TAR Roma, sez. I, sentenza 2016-10-14, n. 201610303

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2016-10-14, n. 201610303
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201610303
Data del deposito : 14 ottobre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/10/2016

N. 10303/2016 REG.PROV.COLL.

N. 03542/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3542 del 2016, proposto da:
C.N.S. Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati prof. A P C.F. PLCRTD68E10F839F, prof. F C C.F. CNTFBA62M23F158G e G R N C.F. NTRGNR60P06F915H, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via di Villa Sacchetti, 11;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

- Associazione Nazionale Imprese di Pulizia e Servizi Integrati ANIP, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Luca Andrea Perfetti, Francesco Anglani C.F. NGLFNC76R25F152O e Mariangela Di Giandomenico C.F. DGNMNG75H42L103H, con domicilio eletto presso lo studio Pappalardo-Bonelli in Roma, via Salaria, 259;
- Consip Spa, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Associazione Nazionale delle Cooperative di Servizi Legacoop Servizi, Exitone Spa, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione,

della determinazione n. 25.802 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, adottata nell’Adunanza del 22.12.2015 e notificata al ricorrente il 20.1.2016, con cui è stato accertato che CNS Consorzio Nazionale Servizi società cooperativa, Manutencoop Facility Management S.p.A., Kuadra S.p.A. e Roma Multiservizi S.p.A. avrebbero posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza contraria all’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), consistente in una pratica concordata avente la finalità di condizionare gli esiti della gara Consip, attraverso l’eliminazione del reciproco confronto e la ripartizione dei lotti da aggiudicarsi nel limite massimo fissato dalla lex specialis, contestualmente ordinando alle predette società di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi e infliggendo alla ricorrente CNS un’ammenda di importo pari ad € 56.190.090;
nonché di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compresi: la delibera della stessa AGCM n. 21125 dell’8.10.2014, con cui è stata avviata l’istruttoria ai sensi dell’art. 14 della l. n. 287/1990, la Comunicazione delle Risultanze Istruttorie trasmessa alle parti in data 16.10.2015, il provvedimento del 1.4.2015 della medesima AGCM con cui il procedimento è stato esteso nei confronti della società Roma Multiservizi s.p.a., nonché quello successivo dell’Autorità dell’11.11.2015 di proroga del termine di conclusione del procedimento e, ove occorra, il verbale del 15.12.2015 di audizione delle parti, le note (non conosciute) con cui l’AGCM ha richiesto alla Consip informazioni in merito all’esito della gara indetta da quest’ultima per l’affidamento dei servizi di pulizia ed altri servizi finalizzati al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili di istituti scolastici di ogni ordine e grado, nonché dei centri di formazione delle pp.AA. indetta con bando pubblicato sulla G.U.U.E. del 14.7.2012 e sulla G.U.R.I. del 16.7.2012, nonché la comunicazione del 13.11.2015 della stessa AGCM e le “Linee guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie” adottate da AGCM con delibera del 22 ottobre 2014, nei limiti precisati in ricorso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust e dell’Associazione Nazionale Imprese di Pulizia e Servizi Integrati ANIP, con le rispettive documentazioni;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 6 luglio 2016 il dott. I C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

In seguito all’analisi delle risultanze della gara comunitaria a procedura aperta bandita in data 11.7.2012 dalla Consip s.p.a. (Consip) per l’affidamento di servizi di pulizia e altri tesi al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili degli istituti scolastici di ogni ordine e grado nonché dei centri di formazione della p.a., l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), rilevando alcune anomalie, in data 8.10.2014 avviava un procedimento orientato a constatare un’eventuale violazione della normativa a tutela della concorrenza.

Il procedimento, originariamente rivolto nei confronti del Consorzio Nazionale Servizi soc. coop. (CNS), della Manutencoop Facility Management (MFN), della Kuadra s.p.a. (Kuadra) e della EXITone S.p.a. (Exitone), era poi esteso con decisione del 1.4.2015 anche alla Roma Multiservizi s.p.a. (RM) e vedeva la partecipazione dell’Associazione Nazionale Imprese di Pulizia-ANIP e della Associazione Nazionale delle Cooperative di servizi- Legacoop servizi, che ne avevano fatto richiesta.

