TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2020-12-10, n. 202013286
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Pubblicato il 10/12/2020
N. 13286/2020 REG.PROV.COLL.
N. 04794/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4794 del 2020, proposto da
Associazione Vittime Dovere, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero della Giustizia-Dip.Amm.Pen. in persona del legale rappresentante
pro tempore,
non costituito in giudizio;
per l'annullamento
del diniego di accesso agli atti di cui alla nota codice identificativo n. 0010051-2020 notificata in data 25/05/2020, mirante ad acquisire l'elenco dei detenuti scarcerati o in corso di scarcerazione in regime di alta sicurezza o in 41 bis;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio da remoto ai sensi degli artt.4 dl 28/20 e 25 dl 137/20 del giorno 17 novembre 2020 il Cons.Ines Simona Immacolata Pisano;
vista la memoria depositata dal Ministero e le note di udienza dl 28/2020 e dl 137/2020 depositate da parte ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe, notificato esclusivamente al Ministero della Giustizia, l'Associazione Vittime del Dovere, esponendo di essere una organizzazione apartitica e senza fini di lucro, attiva su tutto il territorio nazionale, che persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale (i cui soci ordinari sono esclusivamente vedove, orfani, invalidi e genitori di appartenenti alle Forze dell'ordine, Forze Armate e Magistratura, caduti o rimasti invalidi nel contrasto alla criminalità comune, alla criminalità organizzata e al terrorismo), dopo aver premesso in fatto che a seguito della entrata in vigore del decreto legge 17 marzo 2020 n. 18, siccome convertito in legge, nel pieno della emergenza epidemiologica, determinata dalla pandemia da COVID 19, veniva consentita dall'art. 123 una procedura semplificata per la concessione della detenzione domiciliare a condannati, anche per reati gravissimi e tra questi anche a quelli sottoposti a regime detentivo di “alta sicurezza” e a regime detentivo ristretto, di cui all'art, 41 bis (di cui alla legge 26 luglio 1975 n. 354 e successive modifiche), che in data 21.03.2020 interveniva una nota del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria con la quale si invitavano i Direttori degli istituti penitenziari a segnalare, in ragione di un elenco di patologie indicate, le situazioni di incompatibilità con il regime carcerario e che, secondo quanto appreso dalle notizie stampa acquisite, in molti casi le scarcerazioni sarebbero state disposte senza neppure la precauzione dell'utilizzo di dispositivi di controllo a distanza (braccialetto elettronico), ha impugnato il diniego opposto dal Ministero della Giustizia sull’istanza di accesso agli atti presentata con atto in data 24 aprile 2020 (Inoltrata oltre che alla predetta amministrazione centrale - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria anche ai diversi istituti penitenziari di Italia).
Con tale istanza in particolare l’Associazione - premesso di essere titolare dell'interesse alla tutela delle vittime e della loro sicurezza;che, attesa la semplificazione della procedura per l'accesso alla detenzione domiciliare, la stessa veniva disposta a prescindere dalla valutazione in concreto del percorso trattamentale del detenuto e della rieducazione socializzante;che sussiste il pericolo di pregiudizio delle vittime per le possibili condotte ritorsive dei detenuti scarcerati, per scongiurare le quali si può rendere necessario e urgente la richiesta di adozione di misure precauzionali, in difesa della di loro sicurezza, tenuto conto che, fra le vittime vi sono anche molti appartenenti alle forze dell'ordine, che hanno contribuito alla cattura dei detenuti, oggi scarcerati - chiedeva dunque di acquisire i dati relativi ai detenuti, per i quali era stata disposta la scarcerazione, ovvero da scarcerare e in particolare, in relazione ai detenuti in regime di 41 bis e Alta Sicurezza, l'accesso al provvedimento e/o documento di sintesi e/o fascicolo personale, contenente nome e cognome del detenuto, con indicazione del tipo di reato, per cui è stato condannato, anni di reclusione secondo la condanna passata in giudicato, anno di decorrenza della carcerazione, data di scarcerazione, se disposta ai sensi del decreto legge 17 marzo 2020 n. 18, come convertito, ovvero diversamente disposta, ovvero qualora già formato, all'elenco contenete i dati indicati.
