TAR Palermo, sez. I, sentenza 2024-02-28, n. 202400798

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. I, sentenza 2024-02-28, n. 202400798
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202400798
Data del deposito : 28 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/02/2024

N. 00798/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01272/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1272 del 2020, proposto da-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Università degli Studi di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati P D, A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

- del decreto del Rettore n. -OMISSIS- con cui l'Università degli Studi di Palermo ha irrogato al ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dall'ufficio e dalla retribuzione per un periodo di tre (3) mesi;

- dell'atto dirigenziale n. -OMISSIS- con cui l'Università degli Studi di Palermo ha comunicato al ricorrente la sanzione della sospensione dall'ufficio e dalla retribuzione per un periodo di tre (3) mesi a decorrere dal -OMISSIS- irrogata con D.R. n. -OMISSIS-”;

“- dell'atto dirigenziale del -OMISSIS- con cui dell'Università degli Studi di Palermo, ad integrazione dell'atto dirigenziale n. -OMISSIS-, ha disposto la corresponsione al ricorrente, durante il periodo di sospensione dal servizio, dell'assegno alimentare nella misura del 50% dello stipendio, oltre gli assegni per carichi familiari;

- della delibera n. -OMISSIS- del Consiglio di Amministrazione che, in conformità al parere espresso dal Collegio di Disciplina, ha inflitto al ricorrente la sanzione della sospensione dall'ufficio e dalla retribuzione per un periodo di tre (3) mesi;

- del verbale del -OMISSIS-del Collegio di Disciplina, con cui è stata proposta l'irrogazione della sanzione della sospensione dall'ufficio e dalla retribuzione per un periodo di tre (3) mesi, in relazione ai fatti addebitati al ricorrente;

- nonché degli atti presupposti, connessi e conseguenti;

per l'accertamento

- del diritto del ricorrente alla reintegrazione nel servizio, al riconoscimento dell'anzianità di servizio per tutto il tempo di durata della sanzione ed al pagamento degli emolumenti retributivi nella misura intera;
nonché per la condanna dell'Università degli Studi di Palermo al relativo pagamento, con rivalutazione monetaria e interessi legali;

- del diritto del ricorrente al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa;
nonché per la condanna dell'Università degli Studi di Palermo al relativo pagamento, con rivalutazione monetaria e interessi legali”.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Universita' degli Studi di Palermo;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 14 febbraio 2024 svoltasi con modalità di cui all’art. art. 87 comma 4-bis del c.p.a. il dott. P S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Il ricorrente ha impugnato, unitamente agli atti presupposti indicati in epigrafe, il decreto del Rettore dell'Università degli Studi di Palermo n. -OMISSIS-, con il quale gli è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dalla retribuzione per un periodo di tre (3) mesi, avendo omesso di dichiarare, all’atto dell’assunzione nella qualifica di professore ordinario presso l’Ateneo, la sussistenza di procedimenti penali pendenti a suo carico, dei quali l’Università di Palermo ha avuto contezza successivamente, in data -OMISSIS-, per il tramite della Procura della Repubblica presso Tribunale di Catania.

2. – Le dedotte ragioni di illegittimità degli atti impugnati sono affidate, nel ricorso, in sintesi, ai motivi che seguono:

“1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 88 e ss. r.d. 31/08/1933 n. 1592 e dell’art. 10 legge 30/12/2010 n. 240 ”, posto che l’Amministrazione non avrebbe potuto muovere alcuna contestazione in ordine alla dichiarazione presentata dal ricorrente in data -OMISSIS- per l’assunzione al ruolo di professore ordinario in quanto, in quel momento, non si sarebbe instaurato alcun rapporto di lavoro subordinato e, pertanto, il fatto assunto a presupposto della contestazione degli addebiti non rientrerebbe in alcuno dei comportamenti tassativamente previsti ai fini disciplinari.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 89 r.d. 31/08/1933 n. 1592, dell’art. 10 legge 30/12/2010 n. 240 e dell’art. 24 dello Statuto dell’Università degli Studi di Palermo – Violazione del principio di immediatezza della contestazione ”, in quanto l’Università resistente avrebbe dovuto contestare gli addebiti entro il termine di trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti.

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 legge 30/12/2010 n. 240 – Violazione del procedimento per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari ai docenti universitari ”, sul rilievo che la sanzione disciplinare avrebbe dovuto essere irrogata dal Consiglio di Amministrazione anziché dal Rettore con decreto, come in tesi avvenuto.

“4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 legge 30/12/2010 n. 240 e dell’art. 24 dello Statuto dell’Università degli Studi di Palermo – Estinzione del procedimento disciplinare ”, in quanto la sanzione disciplinare sarebbe stata adottata successivamente al decorso del termine perentorio di 180 giorni dalla data della contestazione degli addebiti (prot. n. -OMISSIS-).

