TAR Parma, sez. I, sentenza 2024-05-30, n. 202400144

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Parma, sez. I, sentenza 2024-05-30, n. 202400144
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Parma
Numero : 202400144
Data del deposito : 30 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/05/2024

N. 00144/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00242/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 242 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avvocati F V e F S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Prefettura – U.T.G. di Reggio Emilia, in persona del Prefetto pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni, 6;
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni, 6;

per l'annullamento

del provvedimento del Prefetto di Reggio Emilia n. prot. -OMISSIS- del 13 giugno 2023, con il quale è stata rigettata l’istanza di rinnovo dell’iscrizione nella “ White List ” della Prefettura di Reggio Emilia, presentata ai sensi dell’art. 5 bis del decreto legge n. 74/2012, convertito dalla legge 1 agosto 2012, n. 122, ed è stata disposta la contestuale cancellazione della ricorrente dall’elenco delle imprese iscritte.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Prefettura – U.T.G. di Reggio Emilia e del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2024 la dott.ssa C L e uditi per la parte ricorrente i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto come in rito, la società -OMISSIS- ha impugnato, con richiesta di misure cautelari sospensive, il provvedimento del Prefetto di Reggio Emilia del 13 giugno 2023 con cui è stata rigettata l’istanza di rinnovo dell’iscrizione nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa (c.d. “ White List ”) della Prefettura di Reggio Emilia e ne è stata disposta la contestuale cancellazione, « sussistendo il pericolo di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società ».

In particolare, in fatto, la società ricorrente espone di operare nel settore edilizio con committenze prevalentemente private e di essere iscritta nella “ White List ” della Prefettura di Reggio Emilia dal 3 marzo 2016, per il settore « demolizione di edifici ed altre strutture, sistemazione del terreno per il cantiere edile ».

In data 20 gennaio 2017, la società -OMISSIS- ha presentato alla Prefettura di Reggio Emilia istanza di rinnovo dell’iscrizione nella “ White List ”.

Precisa la ricorrente che, ad esito di diversi solleciti, solo in data 7 febbraio 2023 la Prefettura ha riscontrato la richiesta di rinnovo dell’iscrizione nella “ White List ”, opponendo alla richiedente un preavviso di rigetto, in cui, evidenziati in premessa gli elementi indiziari del pericolo di permeabilità mafiosa dell’impresa, concludeva che « non si può escludere, secondo il principio del "più probabile che non", che la società "-OMISSIS-" (…), possa essere esposta al rischio di condizionamento da parte della criminalità organizzata ».

In data 16 febbraio 2023, la società ricorrente ha presentato, a mente dell’art. 10 bis della Legge 7 agosto 1990 n. 241, osservazioni al preavviso di rigetto.

In data 3 aprile 2023, i soci della società -OMISSIS-, secondo quanto esposto dalla difesa della ricorrente, hanno prodotto alla Prefettura di Reggio Emilia una dichiarazione di dissociazione, manifestando di « ripugnare qualsiasi comportamento illecito e, in particolare, ciò che viene contestato e/o attribuito a soggetti, che risultano essere parenti e/o affini dei sottoscritti, con i quali, peraltro, come già dichiarato in precedenza, non sussistono rapporti né lavorativi né personali e con i quali non hanno contatti da almeno vent’anni » e precisando che « I sig.ri -OMISSIS- si dichiarano estranei alle vicende criminali contestate — e dalle quali ad ogni buon conto si dissociano — ai membri delle famiglie -OMISSIS- e -OMISSIS- e/o a soggetti loro affini (in molti casi non si tratta neanche più di collegamenti di affinità di parentela), e sono fermi nel condannare ogni tipo di condotta criminale nonché l'impiego della metodologia mafiosa nella conduzione dell'attività d'impresa. La -OMISSIS- è infatti una società, dissociata da qualsiasi attività criminale, che opera da oltre 20 anni nell'attuale formazione, con una storia imprenditoriale-famigliare di oltre 70 anni e che non ha mai avuto problemi di collusione o vicinanza a sistemi mafiosi o malavitosi, che è rimasta estranea a tutti i processi e alle inchieste giudiziarie che hanno colpito il territorio. L'obiettivo della società rimane quello di svolgere la propria attività e garantire la qualità e la serietà che l'hanno contraddistinta negli anni, operando sempre nel rispetto delle regole di mercato e nella piena legalità. Ogni rapporto intrattenuto con i fornitori è dettato esclusivamente da ragioni professionali e limitato a quanto strettamente necessario per lo svolgimento delle diverse attività della -OMISSIS-, non essendo perseguiti interessi diversi da quelli aziendali ».

Con provvedimento del 13 giugno 2023, la Prefettura di Reggio Emilia ha disposto il rigetto dell’istanza di rinnovo dell'iscrizione nella “ White List ” e la contestuale cancellazione della società ricorrente dall’elenco delle imprese iscritte.

Avverso detto provvedimento, la società -OMISSIS- ha proposto l’odierno gravame, con richiesta di misure cautelari sospensive.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e la Prefettura U.T.G. di Reggio Emilia, instando per la reiezione del ricorso.

