TAR Venezia, sez. I, sentenza 2018-04-05, n. 201800363

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2018-04-05, n. 201800363
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201800363
Data del deposito : 5 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/04/2018

N. 00363/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01384/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1384 del 2017, proposto dalla
P S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. O M, rappresentata e difesa dagli avv.ti V D, G Z e F Z e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Venezia-Mestre, via Cavallotti, n. 22

contro

Comuni di Cimadolmo, Fossalta di Piave, Gorgo al Monticano, Meduna di Livenza, Ponte di Piave, Sgareda, San Polo di Piave, Zenson di Piave, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti D A, G B e M R e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima, in Venezia-Mestre, v.le Ancona, n. 17
Comuni di Altivole, Crocetta del Montello, Motta di Livenza, Paese, Portobuffolè e Torre di Mosto, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Francesco Volpe e con domicilio stabilito al seguente indirizzo di P.E.C.: francesco.volpe@ordineavvocatiPadova.it
Comune di Cappella Maggiore, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Pierpaolo Agostinelli e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Filippo Cazzagon, in Venezia-Mestre, p.zza Ferretto, n. 84
Comuni di Cordignano, Godega di Sant’Urbano, Maserada sul Piave, Miane, Moriago della Battaglia, Orsago, San Fior, Sernaglia della Battaglia, Tarzo, Vidor, Cavaso del Tomba, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Alessandro Lolli e M R e con domicilio eletto presso lo studio della seconda, in Venezia-Mestre, v.le Ancona, n. 17

nei confronti

Asco TLC S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, dr. Stefano Faè, rappresentata e difeso dall’avv. Enrico Vedova e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Venezia-Mestre, Galleria Matteotti, n. 3
Asco Holding S.p.A., non costituita in giudizio
Ascopiave S.p.A., non costituita in giudizio
Bluenergy Group S.p.A., non costituita in giudizio

per l’annullamento,

previa sospensione dell’esecuzione,

dei seguenti provvedimenti di revisione straordinaria delle partecipazioni pubbliche ex art. 24 del d.lgs. n. 175/2016:

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Altivole n. 24 del 28 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Cappella Maggiore n. 33 del 29 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Cavaso del Tomba n. 26 del 29 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Cimadolmo n. 25 del 28 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Cordignano n. 22 del 26 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Crocetta del Montello n. 45 del 29 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Fossalta di Piave n. 29 del 27 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Godega di Sant’Urbano n. 33 del 30 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Gorgo al Monticano n. 34 del 28 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Maserada sul Piave n. 30 del 30 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Meduna di Livenza n. 21 del 27 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Miane n. 32 del 28 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Moriago della Battaglia n. 18 del 27 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Motta di Livenza n. 14 del 29 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Orsago n. 30 del 26 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Paese n. 41 del 29 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Ponte di Piave n. 25 del 26 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Portobuffolè n. 26 del 20 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Sgareda n. 16 del 28 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di San Fior n. 35 del 25 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di San Polo di Piave n. 25 del 26 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Sernaglia della Battaglia n. 30 del 27 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Tarzo n. 45 del 28 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Torre di Mosto n. 40 del 25 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Vidor n. 19 del 29 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- della deliberazione del Consiglio Comunale di Zenson di Piave n. 36 del 29 settembre 2017 e dei relativi allegati;

- di ogni altro atto comunque connesso per presupposizione e/o consequenzialità

e per l’accertamento

del mancato assolvimento da parte delle Amministrazioni degli obblighi posti dall’art. 24 del d.lgs. n. 175/2016 entro il termine del 30 settembre 2017 ivi previsto, e della conseguente impossibilità di esercizio dei diritti sociali nei confronti della società

nonché per l’accertamento

della nullità e/o inefficacia degli atti di fusione nel frattempo posti in essere da Asco Holding S.p.A. e Asco TLC S.p.A..


Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati, presentata in via incidentale dalla società ricorrente;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei Comuni di Altivole, Cappella Maggiore, Cavaso del Tomba, Cimadolmo, Cordignano, Crocetta del Montello, Fossalta di Piave, Godega di Sant’Urbano, Gorgo al Monticano, Maserada sul Piave, Meduna di Livenza, Miane, Moriago della Battaglia, Motta di Livenza, Orsago, Paese, Ponte di Piave, Portobuffolè, Sgareda, San Fior, San Polo di Piave, Sernaglia della Battaglia, Tarzo, Torre di Mosto, Vidor e Zenson di Piave;

Visto, altresì, l’atto di costituzione in giudizio di Asco TLC S.p.A.;

Viste le memorie e la documentazione dei Comuni resistenti;

Vista la dichiarazione di rinuncia all’istanza cautelare depositata dalla ricorrente e ribadita in forma orale in Camera di consiglio;

Vista l’ordinanza n. 641/2017 del 21 dicembre 2017, recante presa d’atto della rinuncia da parte della ricorrente all’istanza cautelare da essa proposta;

Viste le ulteriori memorie, documentazione e repliche depositate dalle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 119 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.p.a.);

Nominato relatore nell’udienza pubblica del 7 marzo 2018 il dott. P D B:

Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue


FATTO

L’odierna ricorrente, P S.r.l. (“P”), espone di essere socio (con una partecipazione pari all’8,61% del capitale sociale) di Asco Holding S.p.A., società holding al cui capitale partecipano un altro socio privato (Bluenergy Group S.p.A.) e ben novantuno Comuni, i quali detengono ognuno partecipazioni di limitata consistenza, che vanno da un minimo dello 0,05% del predetto capitale ad un massimo del 2,74%, detenuto dal Comune di Conegliano Veneto.

