TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2024-02-05, n. 202400918
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Pubblicato il 05/02/2024
N. 00918/2024 REG.PROV.COLL.
N. 03552/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3552 del 2021, proposto da
-OMISSIS--OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati A P, M I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, A A, B C, A C, G P, E C, A I F, G R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Maria Cristina Carbone in Napoli, piazza Municipio, Palazzo San Giacomo;
PER LA CONDANNA
dell'Amministrazione intimata al risarcimento per equivalente pecuniario di tutti i danni subiti e subendi ex art. 30 comma 5 C.P.A. dal ricorrente - in conseguenza dell'adozione della disposizione dirigenziale n. -OMISSIS-e del provvedimento prot. n. -OMISSIS-, annullati dalla Sezione all'esito del giudizio recante R.G. n. -OMISSIS-, con la sentenza n. -OMISSIS-, divenuta cosa giudicata, per mancata impugnazione nei termini di legge, il 12.4.2021 nonché del successivo ritardo con cui ha provveduto a dare piena ed esatta esecuzione alla riferita pronuncia - nella misura in cui verranno dettagliatamente provati in corso di giudizio oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'Udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2023 il dott. A G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Va brevemente ricostruita, attraverso l’esposizione in fatto svolta dal ricorrente e gli atti prodotti, la vicenda processuale sottesa al gravame in trattazione.
Con ricorso recante R.G. n. -OMISSIS- il sig. -OMISSIS--OMISSIS- impugnava innanzi alla Sezione la disposizione dirigenziale n. -OMISSIS-, con cui il Dirigente dello Sportello Unico edilizia del Comune di Napoli dichiarava improcedibile l’istanza edilizia n. -OMISSIS-, presentata per un intervento di ristrutturazione edilizia con cambio di destinazione d’uso e contestuale accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, di opere precedentemente realizzate sine titulo, sul fabbricato sito in Napoli alla via -OMISSIS-.
Il predetto provvedimento di sostanziale diniego dell’istanza di accertamento di conformità – come a breve si veda, annullato dalla Sezione con sentenza -OMISSIS-- era fondato su duplice motivazione, ovvero, in primo luogo, sul rilievo che il sig. -OMISSIS-, quale promissario acquirente, non fosse “titolato” a presentare l’istanza ed inoltre che quest’ultima, comunque, non potesse essere esaminata poiché sull’immobile pendeva ancora domanda di condono ex L. n. 47/1985, sulla quale, sebbene espressamente rinunciata dal ricorrente, la stessa Amministrazione avrebbe dovuto comunque pronunciarsi nel merito.
Avverso il suddetto provvedimento il sig. -OMISSIS- deduceva due profili di illegittimità, contestando, sotto l’aspetto procedimentale, la violazione dell’art. 10 bis della Legge n. 241/1990, e nel merito avversando puntualmente le motivazioni addotte dell’Ente a sostegno del citato diniego.
In vista della Camera di Consiglio fissata per il 22.1.2020, tuttavia, il Dirigente del Servizio Antiabusivismo e condono edilizio, emetteva il provvedimento prot. n. -OMISSIS-, con cui riscontrava la richiesta di rinuncia ed archiviazione (prot. n. -OMISSIS-) presentata dal ricorrente, premettendo che l’archiviazione fosse condizionata al pagamento integrale dell’oblazione e ritenendo, comunque, di non poter valutare la richiesta poiché carente della documentazione essenziale. Contro il suddetto atto il ricorrente interponeva motivi aggiunti in seno al ricorso avverso il diniego di accertamento di conformità, contestando anzitutto la tesi dell’Amministrazione, secondo cui per la rinuncia al condono era necessaria l’adozione di uno specifico provvedimento di archiviazione, oltretutto condizionato al preventivo pagamento dell’oblazione e delle altre spese di pratica, e censurando nuovamente anche la violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990 nonché, nel merito, le motivazioni addotte sul contenuto della pratica di condono.
1.1. Con Sentenza -OMISSIS-, n. -OMISSIS-la Sezione accoglieva il ricorso e i motivi aggiunti ritenendo “fondata la censura attorea (prospettata nel secondo motivo di ricorso principale e in termini di illegittimità derivata nel ricorso per motivi aggiunti), con la quale si denuncia la illegittimità degli atti impugnati (in particolare, con il ricorso principale) nella parte in cui hanno escluso la legittimazione del promissario acquirente a richiedere il rilascio di titoli edilizi”, evidenziando che ad avviso della giurisprudenza l’art.11 d.p.r. n. 380/2001, secondo cui “ il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo” va interpretato nel senso che: -“legittimati all'istanza di concessione edilizia sono i detentori di un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria, pertanto all'istanza suddetta può provvedere anche il promissario acquirente, a condizione che il preliminare contenga il consenso del proprietario in ordine all'effettuazione dei lavori edili”, come stabiliva il contratto preliminare intercorso tra il ricorrente, promissario acquirente, e i promissari alienanti.
