TAR Trento, sez. I, sentenza 2021-08-05, n. 202100135

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trento, sez. I, sentenza 2021-08-05, n. 202100135
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trento
Numero : 202100135
Data del deposito : 5 agosto 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/08/2021

N. 00135/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00034/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

nel giudizio introdotto con il ricorso numero di registro generale 34 del 2021, proposto da:
MA.F. di Marconcini Flavio &
C. S.a.s., già MA.F. s.r.l., in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato A P con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, via Carlo Dordi, n. 25, presso lo studio del predetto avvocato P;

contro

Comune di Trento, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato D C, dell’Avvocatura del Comune di Trento, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia nonché con domicilio eletto in Trento, via Belenzani, n. 19, presso la sede dell’Avvocatura medesima;

per il risarcimento dei danni subiti in relazione all’inadempimento del Comune di Trento delle disposizioni del contratto stipulato il 31 agosto 2007 per la concessione dei locali siti nel palazzo ex Gesuiti di via Roma per la gestione del bar interno alla biblioteca comunale di Trento.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio e la memoria difensiva del Comune di Trento;

Viste le ulteriori memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto il decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, recante “ Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19 ”, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, ed in particolare l’articolo 25 rubricato “ Misure urgenti relative allo svolgimento del processo amministrativo ”, come da ultimo modificato dall’articolo 6, comma 1, del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, il quale prevede che, dal 9 novembre 2020 al 31 luglio 2021, per le udienze pubbliche e le camere di consiglio dei procedimenti pendenti presso gli uffici della giustizia amministrativa si applicano le disposizioni dell’art. 4, comma 1, periodi quarto e seguenti, del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla l. 25 giugno 2020, n. 70;

Visto il decreto n. 33 del 4 novembre 2020 del Presidente del T.R.G.A. di Trento;

Relatore nella udienza pubblica del giorno 29 luglio 2021 svoltasi con le modalità da remoto previste dall’art. 4, comma 1, periodi quarto e seguenti, del d.l. n. 28 del 2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 70 del 2020, il consigliere A T;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

1. Il Comune di Trento, con determinazione dirigenziale n. 12/64 del 4 marzo 2007, ha indetto un’asta pubblica per la concessione di locali, aventi natura di beni demaniali, del palazzo ex Gesuiti di via Roma a Trento, sede della biblioteca comunale, al fine della gestione in tali spazi del bar interno della biblioteca medesima. All’esito della procedura l’Amministrazione ha aggiudicato la gara alla società a responsabilità limitata MA.F., poi divenuta MA.F. s.a.s., con la quale, in data 31 agosto 2007, ha stipulato il relativo contratto di concessione rep. n. 1877 della durata di sei anni, dal 1 settembre 2007 al 31 agosto 2013, con la possibilità di proroga per ulteriori sei anni. Con susseguente atto specificativo del 30 giugno 2011 rep. n. 230 le parti hanno concordato i criteri di riparto delle spese, relative alle parti in uso esclusivo e comuni, di acqua, energia elettrica, gas e pulizie. Il canone annuo di concessione, derivante dall’applicazione del rialzo, pari al 45 %, offerto da MA.F. s.r.l. (di seguito MA.F.) sul canone base fissato dal Comune, ammontava a euro 29.319,00 poi divenuti euro 33.200,00 e infine euro 33.299,60 a seguito delle rivalutazioni ISTAT annuali succedutesi.

2. La società MA.F., odierna ricorrente, con nota del 30 luglio 2013 (prot. comunale n. 0076803 dell’1 agosto 2013) ha richiesto all’Amministrazione la proroga della concessione. Il Servizio Patrimonio del Comune ha ritenuto sussistenti i presupposti per il richiesto prolungamento stabiliti all’art. 2, comma 2, del contratto, vale a dire la piena soddisfazione del servizio prestato e la convenienza del canone rivalutato. La determinazione dirigenziale n. 12/190 del 30 agosto 2013 con la quale il suddetto Servizio ha autorizzato la proroga della concessione richiama, infatti, facendola propria, la nota del 19 agosto 2013, prot. n. 81974 del Dirigente del Servizio Biblioteca e Archivio Storico che esprimeva “ soddisfazione circa il servizio prestato dall'attuale gestore del bar interno alla biblioteca ”, il quale “ ha dimostrato professionalità, cortesia e corretta collaborazione e ha quindi offerto e garantisce in modo adeguato i servizi di caffetteria e ristorazione ”. Inoltre, la determinazione suddetta riporta che “ il canone di concessione rivalutato sulla base dell'offerta a suo tempo presentata dalla ditta aggiudicataria risulta conveniente per l'Amministrazione in considerazione dell'andamento del mercato degli ultimi anni ”. La durata del contratto di concessione è stata quindi prorogata per ulteriori sei anni dal 1 settembre 2013 sino al 31 agosto 2019 con atto rep. n. 815 sottoscritto tuttavia (solo) il 21 aprile 2016.