Richiamando le risultanze istruttorie, la tipologia di gara e i relativi risultati, le modalità e le strategie partecipative alla gara delle parti, i rapporti tra queste ultime nonché le argomentazioni rese dalle interessate a seguito della comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI), l’AGCM perveniva alla conclusione secondo la quale le parti sopra richiamate – tranne Exitone - avevano dato luogo ad un’intesa volta a condizionare l’esito della gara, eliminando il reciproco confronto concorrenziale mediante l’utilizzo distorto dello strumento consortile: ciò al fine di garantire a CNS e MFM il numero massimo di lotti maggiormente appetibili, sul presupposto che entrambe avrebbero complessivamente beneficiato dei risultati singolarmente conseguiti. Risultava altresì individuato un ruolo nell’intesa anche a carico di RM e Kuadra, secondo l’approfondita descrizione degli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria.

In sostanza, l’Autorità illustrava nelle relative conclusioni che gli elementi di prova “esogeni” ed “endogeni” accertati avevano fatto emergere incontrovertibilmente che, in occasione della procedura di gara in questione, le quattro imprese sopra richiamate avevano posto in essere un’intesa anticoncorrenziale per il suo stesso oggetto (sub specie di pratica concordata), con la finalità di condizionare gli esiti della gara attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti, così da aggiudicarsi i più appetibili nel limite massimo fissato dalla “lex specialis”. La condivisione della scelta degli otto lotti su cui presentare l’offerta e la conseguente decisione di non partecipare ai residui cinque messi a gara aveva inoltre, secondo la ricostruzione dell’AGCM, influenzato gli esiti della procedura con riguardo a tutti i tredici lotti oggetto della procedura.

In particolare, risultava che CNS e la sua principale consorziata MFM avevano deciso di partecipare separatamente alla gara, laddove, se quest’ultima avesse partecipato in qualità di impresa indicata dal consorzio, il numero massimo di lotti che si sarebbero potute aggiudicare congiuntamente sarebbe stato pari a tre, mentre partecipando separatamente avevano potuto contare sull’aggiudicazione di sei lotti. Inoltre, le due imprese, una volta decisa la partecipazione autonoma, avrebbero dovuto concorrere come soggetti assolutamente indipendenti, del tutto prescindendo dai legami consortili mentre risultava che avevano individuato i lotti su cui avrebbero rispettivamente concentrato i propri “sforzi” tramite scambi indiretti di informazioni al fine di perseguire un comune disegno, per il quale risultava essenzialmente che CNS aveva partecipato alla gara avendo tra i propri principali obiettivi quello di tutelare i contratti storici e il portafoglio della propria consorziata di maggior peso quale era MFM, curandone gli interessi in via principale e maggiore rispetto a quelli delle consorziate per conto delle quali pure aveva presentato le sue offerte.

Per l’AGCM, quindi, risultava un utilizzo distorto dello strumento consortile da parte di CNS, il quale aveva principalmente avuto riguardo alle consorziate di maggior peso rispetto a quelle di più ridotte dimensioni. La strategia di gara di CNS era risultata del tutto irrazionale, oltre che incoerente con i principi che lo stesso consorzio aveva riferito essere alla base delle proprie scelte partecipative, presentandosi solo in alcuni lotti e non presentandosi in altri, e coincideva unicamente con l’obiettivo collusivo condiviso con MFM di aggiudicarsi complessivamente sei lotti in luogo di tre, come emergeva dalla scelta - estranea a una sana logica imprenditoriale - di non presentare offerta per i lotti comprendenti l’Emilia-Romagna e la Lombardia (lotti 2 e 8), poi aggiudicati a MFM, e di presentare offerte decisamente non competitive per i lotti relativi alla Toscana e al Veneto (lotti 3 e 9), entrambi pure aggiudicati a MFM.

Analogamente, nel presentare offerta per il lotto comprendente il Lazio e la Sardegna, CNS aveva inteso garantire a una società non consorziata quale RM, ma riconducibile a MFM in virtù di partecipazione societaria di quest’ultima, il pieno mantenimento del portafoglio storico nella città di Roma, nel rispetto di un accordo compensativo nel frattempo sottoscritto.