Quanto al provvedimento prot. n. -OMISSIS-, gravato con motivi aggiunti, con cui il Comune riscontrava la richiesta di rinuncia ed archiviazione sostenendo l’impossibilità giuridica di rinunciare all’istanza di condono edilizio, presentata per il medesimo immobile oggetto dell’istanza ex art. 36, d.P.R. n. 380/2001, la Sezione con la sentenza -OMISSIS-/2020 giudicava “non corretta la statuizione del Comune di Napoli nel senso della non rinunciabilità della domanda di sanatoria edilizia straordinaria (cd. condono edilizio)”, all’uopo richiamando pacifica giurisprudenza formatasi sull’argomento e quindi annullava entrambi gli atti
Senonché, solo in data 12.4.2021, ovvero a distanza di oltre sei mesi dalla pubblicazione della sentenza -OMISSIS-/2020, il Comune di Napoli prestava piena ed esatta esecuzione alla medesima, rilasciando al sig. -OMISSIS-, con disposizione dirigenziale n. -OMISSIS-, il titolo edilizio in precedenza illegittimamente negato.
1.2. Con il ricorso in trattazione il ricorrente lamenta già in fatto che a causa del comportamento negligente e colposo dell’Amministrazione resistente, come pure “stigmatizzato” con la citata sentenza di annullamento, ha subito evidenti danni di natura patrimoniale, nei termini appresso descritti, al cui risarcimento domanda che venga dichiarato tenuto e conseguentemente condannato il Comune di Napoli.
Segnala all’uopo come, a fronte del preliminare di vendita sottoscritto nel 2019, egli è addivenuto alla stipula dell’atto definitivo di vendita solo in data 13.7.2021 con atto per notaio dott. -OMISSIS-, rep. n. -OMISSIS-, racc. -OMISSIS-, a seguito del tardivo rilascio del titolo edilizio.
2. Si è costituito in giudizio per resistere alla domanda risarcitoria il Comune di Napoli il 3 settembre 2021 con memoria formale, poi producendo il 25 luglio 2023 la nota n. -OMISSIS- del Dirigente del Servizio Sportello Unico Edilizia con cui si sostiene le legittimità dell’iter di rilascio del titolo edilizio, in precedenza negato, solo con provvedimento 12.4.2021 prot. -OMISSIS-.
2.1. Il ricorrente ha prodotto il 31 agosto 2023 memoria per l’udienza di trattazione del merito del ricorso, cui il Comune di Napoli ha replicato con memoria del 13 settembre 2023, con cui ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione di questo giudice.
2.2. Alla pubblica Udienza del 4 ottobre 2023, udita la discussione dei procuratori delle parti menzionati in verbale, la causa è stata trattenuta a sentenza.
3. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune di Napoli con la memoria di replica del 13 settembre 2023, rilevando che sarebbe competente il G.O. sulla vicenda in esame secondo “quanto di recente chiarito dalla sentenza del Tribunale di Reggio Calabria, sez. II civile, n. 736/2020 riguardante un caso analogo a quello qui in esame, ovverosia la mancata stipulazione di un atto definitivo di vendita di un fabbricato dipendente dalla rimozione in autotutela dei provvedimenti ampliativi in precedenza rilasciati (oltre venti anni prima) e, anche in questo caso, l’obbligo del pagamento di una penale, a carico però del promittente venditore, prevista nel contratto preliminare”. Secondo l’eccepente Comune che ha richiamato anche un’ordinanza del 2023 delle Sezioni Unite, “il Giudice civile ha precisato che tale situazione determina, in astratto, l’insorgenza di una pretesa risarcitoria del privato nei confronti della P.A. soggetta alla giurisdizione del giudice ordinario, essendo essa fondata sulla lesione dell’affidamento incolpevole nell’emanazione di un provvedimento amministrativo” (memoria cit. pag. 6).
3.1. Ad avviso del Collegio l’eccezione è nitidamente infondata, sol che si consideri che la controversia all’esame attiene ad una chiara fattispecie di responsabilità risarcitoria della p.a. da provvedimento illegittimo lesivo di interessi pretensivi e annullato dal giudice amministrativo, non essendosi quindi al cospetto di lesione dell’affidamento.
Il Collegio è, invero, ben conscio della recentissima pronuncia della Corte regolatrice secondo cui spetta al giudice ordinario la giurisdizione nelle controversie risarcitorie per legittimo affidamento del privato sull’adozione di un provvedimento accrescitivo, poi annullato dal giudice amministrativo. Le Sezioni Unite hanno statuito che “Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda, proposta dal privato nei confronti della P.A., di risarcimento dei danni conseguiti alla lesione dell'incolpevole affidamento riposto sull'adozione di un provvedimento ampliativo della propria sfera soggettiva - sia in caso di successivo annullamento del provvedimento giudicato illegittimo, sia in ipotesi di affidamento ingenerato dal comportamento dell'amministrazione nel procedimento amministrativo, poi conclusosi senza l'emanazione del provvedimento ampliativo -,” in quanto, secondo la Corte, “ il pregiudizio non deriva dalla violazione delle regole di diritto pubblico sull'esercizio della potestà amministrativa, bensì, in una più complessa fattispecie, dalla violazione dei principi di correttezza e buona fede, che devono governare il comportamento dell'amministrazione e si traducono in regole di responsabilità, non di validità dell'atto” (Cassazione civile, Sez. Un., 28 agosto 2023, n.25324).