3. Peraltro già nel 2014, decorsi sette anni dalla concessione dei locali per la gestione del bar, la società MA.F. risultava aver accumulato nei confronti del Comune di Trento un debito ammontante a complessivi euro 30.984,54, per lo più derivante dall’omesso versamento di pregresse rate mensili del canone. A seguito della nota del 13 ottobre 2014 con cui la concessionaria, dopo aver sottolineato “ la crisi generale dei consumi ” e “ la chiusura di altre attività ”, comunicava di non essere in grado di provvedere al versamento di quanto dovuto in un'unica soluzione, il Comune, con determinazione del dirigente del Servizio Patrimonio n. 12/209 del 17 novembre 2014, ha autorizzato la rateizzazione di parte del debito di MA.F. in 36 rate mensili di euro 648,35 ciascuna dal 1° dicembre 2014 e fino al 1° novembre 2017. In considerazione delle difficoltà economiche rimarcate da MA.F. anche con nota del 20 ottobre 2015, considerato che non era ancora stata stipulata la proroga del contratto di concessione, il Comune ha invitato la concessionaria (cfr. nota del 23 novembre 2015) a “ valutare attentamente la propria capacità di mantenere la gestione del bar in oggetto, contestualmente alla capacità di rispettare diligentemente i pagamenti dei canoni mensili che via via maturano ” rammentando altresì i termini per l’esercizio del diritto di recesso.

4. Nel frattempo, dalla fine del 2014, presso la biblioteca si sono verificati episodi di microcriminalità, per lo più piccoli furti, ma anche consumo di stupefacenti all’interno dei locali sempre più spesso frequentati da soggetti estranei all’utilizzo dei servizi bibliotecari. Nel corso del 2015 il Comune di Trento ha delocalizzato parte della collezione bibliografica, quella rivolta ai ragazzi, contenuta nella sede di via Roma, presso la palazzina Liberty sita in Piazza Dante, disponendo, altresì, in tale circostanza, l’apertura di un servizio di caffetteria/ristorazione interno ai nuovi locali dedicati alla sezione ragazzi.

5. Nel marzo del 2017 la società MA.F. ha comunicato al Comune di Trento il proprio recesso anticipato dal contratto di concessione a far data dal 1 settembre 2017, adducendo quale ragione il “ vistoso calo dell’utenza, e degli incassi, imputabile in via esclusiva ad inadempimento di codesta Amministrazione ed in particolare a colposa e negligente gestione della struttura ”, che avrebbe determinato un danno in capo alla società concessionaria stessa. In concomitanza con l’istanza di recesso, la società odierna ricorrente è subentrata nella gestione di altro bar, sito anch’esso a Trento, ed ha ritenuto di rivolgere alla propria clientela, tramite l’affissione di un cartello sulla porta d’ingresso del bar di via Roma, l’invito a recarsi presso la nuova struttura.

6. A seguito della presentazione dell’istanza di recesso, il Comune di Trento, stante la mancata corresponsione da parte della società MA.F. di una parte dei canoni dovuti e dell’ulteriore somma di denaro, pari a euro 400,00, a titolo di penale irrogata in ragione di un’asseritamente ingiustificata chiusura del bar avvenuta nel 2017, si è rivolto all’istituto di credito fideiussore della società ricorrente escutendo la polizza fideiussoria stipulata a garanzia dell’esecuzione del contratto per un importo complessivo pari a euro 29.401,06.

7. La società MA.F. s.a.s. ha adito il Tribunale ordinario di Trento, con atto di citazione notificato il 7 novembre 2018, al fine di ottenere, previo accertamento del grave inadempimento del Comune, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni subiti “ sia in ragione delle somme indebitamente corrisposte a titolo di canoni di concessione a partire dall’alterazione dell’equilibrio sinallagmatico sino alla chiusura del rapporto contrattuale, sia in ragione della riduzione del volume d’affari registrato tra gli anni 2013 e 2017, sia in ragione dei ricavi persi a causa della indotta necessità di recedere anticipatamente dal contratto ” nonché l’accertamento dell’illegittimità dell’applicazione della penale e la restituzione della stessa inflitta per i giorni di chiusura del bar.