D’altro canto, a fronte dell’operato di CNS, risultava che MFM aveva rinunciato a presentare offerta per il lotto 4, nonostante il cospicuo portafoglio ivi detenuto da RM sua partecipata, e che si era impegnata, tramite lo strumento del subappalto, ad aiutare CNS affinché anche ad altre consorziate detentrici di appalti storici fosse garantito il mantenimento di tali appalti o perlomeno il valore del portafoglio a questi riconducibile.

Per quel che riguardava Kuadra, l’AGCM concludeva nel senso che la stessa tipologia di affidamenti al quadro collusivo era stata garantita in ragione di un credito pregresso vantato nei confronti del CNS, che aveva indotto l’interessata a partecipare al suo fianco alla gara nell’ambito di un a.t.i. (ATI 1), accettando nel contempo però di concedere subappalti a consorziate di rilievo di CNS, a cui il consorzio stesso intendeva garantire il mantenimento del portafoglio.

Secondo l’Autorità, l’intesa si era potuta pienamente realizzare e aveva trovato attuazione anche per effetto degli scambi di informazioni sensibili che si erano realizzati nel contesto dei rapporti di “governance” esistenti tra MFM e RM, laddove, in particolare, quest’ultima aveva svolto un cruciale ruolo di veicolo di informazioni tra la prima e lo stesso CNS.

Tenuto conto che vi era stato pregiudizio al commercio fra Stati membri dell’Unione europea, tale da configurare la violazione dell’art. 101 TFUE, e che l’infrazione constatata era qualificabile tra le più gravi della normativa “antitrust” - in quanto, per sua stessa natura, appariva idonea e destinata ad alterare, in caso di aggiudicazione della gara come poi avvenuto, il normale gioco della concorrenza per tutta la durata dell’affidamento – l’AGCM, in applicazione delle c.d. “Linee Guida” deliberate il 22.10.2014 e ritenute applicabili alla fattispecie, irrogava specifiche sanzioni pecuniarie pari a € 56.190.090 per CNS, 48.510.000 per MFM, 3.377.910 per RM e 5.763.882 per Kuadra.

In sintesi, i presupposti presi in considerazione dall’AGCM possono riassumersi nei profili che seguono:

1) la gara era suddivisa in tredici lotti, per un importo totale a base d’asta di circa 1,63 miliardi di euro, con valori medi per ciascun lotto intorno ai 100.000 euro e con punte intorno ai 200.000 euro per i lotti 4, 6 e 11 (Sardegna-Lazio, Campania e Puglia);
il criterio di aggiudicazione era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa (offerta tecnica, max p.60, offerta economica, max p. 40) e non potevano essere aggiudicati più di tre lotti al medesimo concorrente, tranne specifiche deroghe nel caso di specie non applicate;

2) l’ATI 1, cui partecipava CNS quale mandataria, con Kuadra e Exitone mandanti, e MFM si erano aggiudicati quattro lotti ciascuno, tutti ricadenti nell’area geografica centro-settentrionale;

3) sui lotti in cui ATI 1 era vincitrice, MFM non aveva presentato offerta mentre sui lotti 3 e 9 – unici in cui vi era sovrapposizione di offerte ed era vincitrice MFM – ATI 1 aveva presentato un ribasso decisamente meno aggressivo rispetto a quello formulato sugli altri lotti;

4) RM non aveva partecipato alla gara nonostante fosse interessata quantomeno ai lotti 4 e 5 (Sardegna-Lazio, quale gestore “uscente” dei servizi di pulizia, e Lazio);

5) tra il bando di gara e la scadenza del termine per presentare le offerte risultava un accordo tra CNS e RM avente ad oggetto l’impegno di quest’ultima di non partecipare alla gara e l’obbligo di CNS di richiedere l’autorizzazione al subappalto della “quota-parte” comprendente il pregresso portafoglio di RM, una volta aggiudicatosi il lotto 4;

