TAR Roma, sez. 2Q, sentenza breve 2021-11-23, n. 202112067

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza breve 2021-11-23, n. 202112067
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202112067
Data del deposito : 23 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/11/2021

N. 12067/2021 REG.PROV.COLL.

N. 07684/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 7684 del 2021, proposto da
-OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati G B, F C, M L, S L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio F C in Roma, viale Parioli 180;

contro

Consob, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M L E, S L, G R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Banca D'Italia, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

per la dichiarazione di illegittimità

in parte qua della nota di Consob prot. n. 0699628/21 del 24 giugno 2021 (doc.1) (nel seguito, la “Nota”) di riscontro dell'istanza di accesso di -OMISSIS- del 3 giugno 2021 (doc.2) e, in ogni caso,

della condotta complessivamente tenuta dall'Amministrazione e

per l'accertamento

del diritto di -OMISSIS- di prendere visione ed estrarre copia integrale della documentazione richiesta e

per l'emanazione

dell'ordine di esibizione dei suddetti documenti amministrativi ex art. 116 del c.p.a.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Consob;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2021 la dott.ssa F R e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


La società di revisione ricorrente premette che con Delibera n.21836/2021 in data 19 maggio 2021 la Consob le ha irrogato una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art.26, comma 1, del d.lgs. n.39/2010 per l’esercizio della revisione sul bilancio 2016 di una determinata società operante nel settore dell’offerta di investimenti in servizi finanziari. Avendo intenzione di proporre opposizione avanti la Corte di Appello di Milano, la ricorrente aveva presentato ex lege n. 241/1990 una richiesta di accesso agli atti alla Consob in data 3 giugno 2021, riscontrata con trasmissione solo parziale della documentazione richiesta in data 24 giugno 2021, integrata con l’inoltro dei verbali delle sedute della Commissione in cui è stata decisa l’irrogazione della sanzione, e precisando che invece non poteva essere ostesa la corrispondenza inerente i rapporti di collaborazione con altra Autorità ostandovi il segreto d’ufficio ex art. 4, comma 10, del D. Lgs. 58/1998;
comunque la Consob precisava che quest’ultima corrispondenza “non contiene elementi di rilievo a fini difensivi”.

Con il ricorso in esame la predetta intende conseguire l’integrale ostensione degli atti in contestazione, precisando di averne necessità per difendersi nel giudizio proposto avverso il predetto provvedimento sanzionatorio (con ricorso notificato alla resistente in data 18 giugno 2021) per il quale è stata fissata udienza di discussione per il 24 novembre 2021.

La ricorrente contesta la legittimità del diniego opposto dalla Consob per i seguenti motivi: Violazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost.;
Violazione ed errata applicazione degli artt. da 22 a 28 della legge n. 241/90. Violazione ed errata applicazione dell’art.4, comma 10 e dell’art.195, comma 2, del d.lgs. n.58/1998 (“TUF”);
Violazione e errata applicazione dell’art.24, comma 1 della legge n.262/2005. Violazione ed errata applicazione del Regolamento sul procedimento sanzionatorio della Consob, adottato con Delibera n. 18750/2013 (s.m.i.), del Regolamento di funzionamento e organizzazione della Consob, adottato con Delibera n.8674 del 17 novembre 1994 (s.m.i.), e del Regolamento della Consob per l’individuazione delle categorie di documenti sottratti all’accesso, adottato con Delibera n.9641 del 13 dicembre 1995 (s.m.i.);
Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, difetto dei presupposti, illogicità, sviamento e difetto di motivazione. Violazione dei principi di buon andamento dell’azione amministrativa.

In conclusione la ricorrente domanda di accertare e dichiarare l’illegittimità della mancata ostensione della documentazione relativa alla collaborazione con Banca d’Italia;
accertare il diritto della ricorrente di prendere visione ed estrarre copia integrale della documentazione non ostesa;
ordinare alla Consob l’esibizione di tali documenti;
vinte le spese.

Si è costituita la Consob con memoria difensiva.

Non si è costituita in giudizio la Banca di Italia, controinteressata.

In vista della discussione della causa le parti si sono scambiate memorie di replica e conclusionali.