8. Il Tribunale ordinario adito con sentenza n. 178 del 5 marzo 2020, ha accolto l’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata dal Comune ex art. 133, comma 1 lett. b), cod. proc. amm. e indicato quale Giudice dotato di giurisdizione questo T.R.G.A., dinanzi al quale la causa è stata pertanto riassunta dall’attuale ricorrente nei termini di cui all’articolo 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in applicazione dell’istituto della c.d. translatio iudicii.

9. Con il ricorso in esame, depositato il 23 febbraio 2021, la società MA.F., richiamandosi al proprio precedente atto di citazione, ha quindi chiesto il risarcimento dei danni subiti nonché l’accertamento dell’illegittimità dell’applicazione della penale e la restituzione della stessa, contestando l’inadempimento e la violazione del principio di buona fede contrattuale di cui all’art. 1375 c.c. da parte del Comune, per due ordini di ragioni.

In primo luogo il Comune sarebbe inadempiente con riferimento all’obbligo generale di custodia e di conservazione dei locali, nonché in particolare con riguardo all’obbligo di pulizia delle parti comuni della biblioteca, quali i servizi igienici. M.A.F. deduce che l’inosservanza dei suddetti impegni contrattuali da parte del Comune avrebbe determinato un significativo degrado dei servizi bibliotecari, atteso che gli episodi di micro-criminalità ivi verificatisi a partire dal 2014 sono stati conseguenza dell’omessa custodia e del carente controllo, mentre dalla mancata o comunque insufficiente conservazione e pulizia dei servizi igienici, utilizzati dagli utenti della biblioteca e del bar, sarebbe derivata la diminuzione di affluenza all’una e all’altro, con conseguente calo di fatturato subito da quest’ultimo.

Secondo la società MA.F., inoltre, il Comune, delocalizzando nella palazzina Liberty di Piazza Dante una parte dei volumi presenti nella sede di via Roma, avrebbe mutato unilateralmente le condizioni contrattuali, in quanto per tale scelta dell’Amministrazione una parte di utenti della biblioteca sarebbe stata distolta dalla sede originaria ai nuovi locali, determinando, così, un contestuale spostamento di parte della clientela del bar gestito dalla concessionaria presso il bar dei nuovi spazi adibiti a biblioteca.

La ricorrente, ritiene che entrambe le citate circostanze, sintomatiche di un comportamento da parte del Comune connotato da mala fede, abbiano causato un calo del fatturato e che il pregiudizio subito sia imputabile esclusivamente al Comune.

La società MA.F. sostiene di aver diritto al risarcimento sia quanto al danno emergente, sia con riferimento al lucro cessante. Nella prima voce di danno rientrerebbe la perdita conseguente alla riduzione del volume di affari e il maggior importo che MA.F. ha dovuto versare al Comune a titolo di canone di concessione nonostante la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali da parte dell’Amministrazione;
il lucro cessante ricomprenderebbe, invece, i maggiori ricavi che la società avrebbe ottenuto se non si fosse trovata a dover recedere dal contratto.

Il danno, specifica la ricorrente, va “ commisurato sulla base della maggior somma indebitamente corrisposta a titolo di canoni di concessione a partire dall’alterazione dell’equilibrio sinallagmatico sino alla chiusura del rapporto contrattuale, nonché sulla base della riduzione del volume d’affari registrato tra gli anni 2013 e 2017, nonché sulla base dei ricavi persi in ragione della indotta necessità di recedere anticipatamente dal contratto, oltre al ristoro di ogni ulteriore danno e pregiudizio conseguente alle cennate inadempienze dell'amministrazione comunale ”. MA.F. “ avrà inoltre diritto di ottenere la rifusione della somma di Euro 400,00 illegittimamente incassata dal COMUNE di TRENTO a titolo di penale contrattuale … .”

La ricorrente, a riguardo dell’accertamento dell’illegittimità dell’applicazione della penale e della richiesta restituzione della stessa, ha rilevato che le chiusure per le quali le era stata irrogata tale sanzione erano dovute a malattia dei dipendenti, qualificabile quale causa non imputabile alla società e, pertanto, inidonea a far sorgere a favore del Comune il diritto di credito alla corresponsione della penale stessa.