Con ordinanza n. 171 del 31 agosto 2023, questo Tribunale ha rigettato l’istanza cautelare, così motivando « Considerato che, all’esito di una sommaria delibazione, propria della presente fase cautelare del giudizio, non appaiono prima facie ravvisabili i presupposti per la concessione della invocata tutela, atteso che l’atto impugnato appare sorretto da adeguata istruttoria come risulta dalla documentazione versata in atti;
Ritenuto, inoltre, che il provvedimento è esaurientemente motivato, anche con riferimento agli accertamenti e alle relative risultanze effettuati dalla Prefettura e dal Gruppo Interforze, in ordine al giudizio prognostico di permeabilità dell’impresa alle logiche della criminalità organizzata;

Ritenuto che

costituisce dato inveterato del diritto vivente quello in forza del quale l’accertamento di tentativi di infiltrazione mafiosa non richiede la prova della intervenuta “occupazione” mafiosa dell’azienda, né presuppone l’accertamento di responsabilità penali in capo ai titolari dell’impresa sospettata, essendo sufficiente che dalle informazioni acquisite si evinca un quadro indiziario sintomatico del pericolo di condizionamenti dell’attività di impresa ad opera della criminalità organizzata;
Ritenuto, peraltro, che gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento prefettizio - relativi a notizie di reato a carico dei soci, ai rapporti di parentela e affinità degli stessi e ai rapporti economico commerciali della società - devono essere valutati non atomisticamente, ma in chiave unitaria, posto che una visione “parcellizzata” di essi condurrebbe ad esiti del tutto fuorvianti (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 25 maggio 2023 n. 5163);
Ritenuto che, nel bilanciamento degli interessi, debba ritenersi prevalente l’esigenza dello Stato in ordine alla tutela della legalità nei confronti dell’infiltrazione della criminalità organizzata nella vita economica del Paese
».

Avverso tale provvedimento, parte ricorrente ha proposto appello cautelare, accolto dal Consiglio di Stato, con ordinanza n. 4842 del 1° dicembre 2023, esclusivamente ai fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito.

Alla pubblica udienza del giorno 8 maggio 2024, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I. “ Eccesso di potere secondo i vizi sintomatici della motivazione insufficiente, del travisamento dei fatti, del difetto di istruttoria e della contraddittorietà tra provvedimenti amministrativi. Violazione di legge per violazione dell’art. 10 – bis, legge 7 agosto 1990, n. 241 ”.

Con un primo ordine di censure, la ricorrente contesta il gravato provvedimento, articolando delle doglianze relative a tutti i profili valorizzati dalla Prefettura per costruire il quadro indiziario da cui inferire il pericolo di permeabilità mafiosa dell’azienda.

Sulle c.d. fatture per operazioni inesistenti.

La ricorrente adduce che l’addebito relativo alle fatture per operazioni inesistenti si riferirebbe agli anni 2014 e 2015 e sarebbe, pertanto, privo del requisito dell’attualità.

Precisa, peraltro, come tale elemento indiziario sia irrilevante in quanto non concorre con altri elementi a comporre il quadro indiziario, dal momento che, dopo i rilievi relativi agli anni 2014 e 2015, nessun ulteriore addebito del medesimo tenore sarebbe stato riferito ai soci della -OMISSIS-

Soggiunge che l’iscrizione alla “ White List ” è rinnovabile annualmente, di talchè devono ritenersi rilevanti, ai fini del diniego di rinnovo, elementi indiziari caratterizzati dal requisito dell’attualità.

Precisa che, in ogni caso, ad esito del coinvolgimento nella c.d. «operazione -OMISSIS- », per emissione di fatture per operazioni inesistenti e occultamento o distruzione di documenti contabili, i soci della -OMISSIS- non sono stati né imputati né condannati in sede penale.

Prospetta che la Prefettura, nel preavviso di rigetto, avrebbe dato atto di una perquisizione effettuata nel 2017 dalla Squadra Mobile della Questura di Reggio Emilia, sulla scorta della ipotizzata fatturazione inesistente;
ma che, invero, tale attività investigativa non sarebbe mai confluita in un procedimento penale, ragion per cui i soci della -OMISSIS- non avrebbero avuto occasione di contestare le valutazioni degli uffici investigativi della Questura.

In definitiva, secondo la prospettazione di parte ricorrente, mancherebbe la prova del coinvolgimento dei soci nelle condotte di dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, ragion per cui tale elemento valorizzato nel provvedimento prefettizio non sarebbe idoneo a sorreggere il quadro indiziario di permeabilità mafiosa dell’azienda.

Replica, sul punto, l’Amministrazione resistente che il provvedimento interdittivo si colloca all’esito di una complessa istruttoria che ben può essere iniziata anni prima, ragion per cui sarebbe ininfluente l’evocato decorso temporale rispetto all’addebito per le fatture per operazioni inesistenti. Sottolinea, inoltre, l’irrilevanza del fatto che dalla segnalazione di reato non siano derivate condanne in sede penale, tenuto conto della diversa portata del giudizio penale rispetto a quello prognostico effettuato dall’Autorità prefettizia, che ben può fondarsi anche solo su elementi indiziari.

Sui legami di parentela o di affinità .

Con un secondo ordine di censure la ricorrente contesta la valorizzazione dei legami di parentela e affinità, deducendo la non utilizzabilità di tali rapporti per sostenere la prognosi inferenziale di pericolo di condizionamento mafioso formulata dalla Prefettura.

Precisa come alcuni di questi rapporti si riferiscono a soggetti destinatari di una misura interdittiva antimafia, per i quali sarebbe stata valutata, quindi, la mera sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa. Porre tali rapporti a base del diniego gravato significherebbe, secondo la prospettazione di parte ricorrente, valorizzare il pericolo del pericolo e, quindi, un « pericolo di secondo grado », che oblitera la necessità che la valutazione prognostica sia ancorata ad elementi che, quantunque indiziari, siano comunque oggettivi e non meramente ipotetici.