Nella ricostruzione dell’esponente, Asco Holding S.p.A. nasce dalla “metanizzazione” dei Comuni facenti parte del Consorzio obbligatorio del Bacino Imbrifero Montano del Piave, istituito nel 1955 per l’impiego dei sovra-canoni delle derivazioni elettriche finalizzati al riequilibrio economico del territorio. Tale metanizzazione, estesa ai Comuni limitrofi, ha determinato dapprima lo scorporo delle attività di gestione delle reti e la loro attribuzione ad un nuovo soggetto, denominato Azienda Speciale Consorziale del Piave (A.S.CO. Piave), istituito dai Comuni interessati. A seguito della riforma del settore operata dal d.lgs. n. 164/2000, vi è stata la trasformazione di A.S.CO. Piave in una società per azioni, con la denominazione di Ascopiave S.p.A. e, poi, di Asco Holding S.p.A..

L’ambito di attività di Asco Holding S.p.A. si è andato via via estendendo rispetto a quello originario di realizzazione e di gestione delle reti di distribuzione del gas metano dei Comuni consorziati: ciò, tenuto conto che il principio stabilito dal d.lgs. n. 164/2000, di separazione tra la gestione esclusiva delle reti distributive e l’apertura al mercato dell’attività di vendita del gas, ha indotto la costituzione di una serie di società controllate “di scopo”.

In particolare, Asco Holding S.p.A. controlla, per quanto di interesse, Asco Piave S.p.A. (quotata in borsa), la quale si occupa di energia ed a sua volta controlla le società che distribuiscono il gas (AP Reti) e la società che svolge attività di fornitura di energia (Asco Trade).

La “holding” controlla, altresì, Asco TLC S.p.A., società attiva nel settore delle telecomunicazioni e che si occupa sia di infrastrutturazioni, con posa di cavi di telecomunicazioni e realizzazioni di nodi di rete, sia della vendita di servizi di telefonia e telematici di vario genere (dalla videosorveglianza al “backup service”, dai servizi di posta elettronica a quelli di “fonia VOIP”, ecc.).

Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 175/2016 (cd. decreto Madia) è sorto il problema, per i Comuni soci della “holding”, di verificare la compatibilità della loro partecipazione societaria con i principi introdotti dal suddetto decreto, improntati – osserva l’esponente – a) alla rigorosa rispondenza delle partecipazioni societarie delle P.A. alle finalità istituzionali di queste, b) all’obbligo di dismissione delle partecipazioni non riconducibili alle riferite finalità.

Il d.lgs. n. 175 cit. ha imposto in particolare, all’art. 24, che le partecipazioni detenute direttamente o indirettamente dalle Amministrazioni in società non riconducibili nelle categorie di cui all’art. 4 (id est.: le partecipazioni che possono essere acquisite o mantenute), o che non soddisfano i requisiti di cui all’art. 5, commi 1 e 2 (riguardanti la motivazione analitica dell’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica), o ancora che ricadono in una delle ipotesi di cui all’art. 20, comma 2 (id est: le ipotesi che impongono l’adozione di un piano di riassetto delle società partecipate, per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione), devono essere alienate, o formare oggetto delle misure di riassetto/razionalizzazione previste dal medesimo art. 20. A tal fine, l’art. 24 impone agli Enti locali di effettuare entro il 30 settembre 2017, “con provvedimento motivato”, la ricognizione delle partecipazioni detenute, individuando quelle da alienare e l’alienazione deve avvenire – precisa il comma 4 dell’art. 24 – entro un anno dalla conclusione della ricognizione.

Ad avviso dell’esponente, le partecipazioni degli Enti locali in Asco Holding S.p.A. non sarebbero compatibili con i limiti fissati dal cd. decreto Madia, sotto due profili: a) quello generale e assorbente di non essere partecipazioni finalizzate all’espletamento di un servizio di interesse generale correlato al perseguimento di finalità istituzionali degli Enti (v. art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 175/2016, in correlazione al precedente art. 2, comma 1, lett. h) del decreto);
b) quello, più specifico, dell’assenza di dipendenti in capo ad Asco Holding S.p.A., a fronte della presenza di n. 5 amministratori (v. art. 20, comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 175 cit.).

Alla luce di ciò, P ha notificato agli Enti locali soci una missiva con cui ha prospettato, quale unica alternativa all’alienazione delle partecipazioni di detti Enti, la fusione di Asco Holding S.p.A. con la controllata Ascopiave S.p.A.: essendo questa, infatti, quotata in borsa, la fusione – sostiene la ricorrente – consentirebbe di sottrarre le partecipazioni alla disciplina del d.lgs. n. 175/2016, in virtù della specifica esclusione delle società quotate posta dall’art. 1, comma 5, e dall’art. 26, comma 4, del ridetto decreto legislativo.