Alla Camera di Consiglio odierna il ricorso è stato trattenuto in decisione con sentenza in forma semplificata, tenuto conto dell’imminenza dell’udienza di trattazione del ricorso in opposizione avverso la sanzione irrogata alla ricorrente, risultando chiare le questioni fattuali e già risolte con precedenti sentenze le questioni giuridiche sollevate.

In particolare la ricorrente incentra i motivi di censura sulle ragioni ostative all’ostensione di documenti relativi a “rapporti con altre Autorità”, invocando la giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., sentenze 3 novembre 2000, n.460 e 26 gennaio 2005, n.32) ed amministrativa, anche della Sezione, favorevole all’accesso agli atti ove necessario per fini difensivi (TAR Lazio, sez. II quater, n.8487/2018).

Il Collegio innanzitutto osserva, su un piano generale, che l’affermazione della prevalenza del diritto di accesso (vedi da ultimo, TAR Lazio, sez. II quater n. 2736/2020) è stata mitigata da successiva giurisprudenza del Consiglio di Stato, cui la Sezione si è adeguata (vedi, per tutte, TAR Lazio, sez. II quater n. 13359/2020, con richiamo alla sentenza n.1104/2020, e con riferimento alla prospettiva interpretativa della Corte di Giustizia, nella specie dell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36, “in particolare dell’esigenza di un’interpretazione restrittiva delle eccezioni al divieto generale di divulgare informazioni riservate;
nonché di escludere l’obbligo del segreto professionale, ove la domanda di divulgazione verta su informazioni in merito alle quali il richiedente fornisca indizi precisi e concordanti che lascino plausibilmente supporre che esse risultino pertinenti ai fini di un procedimento civile o commerciale in corso o da avviare, il cui oggetto dev’essere concretamente individuato dal richiedente e al di fuori del quale le informazioni di cui trattasi non possono essere utilizzate”
(Cons. St., sez. V, 2/3/2020, n. 1523). In particolare, è stato evidenziato che con tale pronuncia la Corte di Giustizia “non ha quindi inteso affermare la prevalenza assoluta del diritto di accesso sulla riservatezza, ma che spetta alle autorità e ai giudici competenti effettuare un bilanciamento tra l’interesse del richiedente a disporre delle informazioni di cui trattasi e gli interessi legati al mantenimento della riservatezza delle informazioni coperte dall’obbligo del segreto professionale, prima di procedere alla divulgazione di ciascuna delle informazioni riservate richieste” (Cons. St., sez. V, 2/3/2020, n. 1523).

In tale prospettiva la Sezione ha aderito a quell’orientamento per cui “Lungi dall’affermare l’assiomatica prevalenza, sempre e comunque, del diritto di difesa del privato rispetto ad altri concorrenti interessi pubblici oltre che privati di terzi, che non possono essere ritenuti a -priori recessivi, i giudici comunitari hanno ricordato che tale conflitto va risolto facendo applicazione del cd. “principio di proporzionalità”, e, soprattutto, del canone del “minimo mezzo” (cioè il secondo test di proporzionalità secondo la sistemazione mutuata dalla dottrina tedesca), che, nello specifico settore del diritto di accesso, limita l’operatività del principio di riservatezza e/o segretezza nella misura (strettamente) necessaria a procurare all’istante l’utilità che questo intende conseguire (nello specifico caso, dimostrare la responsabilità di un soggetto nel corso di un giudizio risarcitorio), privilegiando, ove siano a disposizione rimedi alternativi, quelle che minimizzano il sacrificio del contrapposto interesse alla riservatezza (TAR Lazio, sez. II, n. 1703/2014, n. 9407/2013, n. 6608/2013 nel senso che le esigenze di difesa possono compiutamente dispiegarsi proprio all’interno del giudizio civile a mezzo di istanza di esibizione dei documenti ai sensi dell’articolo 210 c.p.c., ben potendo il giudice ordinare la detta esibizione in giudizio dei documenti che appaiono indispensabili per conoscere i fatti della causa).