Quanto ai rapporti di parentela e affinità con soggetti gravitanti all’interno della consorteria criminale di stampo ‘ndranghetistico, la ricorrente deduce che si tratta di rapporti « lontani, deboli e fragili », derivanti per lo più dal fatto che tutti i soggetti citati quali familiari sono originari dello stesso comune calabrese da cui provengono i -OMISSIS-, in cui « i matrimoni si celebrano all’interno di una comunità relativamente ristretta ».

Precisa, inoltre, come detti legami familiari siano risalenti nel tempo, come risalente è la contiguità alla consorteria criminale ‘ndranghetistica dei soggetti legati ai -OMISSIS- da parentela e affinità, deducendo che, ove avessero avuto effettiva rilevanza, la Prefettura avrebbe dovuto tenerne conto anche al momento dell’iscrizione nella “ White List ” avvenuta nel 2016.

Prospetta trattarsi di legami privi di concretezza, non avendo i -OMISSIS- più alcun rapporto con i familiari indicati nel provvedimento.

Replica l’Amministrazione resistente che le parentele costituiscono un apporto essenziale alla ricostruzione del rischio di infiltrazione mafiosa, soprattutto nella consorteria criminale di stampo ‘ndraghetistico, ove il vincolo di sangue è determinante dell’influenza alle logiche criminali, specialmente in ragione della struttura orizzontale dell’organizzazione, fondata su « un coacervo socio-familiare caratterizzato da strutture claniche chiuse particolarmente solidali, dove nei confronti del soggetto malavitoso frequentemente scatta una contiguità “soggiacente e/o compiacente” ».

Quanto al fatto che la società risultasse già iscritta alla “ White List ”, la difesa erariale precisa che l’Amministrazione è tenuta ad un costante aggiornamento delle informazioni, ben potendo valorizzare sopravvenienze anche all’esito delle risultanze di indagini o processi.

Sui rapporti commerciali in essere.

La ricorrente contesta i rapporti commerciali valorizzati dal provvedimento prefettizio quale ulteriore indice da cui inferire il pericolo di permeabilità mafiosa dell’azienda.

Contesta la rilevanza attribuita ai rapporti commerciali con -OMISSIS-, lamentando che tale elemento non sarebbe stato comunicato quale motivo ostativo nel preavviso di rigetto, ma sarebbe stato valorizzato solo nel provvedimento finale in violazione del disposto di cui all’art. 10 bis della Legge 7 agosto 1990 n. 241.

Obietta, in ogni caso, la genericità del riferimento al fatto che -OMISSIS- sarebbe « stato in società con “tale” -OMISSIS-, raggiunto da interdittiva antimafia nel 2022, in qualità di legale rappresentante della -OMISSIS- »

Lamenta, poi, il fatto che nel provvedimento conclusivo di rigetto sarebbero stati contestati, per la prima volta, i rapporti commerciali con -OMISSIS-, responsabile della ditta -OMISSIS-, in ennesima violazione del disposto di cui all’art. 10 bis della Legge 7 agosto 1990 n. 241.

Precisa, in ogni caso, che trattasi di rapporti occasionali, non idonei a sorreggere il provvedimento interdittivo.

Contesta, poi, gli evocati rapporti commerciali con -OMISSIS-, prospettando che si tratterebbe di volumi di affari di modesto valore per un’impresa edile.

Lamenta, inoltre, che la pericolosità del -OMISSIS- emergerebbe solo dal fatto che lo stesso è stato attinto da interdittiva antimafia, non potendo assumere alcun rilievo « il fatto che egli abbia subito una condanna in primo grado per estorsione aggravata dal metodo mafioso, giacché il reato è stato riqualificato in sede di appello nella assai meno rilevante fattispecie prevista dall’art. 393 c.p. (…)».

Replica la difesa erariale che, come sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa, uno degli indici del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa - di per sé sufficiente a giustificare l’emanazione di una interdittiva antimafia - è identificabile nella instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un’impresa e una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale, in ragione della valenza sintomatica attribuibile alle cointeressenze economiche. Precisa, poi, che non è necessaria, ai fini della legittimità del provvedimento finale, la perfetta aderenza con quanto comunicato nel preavviso di rigetto.

Sulle conclusioni del primo motivo di impugnazione.

In conclusione del primo motivo di impugnazione, la ricorrente sostiene che l’esame complessivo degli elementi indiziari valorizzati dalla Prefettura non consentirebbe di delineare un quadro probatorio su cui fondare il giudizio prognostico di permeabilità mafiosa dell’impresa.

Lamenta che l’Amministrazione avrebbe esercitato male la propria discrezionalità, invocando la sufficienza di un sindacato giurisdizionale esterno e formale al fine di appurare che « il diniego di iscrizione è sostanzialmente stato messo in difetto dei suoi presupposti, sulla base di una istruttoria male esperita e in contraddizione con precedenti determinazioni della stessa autorità amministrativa ».

II. “ Violazione di legge per violazione dell’art. 10 – bis, legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione di legge per violazione dell’art. 3 della medesima legge. Eccesso di potere secondo il profilo sintomatico dell’insufficienza della motivazione ”.