MA.F. conclude formulando richiesta di assunzione della prova testimoniale sui fatti addotti nonché di consulenza contabile (CTU) finalizzata a quantificare i maggiori costi subiti per aver versato il canone pieno nonostante la modifica delle condizioni iniziali, nonché a stimare il pregiudizio per i maggiori ricavi che la società avrebbe potuto conseguire se non fosse stata costretta al recesso anticipato.

10. Il Comune di Trento, al fine di difendersi nel presente giudizio, con memoria del 27 giugno 2021 ha chiesto il rigetto del ricorso per inammissibilità e infondatezza, replicando puntualmente alle censure sollevate dalla ricorrente.

Ciò che l’Amministrazione ritiene dirimente è il fatto che la ricorrente, sottoscrivendo la proroga nel 2016, fosse a conoscenza sia degli episodi verificatisi nella biblioteca a partire dal 2014 – ritenuti, comunque, non gravi come descritti dalla ricorrente – sia del fatto che nel 2015 era intervenuta la citata delocalizzazione: pertanto, sottoscrivendo la proroga, MA.F. aveva espresso la sua volontà di accettare tutte le condizioni, con piena consapevolezza della situazione, non potendosi, quindi, imputare al Comune asseriti, e peraltro inesistenti, inadempimenti di cui la società avrebbe potuto dolersi in precedenza o, in ragione dei quali, avrebbe potuto non procedere al rinnovo del contratto. Tale circostanza risulta a maggior ragione decisiva, considerato che il ritardo nella formalizzazione della proroga era in gran parte imputabile a M.A.F., che non aveva tenuto un comportamento collaborativo con il Comune, avendo piuttosto determinato difficoltà e rallentamenti nella formalizzazione della proroga.

L’Amministrazione intimata, infine, ha contestato la mancata prova sia del danno emergente, sia del lucro cessante, non avendo MA.F. dimostrato il nesso di causalità tra l’inadempimento del Comune e il calo di fatturato, osservando, inoltre, che la richiesta di danni appare pretestuosa e strumentale a conseguire il recesso anticipato dal contratto di gestione del bar di via Roma, e ciò al fine di potersi occupare della conduzione di un nuovo caffè.

Da ultimo, il Comune di Trento, nell’ipotesi di accoglimento dell’avversario rilievo di inadempimento, ha invocato l’applicazione dell’articolo 1227, comma 2, c.c., al fine di ottenere il riconoscimento del concorso del fatto colposo di MA.F. nella causazione del danno.

L’Amministrazione, pur ritenendo sufficiente l’istruttoria documentale esperita, nell’eventualità dell’ammissione della prova per testi e della CTU richieste dalla ricorrente, ha a propria volta insistito per l’acquisizione di prove testimoniali sia a contrario, sia su ulteriori circostanze.

11. Il Comune di Trento con memoria del 7 luglio 2021 ha esordito con l’eccezione di tardività della precedente memoria di controparte del 29 giugno 2021, riaffermando nel merito i medesimi argomenti difensivi, già spesi in sede di costituzione, circa la consapevolezza da parte della ricorrente della situazione di fatto sussistente al momento della proroga, circa l’insussistenza della prova del danno e, infine, circa la correttezza del comportamento del Comune, per avere agito nel rispetto degli impegni assunti e nei limiti della buona fede contrattuale.

12. In sede di replica, MA.F. ha a sua volta imputato alla resistente Amministrazione il ritardo nella formalizzazione della proroga, causato da inerzie del Comune stesso, che, quale parte onerata in tal senso, si sarebbe dovuto attivare al fine di portare a termine tutti gli adempimenti richiesti. Inoltre, ha specificato che quello sottoscritto nel 2016 era solamente un atto di proroga, che non aveva determinato alcun rinnovo della concessione e che, per tale ragione, tale atto era inidoneo ad incidere sulle condizioni contrattuali originariamente pattuite con il contratto stipulato nel 2007, da ciò derivando che la proroga del 2016 non poteva in alcun modo qualificarsi come novazione contrattuale. Infine la ricorrente ha quantificato in euro 76.000,00 la perdita conseguente alla riduzione del volume d’affari, insistendo per l’accertamento peritale quanto ai maggiori costi subiti per aver versato il canone pieno nonostante la modifica delle condizioni iniziali.