I Comuni qui intimati (Altivole, Cappella Maggiore, Cavaso del Tomba, Cimadolmo, Cordignano, Crocetta del Montello, Fossalta di Piave, Godega di Sant’Urbano, Gorgo al Monticano, Maserada sul Piave, Meduna di Livenza, Miane, Moriago della Battaglia, Motta di Livenza, Orsago, Paese, Ponte di Piave, Portobuffolè, Sgareda, San Fior, San Polo di Piave, Sernaglia della Battaglia, Tarzo, Torre di Mosto, Vidor e Zenson di Piave), tuttavia, hanno seguito – lamenta l’esponente – il suggerimento irrituale e anomalo della stessa Asco Holding S.p.A.: per l’effetto, essi hanno assunto le deliberazioni citate in epigrafe ed oggetto di impugnazione, con cui hanno ritenuto che le partecipazioni societarie assolvessero a finalità istituzionali e che l’assenza di dipendenti in Asco Holding S.p.A. fosse l’unico profilo ostativo al mantenimento delle partecipazioni stesse, individuando nell’incorporazione della controllata Asco TLC S.p.A. la misura di razionalizzazione ex art. 20 cit. idonea a superare il riferito profilo ostativo ed a consentire, così, di evitare l’alienazione delle quote.

Avverso le suddette deliberazioni comunali è quindi insorta la P, impugnandole con il ricorso indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento, previa tutela cautelare.

A supporto del gravame, la società ha dedotto i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 24 del d.lgs. n. 175/2016, nonché dell’art. 2, comma 1, lett. h), del medesimo d.lgs. n. 175/2016, in quanto le partecipazioni dei Comuni intimati in Asco Holding S.p.A. difetterebbero del vincolo funzionale del perseguimento delle finalità istituzionali ex art. 4 del d.lgs. n. 175/2016 e, di conseguenza, dovrebbero essere obbligatoriamente dismesse, ai sensi del successivo art. 24. Ciò varrebbe anzitutto per l’attività di distribuzione del gas naturale, trattandosi sì di servizio pubblico, ma che oggi non sarebbe più di competenza dei singoli Enti locali ed avrebbe carattere sovracomunale, e tenuto conto che il servizio di distribuzione svolto da Asco Holding S.p.A. tramite le sue controllate verrebbe effettuato anche in favore di Comuni diversi da quelli soci, i quali, anzi, sarebbero più numerosi degli Enti soci e ricompresi in ambiti territoriali diversi da quelli in cui sono inseriti i suddetti Enti soci. Varrebbe, poi, per l’attività di vendita del gas, considerata la natura prettamente commerciale di detta attività, nonché per i servizi di telecomunicazione svolti da Asco Holding S.p.a. per il tramite di Asco TLC S.p.A., trattandosi di prestazioni reperibili sul mercato ed eseguibili da una pluralità di operatori privati. In conclusione, le partecipazioni dei Comuni intimati alla società avrebbero soltanto scopo di lucro, al pari di ogni altra attività commerciale o industriale, e, quindi, non potrebbero essere mantenute, né potrebbe essere riconosciuto in capo ai soci pubblici alcun margine di valutazione discrezionale al riguardo;

2) eccesso di potere e violazione di legge per difetto di motivazione, difetto di istruttoria, eccesso di potere per sviamento, perché le deliberazioni gravate sarebbero inficiate dall’assenza di un’adeguata istruttoria e della necessaria motivazione, avendo giustificato il mantenimento delle partecipazioni in Asco Holding S.p.A. con formule stereotipate ed affermazioni apodittiche, inidonee a supportare le determinazioni assunte. Tali illegittimità costituirebbero, anzi, indici di sviamento, alla luce del fatto che i Comuni intimati, ignorando la missiva loro trasmessa da P, avrebbero pedissequamente recepito le indicazioni fornite dalla stessa Asco Holding S.p.A. e, così, si sarebbero adeguati ad una scelta di carattere politico operata al di fuori dell’Ente locale e rispondente alla sola sviata logica di mantenere una posizione di controllo e di potere (cioè proprio quella logica che il d.lgs. n. 175/2016 avrebbe inteso sradicare);

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4 e 24 del d.lgs. n. 175/2016 sotto diverso ed ulteriore profilo, eccesso di potere e violazione di legge per difetto di motivazione, nonché difetto di istruttoria ed eccesso di potere per sviamento sotto diverso profilo, poiché la frammentazione che caratterizza le partecipazioni dei Comuni in Asco Holding S.p.A., in assenza di convenzioni, patti parasociali o di sindacato idonei a garantire il controllo congiunto dei soci pubblici, sarebbe un ulteriore elemento che avrebbe dovuto indurre i Comuni a prendere atto dell’impossibilità di qualificare le menzionate partecipazioni come necessarie per perseguire i propri fini. Nel caso di specie, infatti, i Comuni sono possessori, in misura polverizzata, di azione ordinarie, che non garantirebbero loro, neppure in via indiretta, l’effettiva partecipazione all’elezione dei rappresentanti del Consiglio d’amministrazione ed alle decisioni strategiche della società;

4) eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, sviamento, violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 24, comma 1, e 20, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 175/2016, poiché la scelta operata di fondere per incorporazione la controllata Asco TLC S.p.A. sarebbe del tutto inidonea allo scopo del mantenimento delle partecipazioni, essendo mirata solo a far transitare i dipendenti di Asco TLC S.p.A. nella “holding”, senza finalità industriali ed in assenza di un piano di razionalizzazione. Le deliberazioni gravate non conterrebbero in realtà alcuna misura di razionalizzazione, visto che, oltretutto, la fusione dovrebbe essere deliberata dalle società interessate (soggetti terzi ed autonomi rispetto ai Comuni);

5) violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 5, 7 e 8 del d.lgs. n. 175/2016, difetto di istruttoria, eccesso di potere e violazione di legge (art. 5 del d.lgs. n. 175 cit.) per difetto di motivazione, eccesso di potere per illogicità manifesta, poiché qualora – come imposto dalla normativa – i Comuni avessero proceduto previamente alla verifica della sussistenza delle condizioni di cui all’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016 in capo ad Asco TLC S.p.A., sarebbe risultata immediatamente la mancanza delle condizioni giustificative di una partecipazione degli Enti locali in quest’ultima: ed infatti, i servizi di telecomunicazioni prestati dalla società non sarebbero riferibili ad alcun fine istituzionale dei Comuni e non vi sarebbe alcuna prova della necessità della partecipazione per conseguire il fine istituzionale, al quale la partecipazione stessa è collegata. Mancherebbe, inoltre, la motivazione analitica imposta dall’art. 5 del d.lgs. n. 175/2016. Ancora, sarebbe illogica la scelta della fusione della “holding” con Asco TLC S.p.A., anziché con la controllata e quotata Ascopiave S.p.A., visto che nelle deliberazioni impugnate si indicherebbe il servizio di distribuzione del gas (svolto dalla seconda), e non certo quello di telecomunicazioni (svolto dalla prima), quale “collante” tra i soci pubblici. Ciò, tenuto anche conto che la fusione con Ascopiave S.p.A. porterebbe non solo all’eliminazione dei costi di un Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale, ma al risparmio dei costi del contratto di servizio in essere tra la “holding” e la controllata, e consentirebbe di beneficiare delle garanzie sull’investimento che una società quotata in borsa sarebbe in grado di prestare.

La deducente ha formulato, inoltre, domande di accertamento: a) del mancato assolvimento, da parte delle P.A., degli obblighi ex art. 24 del d.lgs. n. 175/2016 entro il termine del 30 settembre 2017 ivi previsto, e della conseguente impossibilità di esercizio dei diritti sociali nei confronti della società;
b) della nullità e/o inefficacia degli atti di fusione nel frattempo posti in essere da Asco Holding S.p.A. e Asco TLC S.p.A..

Si sono costituiti in giudizio i Comuni di Cimadolmo, Fossalta di Piave, Gorgo al Monticano, Meduna di Livenza, Ponte di Piave, Sgareda, San Polo di Piave e Zenson di Piave, di seguito depositando memoria con documentazione allegata ed eccependo: a) in rito, l’inammissibilità del ricorso per più versi e, anzitutto, sotto il profilo del difetto di giurisdizione che lo affliggerebbe da vari punti di vista;
b) nel merito, l’infondatezza delle censure dedotte da P.

Si sono costituiti in giudizio, altresì, i Comuni di Altivole, Crocetta del Montello, Motta di Livenza, Paese, Portobuffolè e Torre di Mosto, depositando memoria di costituzione e documenti sui fatti di causa ed eccependo: a) in rito, il parziale difetto di giurisdizione, in relazione ad alcune delle domande proposte;
b) sempre in rito, il difetto di legittimazione e di interesse a ricorrere da cui sarebbe affetto il gravame;
c) il difetto di giurisdizione e comunque l’infondatezza nel merito che connoterebbero il primo motivo di ricorso;
d) l’infondatezza nel merito di tutti gli altri motivi. In subordine, i Comuni hanno poi sollevato questione di legittimità costituzionale sotto molteplici profili dell’art. 24 del d.lgs. n. 175/2016.

Si è, ancora, costituito in giudizio il Comune di Cappella Maggiore, depositando un controricorso e successiva memoria ed eccependo: a) in rito, l’inammissibilità del ricorso cumulativo, perché questo violerebbe l’onere dell’allegazione di fatti e censure circostanziati, rispetto ai singoli provvedimenti impugnati;
b) sempre in rito, l’inammissibilità per difetto di interesse e comunque per acquiescenza;
c) il difetto di giurisdizione in relazione alle domande di accertamento formulate da P;
d) nel merito, l’infondatezza dei motivi di impugnazione.

