfatto, la giurisprudenza in materia ha sin da tempo risalente chiarito che la valutazione del requisito reddituale va effettuata tenendo conto sia di quello già maturato nel triennio precedente al momento della presentazione della domanda (vedi, tra tante, Cons. St., sez. III, n. 8042/2022, TAR Lazio, sez. V bis, n. 9588/2023, 9573/2023;7385/23, 7155/23, 11188/2022, 11185/2022, 8693/22, 7890/22, 1590/2022 e. 1724/2022;TAR Lazio, sez. I ter, n. 705/2021;n. 13690/2021;8554/2019) - che, a tal fine, deve essere corredata dalla dichiarazione dei redditi dell’ultimo triennio, come prescritto dal d.m. 22.11.1994, adottato in attuazione dell’art. 1 co. 4 del d.P.R. 18 aprile 1994, n. 362 - sia di quello successivo, in quanto lo straniero deve dimostrare di possedere con una certa stabilità e continuità nel tempo il requisito in parola, che va mantenuto fino al momento del giuramento, come previsto dall’art. 4, co. 7, d.P.R. 12.10. 1993, n. 572 (Consiglio di Stato sez. I, parere n. 240/2021;TAR Lazio, sez. V bis, n. 1724/2022;sez. I ter, n. 507/2021, n. 13690/2021, n. 10750/2020, n. 2234/2009;cfr. sez. II quater n. 1833/2015;n. 4959/2014, n. 2450/2014, n. 1956/2014;n. 10647/2013;n. 8226/2008).
Quanto, infine, alla dedotta violazione del termine di conclusione del procedimento, occorre rilevare che per la richiesta di cittadinanza per naturalizzazione di cui all'articolo 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91 del 1992, non sussiste alcun limite temporale che impedisca l'adozione di un provvedimento negativo (cfr. TAR Lazio, Sez. V bis, 1 febbraio 2024, n. 1981): come affermato costantemente dalla giurisprudenza, infatti, il mancato rispetto del termine di settecentotrenta giorni per la conclusione del procedimento legittima soltanto il ricorso al giudice amministrativo per la dichiarazione dell'obbligo dell'Amministrazione di provvedere espressamente sulla domanda (Tar Lazio, , sez. V bis, sentenze nn. 8041, 8852, 9418 del 2022;sez. II - quater, sentenze n. 1171 del 2012;n. 4021 del 2012;n. 4369 del 2013).
Per tutto quanto sopra esposto e considerato, il provvedimento appare adeguatamente motivato e scevro dalle dedotte censure, con conseguente reiezione del ricorso.
Rimane comunque ferma la facoltà, per la ricorrente, di reiterare l’istanza di cittadinanza (già a distanza di un anno dal primo rifiuto) una volta mutate le condizioni oggettive sottese all’esito negativo originario.
Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.