13. Alla pubblica udienza del 29 luglio 2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione a’ sensi dell’articolo 25 del d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla l. n. 176 del 2020, come da ultimo modificato con l’art. 6, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021, convertito dalla l. n. 76 del 2021.

DIRITTO

I) In limine litis il Collegio ritiene di disattendere le istanze istruttorie formulate da entrambe le parti - essenzialmente costituite dalla richiesta di assunzione della prova testimoniale sui fatti addotti oltre che dalla consulenza contabile (CTU) finalizzata a stabilire la contrazione del fatturato e l’entità del danno complessivamente subito - in quanto in ogni caso non utili al fine del decidere. Fermo restando quanto precede, è comunque appena il caso di rilevare che la prevalente giurisprudenza, affermatasi già in epoca antecedente all’entrata in vigore dell’attuale codice del processo amministrativo e a tutt’oggi del tutto consolidata, afferma che la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli artt. 47 e 48 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 e successive modifiche non è applicabile nell’ambito del processo amministrativo, in quanto la stessa, sostanziandosi in un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale, non possiede alcun valore probatorio e può - al più - costituire soltanto un mero indizio che, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire l’attività istruttoria dell’Amministrazione (cfr. al riguardo, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. II, 24/04/2020, n.2615).

Semmai va rimarcato che a’ sensi dell’art. 63, comma 3, c.p.a. “su istanza di parte il giudice può ammettere la prova testimoniale, che è sempre assunta in forma scritta ai sensi del codice di procedura civile” .

Tale disposizione, inserita nel Libro II, Titolo III (Mezzi di prova e attività istruttoria), Capo I (Mezzi di prova), è applicabile ad ogni tipologia di giurisdizione attribuita al giudice amministrativo (giurisdizione generale di legittimità, giurisdizione esclusiva e giurisdizione estesa al merito: cfr. art. 7 c.p.a.) e, pertanto, di per sé rileva anche nel caso di specie, in effetti rientrante nella giurisdizione esclusiva (cfr. art. 133, comma 1, lett. b) c.p.a., che per l’appunto riconduce a tale giurisdizione: “le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche” ) e che , quindi, pertiene a materia in cui questo Giudice “conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle quali si faccia questione di diritti soggettivi” (cfr. art. 7, comma 5, c.p.a.).

Il predetto rinvio al codice di procedura civile per quanto attiene alla forma di assunzione della prova testimoniale va riferito alla disciplina contenuta nell’art. 257 bis c.p.c. come inserito dall’art. 46, comma 8, della l. 18 giugno 2009, n. 69, la quale pertanto, nella sua trasposizione nel processo amministrativo, risulta all’evidenza inderogabile.

Per quanto qui segnatamente interessa, il giudice, “tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato”. Con il provvedimento che ammette la prova il giudice “dispone che la parte che ha richiesto l'assunzione predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone. … Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione. … Il testimone sottoscrive la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice. … Quando il testimone si avvale della facoltà d’astensione” di cui all’articolo 249 c.p.c., “ha l’obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione. … . Quando il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria” di cui all’articolo 255, primo comma, c.p .c. “…. Quando la testimonianza ha ad oggetto documenti di spesa già depositati dalle parti, essa può essere resa mediante dichiarazione sottoscritta dal testimone e trasmessa al difensore della parte nel cui interesse la prova è stata ammessa, senza il ricorso al modello” predetto. “…. Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato” .

Orbene, anche a prescindere dalla circostanza che nell’atto introduttivo del presente giudizio proposto dalla parte ricorrente e - correlativamente - nella memoria di costituzione della parte intimata le richieste di ammissione delle prove testimoniali ivi avanzate non sono state formulate con il necessario, specifico richiamo alle sopradescritte (e, giova ribadire), del tutto inderogabili formalità (cfr. sul punto, ad es., T.A.R. Basilicata, 16 settembre 2016, n. 895, nonché questo stesso Tribunale con sentenza 13 gennaio 2016, n. 12), non può che ribadirsi come nel processo amministrativo la prova testimoniale di cui all’art. 63, comma 3, del relativo codice di rito costituisce l’ extrema ratio per consentire al giudice di formarsi un convincimento sui fatti storici rilevanti al fine della decisione (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. VI., 1 marzo 2014, n. 1522 e T.A.R. Molise, 4 maggio 2015, n. 174);
e che per quanto attiene alla presente causa il ricorso ad essa risulta all’evidenza superfluo, posto che - a ben vedere - dalla comunque esaustiva produzione documentale di entrambe le parti è possibile trarre gli elementi di prova indispensabili per la definizione del giudizio.

