TAR Roma, sez. I, sentenza 2021-04-02, n. 202104016

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2021-04-02, n. 202104016
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202104016
Data del deposito : 2 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/04/2021

N. 04016/2021 REG.PROV.COLL.

N. 05325/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5325 del 2020, proposto da
R M, rappresentato e difeso dall'avv. A A, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi n. 5;

contro

Ministero della Giustizia e Consiglio Superiore della Magistratura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

a) della Deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura del 6 maggio 2020, comunicata in data 12 maggio 2020, con la quale è stata rigettata l'istanza del ricorrente di essere reintegrato nelle funzioni di Procuratore Aggiunto della Repubblica, ovvero di altro incarico semidirettivo;

b) della nota del Consiglio Superiore della Magistratura dell’8 maggio 2020 prot. n. 7175/2020 recante la comunicazione per estratto del deliberazione sub a);

c) di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ivi inclusi gli atti istruttori della deliberazione sub a), nonché tutti gli atti comunque lesivi della posizione del ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia con il CSM;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice, nell'udienza del giorno 24 marzo 2021, la dott.ssa Laura Marzano, in collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 4 D.L. 28/2020, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 L. 25 giugno 2020, n. 70, cui rinvia l’art. 25 D.L. 137/2020;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe il Dott. R M ha impugnato la Deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) del 6 maggio 2020 con la quale è stata rigettata la sua istanza di essere reintegrato nelle funzioni di Procuratore Aggiunto della Repubblica, ovvero di altro incarico semidirettivo.

Il ricorrente riferisce di avere subìto un procedimento disciplinare, a seguito di un procedimento penale, in ragione del quale, con ordinanza n. 109 del 2014, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura aveva disposto nei suoi confronti la misura cautelare del trasferimento provvisorio al Tribunale di Pistoia, con funzione di giudice penale.

Il procedimento disciplinare veniva nelle more sospeso, in attesa di definizione del giudizio penale.

In esito al primo grado del processo penale, egli veniva condannato per un reato meno grave di quello inizialmente ipotizzato;
sicché, pendente l’appello, egli chiedeva alla Sezione disciplinare la revoca della misura cautelare.

La Sezione disciplinare del CSM, ritenendo che la sentenza di primo grado avesse comunque confermato la sussistenza di fatti gravi, con deliberazione 13 luglio 2017 respingeva la richiesta di revoca, ma disponeva la modifica della misura cautelare, assegnandolo al Tribunale di Salerno, con funzioni di giudice civile.

Con dispositivo pronunciato all’udienza del 13 aprile 2018 (motivazione pubblicata il 26 giugno 2018), la Corte d’Appello di Roma assolveva il ricorrente da ogni imputazione “perché il fatto non sussiste”, chiarendo che, pur in presenza della possibilità di dichiarare il reato prescritto, ricorrevano le circostanze escludenti la sussistenza del reato, ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità).

Il successivo 20 aprile 2018 il dott. M presentava nuova istanza di revoca della misura cautelare.

Con ordinanza n. 86 dell’11 giugno 2018, la Sezione disciplinare del CSM disponeva la revoca del trasferimento d’ufficio, rilevando l’identità tra i fatti oggetto del procedimento disciplinare e quelli oggetto di imputazione in sede penale, la rilevanza degli accertamenti formalizzati in sede penale e l’assenza di ragioni che potessero condurre a “giustificare un diverso apprezzamento circa l’idoneità dei fatti valutati nel giudizio penale a configurare illecito disciplinare”. L’ordinanza dava inoltre atto, ai fini del concreto ripristino della situazione quo ante , che il posto in precedenza occupato dal dott. M, all’epoca Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Torre Annunziata, era non vacante: dal che la necessità di investire la V Commissione del CSM al fine dell’idonea ricollocazione del magistrato.