Si sono poi costituiti in giudizio i Comuni di Cavaso del Tomba, Cordignano, Godega di Sant’Urbano, Maserada sul Piave, Miane, Moriago della Battaglia, Orsago, San Fior, Sernaglia della Battaglia, Tarzo e Vidor, depositando memoria per la discussione dell’istanza cautelare, nonché documenti sui fatti di causa, ed eccependo: a) in rito, l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, poiché i parametri di sindacato sconfinerebbero in profili rimessi alla cognizione della Corte dei conti – Sez. controllo e ad ogni modo impingerebbero nel merito dell’azione amministrativa;
b) sempre in rito, la violazione dell’art. 40 c.p.a., con inammissibilità del ricorso cumulativo;
c) nel merito, l’infondatezza dei singoli motivi di ricorso.

Da ultimo, si è costituita in giudizio la società Asco TLC S.p.a., con atto formale.

Con ordinanza n. 641/2017 del 21 dicembre 2017 il Tribunale ha preso atto della rinunzia all’istanza cautelare da parte della ricorrente.

In vista dell’udienza pubblica le parti hanno depositato memorie, documenti e memorie di replica, controdeducendo alle altrui eccezioni ed insistendo nelle conclusioni già rassegnate. In aggiunta, la ricorrente P ha precisato di non avere più interesse a coltivare la domanda di accertamento della nullità degli atti attuativi della misura di razionalizzazione consistente nell’incorporazione di Asco TLC S.p.A. in Asco Holding S.p.A. eventualmente assunti, avendo l’assemblea della “holding” deliberato di astenersi dall’assumere decisioni sull’attuazione della misura di razionalizzazione fino alla definizione del giudizio.

All’udienza pubblica di merito del 7 marzo 2018, dopo ampia discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Formano oggetto di impugnazione le deliberazioni elencate in epigrafe, attraverso le quali i Comuni resistenti hanno proceduto alla ricognizione delle partecipazioni societarie possedute, nel quadro del programma di revisione straordinaria delle suddette partecipazioni previsto dall’art. 24 del d.lgs. n. 175/2016 (cd. “riforma Madia”).

La ricorrente agisce, altresì, per l’accertamento del mancato assolvimento da parte dei Comuni degli obblighi imposti dall’art. 24 cit., e della conseguente impossibilità, in capo ai medesimi Comuni, di esercitare i diritti sociali (v. il comma 5 dell’art. 24). Agisce, ancora, per l’accertamento della nullità e/o inefficacia degli atti di fusione nel frattempo posti in essere da Asco TLC S.p.A. e Asco Holding S.p.A. (società, quest’ultima, a cui le suddette partecipazioni si riferiscono).

Quanto a quest’ultimo punto, peraltro, il Collegio prende atto che nei più recenti scritti difensivi la ricorrente ha precisato di non avere più interesse a coltivare la domanda di accertamento della nullità degli atti attuativi della misura consistente nell’incorporazione di Asco TLC S.p.A. in Asco Holding S.p.A. eventualmente assunti dalle società, per avere l’assemblea della ridetta “holding” deliberato di astenersi dall’assumere decisioni in ordine all’attuazione di tale misura di razionalizzazione fino alla definizione del giudizio. Se ne desume che, per questa parte, il ricorso è diventato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla sua decisione.

Venendo adesso all’esame delle molteplici eccezioni pregiudiziali di rito sollevate dalle controparti ed iniziando da quella di difetto di giurisdizione, che, per giurisprudenza consolidata (cfr. ex multis, C.d.S., Sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5786;
id., 12 novembre 2013, n. 5421;
T.A.R. Veneto, Sez. I, 1° febbraio 2018, n. 109;
id., 17 gennaio 2018, n. 52;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 5 novembre 2015, n. 5127;
id., Serno, Sez. I, 13 gennaio 2014, n. 104), assume carattere prioritario rispetto ad ogni altra, il Collegio osserva quanto segue.

L’eccezione è sollevata, innanzitutto, da un primo gruppo di Comuni in termini di difetto assoluto di giurisdizione, nel senso che nel caso di specie la decisione di alienare le partecipazioni, o far confluire Asco Holding S.p.A. in Ascopiave S.p.A., o piuttosto in Asco TLC S.p.A., integrerebbe una scelta di merito, sottratta al sindacato giurisdizionale del G.A. (a parte il caso, che qui non ricorrerebbe, della manifesta irragionevolezza) ed affidata al sindacato della Corte dei conti in sede di controllo: infatti, l’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 175/2016 dispone l’invio del provvedimento di ricognizione delle partecipazioni azionarie alla Sezione della Corte dei conti competente affinché verifichi il puntuale adempimento degli obblighi di cui alla stessa previsione normativa. Ciò ben si spiegherebbe, perché l’analisi dei parametri di legittimità da seguire – non analitici – si muoverebbe sul piano del dialogo tra le Sezioni di controllo della Corte dei conti e gli organi politici, anziché su quello delle valutazioni più rigorose ed analitiche del giudice amministrativo.

Il ragionamento, pur suggestivo, non convince, per svariati ordini di ragioni.