6) CNS e MFM, pur formalmente concorrendo in autonomia, hanno perseguito obiettivi condivisi, consistenti nella tutela del portafoglio della principale consorziata, quale era MFM, nella tutela del posizionamento di CNS sui lotti 1, 4 e 10 (Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, Sardegna-Lazio e Umbria-Marche-Abruzzo-Molise), nella tutela del portafoglio di RM relativamente al lotto 4, nella tutela del portafoglio delle altre consorziate di maggior rilievo, anche grazie a subappalti concessi a Kuadra, nonché nella volontà di compensare un debito pregresso di CNS verso la stessa Kuadra, consentendo a quest’ultima di partecipare in ATI 1 pur possedendo CNS per intero i requisiti richiesti;

7) la condotta era identificabile quale anticompetitiva “per oggetto”, con irrilevanza di eventuali effetti restrittivi, peraltro realizzatisi con l’eliminazione del rischio del confronto concorrenziale reciproco tra i due maggiori “players” del mercato, quali CNS e MFM;

8) CNS aveva individuato con precisione i lotti che si sarebbe aggiudicata già prima dell’esito di gara, pur mantenendo aperte soluzioni alternative sino alla presentazione delle offerte;

9) la strategia partecipativa era contraddistinta da scelte irrazionali spiegabili solo con l’intento collusivo, quali: mancata sovrapposizione sui lotti appetibili per CNS e MFM, mancato rispetto della procedura di preassegnazione per cui lo stesso CNS aveva adottato un apposito regolamento, irragionevole traslazione del portafoglio di talune consorziate in regioni diverse da quelle di radicamento, mancata tutela del portafoglio di altre consorziate;

10) le tesi difensive delle parti si erano fondate su una parcellizzazione delle evidenze agli atti, non idonea a fornire una spiegazione alternativa;

11) nessuna offerta risultava presentata per i lotti riguardanti l’Italia meridionale, pur avendo alcune consorziate di CNS manifestato interesse a partecipare, e illogica appariva la scelta di CNS di non presentare offerta per il lotto 2 (Emilia-Romagna), poi aggiudicato a MFM, ove storicamente aveva la sua operatività e con la conseguenza di dover riallocare artificiosamente in altre regioni il portafoglio di consorziate ivi operanti, non risultando idonea la giustificazione per la quale le consorziate stesse avevano chiesto di operare al di fuori della Regione avendo già visto aggiudicato una specifica commessa sul territorio, in quanto anche MFM aveva acquisito quest’ultima e aveva poi concesso subappalti a consorziate non riallocatesi altrove;

12) non idonea era anche la giustificazione in ordine alla mancata partecipazione di CNS al lotto 8 (Lombardia), fondata sull’assenza di consorziate con portafoglio storico di rilevo, laddove in Lombardia esistevano due consorziate e lo stesso CNS aveva presentato offerta per il lotto 3 (Toscana) pure privo di “portafoglio consortile storico”;

13) sui due lotti in cui vi era stata sovrapposizione, CNS aveva formulato un’offerta economica non concorrenziale mentre l’offerta tecnica era pressoché simile a quella per gli altri lotti;

14) RM poteva partecipare alla gara disponendo dei requisiti ma aveva preferito rinunciare a fronte dell’impegno sul lotto 4, come desumibile da “e-mail” interne acquisite e, inoltre, aveva svolto un ruolo di raccordo tra CNS e Kuadra, da un lato, e MFM, dall’altro;

15) risultavano numerosi scambi di informazioni tra le parti, giustificati in istruttoria con tesi contraddittorie.

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, CNS chiedeva l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento in questione, lamentando, in sintesi, quanto segue.

II. Violazione falsa applicazione dell’art. 101, paragrafo 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Violazione dell’art. 2 legge n. 287/1990 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n.241 e s.m.i. per carenza della motivazione. Eccesso di potere per irragionevolezza della valutazione sulla sussistenza dei requisiti della pratica concordata secondo la giurisprudenza nazionale comunitaria. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi di prova endogeni ed esogeni” .