Anche la richiesta consulenza contabile in ordine alla contrazione del fatturato della ricorrente risulta superflua nell’economia della presente causa, stante la non ascrivibilità della relativa circostanza fattuale ad una responsabilità da parte dell’Amministrazione Comunale, come qui di seguito sarà esposto.

II) Sempre in via preliminare, quanto alla memoria depositata dalla ricorrente il 29 giugno 2021, come eccepito dall’Amministrazione resistente, risulta in effetti superato il termine indicato dall’art. 73 cod. proc. amm., e da ciò consegue pertanto la necessità di disporne l’espunzione dagli atti del giudizio.

III) Nel merito il ricorso per le ragioni che seguono è infondato e deve essere respinto.

IV) Vale evidenziare che la società M.A.F. non ha impugnato nel presente giudizio alcun atto a carattere provvedimentale e non invoca, quindi, alcun effetto caducatorio conseguente ad una eventuale sentenza di accoglimento di una domanda di annullamento. Invero M.A.F. agisce in via autonoma, tra l’altro in una materia devoluta - come dianzi evidenziato - alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per ottenere meramente il ristoro dei danni in tesi patiti per effetto del comportamento del Comune, ritenuto responsabile di inadempienze rispetto al rapporto di concessione ed asseritamente causative del calo di fatturato subito nella gestione del bar da essa gestito. Al Comune viene, infatti, addebitato di non aver impedito il degrado dei locali in concessione, in particolare non contrastando con i dovuti controlli la presenza di soggetti del tutto alieni dall’utilizzo dei servizi bibliotecari e non assicurando un’efficiente usufruibilità dei servizi igienici comuni. E, ancora, il Comune con il deliberato trasferimento in altra sede di parte della collezione libraria avrebbe provocato un decremento dell’utenza della biblioteca e, di conseguenza, del bar interno e, quindi, degli introiti del bar medesimo. Detto altrimenti: nel giudizio risarcitorio quale quello in esame, il bene della vita oggetto, in tesi, di lesione, se così si può dire, è costituito dai proventi della gestione del bar ambiti dalla ricorrente nell’entità maggiore antecedente all’intervenuto degrado della biblioteca e al trasferimento in altra sede di parte dei volumi;
circostanze, queste, asseritamente costituenti inadempimenti contrattuali da parte del Comune che avrebbero per conseguenza inciso negativamente sui ricavi anzidetti.

V) Ciò posto, per acclarare la fondatezza della domanda risarcitoria proposta, occorre in sostanza verificare la sussistenza dei presupposti allo scopo richiesti, vale a dire l’evento dannoso, così come la qualificazione di ingiustizia del medesimo, l’elemento soggettivo ovvero la colpa nel comportamento dell’Amministrazione e, parimenti, il nesso eziologico tra la condotta di quest’ultima e il pregiudizio subito dalla ricorrente. Anche nella vicenda in esame, ove si fa questione, secondo la prospettazione della ricorrente, di una responsabilità derivante da inadempimento di obblighi contrattuali assunti con la sottoscrizione del disciplinare di concessione, tali principi trovano infatti in ogni caso declinazione. Peraltro, è appena il caso di osservare come, pur a seguito del rispetto delle condizioni contrattuali da parte dell’Amministrazione, non appaia per certo scontato il conseguimento effettivo da parte della ricorrente dei proventi nella misura pretesa essendo, come è ovvio, molteplici e variabili le dinamiche che intervengono, costituendone il fisiologico rischio, in ogni attività imprenditoriale.