Da un lato, infatti, l’art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016 parla espressamente di “provvedimento motivato” con cui ciascuna Amministrazione effettua la ricognizione delle partecipazioni possedute alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo ed individua quelle che debbono essere alienate. Oltre alla qualificazione letterale effettuata dalla norma, vi è, dunque, nell’atto che le P.A. adottano ai sensi dell’art. 24, comma 1, cit. un contenuto non solo ricognitivo, ma anche volitivo, che indubbiamente lo fa rientrare nella categoria dei provvedimenti amministrativi, intesi, alla luce della classica definizione dottrinale, come manifestazioni di volontà preordinate alla cura di uno specifico interesse pubblico (la cui realizzazione è affidata alla P.A. titolare del potere di provvedere) e dirette a produrre unilateralmente effetti giuridici nei rapporti esterni con i destinatari.

Trattandosi di provvedimento amministrativo, esso, perciò, costituisce (per definizione) espressione del potere autoritativo della P.A. e, dunque, è sottoposto al sindacato giurisdizionale del G.A., a pena, diversamente opinando, di incorrere nella violazione degli artt. 24, 103 e 113 Cost.. La questione dei limiti entro cui detto sindacato giurisdizionale può esplicarsi è diversa e concerne i confini entro cui l’attività amministrativa discrezionale può essere sottoposta al vaglio giurisdizionale di legittimità, ma ciò non toglie che detta attività sia sindacabile, pur se entro limiti tanto più ristretti, quanto più è ampia la sfera di discrezionalità di cui gode la P.A..

D’altro lato, la decisione delle P.A. di assumere “misure di razionalizzazione” delle partecipazioni societarie da esse detenute attiene, in via di principio, a profili di organizzazione generale delle stesse P.A., per la quale pare invero arduo ipotizzare che non debba esplicarsi attraverso misure di carattere pubblicistico, in qualche modo assimilabili agli atti di cd. macro-organizzazione, che l’ordinamento ben conosce (cfr. artt. 2, comma 1, e 5 del d.lgs. n. 165/2001) e che, per giurisprudenza consolidata, sono assoggettati a principi e regole pubblicistiche e devoluti alla cognizione del G.A. (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 31 agosto 2016, n. 3740;
id., 28 novembre 2013, n. 5684).

Inoltre, la Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che, in tema di riparto di giurisdizione, spettano alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie aventi ad oggetto l’attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria, ritenuta dal Legislatore di natura pubblicistica, con cui un Ente pubblico delibera di costituire una società, provvedendo anche alla scelta del socio, o di parteciparvi, o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società stessa o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita di essa (cfr. Cass. civ., Sez. Un. 20 settembre 2013, n. 21588;
id., 30 dicembre 2011, n. 30167;
v. pure Cass. civ., Sez. Un., 3 novembre 2009, n. 23200, che, in tema di società per azioni a partecipazione maggioritaria del Comune, ha ritenuto che le delibere comunali con le quali si decide, tra l’altro, la riduzione della partecipazione azionaria, costituiscono provvedimenti di natura autoritativa, preliminari e prodromici rispetto alle successive deliberazioni societarie, con il corollario che le controversie relative all’annullamento delle suddette delibere spettano alla giurisdizione del G.A.).

Infine, non vi è nessun elemento in base al quale possa sostenersi che il controllo della Corte dei conti sui provvedimenti di ricognizione ex art. 24, comma 1 cit. si limita all’apprezzamento di parametri ampi e non analitici, visto che il comma 3 dell’art. 24 cit. attribuisce alla Corte dei conti la verifica del “puntuale adempimento degli obblighi di cui al presente articolo”.

Altro gruppo di Comuni resistenti eccepisce a propria volta il difetto di giurisdizione da cui sarebbe affetto l’intero gravame, per avere esso ad oggetto la legittimità della decisione degli Enti locali soci della “holding” di mantenere le partecipazioni azionarie mediante una specifica misura organizzativa, consistente nella fusione con altra società. La pretesa demolitoria, quindi, inciderebbe su prerogative di natura societaria, volte alla strutturazione del relativo assetto e, perciò, perseguirebbe la tutela non di posizioni di interesse legittimo, ma di diritti soggettivi (e poteri) correlati alle rispettive posizioni societarie. Difatti, l’obiettivo di P sarebbe quello di incrementare la propria partecipazione in Asco Holding S.p.a. e dunque, i propri poteri, nonché – ex adverso – di evitare che gli Enti locali soci consolidino le proprie posizioni, prerogative e poteri nella società.

L’eccezione non può essere condivisa, atteso che – in disparte quanto già detto circa la giurisprudenza che ritiene devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie relative all’attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria, con cui un Ente pubblico delibera di costituire una società, o di parteciparvi, o di ridurre la partecipazione azionaria, o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società (v. Cass. civ., Sez. Un., nn. 21588/2013 e 30167/2011, citt.) – in ogni caso gli atti di ricognizione, ex art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016, delle partecipazioni detenute dai Comuni soci e di individuazione di quelle da alienare, hanno natura provvedimentale ed autoritativa: se ne evince che la posizione spettante di fronte agli stessi ha la consistenza di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.

Anche da questo punto di vista, pertanto, l’eccezione di difetto di giurisdizione ora analizzata risulta infondata e da respingere.