Con deliberazione del 19 settembre 2018 il Consiglio Superiore della Magistratura disponeva l’assegnazione dell’interessato alla Procura generale presso la Corte d’Appello di Napoli, con funzioni di sostituto procuratore generale. Seguiva il decreto del Ministro della Giustizia del 9 ottobre 2018.

Tali atti venivano impugnati dal dott. M con ricorso iscritto al n. 13441/2018 RG: tale giudizio di primo grado si concludeva con sentenza in forma semplificata n. 67 del 4 gennaio 2019, con cui la Sezione accoglieva il ricorso annullando gli atti impugnati.

La Sez. V del Consiglio di Stato, adìta in appello dall’amministrazione, riformava la suddetta sentenza respingendo il ricorso originariamente proposto dal dott. M Raffaele e, dunque, confermando gli atti impugnati (sentenza n. 3746 del 4 giugno 2019).

In particolare, con la richiamata sentenza, il giudice di appello con riferimento alla specifica situazione dedotta in giudizio, ha affermato i seguenti principi:

- l’art. 23 D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 (Cessazione degli effetti della sospensione cautelare) chiaramente collega la reintegrazione al solo caso della irrevocabilità della decisione favorevole;

- il singolo ufficio prima ricoperto dal funzionario sottoposto a misura cautelare diviene senz’altro disponibile e va senza indugio altrimenti coperto atteso che l’interesse personale alla sua conservazione da parte del sospeso recede davanti alla dominante esigenza di assicurare la continuità della funzione pubblica;

- cessata la situazione di allontanamento cautelare, due sono le condizioni perché l’interessato possa ottenere la restitutio in integrum mediante reimmissione nell’ufficio a quo : 1) che sussista il presupposto normativo della definitività del provvedimento di discarico;
2) che l’ufficio medesimo sia vacante non essendo prevista la reintegrazione in soprannumero;

- il dott. M non poteva essere destinato alle funzioni di Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Napoli, non essendo tale ufficio «analogo» a quello (la Procura della Repubblica di Torre Annunziata) prima ricoperto, fermo restando che, ai sensi dell’art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 109/2006, «[…] il magistrato […] entro un anno può chiedere l'assegnazione ad ufficio analogo a quello originariamente ricoperto, con precedenza rispetto ad altri eventuali concorrenti», dunque nel contesto di apposita procedura.

Nelle more del suddetto giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, la Cassazione Penale – adìta dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma per la riforma della sentenza di assoluzione del ricorrente – con dispositivo del 28 febbraio 2019 e successiva sentenza della Corte di Cassazione 25 marzo 2019, n. 12917, dichiarava inammissibile il ricorso del Procuratore Generale, pertanto la sentenza di assoluzione piena della Corte d’Appello di Roma, pronunciata nei confronti del dott. M, diveniva definitiva.

Stante la definitività dell’assoluzione penale, il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione chiedeva alla Sezione Disciplinare del CSM di dichiarare il non luogo a procedere nei confronti del dott. M nell’ambito del procedimento disciplinare n. 86/2014.

Con ordinanza n. 102 del 20 settembre 2019, la Sezione Disciplinare dichiarava il “non luogo a procedere nei confronti del dott. M in ordine alle incolpazioni a lui ascritte per essere rimasti esclusi gli addebiti”.

Quindi il ricorrente chiedeva al Presidente della Commissione V del CSM di essere assegnato alle funzioni semidirettive di Procuratore Aggiunto, segnatamente presso la sede (vacante) del Tribunale di Napoli;
in una articolata successiva memoria esponeva le ragioni della sua preferenza per tale sede anche rispetto ad altra vacante.

Con deliberazione del 6 maggio 2020 il CSM respingeva tout court l’istanza del ricorrente di riassegnazione alle funzioni precedentemente svolte affermando che “alla luce della decisione del Consiglio di Stato, che fa stato fra le parti, è escluso che per effetto della sopravvenuta irrevocabilità della sentenza di assoluzione (e la conseguente statuizione del giudice disciplinare) al dott. M possa essere assegnato il posto di Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Napoli ovvero altro ufficio direttivo, atteso che rimane fermo quanto statuito in ordine al fatto che il conferimento di tali incarichi non può essere disposto al di fuori di una procedura concorsuale ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. 160/2016”.