3.2. Sul punto il Collegio non può, peraltro, sottacere che, specie in caso di annullamento del provvedimento giudicato illegittimo, alla sua demolizione il giudice amministrativo perviene perché accerta la violazione, sostanziale (si pensi ai vizi della motivazione) o procedimentale (sub specie di infrazione della l. n. 241/1990 ovvero di altre fonti primarie o secondarie settoriali sul procedimento) di norme di diritto pubblico.
Nel caso all’esame, tuttavia, non si fa questione di affidamento su di un provvedimento, annullato, ma ampliativo della sfera giuridica, bensì del suo esatto opposto, vale a dire di un provvedimento negativo annullato perché riconosciuto illegittimo.
In tali ipotesi, quale quella all’esame, non può dubitarsi della spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo poiché si verte in fattispecie di illegittimo esercizio dell'attività amministrativa (mediante provvedimenti annullati dal giudice amministrativo) devoluta alla giurisdizione amministrativa.
In tal senso di recente anche il Consiglio di Stato ha puntualizzato che “ Il paradigma cui è improntato il sistema della responsabilità dell'amministrazione per l'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa, devoluto alla giurisdizione amministrativa, è quello della responsabilità da fatto illecito. Nel descritto quadro l'esercizio della funzione pubblica, manifestatosi tanto con l'emanazione di atti illegittimi quanto con un'inerzia colpevole, può quindi essere fonte di responsabilità sulla base del principio generale neminem laedere. Il requisito dell'ingiustizia del danno implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l'esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest'ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi” (Consiglio di Stato sez. VI, 19 gennaio 2023, n.674).
3.2.1.Giova segnalare che la stessa Corte di Cassazione ha al riguardo di recente ben distinto il caso della pretesa risarcitoria derivante dall’affidamento sull’emissione di un provvedimento favorevole da quello scaturente dalla lesione di interessi pretensivi, statuendo che “La domanda risarcitoria proposta nei confronti della P.a. per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria, non trattandosi di una lesione dell'interesse legittimo pretensivo del danneggiato” (Cassazione civile, sez. I, 6/3/2023, n.6649), il che vale a dire che, secondo la stessa Corte, in tale ultimo caso, ossia ove si tratti di lesione di un interesse pretensivo, come nella specie, la giurisdizione è del giudice amministrativo.
Ad ancor più chiare note la Corte ha precisato che “In tema di riparto della giurisdizione, l'attrazione (ovvero la concentrazione) della tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo può verificarsi soltanto qualora il danno patito dal soggetto sia conseguenza immediata e diretta della dedotta illegittimità del provvedimento che egli ha impugnato” non costituendo il risarcimento del danno ingiusto una materia di giurisdizione esclusiva ma solo uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto a quello demolitorio (Cassazione civile, sez. trib., 6 aprile 2023, n. 9526);com’è avvenuto nel caso all’esame, in cui il danno lamentato dal ricorrente è conseguenza diretta dei provvedimenti da lui impugnati e annullati dalla Sezione con la sentenza -OMISSIS-/2020.
3.3. Giova anche rimarcare che la devoluzione al giudice amministrativo delle controversie risarcitorie per danni da attività illegittima è positivizzata all’art. 30, c.p.a. che, pur senza istituire una sfera di giurisdizione esclusiva ma restando nell’alveo della giurisdizione generale di legittimità, al comma 2 stabilisce che “Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa” ovvero dall’omesso esercizio di quella doverosa.
4. Approdando al merito dell’azione, va precisato che con unico motivo il ricorrente, sulla base della sentenza della Sezione -OMISSIS-/2020 recante annullamento dei provvedimenti di diniego dell’istanza di accertamento di conformità ex art. 36, d.P.R. n. 380/2001 e di negativo riscontro della rinuncia alla domanda di condono edilizio già presentata per l’immobile (oggetto, il secondo provvedimento, dei motivi aggiunti), richiamando i noti principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa sulla responsabilità extracontrattuale dell’amministrazione da provvedimento illegittimo, ricondotta al paradigma della lex aquilia de damno di cui all’art. 2043, c.c., reclama il diritto al risarcimento per equivalente dei danni subiti e subendi in conseguenza diretta dell’illecito comportamento tenuto dall’Ente resistente nella vicenda in esame, ritenuto elusivo dei più elementari canoni di buona fede e correttezza operanti sia in ambito civile che amministrativo, nonché dei principi di “ buona amministrazione ”;tutto ciò per la sostenuta arbitrarietà e superficialità con cui è stata compiuta l’istruttoria sottesa all’emissione degli atti annullati, nei termini già puntualmente censurati dalla citata sentenza.