Dopo avere premesso al motivo “I” una prospettazione generale, orientata ad evidenziare che la condotta sanzionata poteva semmai rientrare nella fattispecie della “pratica concordata “, come tale soggetta a particolare rigore probatorio e di accertamento che l’AGCM non aveva seguito, con lo specifico motivo seguente, il consorzio ricorrente richiamava la giurisprudenza comunitaria e italiana secondo la quale nella valutazione circa l’esistenza di un’intesa “anticoncorrenziale” era necessario tenere conto comunque del principio della “presunzione di innocenza” e della produzione da parte dell’Autorità competente quanto meno di indizi “gravi, precisi e concordanti” al fine di evidenziare che i comportamenti tenuti dalle imprese erano frutto di concertazione e non di iniziative unilaterali.

In particolare, in relazione agli elementi endogeni richiamati nel provvedimento impugnato, il consorzio ricorrente evidenziava l’apoditticità ed erroneità delle tesi dell’AGCM.

In primo luogo, la selezione dei lotti su cui competere era stata frutto di una scelta assolutamente ragionevole e avulsa da qualsivoglia finalità strumentale all’attuazione di intese anticoncorrenziali perché definita sulla base di una serie di valutazioni del tutto lecite ai sensi dell’autonomia imprenditoriale riconoscibile, volta a tentare di ottenere l’aggiudicazione dei lotti ritenuti più funzionali al perseguimento del proprio obiettivo di espansione sul territorio nazionale, senza incorrere in alcun rischio di accollo di costi eccessivamente onerosi.

Precisando che gli appalti posti a gara si articolavano in due distinte categorie (definite “ex LSU” e “appalti storici”, rispettivamente, riguardanti: a) l’espletamento del servizio con l’impiego di maestranze già appartenenti alla categoria definita “lavoratori socialmente utili” e successivamente “stabilizzati” per effetto del d.m. 65/2001, perlopiù presenti nelle regioni dell’Italia meridionale;
b) i contratti stipulati nell’anno 1997 direttamente dagli enti locali e poi gestiti dal M.I.U.R. in seguito all’entrata in vigore della legge n. 124/1999, perlopiù presenti nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale, il ricorrente descriveva le modalità di esecuzione dell’appalto, legato in concreto non già alla stipula della convenzione-quadro avente ad oggetto i servizi di pulizia posti a gara bensì all’emissione dell’ordinativo di fornitura da parte dell’amministrazione interessata, aderente alla convenzione, con la conseguenza per la quale non poteva essere revocato in dubbio il fatto che il quadro economico dei lotti caratterizzati dalla maggior presenza di “ex LSU” e dall’insufficienza dei fondi stanziati dal MIUR per l’assorbimento degli stessi fosse stato un elemento significativo valutato da CNS per determinare la propria strategia partecipativa.

Il consorzio, infatti, aveva ritenuto opportuno non presentare offerta per i cinque lotti ricadenti nelle regioni meridionali (lotti 6, 7, 11,12 e 13) sia per criticità correlate a fattori del contesto locale sia, soprattutto, per l’elevato numero di tali “ex LSU” da assumere in ragione della “clausola sociale” prevista dalla Consip, per l’assorbimento dei quali gli importi messi a disposizione delle scuole da parte dal MIUR erano di gran lunga inferiori a quelli della c.d. “spesa storica” (quale somma corrisposta in precedenza sia per tale categoria di lavoratori sia per gli “appalti storici”).

Per quanto riguardava la mancata partecipazione alla gara sul lotto dell’Emilia-Romagna, il consorzio giustificava la sua decisione sulla circostanza di essere ivi già impegnato per un periodo per larghissima parte coincidente con quello di esecuzione di analogo servizio aggiudicato da altra stazione appaltante (c.d “contratto Intercent.er”), avente ad oggetto il convenzionamento delle medesime strutture e per il quale CNS aveva già espresso la sua migliore offerta nell’interesse delle cooperative indicate in occasione di tale gara, per cui non era logica una partecipazione che avrebbe posto irragionevolmente in concorrenza il consorzio stesso con alcune sue consorziate sul medesimo territorio. In più, CNS evidenziava anche la volontà di privilegiare una strategia espansionistica in regioni nelle quali la sua presenza era meno consolidata.