5) Violazione e falsa applicazione dell’art. 89 r.d. 31/08/1933 n. 1592 e dell’art. 10 legge 30/12/2010 n. 240 – Violazione del principio di tipicità dei comportamenti disciplinarmente rilevanti per i docenti universitari ”, giacché il comportamento contestato dall’Amministrazione non poteva essere sanzionato sotto il profilo disciplinare siccome inidoneo a integrare alcuna delle fattispecie previste dall’art. 89 del R.D. n. 1592/1933.

6) Violazione e falsa applicazione degli artt. 38, 46, 47 e 76 d.p.r. 20/12/2000 n. 445 e dell’art. 15 legge 15/05/1997 n. 59 – Eccesso di potere per carenza dei presupposti e travisamento dei fatti ”, in quanto la contestazione sarebbe stata mossa sull’erroneo presupposto della falsa autocertificazione presentata dal ricorrente, mentre la dichiarazione non potrebbe essere parificata ad una resa dinnanzi ad un pubblico ufficiale, essendo incompleta ed inidonea a produrre gli effetti sostitutivi della certificazione.

“7) Violazione e falsa applicazione degli artt. 87 e ss. r.d. 31/08/1933 n. 1592 – violazione dei principi in tema di sanzioni disciplinari – eccesso di potere per carenza dei presupposti e travisamento dei fatti ”, considerato che, nel compilare il questionario sottoposto con format , il ricorrente avrebbe commesso solo degli errori, omettendo di “ spuntare ” delle voci della dichiarazione senza, tuttavia, alcun intento fraudolento, con conseguente sproporzione della sanzione.

3. – Si è costituita in resistenza l’Università degli Studi di Palermo, svolgendo ampie controdeduzioni a sostegno della legittimità degli atti impugnati e concludendo per la reiezione del gravame perché infondato.

4. – All’udienza pubblica di smaltimento del 14/2/2024, in vista della quale le parti hanno depositato memorie e documenti, ciascuna insistendo per l’accoglimento delle domande per come rispettivamente articolate, la controversia è stata trattenuta in decisione.

5. – Il ricorso è infondato e va respinto.

6. – Il motivo sub I non merita condivisione, in primis perché la contestata sanzione disciplinare è rivolta a un soggetto che, al momento in cui è irrogata, riveste la qualità di dipendente, quindi trova fondamento nell’instaurato rapporto di impiego (come peraltro reso palese dalla sanzione della “ sospensione dall’ufficio e dalla retribuzione ”);
inoltre, la tesi del ricorrente secondo cui “ il comportamento rilevante in sede disciplinare ” è necessariamente successivo “ all’assunzione in ruolo del dipendente ” è contrastata da plurimi indici normativi, dai quali si ricava, di contro, l’importanza che l’ordinamento attribuisce al contegno assunto in sede di accesso al pubblico impiego (si v. ad es. l’art. 55 quater, d.lgs. n. 165/2001, a mente del quale “ Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi: […] d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera; l’art. 127 lett. d) d.P.R. n. 3/1957, che prevede vi sia decadenza dall’impiego “ quando sia accertato che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile ”;
l’art. 75, d.P.R. n. 445/2000 che prevede che, rispetto alle dichiarazioni sostitutive, la “ non veridicità del contenuto ” comporti le decadenze ivi stabilite).

Il motivo, dunque, va disatteso.

7. – Neppure possono accogliersi i motivi ( sub II e IV) incentrati sulla violazione dei termini di inizio (30 gg.) e conclusione (180 gg.) del procedimento disciplinare (art 10, c.2 e 5, L. n. 240/2010).

7.1. – Il dedotto “ sforamento ” del termine di 180 gg. (dalla contestazione degli addebiti del 9/1 e del -OMISSIS-) non considera la sospensione dei termini procedimentali (dal -OMISSIS-) disposta dalla normativa emergenziale pandemica e, quindi, non coglie nel segno, rivelandosi insussistente (posto che la delibera del C.d.A. dell’Università è datata 27/7/2020 e il provvedimento del Rettore di applicazione della sanzione è datato -OMISSIS- e, di conseguenza, risultano tempestivamente adottati).

7.2. – La censura sub II neppure merita adesione, e ciò anche a prescindere dalla qualificazione della natura del termine ex art. 10, comma 2, L. n. 240/2010 come perentorio ovvero, secondo la tesi che appare preferibile, ordinatorio (in tal senso, ad es., T.A.R. Roma, sez. III, 13/12/2021, n.12845, che considera perentorio solo il termine previsto per la conclusione del procedimento, specificamente individuato dal comma 5 del cit . art. 10, l. n. 240/2010;
in senso diverso T.A.R. Bari, sez. II, 07/07/2021, n.1142).

7.2.1. – Deve darsi seguito al principio generale seguito dalla giurisprudenza amministrativa in tema di addebiti disciplinari, e cioè che “ la formulazione dell’avviso di avvio procedimentale può richiedere integrazioni successive dopo la prima notizia, al fine di pervenire alla redazione del medesimo avviso in termini il più possibile articolati, con un sufficiente grado di completezza, chiarezza e coerenza. Solo dal momento della chiara e precisa conoscenza dei fatti posti alla base dell’addebito è infatti possibile far decorrere il termine previsto di 30 giorni, perché, altrimenti, sarebbe impossibile apprezzare compiutamente i fatti e quindi l’opportunità di dar avvio o meno al procedimento disciplinare ” (Cons. Stato, Sez. VII, 15/1/2024, n. 516).