Tutte le parti resistenti, peraltro, sollevano ulteriore eccezione di difetto di giurisdizione nei confronti delle domande di accertamento proposte da P: eccezione che – dopo quanto già detto in ordine alla sopravvenuta carenza di interesse sulla domanda di accertamento della nullità o inefficacia degli atti di fusione eventualmente assunti in conseguenza delle deliberazioni comunali impugnate – si deve considerare limitata alla sola domanda di accertamento del mancato assolvimento degli obblighi ex art. 24 del d.lgs. n. 175 cit. entro il 30 settembre 2017 e della conseguente impossibilità, per i Comuni soci, di esercitare i diritti sociali nei riguardi della società.

Viene eccepito, in argomento, che la domanda, avendo ad oggetto l’accertamento della sussistenza, in capo ai Comuni, di una situazione assimilabile alla mancata adozione dell’atto ricognitivo entro il 30 settembre 2017 e delle conseguenti sanzioni ex art. 24, comma 5, del d.lg. n. 175 cit., si riflette sull’accertamento dei poteri del socio e, perciò, attiene alla sfera civilistica, la cui cognizione sfugge al G.A..

Si tratterebbe infatti – si precisa – di sanzioni (impossibilità, per i Comuni inadempienti, di esercitare i diritti sociali nelle future assemblee della società partecipata) di rilevanza unicamente civilistica e l’accertamento giudiziale sarebbe riferito a conseguenze afferenti ai rapporti paritetici tra Comuni e P in seno all’assemblea della “holding”.

Né potrebbe parlarsi di domanda inerente ai diritti patrimoniali consequenziali, sì da giustificare la devoluzione al G.A.: infatti, la domanda mirerebbe all’accertamento dei poteri propri dei Comuni e non di P, mentre l’estensione della cognizione ai diritti patrimoniali consequenziali sarebbe ammessa solo ove detti diritti siano propri della parte che propone la domanda.

Entro gli ora visti limiti, l’eccezione di difetto di giurisdizione è fondata e da accogliere.

P presuppone che le deliberazioni impugnate, essendo illegittime e da annullare, sarebbero da assimilare all’ipotesi del mancato esercizio del potere ricognitivo entro il termine del 30 settembre 2017, a cui l’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 175/2016 riconnette la sanzione dell’impossibilità, per il socio pubblico, di esercitare i diritti sociali nei confronti della società partecipata: muovendo da tale presupposto, chiede, pertanto, l’accertamento di detta impossibilità.

Ad avviso del Collegio, tuttavia, la riferita sanzione, incidendo sulle facoltà e sui poteri che spettano all’Ente locale nella sua qualità di socio, cioè sulle manifestazioni di volontà privatistiche del socio pubblico, rientra nella cognizione del G.O.: essa, infatti, involve l’esercizio di poteri privatistici e le posizioni che vi si correlano hanno natura di diritti soggettivi (cfr., ex multis, Cass. civ., Sez. Un., 15 aprile 2005, n. 7799;
T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 9 gennaio 2013, n. 17;
T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 25 gennaio 2010, n. 89).

In altre parole, l’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 175 cit. menziona i “diritti sociali” dell’Ente pubblico socio, quindi si riferisce non ad atti espressione di potestà amministrativa, ma ai poteri che all’Ente pubblico sono conferiti dalla normativa civilistica, e cioè a manifestazioni di volontà essenzialmente privatistiche, sulle quali non vi è giurisdizione del G.A. (T.A.R. Campania, Serno, Sez. I, 9 agosto 2016, n. 1814;
id., Napoli, Sez. I, 23 novembre 2011, n. 5510). Ne consegue che l’accertamento della possibilità o meno, per il socio pubblico, di esercitare tali poteri, non può che ritenersi attribuito alla giurisdizione ordinaria.

Né si versa in un’ipotesi di diritti patrimoniali consequenziali, cui, ai sensi dell’art. 7 c.p.a., si estende la giurisdizione del G.A., poiché qui non si discute dei diritti spettanti al privato a seguito e per effetto dell’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 2 dicembre 2013, n. 10314), ma, dal lato opposto, dei diritti spettanti all’Ente pubblico quale socio della società (mista).

Pertanto, al Collegio non rimane che dichiarare, ai sensi degli artt. 9 e 11 c.p.a., che la domanda di P volta all’accertamento dell’impossibilità, per gli Enti locali resistenti, di esercitare i “diritti sociali” ex art. 24, comma 5, cit., è devoluta alla giurisdizione del G.O..

Esaurito l’esame delle eccezioni di difetto di giurisdizione e venendo ora alle altre plurime eccezioni di rito, il Collegio ritiene di analizzare, anzitutto, quella di inammissibilità del ricorso per carenza dei presupposti richiesti ai fini della proposizione del ricorso cumulativo.

Si eccepisce, al riguardo, da un lato che la scelta processuale della società ricorrente, di impugnare in forma cumulativa n. 26 deliberazioni di altrettanti Comuni, riferendo indistintamente le stesse censure a tutte le deliberazioni, disattenderebbe l’onere di allegazione di fatti e censure circostanziate rispetto ai contenuti dei singoli provvedimenti impugnati.