Con sentenze n. 4843/2020 e 4044/2020 il Supremo Consesso ha inoltre attribuito rilevanza all’atteggiamento assunto dalla Consob che, nel caso di specie, si era “assunta l’onere di affermare che la richiesta era stata respinta in quanto riguardava documentazione assolutamente non pertinente al procedimento sanzionatorio aperto nei confronti dell’appellato (…) e comunque a vicende distinte e autonome inerenti a un differente procedimento sanzionatorio e come tali ininfluenti sul corretto esercizio delle facoltà defensionali dell’incolpato”.

La Sezione ha recepito tale orientamento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, II quater, n. 4766/2021), precisando peraltro che “ad esclusione delle ipotesi “(nella specie non riscontrabili) di connessione evidente tra diritto all'accesso a una certa documentazione ed esercizio proficuo del diritto di difesa, incombe sul richiedente l'accesso l’onere di dimostrare la specifica connessione con gli atti di cui ipotizza la rilevanza a fini difensivi e ciò anche ricorrendo all'allegazione di elementi induttivi, ma testualmente espressi, univocamente connessi alla conoscenza necessaria alla linea difensiva e logicamente intellegibili in termini di consequenzialità rispetto alle deduzioni difensive potenzialmente esplicabili. Altrimenti opinando il diritto di difesa diventerebbe una generica formula di unilaterale prospettazione di prevalenza delle esigenze ostensive su ogni altro interesse contrapposto, pur espressamente contemplato dalle disposizioni normative di rango primario e regolamentare come limite legale all'accesso (Cons. Stato, Sez. VI, 22/6/2011, n. 3762;
15/3/2013 n. 1568;
28/10/2019, n. 7378;
Sez. III, 12 marzo 2018, n. 1578;
Corte Giust. UE, Sez. V, 13/9/2018, n. 594)” (così Cons. Stato, sez. VI, 30.07.2020, n. 4843).

In tale prospettiva, pertanto, va scrutinata la pertinenza della documentazione richiesta dalla ricorrente e va controllata la legittimità delle ragioni invocate dall’Autorità di vigilanza per opporsi all’ostensione della stessa documentazione, facendo applicazione dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità, verificando l’utilità della documentazione richiesta nell’ambito del processo civile che la parte ricorrente intende instaurare (primo test di proporzionalità);
la “necessarietà” dell’acquisizione nel rispetto della regola del minimo mezzo, quando le medesime finalità difensive possano essere ugualmente soddisfatte con misure meno pregiudizievoli dei contrapposti interessi tutelati(secondo test di proporzionalità), dato che l’accesso consegna all’interessato documenti contenenti dati sensibili di terzi e informazioni attinenti alla funzione di vigilanza dei mercati finanziari dell’Autorità resistente;
operando, infine, una ponderazione ragionevole dei contrapposti interessi in gioco (nel rispetto del terzo test di proporzionalità) che tenga conto dell’importanza dell’interesse pubblico alla segretezza dell’azione di vigilanza dei mercati finanziari (la cui efficacia assicura l’interesse stesso degli investitori e della stessa Collettività alla stabilità di tali mercati) e dell’esigenza di riservatezza di terzi (i cui dati possono essere ricostruiti sulla base delle informazioni contenuti in tali documenti).

Secondo tale impostazione funzionale, promossa dalla stessa giurisprudenza comunitaria, spetta al giudice operare tale valorizzazione delle contrapposte esigenze nello specifico caso concreto, tenendo conto anche del particolare valore attribuito dall’ordinamento all’interesse pubblico, evidenziando che “l’attuazione efficace del regime di vigilanza prudenziale degli enti creditizi [...] richiede che sia gli enti creditizi sorvegliati sia le autorità competenti possano avere la certezza che le informazioni riservate fornite conservino in linea di principio il loro carattere riservato”) osservando che altrimenti si verrebbe a “compromettere la trasmissione agevole delle informazioni riservate necessarie per l’attività di vigilanza prudenziale”;
per cui tale obbligo di riservatezza è necessario non solo per tutelare “gli specifici interessi degli enti creditizi direttamente coinvolti, ma anche l’interesse generale collegato, in particolare, alla stabilità del sistema finanziario all’interno dell’Unione”
(Corte di Giustizia 13.9.2018, Boccioni;
13.9.2018, C-358/16, UBS Europe SE e Hondequin, 19.6.2018, C-15/16 BaFin c/ Baumeister,12.11.2014).