7.2.2. – Nel caso di specie la conclusione dell’attività istruttoria si è cristallizzata alla data della trasmissione del dispositivo della sentenza di condanna del Tribunale di -OMISSIS-, avvenuto il -OMISSIS-, a cui ha fatto seguito l’avvio del primo procedimento disciplinare e la contestazione, tempestiva, di addebiti, effettuata con nota rettorale n. -OMISSIS-, per ragioni strettamente attinenti ai fatti oggetto della condanna;
gli esiti degli accertamenti e dei controlli ulteriormente indotti da quanto sino ad allora emerso sono confluiti, poi, in una nuova contestazione originata dalle incomplete dichiarazioni rese dal ricorrente, portando all’avvio di un secondo procedimento disciplinare (nota prot. n.-OMISSIS-).

Il termine di 30 gg., considerato il dies a quo del -OMISSIS-, risulta, dunque, rispettato, con conseguente infondatezza della doglianza sub II, che va disattesa.

8. – Quanto ai motivi sub III e V, essi sono smentiti per tabulas .

8.1. – È sufficiente osservare, per un verso, che è proprio dal decreto del Rettore del -OMISSIS- che si ricava che la sanzione è stata irrogata dal C.d.A. dell’Ateneo con delibera n. -OMISSIS- (e non dal Rettore), in conformità al parere espresso dal Collegio di Disciplina nella seduta del -OMISSIS-(“ la delibera n. 717 […] con la quale il Consiglio di Amministrazione […] in conformità al parere espresso dal Collegio di Disciplina, ha inflitto al Prof.-OMISSIS- la sanzione della sospensione dall’ufficio e dalla retribuzione per un periodo pari a tre (3) mesi ”);
dall’altro che, diversamente da quanto dedotto in ricorso, nel parere espresso dal Collegio di Disciplina la condotta del ricorrente è ricondotta, legittimamente, alla fattispecie censita dall’art. 89, comma 1, lett. d , regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, restando così inquadrata tra gli “ atti in genere, che comunque ledano la dignità o l'onore del professore ”, con conseguente infondatezza anche del motivo sub V.

9. – Nella doglianza sub VI il ricorrente indugia su aspetti eminentemente formali, non dirimenti ai fini del decidere (in particolare la possibilità di qualificare auto-certificazione ex art. 76 D.P.R. n. 445/2000 la dichiarazione, sprovvista dell’allegazione del documento di identità, prodotta al momento dell’assunzione, nella quale non si fa menzione di carichi pendenti, a ragione ritenuta gravemente omissiva dall’Amministrazione nelle contestazioni del -OMISSIS-) e, comunque, privi di fondamento a fronte del dato sostanziale che, nell’esercizio delle prerogative riconosciute dalla legge e dallo statuto, l’organo disciplinare ha accertato la rilevanza disciplinare della condotta posta in essere dal ricorrente ascrivendola, del tutto legittimamente, come detto, entro l’ipotesi dell’illecito disciplinare previsto dall’art. 89, comma 1, lett. d), R.D. n. 1592/1933.

10. – Non può trovare accoglimento, da ultimo, il motivo di ricorso sub VII, con il quale il ricorrente assume di non meritare alcuna sanzione, avendo agito senza intento fraudolento e avendo errato solo per disattenzione, come comprovato, per un verso, dalla domanda di partecipazione al concorso, nella quale ha puntualmente dichiarato i carichi pendenti e, per altro verso, dall’essersi verificato, all’atto dell’assunzione, un mero disguido nella compilazione di un format predisposto dall’amministrazione che richiedeva una “ spunta ” (per le ipotesi di condanne penali e di pendenza di procedimenti penali), nel caso di specie erroneamente omessa.

10.1. – La censura, che sembra assumere a suo presupposto una sorta di “ buona fede ” del ricorrente (o di scusabilità della condotta), non appare persuasiva e va rigettata, in primo luogo perché smentita dal dato fattuale, dal quale emerge, al contrario, non soltanto che la dichiarazione sostitutiva prodotta al momento dell’assunzione ometteva ogni informazione circa i carichi pendenti ma, a monte, che già la dichiarazione resa in allegato alla domanda di partecipazione al concorso risultava parziale e imprecisa, limitandosi a indicare solo uno dei due reati in contestazione (l’abuso di ufficio), senza alcun riferimento alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 443 c.p. rubricata “ commercio o somministrazione di medicinali guasti ”;
in secondo luogo, poi, perché trova applicazione il principio generale di auto-responsabilità, in forza del quale ciascuno sopporta le conseguenze di eventuali errori commessi nella presentazione della documentazione e/o nelle dichiarazioni rese nell’ambito di procedure selettive di carattere pubblico.

11. – Da quanto sinteticamente osservato deriva, in conclusione, che il ricorso è infondato e, di conseguenza, merita di essere respinto.

12. – Le spese, come per legge, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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