Sostiene ancora il deducente che ad ulteriore dimostrazione della grave responsabilità del Comune di Napoli milita anche il notevole ritardo con cui, nonostante la chiarezza e perentorietà della sentenza -OMISSIS-/2020 – invero riconosciuta anche dall’Ente con il parere prot. n. -OMISSIS- dell’-OMISSIS-, reso dal Servizio difesa giuridica dell’Ente (cfr. permesso di costruire n. -OMISSIS-, all. 3 produz. ricorr.) – il Comune resistente ha provveduto a dare ad essa piena ed esatta esecuzione mediante il rilascio del titolo edilizio richiesto, solo il 12.4.2021 (ovvero dopo sei mesi), concorrendo così all’aggravamento del danno patrimoniale del ricorrente.
Il motivo è dedicato anche alla enucleazione dei lamentati danni, dei quali si tratterà appresso in uno con analitica verifica negli atti prodotti, degli assunti di parte ricorrente.
4.1. In sintesi, in punto di diritto il ricorrente deduce, riportando sul tema quanto affermato anche nel precedente della Sezione di cui alla sentenza 15 febbraio 2021, n. 976 ricostruttiva dei presupposti della parabola affermativa della responsabilità risarcitoria della p.a. da provvedimento illegittimo, che secondo l’insegnamento giurisprudenziale il risarcimento del danno non è una conseguenza diretta e costante dell'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione del bene della vita al quale l'interesse legittimo effettivamente si collega e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento, anche del nesso causale tra l'illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa dell'Amministrazione;quanto all'elemento soggettivo, l'illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l'ambito più o meno ampio della discrezionalità dell'Amministrazione, dovendosi quindi escludere la responsabilità dell’amministrazione ove l’illegittimità provvedimentale (pur statuita con la sentenza demolitoria) sia maturata in un contesto di scarsa chiarezza della cornice normativa di riferimento, di oscillazioni o contrasti giurisprudenziali;fattori integranti l’errore scusabile.
4.2.Di recente il Consiglio di Stato, con il precedente correttamente citato dal ricorrente, ha enucleato in sintesi le condizioni da accertarsi da parte del giudice amministrativo adito con l’azione di condanna al risarcimento ex art. 30, c.p.a. affinché possa predicarsi la responsabilità civile da attività provvedimentale dell’amministrazione, precisando che al fine “ non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento amministrativo, essendo necessario sia fornita la prova sia del danno subito, sia dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa della Pubblica amministrazione ” (Consiglio di Stato, sez. III, -OMISSIS-, n. 2899).
Tale opzione è stata più di recente confermata dal giudice d’appello ribadendo che “Il risarcimento a carico della pubblica amministrazione non costituisce una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizione del provvedimento amministrativo, essendo a tal fine necessario anche la verifica positiva con riferimento alla sussistenza della colpa in capo all'amministrazione pubblica e al nesso causale tra il provvedimento illegittimo e il danno sofferto” (Consiglio di Stato, sez. IV, 24 ottobre 2022, n.9039).
5. Orbene, la domanda risarcitoria in scrutinio, della quale il ricorrente ha offerto idonea prova, è fondata nell’an e nel quantum nei termini di seguito precisati, potendo ravvisarsi nel caso all’esame l’emergenza del requisito della colpa dell’apparato amministrativo, elemento imprescindibile e del quale il ricorrente deve tuttora fornire prova nel paradigma della responsabilità ex lege aquilia de damno disegnato dall’art. 2043 c.c., quantunque detto onere possa essere assolto ricorrendo all’istituto delle presunzioni semplici di cui all’art. 2227 c.c. (Cons. di Stato Sez. IV, 26-11-2013, n. 5624).
5.1. A fini ricostruttivi del diritto vivente venutosi a creare in argomento, giova ripercorrere in breve i principi che sul tema la giurisprudenza ha enunciato in passato, onde intendere le ragioni della loro esattezza, che ne ha determinato la conferma con i più recenti arresti.
Si è invero condivisibilmente ribadito, a conferma di un radicato costrutto giurisprudenziale, che “Non sussiste responsabilità civile della Pubblica amministrazione per danno da provvedimento illegittimo senza il concorso dell'elemento soggettivo, normalmente identificato nella colpa;ed invero l'illegittimità del provvedimento amministrativo, una volta accertata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza” (Consiglio di Stato, Sez. IV 26 agosto 2014 n. 4282).
La colpa, poi, per stratificato insegnamento giurisprudenziale, va ravvisata tutte le volte in cui l’illegittimità procedimentale trasmodi in violazione dei canoni costituzionali di imparzialità, buon andamento e correttezza oltre che delle regole procedimentali di efficienza, efficacia trasparenza e celerità.