2. Avverso tale deliberazione, notificatagli in data 12 maggio 2020, il dott. M è insorto con il ricorso in epigrafe, affidato ai seguenti motivi.

I) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e ss. L. 241/90 in connessione con gli artt. 13, 22 e 23, D.Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109;
violazione D.Lgs. 160/2006;
violazione degli artt. 106, 107 cost. e dell’art. 2 L. 126/2004;
violazione del principio del giusto procedimento;
eccesso di potere per travisamento dei fatti;
falsa motivazione, istruttoria erronea;
sviamento.

Sostiene il ricorrente che la delibera gravata sarebbe erronea laddove afferma che la sentenza del Consiglio di Stato n. 3374/2019 farebbe “stato tra le parti” e che la stessa avrebbe statuito l’impossibilità di attribuire al ricorrente il posto di Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Napoli, ovvero altro Ufficio direttivo o semidirettivo, in assenza di procedura concorsuale ex art. 12 D.Lgs. 160/2006.

II) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e ss. L. 241/90 in connessione con gli artt. 13, 22 e 23, D.Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109;
violazione dell’art. 12 D.Lgs. 160/2006;
violazione degli artt. 106, 107 cost. e dell’art. 2 L. 126/2004;
violazione del principio del giusto procedimento;
eccesso di potere per travisamento dei fatti falsa motivazione, istruttoria erronea;
sviamento.

La delibera impugnata avrebbe interpretato in modo sviato la sentenza del Consiglio di Stato la quale, invece, afferma che, nel caso di assoluzione del Magistrato in sede penale con sentenza divenuta definitiva, egli ha pieno diritto di essere reintegrato nelle funzioni e ruolo ricoperti prima dell’irrogazione della misura cautelare disciplinare: circostanza che ricorrerebbe nel caso di specie essendo stato il dott. M assolto in via definitiva. Diversamente opinando, ossia come ha fatto il CSM, la sanzione disciplinare cautelare avrebbe una sorta di ultrattività trasformandosi in un demansionamento del magistrato il quale, nel caso di specie, era già titolare di funzioni semidirettive requirenti di primo grado.

III) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e ss. L. 241/90 in connessione con gli 22">artt. 13, 22 e 23, D.Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109;
violazione dell’art. 12 D.Lgs. 160/2006;
violazione degli artt. 106, 107 cost.;
violazione del principio del giusto procedimento;
eccesso di potere per travisamento dei fatti;
falsa motivazione;
incompetenza funzionale;
questione di costituzionalità.

La delibera gravata sarebbe illegittima anche nella parte in cui, per giustificare il demansionamento del ricorrente e la mancata assegnazione allo stesso di un incarico semidirettivo equivalente a quello ricoperto prima del trasferimento disciplinare, richiama l’art. 12 D.Lgs. 160/2006 e afferma che al ricorrente “non si può disporre, al di fuori di apposita procedura concorsuale, il conferimento di funzioni semidirettive”. In tal modo il CSM in modo sviato afferma che il ricorrente – demansionato per effetto di un procedimento penale nel quale è stato assolto con formula piena, nonché per effetto di un procedimento disciplinare concluso con il “non luogo a procedere” – per poter essere reintegrato dovrebbe partecipare ad una procedura concorsuale per l’assegnazione di funzioni delle quali era già titolare.