Nella istanza veniva inoltre precisato che la richiesta documentazione era utile alla tutela della incolumità e della sicurezza delle vittime di mafia, della criminalità organizzata e terroristica, in ossequio alle finalità statutarie dell'Associazione.
All’istanza rispondevano positivamente gli istituti penitenziari di: Aversa, Bolzano, Brescia, Brindisi, Campobasso, Firenze, Gela, La Spezia, Latina, Monza, Pavia, Potenza, Teramo, Ucciardone e Verona, che rendevano le informazioni richieste con l’istanza, mentre con provvedimento comunicato in data 25 maggio 2020 (doc. 4), codice identificativo n. 0010051-2020, oggetto della odierna impugnazione, il Dipartimento dell'amministrazione Penitenziaria, negava il diritto di accesso agli atti, per la motivazione qui da intendersi integralmente riportata.
Con unico motivo di censura parte ricorrente lamenta eccesso di potere per erronea, e/o omessa, e/o insufficiente e/o inconferente motivazione;violazione degli artt. 2 e 3 Cost., perché il richiamo al “Regolamento concernente le categorie di documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero di grazia e giustizia e dagli organi periferici sottratti al diritto di accesso” di cui al decreto ministeriale n. 125 del 25 gennaio 1996 e segnatamente all'art. 3 lett.i), in base al quale sono sottratti al diritto di accesso i “documenti relativi alla sicurezza ed alla protezione del personale dell'amministrazione nonché dei detenuti”, sarebbe inconferente e inadeguato nella fattispecie che ci occupa, sussistendo detta esigenza di salvaguardia della sicurezza e dell'ordine pubblico proprio in capo all'Associazione, nei confronti delle vittime, a fronte della possibilità di condotte ritorsive dei detenuti scarcerati, per scongiurare le quali si può rendere necessario e urgente la richiesta di adozione di misure precauzionali, in difesa della di loro sicurezza, tenuto conto che fra le vittime vi sono anche molti appartenenti alle forze dell'ordine, che hanno contribuito alla cattura dei detenuti, oggi scarcerati.
Del resto, ad ulteriore conferma di quanto sopra esposto vi sarebbero ragioni di ordine costituzionale, in considerazione dell’esigenza di tutelare le vittime a fronte dello spessore criminale dei detenuti in alta sicurezza ovvero ristretti nel regime di cui all'art. 41 bis.
Ed invero, le “scarcerazioni” rispetto alle quali si è formulata la istanza di accesso agli atti in data 24 aprile 2020, sono state disposte sulla base del decreto legge 17 marzo 2020 n. 18, che è stato convertito in legge, con modificazioni, con legge 24 aprile 2020 n. 27. Inoltre il decreto legge n. 29 del 10 maggio 2020 è al vaglio della Consulta, e ciò metterebbe senz'altro in discussione la revoca del beneficio della detenzione domiciliare ai detenuti, che ne abbiano nel frattempo usufruito, rimanendo così fuori dal carcere, permanendo il pericolo attuale di pregiudizio delle vittime.
Il Ministero si è costituito con articolata memoria e nell’odierna udienza, svoltasi con modalità da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso deve essere respinto.
Va innanzitutto evidenziato, per completezza in punto di fatto, che - secondo quanto rappresentato dal Ministero nella memoria in atti- se alcuni istituti penitenziari hanno positivamente esitato la richiesta di parte ricorrente– ma solo sottolineando l’assenza p/o il presidio di riferimento di tali categorie di detenuti o comunque che laddove siano presenti questi detenuti non sono state avviate le procedure di scarcerazione - altri non hanno fatto seguito all’istanza presentata dalla ricorrente, mentre l’istituto penitenziario di Teramo e il Ministero della Giustizia, invece, hanno rigettato l’istanza di accesso agli atti non sussistendo i presupposti di legge ai sensi della L. 241/90, sia in relazione alla insussistenza di un interesse giuridico particolare e concreto che giustifichi l’accesso agli atti, sia alla mancata legittimazione dell’Associazione al trattamento dei dati sensibili dei detenuti, sia in quanto per evadere la richiesta, l’Amministrazione avrebbe dovuto compiere un’attività di ricerca dei dati estranea a quanto previsto in materia di diritto di accesso (Nota prot. 9662 del 27.05.2020 della Casa circondariale di Teramo).