Il Giudice d’appello ha espresso tale esegesi avendo precisato che “In sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, ai fini dell'ammissibilità della relativa domanda non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento lesivo, ma è necessario che sia fornita la prova, oltre che del danno subito, anche della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa dell'Amministrazione, la quale è configurabile quando l'esecuzione dell'atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell'azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali d'imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell'ordinamento, quanto a ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza” (Consiglio di Stato sez. III 10 settembre 2014 n. 4618;Consiglio di Stato sez. III 28 luglio 2015 n. 3707).
5.2. Quanto all’esimente dalla responsabilità e, in particolare alla mancanza di colpa, è costante in giurisprudenza l’assunto secondo cui spetta all’amministrazione convenuta provare che l’adozione dell’atto illegittimo è avvenuta in un contesto tale da configurare una fattispecie di errore scusabile.
Si è infatti sancito che “In tema di responsabilità della Pubblica amministrazione, il risarcimento del danno subito non può conseguire in modo automatico dall'annullamento di un atto illegittimo da essa adottato atteso che il rinvio al sistema delle presunzioni semplici, di cui agli artt. 2727 e 2729, c.c., induce a ritenere che l'illegittimità del provvedimento annullato costituisce soltanto uno degli indici presuntivi della colpevolezza dell'Amministrazione;e in virtù di tale configurazione, qualora si annulli un provvedimento illegittimo, grava su di essa l'onere di provare l'assenza di colpa, mediante la deduzione di circostanze integranti gli estremi dell'errore scusabile” (Consiglio di Stato Sez. IV 1 luglio 2015 n. 3258).
5.3. In tale linea esegetica si è tuttavia anche puntualizzato che “In sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo al soggetto privato non è richiesto un impegno probatorio per dimostrare la colpa dell'Amministrazione, potendo egli limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto in ipotesi foriero di danno e dovendosi fare rinvio, al fine della prova dell'elemento soggettivo della responsabilità, alle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all'art. 2727, c.c., mentre spetta all'Amministrazione dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile” (Consiglio di Stato Sez. III, 1 aprile 2015 n. 1717).
Anche la Suprema Corte ha espresso tale ultimo avviso, avendo precisato che “Il privato, in sede di risarcimento del danno derivante da procedimento (o provvedimento) amministrativo illegittimo, può limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, perché resta a carico dell' amministrazione l'onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento“ (Cassazione civile sez. VI, 11 marzo 2015 n. 4903).
6. Ebbene, malgrado il delineato “affievolimento” dell’onere probatorio della colpa della p.a., stante la sufficienza del ricorso alle regole di comune esperienza e alle presunzioni semplici di cui all'art. 2727 c.c. (ma dovendosi comunque escludere cittadinanza in subiceta materia ad ipotesi di colpa presunta iuris et de iure in quanto derivante dalla stessa dichiarata illegittimità del provvedimento lesivo), nel caso di specie rileva il Collegio che è la stessa nettezza delle ragioni, in forza delle quali il Tribunale con la sentenza -OMISSIS-/2020 ha annullato i provvedimenti negativi emessi ai danni del ricorrente, a rendere evidente che l’illegittimità provvedimentale si è consumata in un quadro giurisprudenziale di assoluta chiarezza tale da sollevare il ricorrente da oneri probatori in punto di sussistenza del requisito della colpa.
6.1. Al riguardo, quanto, in primo luogo, alla giuridica possibilità del ricorrente, promissario acquirente, di chiedere il permesso di costruire – sia esso in via ordinaria o di accertamento di conformità ex art. 36, d.P.R. n. 380/2001 – segnala infatti il Collegio che anche antecedentemente alla giurisprudenza richiamata dalla Sezione nella Sentenza -OMISSIS-/2020, la legittimazione a richiedere il rilascio del permesso di costruire, ossia il possesso del titolo di cui all’art. 11, d.P.R. n. 380/2001, era riconosciuta già da risalente giurisprudenza, oltre che al titolare di un diritto reale sull’immobile, anche al titolare di un diritto di obbligazione che lo abiliti all’esecuzione dei lavori.
Si era sul punto chiarito che il titolo in parola è “da riconoscere a chiunque abbia, in virtù di un diritto reale o di obbligazione sull'immobile, la facoltà di eseguire i lavori in progetto” (T.A.R. Emilia Romagna - Parma, 21 febbraio 2007, n. 53). Il titolo di cui all’art. 11, d.P.R. n. 380/2001 era quindi da riconoscere al “titolare di un diritto reale ovvero un diritto obbligatorio che accordi al richiedente la disponibilità del suolo e la potestà edificatoria”, condivisibilmente escludendosi attitudine legittimante solo al mero possesso, quantunque titolato, poiché “ una semplice relazione di fatto, ancorché tutelata, quale quella legata al mero possesso dell'area, non è idonea a conferire il diritto ad ottenere il rilascio del titolo concessorio” (T.A.R. Basilicata, 10 aprile 2006, n. 238).