Quanto al presupposto del danno, anche a voler ammettere una diminuzione, rispetto al periodo iniziale di avvio dell’esercizio dell’attività, dei ricavi del bar gestito dalla ricorrente, in effetti in costante decremento quantomeno dal 2013, nondimeno la circostanza non è sufficiente a configurare quella colorazione di ingiustizia dell’evento in primis richiesta a giustificazione del preteso risarcimento. Infatti, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, non sono riscontrabili inadempimenti contrattuali nel modus agendi del Comune, il che esclude di poter qualificare ingiusto il danno. Vale, infatti, rilevare che non solo il Comune non era in tutta evidenza tenuto a garantire alla concessionaria dei locali un numero minimo di utenti (della biblioteca e quindi) del bar, ma neppure la medesima Amministrazione, fermo restando il mantenimento della sede della biblioteca comunale per la gestione del bar, risultava vincolata alla conservazione sine die della medesima organizzazione degli spazi e delle collezioni della biblioteca e che circostanze imprevedibili di pubblico interesse possono costringere a mutare. Sul punto risultano inesistenti puntuali e specifiche clausole della concessione – contratto in esame, né appaiono codificate prestazioni da parte del Comune in qualche modo connesse alla quantità di volumi conservata nella sede della biblioteca o impegni circa la collocazione della collezione bibliografica custodita nella sede. Ciò nonostante il Comune, al fine di rendere pienamente utilizzabili i locali della biblioteca, è in particolare intervenuto rafforzando la presenza delle forze dell’ordine , anche avvalendosi di personale in borghese e con l’utilizzo di cani antidroga, e prevedendo un’attività di presidio e controllo degli spazi, in particolare dei servizi igienici, da parte di guardie giurate, di lavoratori facenti parte del cosiddetto “Progettone” , nonché di mediatori sociali. L’Amministrazione ha, inoltre, più adeguatamente collocato il servizio gratuito di Internet , ha installato videocitofoni e sistemi di apertura a distanza e chiusura automatica delle porte dei servizi igienici, questi ultimi tra l’altro soggetti tre volte al giorno a trattamenti di pulizia e ha altresì realizzato uno spazio-studio per ragazzi di una fascia di età che in precedenza non frequentavano la biblioteca. L’Amministrazione non ha dunque ignorato i profili di criticità della situazione e, lungi dall’adottare comportamenti in contrasto con il canone della buona fede contrattuale nonché dall’applicare il principio secondo cui inadimplenti non est adimplendum pur a fronte della mancata corresponsione del canone da parte della ricorrente, ha governato il difficile, anche sotto l’aspetto sociale, contesto della biblioteca, con gli strumenti a propria disposizione e con i sistemi di controllo possibili per un servizio pubblico a bassa soglia, quale quello bibliotecario. D’altra parte il livello di gradimento dei servizi bibliotecari da parte dell’utenza, come risulta dalle indagini sui servizi comunali nel tempo commissionate dall’Amministrazione, smentisce la situazione di degrado così esasperatamente rappresentata dalla ricorrente, confermando piuttosto l’effetto positivo delle iniziative poste in essere dal Comune. E allora, verosimilmente, il decremento dei ricavi non è dipeso da inadempimenti , in realtà insussitenti, da parte del Comune, bensì dalla situazione di significativa e perdurante difficoltà economica vissuta dalla ricorrente, come peraltro riconosciuto anche dalla medesima laddove, chiedendo la rateizzazione del proprio debito ha messo in risalto “ la crisi generale dei consumi ” e “ la chiusura di altre attività ”: circostanze, queste, testimoniate dalla natura inequivocabilmente pregressa del debito accumulatosi nel tempo anzi, in considerazione dell’importo di all’incirca 30.000 euro, evidentemente maturato sin dall’inizio del rapporto concessorio. Giova pure ricordare, a quest’ultimo proposito, che la ricorrente aveva tra l’altro offerto un rialzo di ben il 45% del canone posto a base di gara. Il che, pertanto, evidenzia semmai che alla base della crisi lamentata dalla ricorrente è ravvisabile una sua errata valutazione economica dei costi e dei proventi del servizio che essa intendeva assumere. D’altra parte anche il progressivo abbandono della carta stampata a vantaggio delle modalità digitali quanto alla lettura di testi assume nella fattispecie rilevanza, denotando una tendenza di impatto ineludibile con riferimento ai prestiti cartacei. Del pari il debito, come si è detto già nei sette anni precedenti accumulato, indica che il pregiudizio per la ricorrente si era già verificato pure indipendentemente dal trasferimento, attuato nel 2015, di una parte della collezione bibliografica in altri siti, con conseguente esclusione dello scardinamento, di cui si duole la ricorrente, del sinallagma alla base del contratto di concessione dei locali. A smentire che il trasferimento dei volumi abbia davvero causato un ingiusto danno alla ricorrente depone ancor più pesantemente la sottoscrizione nel 2016 della proroga della concessione che non sarebbe evidentemente intervenuta né in presenza di perdite di fatturato derivanti da inadempimenti dell'amministrazione, né di calo dei proventi per un’unilaterale modifica della situazione iniziale e “ conseguente squilibrio del sinallagma ” come sostenuto. La sottoscrizione della proroga testimonia in realtà la volontà di MA.F. di continuare il rapporto che attiene all’attività di gestione del bar alle (ovvero nonostante le) condizioni in tale momento di fatto sussistenti e che risultano implicitamente e bilateralmente accettate. Tutti i risvolti della situazione erano ben conosciuti dalle parti senza alcuna imposizione unilaterale di modificazioni della situazione iniziale. Coglie, quindi, decisamente nel segno la difesa comunale quando osserva che la consapevolezza, nel 2016, da parte della ricorrente degli aspetti caratterizzanti già nel 2014 e nel 2015 in senso negativo il contratto di concessione - vale a dire un contesto ambientale asseritamente degradatosi per gli episodi di microcriminalità e che presentava una riduzione di utenza - assume nella vicenda in esame un rilievo decisivo. Né va sottaciuto che la sottoscrizione è intervenuta pur a fronte dell’avvertimento con cui sostanzialmente il Comune, alla luce delle difficoltà della ricorrente a rispettare gli impegni, aveva sollecitato MA.F. a valutare attentamente la proroga della concessione.