Ma soprattutto, il Ministero ha negato l’accesso ritenendo che le informazioni richieste siano sotto vari profili sottratte al diritto di accesso, richiamando a tal fine l’art. 3 comma 1 lett. i del Decreto ministeriale 25 gennaio 1996 <<Regolamento concernente le categorie di documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero di grazia e giustizia e dagli organi periferici sottratti al diritto d’accesso>>per cui non insiste il diritto di accesso sui “documenti relativi alla sicurezza ed alla protezione del personale dell’amministrazione nonché dei detenuti e internati”.
In punto di diritto, il ricorso deve essere respinto.
Va infatti precisato che l’Associazione ricorrente, sebbene abbia intitolato la propria istanza ai sensi della legge n.241/90, ha in realtà presentato una £richiesta di dati/informazioni” relativa a tutti i detenuti attualmente sottoposti al regime di 41 bis/Alta sorveglianza destinatari di provvedimenti di scarcerazione, ritenendo di essere titolare di un interesse giuridicamente tutelato dall’ordinamento sul presupposto che detti provvedimenti di scarcerazione sarebbero, secondo quanto si apprenderebbe dalla stampa, affetti da vizi di legittimità e comunque potenzialmente idonei a mettere in pericolo le vittime dei reati per i quali tali detenuti stanno attualmente scontando la pena.
E tuttavia, la legge n.241/1990 non contempla affatto il dovere della pubblica amministrazione di rilasciare “dati e informazioni” - a maggior ragione se ciò necessiti una elaborazione - bensì esclusivamente “documenti amministrativi”, su richiesta di chi abbia un interesse giuridicamente tutelato.
O, premesso che nel caso specifico l’interesse vantato dall’Associazione ricorrente è del tutto eventuale ed ipotetico - non essendo stati invocati né dall’Associazione né dai soci direttamente interessati elementi oggettivi che inducano a ritenere sussistente un concreto pericolo, riguardante uno o più dei soci, che possa derivare dalla eventuale scarcerazione di taluno dei detenuti attualmente sottoposti al regime del c.d. 41 bis- il Collegio non può non evidenziare che l’art.22, comma 4, della legge 8 agosto 1990 n.241 ben chiarisce che “ Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono”.
Al riguardo, si osserva che la disciplina relativa all’accesso ai dati personali - da non confondersi, dunque, con l’accesso ai documenti amministrativi- già contenuta nell’art.7 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (oggi abrogato dall'art. 27, comma 1, lett. a), n. 2), D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101) - va oggi rinvenuta, secondo quanto previsto dall’art.22 comma 6 del medesimo D.lgs., nelle disposizioni degli artt.12 e ss. del Regolamento (UE) 2016/679, che anche a livello europeo conferma che l’accesso ai dati personali che non abbiano forma di un documento amministrativo può essere richiesto (e concesso) esclusivamente dalla “persona cui i dati si riferiscono”.
Ne deriva che l’Associazione richiedente non può ritenersi legittimata a richiedere informazioni e dati personali relative a terze persone, essendo previsto dall’art.8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000/C- 364/01) il diritto, di rango costituzionale, di “ogni individuo” alla protezione dei dati personali, senza eccezione per i detenuti.
Anzi, il Regolamento Europeo 2016/679- peraltro, direttamente applicabile negli Stati Membri a prescindere dal recepimento nel richiamato D.lgs- 101/2018 - agli artt. 9 e 10 contempla, per alcune categorie di dati, un regime di tutela particolarmente rafforzata.
Tra tali dati rientrano proprio quelli relativi all’aver riportato condanne e misure di sicurezza.
L’art.