La cennata opzione interpretativa era stata già espressa dal Giudice d’appello, secondo cui “La concessione edilizia è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla ovvero a chi abbia un titolo fondato su un diritto reale, anche di servitù, o almeno su un diritto obbligatorio, che accordi al richiedente la disponibilità del bene e la potestà edificatoria, mentre una semplice relazione di fatto, ancorché tutelata, quale quella legata al mero possesso, non appare tale da conferire il diritto a vedersi rilasciato il titolo concessorio o autorizzatorio” (Consiglio Stato, sez. V,28 maggio 2001, n. 2882).
Al ricordato orientamento già bastevole, pur nella sua genericità prescindente da espresso consenso del promissario alienante, a giudicare illegittimo il diniego dell’istanza di permesso di accertamento di conformità va poi sommato quello più specifico, relativo alle ipotesi in cui il contratto preliminare rechi il consenso del promissario alienante ad eseguire lavori edilizi, orientamento richiamato con la Sentenza -OMISSIS-/2020, a stare al quale:
- “legittimati all'istanza di concessione edilizia sono i detentori di un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria, pertanto all'istanza suddetta può provvedere anche il promissario acquirente, a condizione che il preliminare contenga il consenso del proprietario in ordine all'effettuazione dei lavori edili” (cfr. T.A.R. Sardegna - Cagliari, sez. II, 11 maggio 2017, n. 332;Consiglio di Stato, n. 1947/2005;n. 144/2010;n. 4818/2014);
-“ è legittimato alla richiesta del titolo edilizio il promissario acquirente, sul presupposto che la possibilità di ottenere il trasferimento coattivo ai sensi dell'art. 2932 c.c. rende sufficientemente certa l'amministrazione circa l'identità del richiedente con l'avente titolo all'effettuazione dei lavori” (T.A.R. Liguria - Genova, sez. I, 20 aprile 2016, n. 391)” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, -OMISSIS-/2020, pag. 7).
La disponibilità del bene oggetto dei previsti lavori e la facoltà edificatoria nel caso di specie erano chiaramente accordate al ricorrente dal promissario alienante con il contratto preliminare di compravendita versato in atti e già prodotto dal sig. -OMISSIS- al competente servizio comunale al momento dell’istanza di accertamento di conformità illegittimamente denegata.
7. Relativamente, poi, all’impossibilità, addotta dal resistente Comune con la nota prot. n. -OMISSIS- parimenti annullata, di rinunciare alla domanda di condono già pendente sullo stesso immobile, la Sezione con la sentenza di annullamento ne ha sancito l’illegittimità richiamando un indirizzo del giudice amministrativo anch’esso alquanto risalente, statuendo che: “Neppure è corretta la statuizione del Comune di Napoli nel senso della non rinunciabilità della domanda di sanatoria edilizia straordinaria (cd. condono edilizio): in assenza di una espressa previsione di legge diretta a regolare la fattispecie in parola, si è formato un indirizzo giurisprudenziale – a cui questo Collegio aderisce ritenendolo pienamente condivisibile – secondo il quale è ammissibile la rinuncia alla domanda di cd. condono edilizio, anche in forma implicita, allorquando l’interessato presenti, per la medesima opera abusiva, domanda di rilascio di altro titolo abilitativo (come è accaduto, peraltro, nel caso di specie, cfr. TAR Napoli, II, 20/04/2016 n.1955;TAR Bologna, sez. I, 17/04/2014, n.433;TAR Firenze, sez. III, 21/12/2004 n.6520)” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, -OMISSIS-/2020, pag. 8).
In proposito, soggiunge il Collegio, deve ritenersi consustanziale alla stessa natura dell’istanza, quale di manifestazione di volontà pretensiva del privato che chieda il rilascio di un titolo abilitativo edilizio anche di sanatoria straordinaria, la facoltà di ritirare la relativa domanda fintanto che l’amministrazione preposta non l’abbia definita con provvedimento espresso.
8. Precisato quanto precede ai punti 4.2 – 6 della presente sentenza in punto di ricostruzione del diritto vivente formatosi sull’annosa tematica della responsabilità civile dell’Amministrazione per provvedimento illegittimo causativo di pregiudizio patrimoniale, ritiene il Collegio che, come sopra avvertito, la domanda risarcitoria all’esame si profila fondata e va conseguentemente accolta.
Parte ricorrente ha infatti fornito idonea prova sia del nesso causale tra i provvedimenti comunali, annullati con la Sentenza della Sezione -OMISSIS-/2020, di cui alla disposizione dirigenziale n. -OMISSIS-di diniego dell’istanza di accertamento di conformità ex art. 36, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e alla nota prot. n. -OMISSIS- di negativo riscontro alla pregressa domanda di condono pendente sull’immobile per cui è causa, sia del danno lamentato e relativo ammontare.
8.1. Con l’unico motivo di ricorso, dianzi sintetizzato relativamente all’argomentare giuridico, si allega inoltre quanto segue in ordine ai danni asseritamente patiti in derivazione dai citati provvedimenti annullati.