Per la mancata partecipazione al lotto riguardante Lombardia e Trentino Alto Adige (lotto 8), la scelta per il ricorrente si spiegava in considerazione delle ridotte capacità e dimensioni delle consorziate ivi presenti in relazione al fatturato complessivo di CNS, oltre che dell’impossibilità di presentare offerta in tutti i lotti, che aveva indotto a privilegiare altre zone dell’Italia settentrionale (lotti 1 e 9, su Valle d’Aosta, Piemonte Liguria nonché Friuli Venezia Giulia Veneto) a fronte della richiesta avanzata da alcune cooperative torinesi e del nord-est titolari di appalti storici autonomamente acquisiti e di valore notevolmente superiore.

Giustificando per tali ragioni la mancata partecipazione ai lotti indicati, per quanto riguardava la scelta di concorrere tra i restanti otto, il ricorrente richiamava che a fondamento erano stati considerati il quadro economico e il valore dei lotti stessi, nonché le concrete prospettive di convenzionamento dopo l’aggiudicazione, tenendo conto delle peculiarità territoriali di ogni lotto, del numero e delle caratteristiche delle consorziate ivi già presenti e dell’opportunità di privilegiare la tutela del portafoglio in regioni già presenziate ovvero la traslazione di tale portafoglio in regioni con condizioni operative più favorevoli, secondo una pluralità di autonome valutazioni riconducibili alla sfera di libera iniziativa economica costituzionalmente tutelata.

Per quanto riguardava più particolarmente le tesi espresse dall’AGCM nel provvedimento impugnato, CNS evidenziava che, a proposito del richiamo al mancato rispetto della procedura di preassegnazione prevista dal Regolamento consortile per l’individuazione delle consorziate, non vi era alcun obbligo di riscontro favorevole da parte del consorzio, spettando la selezione finale sempre a quest’ultimo in base a valutazioni complessive delle caratteristiche e dei requisiti delle associate più idonee a competere. Illogica era quindi la conclusione dell’AGCM secondo la quale era stata valutata come irragionevole la traslazione del portafoglio di talune consorziate in regioni diverse da quelle di radicamento, così come non condivisibile era il richiamo al fatto che almeno tre consorziate dell’Emilia-Romagna avrebbero chiesto al consorzio di essere indicate per regioni diverse, all’espresso fine di estendere territorialmente la propria operatività fuori regione, dato che proprio tale circostanza dimostrava semmai l’assoluta plausibilità dell’obiettivo di fondo della strategia partecipativa generale volta precipuamente all’espansione dell’intera attività consortile.

Censurabile era anche la conclusione dell’AGCM secondo la quale MFM avrebbe stipulato contratti di subappalto di maggior valore economico con consorziate CNS che detenevano un portafoglio significativo in quell’area geografica, quale contropartita della mancata partecipazione del consorzio al relativo lotto, tenuto conto dell’evidente differenza tra la partecipazione ad un lotto e la stipula di contratti di subappalto da parte delle consorziate, sia in termini di costi sia di limiti operativi.

Apodittica e indimostrata era quindi la conclusione secondo la quale CNS avrebbe, per l’Emilia-Romagna, posto una strategia di tutela del portafoglio della principale consorziata MFM, di traslazione del portafoglio delle tre consorziate di maggior rilievo dopo quest’ultima, anche mediante subappalto concesso da Kuadra, di tutela tramite subappalti concessi da MFM del portafoglio di tre consorziate radicate sul territorio e ivi detentrici di appalti storici, di mancata riconferma degli appalti storici a consorziate di ridotte dimensioni.

In sostanza, AGCM avrebbe confuso ordinarie dinamiche consortili con la volontà di dare luogo ad un disegno collusivo, visti gli evidenti vantaggi dalla strategia imprenditoriale sopradescritta che aveva contraddistinto invece la scelta sulla partecipazione a singoli lotti.