In definitiva, anche a voler ammettere che MA.F. abbia subito un evento pregiudizievole, ciò non integra il prospettato inadempimento contrattuale da parte del Comune, essendo rimasto indimostrato che l’Ente sia responsabile del calo di introiti e abbia, quindi, causato un danno contra ius.

Tanto basta per escludere il risarcimento del danno richiesto con il ricorso in esame: alla luce delle considerazioni che precedono tale pretesa non trova invero spazio alcuno, né quanto al danno emergente né con riferimento al lucro cessante.

È appena il caso di rilevare che anche il significativo ritardo che pur ha caratterizzato la proroga, stipulata nel 2016, della concessione, scaduta già nel 2013, non è suscettibile di contraddire le conclusioni che precedono. La conduzione della procedura ha subito rallentamenti per lo più non direttamente addebitabili al Comune se solo si considerano in particolare i ripetuti solleciti resisi necessari per ottenere dalla concessionaria la dovuta ricostituzione del deposito cauzionale e della polizza assicurativa, le sospensioni dell’ iter procedurale legati ai controlli sulla certificazione penale e antimafia e, infine, la necessità di attendere la regolarizzazione del versamento dei canoni prima di procedere alla proroga. Gli indugi che pur il Comune ha avuto e che hanno deplorevolmente contribuito ad un triennio di mera sussistenza de facto del rapporto di concessione, trovano in definitiva spiegazione in una serie di circostanze comprensibili, quali pure gli innumerevoli interventi assunti dall’Amministrazione allo scopo di temperare il calo di fatturato della concessionaria.

VI) Anche la penale irrogata alla ricorrente in ragione della chiusura del bar in talune ulteriori giornate oltre a quelle consentite risulta legittima. La ricorrente non ha infatti motivo di dolersi dell’applicazione di tale misura sanzionatoria, considerato che - incontestatamente - il bar, oltre al periodo dal 10 al 15 aprile 2017, è rimasto chiuso anche il 26, 27, 28 e 29 aprile 2017 e, quindi, per un lasso di tempo ulteriore rispetto alle dieci giornate previste dall’art. 12 del disciplinare di concessione prot. n. 1877 rep. del 31 agosto 2007. Infatti, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, non solo tali dieci giornate annuali non sono da ritenersi cumulabili, perché il fatto che le norme contrattuali non si esprimano al riguardo non consente comunque di addivenire ad una interpretazione in tal senso, ma anche l’addotta malattia del personale non costituisce una ragione sufficiente a superare i limiti massimi di chiusure prescritte;
e, d’altra parte, neppure tali chiusure sono state autorizzate dal (e invero nemmeno comunicate al) Servizio Biblioteca. La domanda avente ad oggetto la condanna del Comune alla restituzione della penale non trova dunque fondamento, e a ciò consegue la legittimità anche dell’escussione della polizza fideiussoria per il mancato pagamento della penale stessa, oltreché di canoni pregressi.

VII) Il ricorso è in conclusione complessivamente infondato e deve essere respinto.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

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