Nel contratto preliminare (all.23 del ricorso, atto notarile del 17 luglio 2019) si conveniva che il promissario acquirente – odierno ricorrente - potesse procedere, a propria cura e spese, prima della stipula dell’atto definitivo, a richiedere il cambio di destinazione d’uso sia del primo piano che delle aree del piano terra non concesse in usufrutto ai promissari acquirenti, con onere di realizzare anche i lavori propedeutici alla richiesta, da iniziare successivamente al 30 gennaio 2020 per il primo piano e al 30 aprile 2020 per il piano terra;all’art. 2, veniva stabilito a favore dei promissari venditori un indennizzo giornaliero variabile tra 80,00 e 160,00 euro, nel caso sorgessero nel corso dell’esecuzione imprevisti e/o impedimenti che ne ritardassero l’inizio e la realizzazione.
Essendo impossibilitato a dare inizio ai lavori concordati ed autorizzati dai promissari venditori nei tempi indicati, il ricorrente ha dovuto corrispondere, a decorrere dal 1.2.2020, tale descritta penale, cosicché nell’atto di compravendita stipulato il 13.7.2021 (all., all’art. 2, pagine 7 e 8), i venditori hanno imposto legittimamente il pagamento della descritta penale, prevedendo, quale condizione per la vendita, che “ la parte promissaria acquirente riconosce altresì alla parte promittente venditrice la complessiva somma di euro 24.000,00 quale pagamento della penale prevista all’art. 2 del citato contratto preliminare di vendita a mio rogito per il ritardo nel pagamento del saldo del prezzo causa il mancato rilascio del titolo abilitativo da parte del Comune di Napoli”.
8.2. A titolo di danno emergente, per effetto del comportamento colposo tenuto in specie dall’Amministrazione resistente, il ricorrente chiede il ristoro del pregiudizio economico patito, corrispondente al pagamento in favore dei venditori, per un ritardo imputabile esclusivamente all’Amministrazione, della somma di euro 24.000,00, producendo la ricevuta di pagamento dell’acconto di cui al bonifico di euro 20.000,00 (all. 7 produz. ricorr.) nonché (all.ti 8 e 9) una prima ed una seconda diffida dei promissari venditori.
Riscontra il Collegio i dati indicati dal ricorrente negli allegati citati, rilevando tuttavia che egli ha prodotto, quanto all’asserito pagamento della penale di 24.000 euro, solo la copia del bonifico del 14.6.2021 dell’importo di € 20.00,00, con causale “ versamento acconto, penale di 24.00 Euro ” (all 7 cit.).
Gli allegati 8 e 9 consistono, infatti, rispettivamente, unicamente nella prima diffida dei promissari alienanti recapitata a mano il 3.3.2020, con menzione dell’importo di 2.320,00 euro della penale in parola per il mese di febbraio, e in una seconda diffida, inoltrata con raccomandata del 6.12.2019, genericamente riferita alla penale giornaliera di 80 €.
Manca, dunque, la prova dell’avvenuto pagamento ai promissari venditori, del saldo della penale in questione, pari ai residui Euro 4.000,00, che pertanto non possono essere riconosciuti al ricorrente a titolo di risarcimento del danno per cui si procede, non essendo stata, peraltro, tale prova versata neanche negli allegati, successivamente enumerati, prodotti dal deducente.
8.3. Sempre in conseguenza del ritardo con cui l’Ente ha rilasciato il titolo edilizio richiesto, in tardiva ottemperanza alla sentenza di -OMISSIS-/2020, il sig. -OMISSIS- assume di aver subito quale ulteriore danno quello conseguente al ritardo con cui ha potuto stipulare il relativo contratto di mutuo per il finanziamento dell’acquisto dell’immobile;come si evince dal relativo contratto stipulato il 27.4.2021 (all. 10 produz. ricorr.), ossia in data appena successiva al rilascio del titolo edilizio, il ricorrente ha richiesto il finanziamento di una somma pari ad euro 190.000,00 (cfr. art. 1 contratto di mutuo), con un tasso di interesse annuo pari al 2,010%.
Riscontra il Collegio i dati indicati dal ricorrente nel testo dell’art. 4 dell’allegato contratto di mutuo, ove si precisa anche una corrispondente somma da restituire (in 240 rate) pari ad euro 230.899,20, mediante pagamento di 240 rate consecutive di € 902,08 (cfr. art. 4 contratto di mutuo).
Il ricorrente deduce sul punto che qualora, invece, avesse ricevuto il titolo edilizio ad aprile del 2020, nei tempi ordinari e senza l’emanazione degli atti poi annullati con la ridetta sentenza della Sezione -OMISSIS-/2020, il mutuo, a parità di somma finanziata, sarebbe stato contratto all’ interesse annuo pari all’1%, con una rata mensile di euro 873,00;la quale, moltiplicata per 240 rate, avrebbe prodotto un costo totale di euro 209.520,00, conseguendone un danno patrimoniale per differenza pari ad euro 21.379,20.