Con il secondo mezzo di gravame la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10 bis della Legge 7 agosto 1990 n. 241, dal momento che il gravato provvedimento non recherebbe alcuna motivazione in ordine al mancato accoglimento delle osservazioni proposte ad esito del preavviso di rigetto.

In particolare, non sarebbero state adeguatamente controdedotte le osservazioni relative ai vincoli familiari, alle cointeressenze con altre società e al fatto che l’operazione relativa alle fatture per operazioni inesistenti non si fosse conclusa con l’imputazione o la condanna dei soci.

Lamenta, inoltre, che l’Autorità prefettizia non avrebbe minimamente tenuto conto della «dichiarazione di dissociazione» prodotta in data 3 aprile 2023, che pure sarebbe stata ritenuta rilevante dalla giurisprudenza amministrativa (cita la sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 20 marzo 2023 n. 2807).

Replica la difesa erariale precisando che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, le memorie presentate ad esito del preavviso di rigetto sono state oggetto di approfondito esame in sede di riunione del Gruppo Interforze, la cui attività è stata integralmente verbalizzata e riportata nel provvedimento impugnato.

III. “ Violazione di legge per violazione della norma di risulta dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 94, d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159

Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente rappresenta che la mancata iscrizione della società nella “ White List ” prefettizia sarebbe ragione di gravissimo danno per l’attività di impresa e per i soci, che non avrebbero alcun’altra fonte di sussistenza, come dimostrato dalle dichiarazioni dei redditi prodotte agli atti del giudizio.

Prospetta che l’art. 94 del Decreto Legislativo 6 settembre 2011 n. 159, nel prevedere che « quando emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all'articolo 84, comma 4 ed all’articolo 91, comma 6, nelle società o imprese interessate, i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2 cui sono fornite le informazioni antimafia, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni », non consentirebbe di esercitare in sede amministrativa i poteri previsti nel caso di adozione delle misure di prevenzione dall’art. 67, comma 5, del Decreto Legislativo 6 settembre 2011 n. 159, e cioè l’esclusione da parte del giudice delle decadenze e dei divieti previsti, nel caso in cui, per effetto degli stessi, venissero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla famiglia. Precisa, poi, che la questione non è stata affrontata dalla Corte costituzionale nella sentenza 26 marzo 2020, n. 57, poiché non dedotta in modo autonomo;
cionondimeno la Corte, in un passaggio rilevante della citata sentenza, ha precisato che « la differenza, che in parte trova una compensazione nella temporaneità dell’informazione antimafia (ciò che valorizza ulteriormente l’importanza del riesame periodico cui sono chiamate le autorità prefettizie), merita indubbiamente una rimeditazione da parte del legislatore, ma non può essere oggetto di una pronuncia specifica poiché non è dedotta in modo autonomo (non vi è infatti alcun riferimento al caso concreto), e come argomento integrativo e secondario dell’illegittimità dell’informazione interdittiva non ha una incidenza determinante ».

Chiede, quindi, che questo Tribunale sollevi questione di legittimità costituzionale dell’art. 94 del Decreto Legislativo 6 settembre 2011 n. 159 per violazione degli articoli 2, 3, 4, 41 e 97 della Costituzione e in relazione e comparazione con l’art. 67, comma 5, del Decreto Legislativo 6 settembre 2011 n. 159, nella parte in cui l’art. 94 non dispone che le decadenze e i divieti previsti debbano essere esclusi nel caso in cui, per effetto degli stessi, dovessero venire a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia.

Replica la difesa erariale che la Corte costituzionale si sarebbe limitata ad auspicare una riforma legislativa, senza invero intervenire sulla norma sostanziale. Soggiunge che la misura adottata ha carattere temporaneo, ragion per cui può essere rivista dall’Amministrazione;
e che, in ogni caso, sussisterebbero ampi spazi del mercato edilizio in cui l’impresa può continuare a svolgere la propria attività.

Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato, alla luce dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza amministrativa in materia di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (c.d. “ White List ”).

Giova ricordare che tale iscrizione è disciplinata dagli stessi principi che regolano l’interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 15 aprile 2024, n. 3391).

Le disposizioni relative all'iscrizione nella “ White list ” formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia per le relative misure (comunicazioni ed informazioni) tanto che, come previsto dall’art. 1, comma 52 bis , della Legge 6 novembre 2012, n. 190, introdotto dall'art. 29, comma 1, del Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 114) « l’iscrizione nell'elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell'informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta ».

Come precisato dalla giurisprudenza amministrativa, inoltre, « l’unicità e l’organicità del sistema normativo antimafia vietano all'interprete una lettura atomistica, frammentaria e non coordinata dei due sottosistemi - quello della cd. white list e quello delle comunicazioni antimafia - che, limitandosi ad un criterio formalisticamente letterale e di cd. stretta interpretazione, renda incoerente o addirittura vanifichi il sistema dei controlli antimafia » (cfr., ex multis , Consiglio di Stato, sez. III, 5 agosto 2021, n. 5765).

Ebbene, l’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 19 gennaio 2024, n. 614).

D’altra parte, lo stesso legislatore – con l’art. 84, comma 3, del Decreto Legislativo 6 settembre 2011 n. 159 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di « eventuali tentativi » di infiltrazione mafiosa « tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle persone o imprese interessate ». Si è precisato, al riguardo, che «eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa» e «tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa» sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 31 gennaio 2024, n. 952).

Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l’evento (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 15 aprile 2024, n. 3391).