Orbene, facendo applicazione delle predette coordinate ermeneutiche al caso di specie, il Collegio osserva che la ricorrente ha avuto modo di esercitare il diritto di accesso endoprocedimentale a difesa delle proprie posizioni nel corso dell’ iter del procedimento sanzionatorio ed ora agisce in giudizio per far valere il diritto di accesso difensivo ad atti a suo avviso necessari per dimostrare davanti al giudice ordinario l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio, sotto il profilo della tardività della contestazione dell’illecito.

A tale fine nel ricorso e soprattutto nei successivi scritti difensivi delle parti vengono sollevate interessanti questioni teoriche sulla natura del procedimento sanzionatorio, molto dibattute in dottrina e giurisprudenza, ma che non risultano particolarmente pertinenti nella controversia in esame, in cui non viene evidenziato con precisione quale sia la necessità, nello specifico caso concreto, di acquisire la corrispondenza intercorsa tra Consob e Banca d’Italia, limitandosi la ricorrente ad asserire genericamente l’utilità per dimostrare la tardività dell’esercizio del potere sanzionatorio.

In realtà, per espressa ammissione della ricorrente, “il procedimento sanzionatorio ha fatto seguito ad accertamenti ispettivi compiuti da Banca d’Italia presso … il soggetto auditato ….. i quali hanno dichiaratamente costituito la pietra d’angolo della contestazione e poi della Delibera”, per cui la nota della Banca di Italia 4 gennaio 2019 con cui era stata segnalata “l’emersione di fatti di possibile rilevanza per le attribuzioni di competenza della Consob nell’ambito degli accertamenti ispettivi condotti” presso la ricorrente nel periodo settembre - novembre 2018, già consente di stabilire la tempestività o meno dell’esercizio del potere sanzionatorio.

Orbene, quest’ultima era già stata trasmessa all’interessata e risulta soddisfare la richiesta formulata dalla ricorrente, che contesta, al riguardo il “mancato rispetto da parte di Consob del termine di contestazione dell’illecito, disposto dall’art. 195, d.lgs. n. 58/1998”.

Avuto riguardo a tale esigenza, risulta pertanto irrilevante la corrispondenza intercorsa tra le Autorità successivamente alla data in cui è stata formalizzata la predetta contestazione, in quanto, appunto, ininfluente al fine di stabilire la tempestività della stessa.

Ne consegue che, nel contemperamento dei contrapposti interessi in gioco, che deve essere effettuato per individuare i limiti applicativi del “segreto” sancito dell’art. 4, comma 10 TUF, che va stabilito caso per caso, secondo i canoni di proporzionalità e ragionevolezza imposti dalle Corti Europee, richiamati dal Consiglio di Stato e condivisi dalla Sezione, con sentenze che si hanno qui per integralmente richiamate, l’interesse fatto valere dalla ricorrente risulta non solo recessivo, ma anche e soprattutto già soddisfatto.

A quest’ultimo riguardo va osservato che non solo la resistente si è assunta la responsabilità di dichiarare che tale corrispondenza non contiene elementi utili alla difesa della ricorrente, ma ha altresì dichiarato la propria disponibilità ad esibirla in giudizio con le cautele del caso, proprio a dimostrazione della sua non pertinenza rispetto al giudizio pendente davanti alla Corte di Appello - proposta che non ha sollevato alcuna reazione da parte della ricorrente – mantenendo un comportamento processuale collaborativo che può essere valutato, nell’insieme complessivo di elementi soprarichiamati, anche ai fini dell’art. 116 cpc, ad ulteriore conforto delle considerazioni sopra svolte e conferma delle conclusioni dedottene.

Il ricorso va pertanto respinto in quanto la pretesa fatta valere dalla ricorrente, di acquisire la corrispondenza tra le due Autorità in parola, anche successivamente alla formalizzazione delle contestazioni, risulta infondato.

Le spese di lite possono tuttavia essere compensate tra le parti, data la violazione del principio di sinteticità degli scritti, ed il contributo chiarificatore della resistente all’insorgere della controversia in merito alla poco perspicua formulazione del diniego di accesso.

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