In relazione all’associazione in a.t.i. con Kuadra, CNS evidenziava che essa mirava solo a consentire ad un’impresa sprovvista dei requisiti di qualificazione nell’intera misura richiesta dal bando di partecipare in associazione con impresa in possesso di siffatti requisiti per aggiudicarsi commesse ad essa altrimenti precluse e maturare esperienza nel settore, non risultando in alcun modo dimostrato che tale impresa sarebbe stata associata al solo fine di conferire subappalti alle consorziate CNS.

Per la mancata presentazione di offerta per il lotto 2, quindi, CNS evidenziava di aver valorizzato la scelta di competere per lotti relativi ad altre regioni d’Italia al fine di ampliare il proprio bacino di mercato, secondo quanto suggerito dalle stesse consorziate “di portafoglio”, e di non sovrapporre le offerte con il periodo della durata degli ordinativi dell’appalto “Intercent.er” già concluso, a differenza di MFM che risultava affidataria solo di alcuni degli ordinativi e non aggiudicataria dell’intera gara per conto delle consorziate, come invece il ricorrente.

Non era necessario fornire evidenze documentali su tale profilo, spettando all’AGCM il relativo onere probatorio in presenza di spiegazioni alternative ragionevoli, e l’unico elemento concreto richiamato, quali una riunione svoltasi presso CNS il 13.3.13, peraltro successivamente all’apertura di plichi contenenti le domande di partecipazione, non era rilevante in quanto la riunione aveva una natura prettamente tecnico-organizzativa concernente gli appalti in corso negli istituti scolastici come prorogati dal MIUR.

Per quanto riguardava la presentazione di offerte ritenute “meno aggressive” sui lotti 3 e 9 in cui si era verificata la sovrapposizione con l’offerta di MFM, il consorzio ricorrente rilevava che l’entità del ribasso formulato in realtà non era in alcun modo significativo dell’intesa, dato che era assolutamente considerevole e pienamente in linea con la media dei ribassi registrata per i lotti in questione, fermo restando che non era dimostrato come, a fronte di un elevato numero di concorrenti, la media si sarebbe ridotta esclusivamente in conseguenza della scelta compiuta da CNS, considerando anche lo specifico sistema di aggiudicazione individuato da Consip, che non era ancorato esclusivamente a parametri economici o automatici ma a una complessa integrazione tra il dato tecnico-qualitativo e quello quantitativo, proprio al fine di diminuire la rilevanza dell’”elemento prezzo”.

Che poi il suddetto ribasso sia risultato inferiore a quello indicato per altri lotti dipendeva da una pluralità di fattori di natura soggettiva e oggettiva, legati alle particolari caratteristiche e specificità di ciascun lotto e così pure non poteva rilevare la tesi dell’AGCM secondo la quale MFM aveva presentato ribassi identici per tutti i lotti, data la piena autonomia di scelte partecipative riconducibile alla libertà di iniziativa di ciascun operatore del settore e la diversità di ruolo riscontrabile tra i due soggetti a confronto, essendo CNS un consorzio che doveva calibrare la propria strategia in relazione alle diverse esigenze delle consorziate e ai costi destinati a gravare su quest’ultime, legati all’entità delle percentuali dell’importo della commessa che esse avrebbero dovuto riversare al consorzio a norma di regolamento. Inoltre, nei lotti in questione ribassi estremamente elevati avrebbero potenzialmente comportato complicazioni in sede di esecuzione dell’appalto dato che solo nelle zone in cui, attraverso la presenza di un maggiore numero di consorziate e un più completo bagaglio di conoscenze, era possibile abbattere i costi e contenere il rischio gestionale.

Né poteva avere valore decisivo il documento riscontrato consistente in una “e-mail” in cui, nell’esaminare lo scenario risultante all’esito della procedura, i lotti 3 e 9 non erano stati presi in considerazione ai fini del posizionamento competitivo di CNS, in quanto l’autore di tale documento aveva rappresentato soltanto i possibili riflessi sul mercato delle eventuali aggiudicazioni del massimo numero consentito di lotti a taluni operatori e al solo scopo di valutare il mantenimento del portafoglio e di ipotizzare gli scenari conseguenziali, per i quali i lotti in questione non erano idonei a raggiungere gli obiettivi di mercato al fine di mantenere l’attuale portafoglio.