L’introduzione di simili misure di prevenzione è stata la risposta cardine dell’ordinamento per attuare un contrasto all’inquinamento dell’economia sana da parte delle imprese che sono strumentalizzate o condizionate dalla criminalità organizzata. Una risposta forte per salvaguardare i valori fondanti della democrazia. La funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini, e solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio deve arrestarsi (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 2 maggio 2024, n. 3964).

In tale direzione, la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 18 aprile 2024, n. 3531).

Ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata;
d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 10 aprile 2024, n. 3263).

Ciò posto, deve ritenersi che il quadro indiziario a fondamento dell’avversata determinazione superi indenne il presente vaglio di legittimità, tenuto conto della numerosità, attualità e convergenza delle relative acquisizioni istruttorie agli atti.

Il primo motivo di ricorso è privo di pregio, sia in ragione del fatto che la parte ricorrente prospetta doglianze riferite ai singoli elementi indiziari a supporto del provvedimento di diniego, senza tener conto della circostanza che delle acquisizioni istruttorie evidenziate dalla Prefettura debba essere fornita una lettura unitaria e non atomistica, per come pocanzi precisato, sia in ragione del fatto che le singole censure articolate sono invero infondate.

Il primo elemento valorizzato nel provvedimento prefettizio e contestato dalla parte ricorrente attiene al coinvolgimento dei soci -OMISSIS- e -OMISSIS- nella c.d. «operazione -OMISSIS- ».

In particolare, precisa il provvedimento che « -OMISSIS- (…) risulta segnalato in data 12.5.2017 all'A.G. di Reggio Emilia nell'ambito della c.d. operazione "-OMISSIS-" per dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti. Nella circostanza "...in qualità di socio amministratore della -OMISSIS-, P. IVA -OMISSIS-, utilizzava fatture per operazioni inesistenti ai fini delle dichiarazioni fiscali, emesse dalle società indagate -OMISSIS- e -OMISSIS-" »;
e che « -OMISSIS- (…) risulta segnalato in data 12.5.2017 all'A.G. di Reggio Emilia nell'ambito della c.d. operazione "-OMISSIS-" per dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ».

Le fatture per operazioni inesistenti di che trattasi erano state emesse dalle società -OMISSIS- e -OMISSIS-, che, secondo quanto precisato nel provvedimento prefettizio, « sono entrambe riconducibili al noto -OMISSIS-, arrestato e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari in data 12.9.2018 in esecuzione dell'ordinanza N. -OMISSIS-, emessa dal Tribunale di Reggio Emilia in data 31.8.2018, nell'ambito del P.P. -OMISSIS- (GIA' -OMISSIS-) c.d. operazione "-OMISSIS-", per emissione fatture per operazioni inesistenti e occultamento o distruzione di documenti contabili. Nella circostanza "..., in concorso fra loro (si intenda con il cugino -OMISSIS-), agendo il primo nella qualità di amministratore della società -OMISSIS- in liquidazione, il secondo quale amministratore di fatto, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, distruggeva i documenti e le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione, in modo tale da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume d'affari... perché, in concorso fra loro (si intenda cugino -OMISSIS-), agendo il primo nella qualità di amministratore della società -OMISSIS- in liquidazione (P.I. -OMISSIS-), il secondo quale amministratore di fatto, al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto e sui redditi, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, emettevano fatture relative ad operazioni inesistenti per un ammontare complessivo di euro € 413.937,48...perché, agendo nella qualità di amministratore della società -OMISSIS- in liquidazione (P.I. -OMISSIS-), al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto e sui redditi, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, emetteva fatture relative ad operazioni inesistenti per un ammontare di euro € 182.678... perché, agendo nella qualità di amministratore della società -OMISSIS- in liquidazione, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, distruggeva i documenti e le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione, in modo tale da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume d'affari..." (Stralcio ordinanza "-OMISSIS-") ».

Osserva il Collegio che, nel segmento provvedimentale relativo alle fatture per operazioni inesistenti, è stato valorizzato dall’Autorità prefettizia un duplice elemento indiziario: la circostanza che i due soci della -OMISSIS- fossero stati coinvolti nella c.d. «operazione -OMISSIS- » e il fatto che detto coinvolgimento avesse disvelato una rete di rapporti societari con le società -OMISSIS- e -OMISSIS-, riconducibili a -OMISSIS-, arrestato e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari nell’ambito della predetta operazione.

Quanto al primo aspetto, il coinvolgimento dei soci nella c.d. «operazione -OMISSIS- » è segnalato quale dato indiziario che, unitamente al complesso degli elementi sviluppati nel provvedimento prefettizio, consente di concorrere alla prognosi di permeabilità mafiosa dell’impresa, a prescindere dalla circostanza che, all’esito dell’attività investigativa in questione, non si sia addivenuti a condanna in sede penale.

Ed infatti, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti effettuati in sede penale di carattere definitivo, venendo in rilievo l’esercizio di un potere espressione della logica di massima anticipazione della soglia di difesa sociale finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, sì che tra il giudizio relativo al provvedimento interdittivo e il procedimento penale vi è un rapporto di autonomia (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 14 agosto 2023, n. 528).