Secondo il ricorrente il suo diritto ad essere pienamente reintegrato nelle funzioni semidirettive svolte prima della vicenda penale e disciplinare - alla luce della archiviazione disciplinare e della assoluzione definitiva penale – sarebbe “incondizionato” alla stregua della normativa applicabile, correttamente interpretata, e non potrebbe trovare limitazioni in ragione dell’art. 12 D.Lgs. 160/2006, non dovendo il ricorrente partecipare ad alcuna procedura concorsuale ma avendo diritto ad essere reintegrato in una posizione già sua, rivestita già anni addietro, prima del procedimento disciplinare. In subordine il ricorrente prospetta questione di illegittimità costituzionale degli artt. 13 comma 2, 22 e 23 D.Lgs. 109/06 in connessione con l’art. 12 D.Lgs. 160/2006, ove interpretati nel senso fatto proprio dal CSM.

IV) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e ss. L. 241/90 in connessione con gli artt. 13, 22 e 23, D.Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109;
violazione dell’art. 12 D.Lgs. 160/2006;
violazione degli artt. 106, 107 cost. e dell’art. 2 L. 126/2004;
violazione del principio del giusto procedimento;
eccesso di potere per travisamento dei fatti falsa motivazione, istruttoria erronea;
sviamento.

Il ricorrente, richiamando precedenti delibere del CSM che hanno ricollocato in ruolo, nei rispettivi posti e funzioni direttive precedentemente occupati, tre magistrati all’epoca fuori ruolo perché ex componenti del CSM, ricollocando gli stessi, senza alcuna procedura concorsuale, afferma che il ricollocamento del magistrato nel posto e nella funzione direttiva prima occupato, a prescindere dalla indizione di una procedura concorsuale, costituirebbe un principio di diritto immanente nell’ordinamento giudiziario, in quanto espressione del principio costituzionale ex art. 107 Cost. sulla inamovibilità dei magistrati, anche nell’ipotesi in cui il posto precedente sia stato medio tempore occupato da altro magistrato per evitare la vacatio dell’Ufficio.

Il CSM si è costituito in giudizio per resistere al gravame.

Su istanza del ricorrente la trattazione dell’istanza cautelare, già fissata per il 4 agosto 2020, è stata rinviata.

In vista della nuova camera di consiglio il ricorrente ha depositato una memoria difensiva.

Inoltre le parti hanno congiuntamente chiesto che la causa fosse decisa nel merito, anche tenuto conto dell’età del ricorrente.

In data 9 marzo 2021 il ricorrente ha depositato note di udienza chiedendo che la causa fosse decisa sugli scritti.

All’udienza del 24 marzo 2021, celebrata in collegamento da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Come si ricava dalla narrativa, al dott. M, già Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Torre Annunziata, in pendenza di procedimento penale e disciplinare, è stata applicata la misura cautelare del trasferimento ad altra sede con destinazione ad altre funzioni, ossia al Tribunale di Pistoia, con funzione di giudice penale (misura poi parzialmente revocata con contestuale assegnazione del magistrato ad altra sede e ad altre funzioni).

All’esito delle vicende innanzi descritte il dott. M veniva totalmente assolto da ogni incolpazione penale, “perché il fatto non sussiste”, e disciplinare per “non luogo a procedere”, quindi chiedeva di essere riassegnato al posto precedentemente ricoperto.

Tuttavia, non essendo detto posto vacante, egli veniva assegnato alla Procura generale presso la Corte d’Appello di Napoli, con funzioni di sostituto procuratore generale.

Il diniego di riassegnazione alle funzioni di Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Torre Annunziata era ritenuto legittimo dal Consiglio di Stato, con la richiamata sentenza n. 3746/2019, sulla base di una serie di considerazioni tra cui, la necessità, perché si configuri il diritto del magistrato ad essere riassegnato al proprio ufficio una volta cessata la situazione di allontanamento cautelare, che il predetto ufficio sia vacante, non essendo prevista la reintegrazione in soprannumero, e che l’assoluzione in sede penale sia definitiva.