Sotto distinto, ma connesso profilo, si osserva che l’impugnazione attiene soprattutto agli aspetti della motivazione, che sarebbero in buona parte simili, ma per certi versi anche diversi (ad es. il Comune di Miane avrebbe effettuato a pag. 11 della deliberazione un’analisi sull’interesse pubblico persistente anche nel settore della fornitura, relativamente alla fornitura ad utenti di maggior tutela, di cui non vi sarebbe traccia nelle altre deliberazioni). Ma, allora, l’impugnazione di atti diversi per profili diversi comporterebbe l’inammissibilità del ricorso per violazione delle regole sulla proposizione del ricorso cumulativo, le quali impongono che con il gravame siano dedotti vizi tali da colpire nella medesima misura i diversi atti impugnati, cosicché non residui nessun margine di differenza nell’apprezzamento della legittimità dei singoli provvedimenti congiuntamente gravati.

Le suesposte argomentazioni non convincono.

In particolare, secondo la giurisprudenza più recente, il ricorso cumulativo è ammissibile quando fra gli atti impugnati sussista una connessione procedimentale, ovvero un rapporto di presupposizione giuridica o quantomeno di carattere logico, oppure in quanto i diversi atti incidano sulla medesima vicenda, ovvero sussista tra i provvedimenti uno stretto rapporto logico. In particolare, la cumulabilità delle impugnative impone che tra gli atti impugnati sia rintracciabile una ragione comune, cosicché, anche se appartengono a procedimenti diversi, sono fra loro ad ogni modo collegati in un rapporto di presupposizione o di consequenzialità, o comunque di connessione (C.d.S., Sez. IV, 3 maggio 2011, n. 2615;
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 20 ottobre 2017, n. 10528).

Altra giurisprudenza ha sottolineato che, per l’ammissibilità del ricorso cumulativo avverso distinti provvedimenti, è necessario che gli stessi siano riferibili al medesimo procedimento amministrativo, “seppur inteso nella sua più ampia latitudine semantica”, e che con il gravame siano dedotti vizi che colpiscano, nella medesima misura, i diversi atti impugnati, di guisa che la cognizione delle censure dedotte a fondamento del ricorso interessi allo stesso modo il complesso dell’attività provvedimentale contestata dal ricorrente, e che non residui, quindi, alcun margine di differenza nell’apprezzamento della legittimità dei singoli provvedimenti congiuntamente gravati (C.d.S., Sez. III, 21 aprile 2017, n. 1866;
id., Sez. V, 30 marzo 2017, n. 1463;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 9 novembre 2017, n. 5272).

Ebbene, alla stregua dei riferiti parametri giurisprudenziali, non pare dubbia la sussistenza, nel caso ora in esame, degli estremi per la proposizione del ricorso cumulativo.

Invero, da un lato tra gli atti impugnati da P esiste un’evidente connessione logico-giuridica, trattandosi delle deliberazioni dei Comuni soci di Asco Holding S.p.a. con le quali i predetti Comuni, nell’effettuare la ricognizione, ex art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016, delle partecipazioni da ognuno di essi detenute, con particolare riferimento alla partecipazione nella ridetta “holding” hanno tutti ritenuto:

a) che la partecipazione in discorso non potesse essere mantenuta senza l’adozione di una “misura di razionalizzazione” ex art. 20 del d.lgs. n. 175 cit., essendo la società priva di dipendenti e, pertanto, versando essa nella situazione di cui alla lett. b) del comma 2 del citato art. 20;

b) che la “misura di razionalizzazione”, idonea a consentire il mantenimento della partecipazione e ad evitarne la dismissione, fosse la fusione di Asco Holding S.p.A. con Asco TLC S.p.A., mediante incorporazione della seconda nella prima.

È, dunque, corretto affermare che tra le varie deliberazioni impugnate sussiste una ragione comune, cosicché le stesse, pur se poste in essere da soggetti diversi e con procedimenti distinti, sono fra loro intimamente connesse.

D’altro lato, con il gravame sono stati dedotti vizi che colpiscono in ugual misura gli atti impugnati, interessando la cognizione delle censure allo stesso modo l’intera attività provvedimentale contestata e non residuando differenze nell’apprezzamento dei singoli provvedimenti. Da questo punto di vista, a confutazione delle argomentazioni dei Comuni va precisato:

- che le censure di P sono sufficientemente circostanziate in relazione a tutte e ciascuna delle deliberazioni impugnate (ad opinare diversamente, del resto, dovrebbe negarsi la stessa ammissibilità in astratto del ricorso cumulativo);

- che il riferimento, solo da parte della deliberazione di un Comune (Miane), all’individuazione di un interesse pubblico anche per l’attività della fornitura, non inficia il ricorso cumulativo di P, poiché quest’ultimo reca argomentazioni che – in disparte la loro fondatezza (su cui cfr. infra) – sono finalizzate a contestare la riconducibilità di detta attività alle prerogative istituzionali dell’Ente ed a metterne in luce, all’opposto, il mero carattere commerciale (v., in particolare, il parag.

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