Gli accertamenti svolti dal Prefetto, infatti, afferiscono in via prioritaria all’attività di prevenzione volta a contrastare ab initio l’ingerenza della criminalità organizzata in attività imprenditoriali, ciò a prescinderne da eventuali provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria;
una diversa valutazione da parte del Prefetto, focalizzata solo sulla rilevanza penale delle acquisizioni probatorie, verrebbe a vanificare la ratio della normativa applicabile, volta ad apprezzare in chiave prognostica la sussistenza o meno di tentativi di infiltrazione mafiosa. Del resto, nell’ambito della prevenzione, il relativo procedimento è svincolato dall’accertamento rigoroso della prova, ben potendo lo stesso basarsi esclusivamente su indizi, nel mentre resta attribuita all’autorità giudiziaria l’esclusiva competenza sull’accertamento della responsabilità penale, di carattere personale, derivante dalla commissione di un fatto di reato (cfr. T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 24 gennaio 2024 n. 54).

Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 12 agosto 2021, n. 5493).

Ne deriva che non è necessario che si sia instaurato un procedimento penale, né che si sia addivenuti ad una sentenza di condanna, risultando sufficiente il dato fattuale del coinvolgimento dei soci della -OMISSIS- nell’attività investigativa della c.d. “operazione -OMISSIS- ”;
tale dato indiziario, peraltro, non deve essere valutato in chiave atomistica, ma valorizzato secondo una prospettiva unitaria che tenga conto del complesso delle acquisizioni probatorie da cui la Prefettura ha ragionevolmente inferito il pericolo di infiltrazione mafiosa dell’azienda.

Quanto al secondo aspetto, dal coinvolgimento dei soci nella c.d. «operazione -OMISSIS- » e dalla perquisizione effettuata, in data 5 maggio 2017, dalla Squadra Mobile della Questura di Reggio Emilia è emersa una rete di rapporti commerciali della -OMISSIS- con le società -OMISSIS- e -OMISSIS-, evidenziata nel provvedimento gravato con l’indicazione di fatture emesse, a favore di -OMISSIS-, dalla società -OMISSIS- per un importo complessivo pari a € 28.300,00 e dalla società -OMISSIS- per un importo complessivo pari a € 10.800,00. O, dette società sono riconducibili a -OMISSIS-, arrestato e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari in data 12 settembre 2018 in esecuzione dell'ordinanza n. -OMISSIS-, emessa dal Tribunale di Reggio Emilia in data 31 agosto 2018, nell’ambito del procedimento penale R.G.N.R. -OMISSIS- (c.d. «operazione -OMISSIS- »), per emissione di fatture per operazioni inesistenti e occultamento o distruzione di documenti contabili.

Giova precisare che è fatto notorio che l’attività d’indagine denominata « -OMISSIS- », « condotta dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza e dalla Squadra Mobile della Questura di Reggio Emilia, supportata dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, ha permesso di scoprire un’associazione a delinquere, composta da 49 soggetti specializzata nell’offrire, in via “professionale”, “servizi” di emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, per consentire alle imprese beneficiarie l’abbattimento dei propri redditi imponibili, con realizzazione di svariati delitti in materia tributaria: emissione ed utilizzo in dichiarazione di fatture false, occultamento della documentazione contabile e omessa dichiarazione dei redditi (…) La presunta associazione a delinquere smantellata era composta, infatti, in modo estremamente strutturato: al vertice vi erano i Capi che coordinavano dieci cellule operative che potevano contare di società di comodo (delle vere e proprie cartiere) per la emissione di fatture per operazioni inesistenti, di “prelevatori” professionali di denaro da sportelli bancomat e procacciatori di soggetti economici interessati ad ottenere servizi finanziari illegali. Al gradino più basso dell’organizzazione vi era una folta schiera di soggetti “prestanome” titolari di una miriade di società “cartiere” che non avevano alcuna struttura aziendale e che servivano solo per “produrre” fatture false. Eloquente a tal proposito una conversazione, captata dagli inquirenti, tra due indagati che scherzando si chiedevano ironicamente che cosa producessero le loro società, rispondendosi che “producono soldi”. (…) Nel corso dell’attività d’indagine è stato possibile monitorare anche un conflitto, tra gli associati ed un gruppo criminale riconducibile alla famiglia -OMISSIS- di Verona, città in cui alcuni membri dell’associazione avevano subito il furto di 50.000 euro in contanti che sarebbero dovuti servire per finanziare un’operazione illegale. In tale occasione, veniva interessato uno dei vertici dell’associazione, destinatario di misura detentiva in carcere e già condannato nel processo -OMISSIS- per dirimere la questione. Tra i destinatari di misura detentiva risulta presente un ulteriore soggetto di spicco della criminalità calabrese, che è stato uno dei protagonisti della guerra di ‘ndrangheta combattuta a Reggio Emilia negli anni ’90 (…)» (dai dati del comunicato stampa pubblicato sul sito internet della Questura di Reggio Emilia in data 24 settembre 2020).

O, nel primo segmento motivazionale del gravato diniego viene dunque in rilievo un duplice elemento indiziario, vale a dire, da un lato, la circostanza che due dei tre soci fossero stati coinvolti nella c.d. «operazione -OMISSIS- » e, dall’altro lato, il fatto che nel corso della predetta operazione fosse emerso un rapporto di cointeressenza tra la -OMISSIS- e le società -OMISSIS- e -OMISSIS-, riconducibili all’amministratore -OMISSIS- arrestato e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari per emissione di fatture per operazioni inesistenti e occultamento o distruzione di documenti contabili;
elementi questi che, valutati congiuntamente alle ulteriori risultanze istruttorie, ben possono fondare una prognosi di pericolo di infiltrazione mafiosa.