Verificatosi tale ultimo presupposto il ricorrente ha, dunque, chiesto di essere riassegnato al suo posto e alle sue funzioni;
tuttavia il CSM, con deliberazione del 6 maggio 2020, ha respinto tale istanza richiamando le statuizioni della sentenza del Consiglio di Stato n. 3374/2019 a affermando: “è escluso che per effetto della sopravvenuta irrevocabilità della sentenza di assoluzione (e la conseguente statuizione del giudice disciplinare) al dott. M possa essere assegnato il posto di Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Napoli ovvero altro ufficio direttivo, atteso che rimane fermo quanto statuito in ordine al fatto che il conferimento di tali incarichi non può essere disposto al di fuori di una procedura concorsuale ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. 160/2016”.

Il ricorrente ritiene che detta delibera sia viziata sia per difetto di motivazione sia perché rappresenterebbe un illegittimo demansionamento.

2. Entrambe le suddette censure sono fondate.

E’ utile rammentare che l’art. 13, comma 2, D.Lgs. 109/2006, rubricato “Trasferimento d'ufficio e provvedimenti cautelari” dispone testualmente: “ Nei casi di procedimento disciplinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall'ammonimento, su richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ove sussistano gravi elementi di fondatezza dell'azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in via cautelare e provvisoria, può disporre il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni del magistrato incolpato ”.

Il successivo art. 23, rubricato “Cessazione degli effetti della sospensione cautelare”, dispone al comma 1: “ Fatti salvi gli effetti delle disposizioni di cui agli articoli 3, commi 57 e 57-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni, e 2, comma 3, del decreto-legge 16 marzo 2004, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2004, n. 126, il magistrato sottoposto a procedimento penale e sospeso in via cautelare, qualora sia prosciolto con sentenza irrevocabile ovvero sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione, ha diritto ad essere reintegrato a tutti gli effetti nella situazione anteriore, con attribuzione, nei limiti dei posti vacanti, di funzioni di livello pari a quelle più elevate assegnate ai magistrati che lo seguivano nel ruolo al momento della sospensione cautelare, ad eccezione delle funzioni direttive superiori giudicanti e requirenti di legittimità e delle funzioni direttive superiori apicali di legittimità, previa valutazione, da parte del Consiglio superiore della magistratura, delle attitudini desunte dalle funzioni da ultimo esercitate. Qualora non possano essere assegnate funzioni più elevate rispetto a quelle svolte al momento della sospensione, il magistrato è assegnato al posto precedentemente occupato, se vacante;
in difetto, ha diritto di scelta fra quelli disponibili, ed entro un anno può chiedere l'assegnazione ad ufficio analogo a quello originariamente ricoperto, con precedenza rispetto ad altri eventuali concorrenti
”.

2.1. Dal tenore della disposizione da ultimo riportata risulta che il magistrato sottoposto a procedimento penale e sospeso in via cautelare che, come nel caso di specie, sia prosciolto con sentenza irrevocabile, ha diritto ad essere reintegrato a tutti gli effetti nella situazione anteriore: dunque egli va riassegnato al posto precedentemente occupato, se vacante.

Nel caso del dott. M è pacifico che il posto di Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Torre Annunziata non sia più disponibile.

Ne discende che il dott. M avrebbe avuto diritto, una volta intervenuta l’assoluzione definitiva, a scegliere un posto fra quelli disponibili.

Risulta dagli atti che egli ha preferito il posto di Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Napoli.

Tale assegnazione gli è stata negata non già perché, in ipotesi, detto posto non fosse vacante bensì invocando le statuizioni della sentenza n. 3746/2019 del Consiglio di Stato.

Osserva il Collegio che, a fronte delle articolate argomentazioni svolte dal ricorrente soprattutto nella memoria del 2 gennaio 2020 per il tramite del suo assistente e difensore in sede disciplinare, il CSM si è limitato ad una reiezione nella quale non è stata spesa alcuna motivazione per esporre le ragioni per le quali tale posto non potesse essere assegnato al dott. M né gli è stato assegnato l’Ufficio di Procuratore Aggiunto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, pure disponibile, quantunque il ricorrente preferisse il posto presso il Tribunale di Napoli.