8.4. Sul punto il Collegio rileva che dal piano di ammortamento del mutuo (all. 11 del ricorso) emerge un importo complessivo di esso pari ad euro 231.302,55.
Orbene, l’allegazione del ricorrente, secondo cui, al netto del ritardo nel rilascio del titolo edilizio, il mutuo de quo sarebbe stato stipulato al tasso del 1% annuo (con una rata mensile di euro 873,00 che moltiplicata per 240 rate avrebbe prodotto un costo totale di euro 209.520,00 conseguendone un danno patrimoniale per differenza di euro 21.379,20: 230.899,20 - 209.520,00), non è contestata dal Comune di Napoli nella memoria del 13 settembre 2023. Ragion per cui tale affermazione è da ritenersi pacifica a mente dell’art. 64, co. 2, c.p.a a termini del quale “il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite”.
9. Conclusivamente, sempre a titolo di danno emergente, il ricorrente rivendica il ristoro delle maggiori somme sborsate per conto dei promissari venditori a titolo di IMU sull’immobile assumendo che se il Comune di Napoli avesse rilasciato il titolo edilizio nei tempi ordinari previsti dalla vigente normativa, dunque agli inizi del 2020, avrebbe potuto eseguire il cambio di destinazione d’uso dell’immobile de quo ad abitativo, secondo il titolo poi rilasciato solo ad aprile 2021, addivenendo alla stipula del contratto di compravendita dei due appartamenti, destinati rispettivamente a prima casa del sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, il primo, e della sig.ra -OMISSIS- il secondo (art. 2 del contratto) agli inizi del 2020. Conseguentemente non sarebbe stato tenuto al pagamento dell’IMU, non dovuta sulle cd. prime case e relative pertinenze.
9.1. Riscontra in atti il Collegio, sopperendo all’imprecisa specificazione del ricorrente, l’atto di compravendita di unità immobiliare sita in Via -OMISSIS-in Napoli, stipulato dal ricorrente con gli allora promissari alienanti il 13 luglio 2021, rep. -OMISSIS- (all. 6 del ricorso), al cui art. 2 è precisata la consistenza del cespite e contemplata la vendita in piena proprietà, alla lett. A), di un appartamento composto da 9 vani catastali a favore del sig. -OMISSIS- e, alla lett. D), di un appartamento a favore della signora -OMISSIS-.
Quanto al collegamento di tali immobili con il titolo edilizio illegittimamente denegato e concesso al ricorrente solo ad aprile 2021, all’art. 7 del rogito definitivo in disamina è menzionato il permesso di costruire n. -OMISSIS-rilasciato il -OMISSIS- “mercé il quale l’originario fabbricato costituente un unico immobile di categoria catastale D7 è stato frazionato con contestuale cambio di destinazione d’uso”.
9.2. In proposito deduce il ricorrente che, come si evince dalle accluse ricevute degli F24 pagati per conto degli alienanti tra il 5.7.2020 e il 10.1.2021, egli ha versato a titolo di IMU per locali ad uso diverso dall’abitazione, la somma complessiva di euro 11.178,29.
Anche a tal riguardo il Collegio riscontra la fondatezza in fatto degli assunti del deducente, constando agli allegati 12 – 20 della sua produzione, quietanze di versamento a mezzo mod. F24 dell’IMU in a parola;risultano altresì ricevute di “pagamento delega F24 via Internet Banking” a tutto il 10 gennaio 2021 (all. 21) per un complessivo ammontare apparentemente addirittura superiore ad euro 11.178,29, ma non è specificato quali tra le predette deleghe F24 non afferiscono all’IMU in questione pagata per conto degli alienanti.
10. Conclusivamente, in conseguenza di tutte le illustrate voci di danno, il ricorrente chiede la condanna del Comune di Napoli, a titolo di risarcimento del danno, al pagamento della somma complessiva di euro 56.557,49 (ovverosia: euro 24.000,00 per la penale pagata ai promissari alienanti;euro 21.379,20 per il maggior costo del contratto di mutuo ed euro 11.178,29 per l’IMU versata per contro dei primi), oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge.
10.1. Orbene, in definitiva, sulla scorta di tutte le considerazioni in diritto finora svolte e dei riscontri in punto documentale effettuati, il Collegio giudica fondato il ricorso e quindi meritevole di accoglimento la spiegata domanda di risarcimento del danno patito per effetto dei provvedimenti comunali annullati alla Sezione con la sentenza -OMISSIS-, con conseguente condanna del Comune di Napoli a corrispondere al ricorrente la somma di € 52.557,49 (stante la mancata prova, sopra rilevata, del pagamento ai promissari venditori del saldo della penale, pari ad € 4.000,00) oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge.
Le spese seguono la soccombenza come liquidate in dispositivo, con attribuzione a favore dei procuratori del ricorrente dichiaratisi antistatari.