Né può assumere rilievo la circostanza che le contestazioni relative alle fatture inesistenti sarebbero datate nel tempo, tenuto conto del fatto che, come correttamente controdedotto dalla difesa erariale, il provvedimento interdittivo si colloca all’esito di una complessa istruttoria che ben può essere iniziata anni prima e divenuta in sé significativa solo qualche anno dopo, ragion per cui si presenta ininfluente l’evocato decorso temporale rispetto all’addebito relativo alle fatture per operazioni inesistenti. Simili episodi, in effetti, sono ragionevolmente in grado di fornire tuttora utili indicazioni all’Amministrazione circa comportamenti rivelatori della sussistenza di quegli elementi sintomatico-presuntivi di cui tenere conto nel giudizio prognostico di sua spettanza;
non difetta, dunque, l’invocato requisito dell’attualità.

Quanto ai legami di parentela ed affinità, non persuade la tesi sostenuta dalla società ricorrente secondo cui la valorizzazione di rapporti familiari con soggetti attinti da interdittive antimafia determinerebbe un eccessivo arretramento della soglia del pericolo, giungendo a valorizzare il pericolo del pericolo o « pericolo di secondo grado ».

Tale questione attiene alla disputa, di matrice strettamente penalistica, relativa alla configurabilità nella forma tentata dei reati di pericolo, che si tradurrebbe, appunto, in una eccessiva anticipazione della soglia della punibilità, giungendo a ritenere perseguibile una condotta per il solo pericolo del pericolo di verificazione dell’evento lesivo.

In tema di interdittive antimafia, invero, i concetti di «tentativi di infiltrazione mafiosa» e di «tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa» sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 3 aprile 2019 n. 2211).

Viene in rilievo, infatti, la scelta del legislatore di operare un’anticipazione della tutela giuridica, arretrando la difensiva dello Stato rispetto all’anti-Stato alla fase potenziale del mero pericolo, al fine di ampliare lo spettro della tutela preventiva.

In tale ottica di anticipazione della tutela, anche il rapporto di parentela con soggetti attinti da interdittive può disvelare un elemento indiziario di pericolo che, letto congiuntamente a tutte le acquisizioni probatorie, è idoneo a sorreggere la prognosi di permeabilità mafiosa dell’azienda.

Quanto agli ulteriori rapporti di parentela, non persuade la tesi di parte ricorrente secondo cui si tratterebbe di rapporti « lontani, deboli e fragili », derivanti per lo più dal fatto che i familiari citati nel provvedimento sarebbero originari dello stesso comune calabrese da cui provengono i -OMISSIS-, ove « i matrimoni si celebrano all’interno di una comunità relativamente ristretta ».

Proprio con riferimento ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni criminali di stampo mafioso, la giurisprudenza ha chiarito che l'Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del "più probabile che non", che l'impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto. Nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all'interno della famiglia si può verificare una "influenza reciproca" di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;
una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch'egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, sicché in una “famiglia” mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso, ove avvinto da un vincolo di sangue particolarmente stringente, può subire, obtorto collo , l'influenza dell'associazione (cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 5 febbraio 2024, n.102;
Consiglio di Stato, sez. III, 29 maggio 2023, n. 5227).

O, giova precisare che i rapporti familiari sono particolarmente pervasivi nella criminalità organizzata di stampo ‘ndranghetistico, che differisce sensibilmente dalle altre organizzazioni criminali di stampo mafioso, caratterizzandosi per una struttura orizzontale clanica fondata su nuclei familiari (c.d. «‘ndrine») e utilizzando sistemi di reclutamento selettivi prioritariamente fondati sul vincolo di sangue.

In altri termini, l’influenza della “famiglia” è particolarmente determinante nelle consorterie criminose di matrice ‘ndranghetistica, strutturate secondo un modello clanico e articolate, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicché a maggior ragione in una famiglia ‘ndranghetista anche il soggetto che non sia attinto da specifici pregiudizi criminali, purché legato ai congiunti controindicati da uno stretto vincolo di sangue, può subire, nolente, l'influenza, diretta o indiretta, dell'associazione.

Di talchè, l'articolata rete di rapporti parentali con esponenti della criminalità organizzata calabrese tratteggiata dalla Prefettura, proprio per la sua consistenza e diffusione, pur non potendo assurgere ad elemento probatorio del coinvolgimento dei soci -OMISSIS- nel sodalizio criminale, ben può essere valutata quale elemento indiziario da cui inferire, congiuntamente alle altre acquisizioni probatorie, la prognosi di pericolo di infiltrazione ‘ndranghetistica dell’azienda.

Né può assumere rilievo la circostanza che tali rapporti di parentela fossero già sussistenti nel 2016, all’atto della prima iscrizione della società nella “ White List ”, dal momento che, come precisato, il provvedimento di diniego si colloca all’esito di una lunga e complessa istruttoria, nel corso della quale è stata valutata una pluralità di elementi anche ulteriori rispetto ai vincoli familiari dei soci.

Quanto ai rapporti di cointeressenza economico-commerciale della ricorrente con altre società, sono prive di pregio le censure articolate nel ricorso.