Il rinvio alle statuizioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato n. 3746/2019 rappresenta, invero, una motivazione soltanto apparente;
erroneamente, infatti, il CSM ha affermato che la suddetta sentenza “fa stato” fra le parti atteso che la suddetta pronuncia è stata resa con riferimento ad una situazione differente dal punto di vista giuridico, essendo riferita ad una istanza di riassegnazione delle funzioni in assenza di definitività della decisione di assoluzione del dott. M.

Venuto meno il suddetto elemento ostativo la nuova richiesta del dott. M di essere riassegnato alle funzioni semidirettive, precedentemente svolte, di Procuratore Aggiunto con contestuale indicazione della sede di Napoli, quale posto da lui scelto “fra quelli disponibili” - come predicato dalla norma di cui all’art. 23, comma 1, D.Lgs. 109/2006, innanzi riportata - andava valutata ex novo.

Il punto cardine e imprescindibile della predetta valutazione sarebbe dovuto essere proprio il suo “diritto” di essere reintegrato nelle sue funzioni semidirettive, già conseguite a seguito di regolare procedura di comparazione con altri candidati, che quindi non necessitava di alcuna ulteriore valutazione in punto di merito e attitudini: si tratta di un “diritto” pieno ed incoercibile, rispetto al quale qualunque ulteriore disquisizione è del tutto recessiva ed opinabile.

Ciò posto, ferma restando l’incontestabilità del suo “diritto” di essere riassegnato alle sue funzioni e del suo “diritto” di scegliere un posto fa quelli disponibili, il CSM, anche in quanto Organo dotato di potere discrezionale, avrebbe dovuto valutare anche il complesso delle argomentazioni sviluppate nelle osservazioni del 2 gennaio 2020, segnatamente tenendo conto della anzianità anagrafica e di ruolo del dott. M, che comunque non gli avrebbero consentito di partecipare più ad alcuna procedura concorsuale non potendo egli garantire i quattro anni di permanenza nel nuovo ufficio e considerando anche la situazione del dott. M quale unico punto di riferimento familiare del figlio invalido al 100% che, in una eventuale procedura di tramutamento, gli avrebbe garantito il diritto di prescelta.

In ultima analisi - e con perentorietà pari a quella con cui gli è stata denegata la riassegnazione alle sue funzioni - il CSM avrebbe potuto quanto meno destinarlo al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con le funzioni (già sue) di Procuratore Aggiunto.

Nulla di tutto ciò risulta dalla delibera impugnata la quale, dunque, è viziata per evidente difetto di motivazione.

2.2. A ciò deve aggiungersi che, negando la riassegnazione del dott. M alle funzioni precedentemente svolte, il CSM da una parte ha leso immotivatamente ed arbitrariamente una posizione giuridica definita dalla legge di “diritto” e, al contempo, mantenendo ferma la sua assegnazione alla Procura generale presso la Corte d’Appello di Napoli, con funzioni di sostituto procuratore generale, ha attuato un illegittimo e ingiustificato demansionamento del magistrato dando ingresso, al di fuori di qualunque previsione normativa, ad una ultrattività della misura cautelare di cui all’art. 13, comma 2, D.Lgs. 109/2006.

E’ stato, invero, affermato, in fattispecie diversa ma con principio esportabile al caso in esame, che la sottrazione all'incolpato delle funzioni direttive o semidirettive precedentemente espletate si risolvere, in violazione del principio di tipicità, nell'applicazione di una sanzione normativamente non prevista e, dunque, in un illegittimo demansionamento (Cass. S.U., 20 gennaio 2017, n. 1546 che richiama Cass. S.U., 9 dicembre 2015, n. 24825).

Conclusivamente, assorbite le ulteriori censure, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, l’atto impugnato deve essere annullato.

3. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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