Preliminarmente deve essere disattesa la censura con cui la ricorrente contesta la violazione dell’art. 10 bis della Legge 7 agosto 1990 n. 241, per aver l’Amministrazione dato atto nel provvedimento finale dei rapporti commerciali con -OMISSIS- e di quelli con -OMISSIS-, elementi questi assenti nella comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

Ed infatti è principio consolidato nella giurisprudenza amministrativa quello secondo cui non debba sussistere un rapporto di identità tra il preavviso di rigetto e la determinazione conclusiva del procedimento, né una corrispondenza puntuale e di dettaglio tra il contenuto dei due atti, ben potendo l’Amministrazione ritenere, nel provvedimento finale, di dover meglio precisare le proprie posizioni giuridiche, escludendosi soltanto la possibilità di fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione dell’atto endoprocedimentale (T.A.R. Campania, Salerno, sez. III, 15 giugno 2023, n. 1397), tenuto conto che le ragioni espresse nel preavviso di rigetto sono suscettibili di integrazione nella determinazione conclusiva, con la quale si va a confutare anche la fondatezza delle osservazioni presentate dall'interessato nel contraddittorio pre-decisorio (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 16 aprile 2024, n. 828;
Consiglio di Stato, sez. VI, 1 marzo 2023 n. 2123;
T.A.R. Roma, sez. II, 04 maggio 2023, n. 7586).

L’indicazione dei suddetti rapporti commerciali, lungi dal costituire un nuovo motivo posto a fondamento del rigetto, rappresenta invero mera integrazione di quanto già evidenziato nella comunicazione dei motivi ostativi con riferimento alle risultanze istruttorie relative alle cointeressenze della società.

Non persuade, poi, la tesi secondo cui sarebbe generico il segmento motivazionale del gravato diniego nella parte in cui dà atto del fatto che -OMISSIS- sarebbe « stato in società con “tale” -OMISSIS-, raggiunto da interdittiva antimafia nel 2022, in qualità di legale rappresentante della -OMISSIS- », trattandosi evidentemente di una sintesi degli approfondimenti istruttori condotti dall’Amministrazione che hanno permesso di acclarare un rapporto societario del citato -OMISSIS- con altro imprenditore attinto da interdittiva antimafia.

Sono ulteriormente prive di pregio le deduzioni relative all’occasionalità dei rapporti commerciali con -OMISSIS- e alla scarsa rilevanza del volume d’affari di quelli con -OMISSIS-, dal momento che, ai fini dell’adozione del provvedimento di interdittiva antimafia, sono valorizzati una pluralità di elementi, tra cui le cointeressenze societarie che, unitamente alle ulteriori risultanze istruttorie, possono fondare una prognosi di pericolo di permeabilità mafiosa dell’azienda, a prescindere da aspetti legati alla frequenza dei rapporti o alla consistenza economica degli stessi.

Per tutto quanto premesso, è infondato il primo motivo di ricorso, dovendosi ritenere che la valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari disvela la non manifesta irragionevolezza e la logicità del giudizio prognostico di permeabilità mafiosa dell’impresa effettuato dalla Prefettura di Reggio Emilia.

È ulteriormente infondato il secondo motivo di ricorso, con cui la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10 bis della Legge 7 agosto 1990 n. 241, dal momento che il gravato provvedimento non recherebbe alcuna motivazione circa il mancato accoglimento delle osservazioni proposte ad esito del preavviso di rigetto.

Osserva il Collegio che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, l’Amministrazione non ha un onere di specifica e analitica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, bastando che ne abbia dato conto in modo sintetico ed essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la motivazione complessivamente resa a sostegno dell'atto stesso (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 01 marzo 2024, n. 2011).

Né può ritenersi rilevante la circostanza che nel gravato diniego non sia stata data alcuna valorizzazione alla «dichiarazione di dissociazione» prodotta dai soci della -OMISSIS- in data 3 aprile 2023, dal momento che la «dissociazione» da un contesto criminale, per ritenersi rilevante ai fini di che trattasi, deve estrinsecarsi in una forma di collaborazione con la giustizia o in evidenze fattuali che disvelino un effettivo distacco del soggetto «dissociatosi» dalla consorteria criminale di riferimento. Tra l’altro, nel precedente giurisprudenziale citato dalla ricorrente (Consiglio di Stato, sez. III, 20 marzo 2023 n. 2807), la «dissociazione» dal sodalizio criminale era stata espressamente riconosciuta dall’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna, che aveva attestato che « certamente l’attuale stile di vita ormai da alcuni anni è lontano da contesti delinquenziali » e che « Le locali FF.OO. relativamente all’attuale condotta serbata dal soggetto non hanno espresso note negative e hanno precisato che egli non si accompagna a soggetti censurati ».

In definitiva, l’elemento della «dissociazione» può essere valutato dall’Autorità prefettizia solo ove assistito da elementi fattuali apprezzabili che conferiscano concretezza alla presa di distanza del soggetto «dissociato» dalla consorteria criminale, non potendo a tal fine ritenersi sufficienti mere dichiarazioni dissociative rese pro domo sua .

Quanto al terzo motivo di ricorso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 94 del Decreto Legislativo 6 settembre 2011 n. 159 per violazione degli articoli 2, 3, 4, 41 e 97 della Costituzione, a prescindere da ogni valutazione sulla relativa fondatezza, difetta del fondamentale presupposto della “rilevanza” nella presente causa, non risultando adeguatamente comprovata la concreta indigenza derivante ai soci dal gravato provvedimento e la conseguente certa “spettanza” del beneficio in questione in base alla normativa di cui si sostiene la necessaria estensione attraverso l’invocata declaratoria d’incostituzionalità (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 14 marzo 2023, n. 2628). In particolare, resta indimostrato che non residuino spazi di mercato in cui la società può operare e che gli interessati non dispongano di risorse per diversificarne l’attività.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

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