La mancata partecipazione al lotto riguardante la Lombardia pur in presenza di consorziate operanti in tale regione - secondo una delle altre censure formulate dall’AGCM - non teneva conto che il relativo portafoglio era legato a due consorziate per un valore di solo l’1% di quello complessivo consortile, non rilevando il fatturato realizzato nel 2012 da tali due imprese perché legato a strutture ospedaliere che non richiedevano una presenza capillare sul territorio.

A ciò doveva aggiungersi che la garanzia assicurata a MFM attraverso la traslazione in Piemonte con l’impegno di Kuadra di attribuire subappalti per un valore superiore testimoniava - al contrario di quanto ritenuto dall’AGCM - proprio la volontà di tutela alla propria consorziata, in piena coerenza con le finalità dello strumento consortile, dato che era economicamente molto più conveniente per le consorziate eseguire in subappalto i servizi affidati all’ATI 1 anziché partecipare direttamente tramite quest’ultimo, stanti i costi e le responsabilità per esse da ciò derivanti.

Per il Trentino Alto Adige vi era una consorziata che svolgeva attività nel settore delle pulizie in quell’area ma prestando un servizio differente, in strutture ospedaliere, assolutamente non assimilabile a quello da rendere nelle scuole mentre l’unica consorziata con sede nel Trentino non svolgeva attività di pulizie ma operava in altri settori.

La partecipazione al lotto per la Toscana era giustificata dalla strategia di ampliamento dell’ambito di operatività del consorzio oltre i consueti confini territoriali in condizioni ambientali “tranquille” e più favorevoli rispetto a quelle riscontrabili in altre zone del territorio nazionale.

Per quanto riguardava la partecipazione al lotto 4 (Lazio e Sardegna), CNS evidenziava che vi era un minor numero di “ex LSU” rispetto al lotti equiparabili (Sicilia) nonché un quadro economico complessivo decisamente migliore riguardo alla “spesa storica” e alle somme messe a disposizione che erano ben maggiori di oltre 10 milioni di euro annui. Era stata calcolata anche la minor competitività legata al calcolo degli oneri finanziari, attesa la maggior “debolezza” delle cooperative siciliane rispetto a quelle laziali, derivante dai tempi medi di pagamento delle scuole dalla data di emissione della fattura.

In definitiva, CNS affermava di aver ampiamente illustrato la logicità e l’assenza di volontà anticoncorrenziale nella scelta specifica di partecipazione o meno ai singoli lotti, fermo restando che tutte le argomentazioni illustrate nel corso del procedimento non erano state valutate, avendo ribadito sostanzialmente l’AGCM le conclusioni già espresse nella CRI

A tutto ciò doveva aggiungersi che l’Autorità non aveva fornito alcuna prova che legasse tutte e quattro le parti dell’intesa o fornisse la certezza di uno scambio di informazioni dirette tra CNS e MFM, considerati quali i principali protagonisti della stessa.

Il consorzio ricorrente criticava anche gli ulteriori elementi esogeni richiamati dall’Autorità per pervenire alle sue conclusioni.

In sintesi, essi riguardavano lo scambio di informazioni avvenuto tra partecipanti alla gara, l’accordo di subappalto per il lotto 4, come stipulato tra CNS e RM, i rapporti di “governance” tra RM e MFM e un documento interno a CNS del 6.11.2012.

Riguardo al primo elemento, il consorzio ricorrente sottolineava nuovamente l’assenza di scambi diretti di informazioni tra esso e MFM, non avendo rilevanza sul punto la richiamata comunicazione telefonica che c’era stata tra il presidente di CNS con esponente di MFM, da considerarsi quale elemento del tutto fisiologico nel rapporto tra consorzio e consorziata e la dichiarazione resa da un esponente di MFM, sull’insussistenza di tale comunicazione, non assumeva alcun significato poiché il diretto interessato aveva espresso i fatti “per quanto di propria conoscenza” ed evidentemente non era informato della stessa e anche per la ragione che comunque non vi erano stati ulteriori contatti tra le parti.

In relazione al richiamato accordo di subappalto, il ricorrente rilevava che le tesi dell’AGCM erano prive di pregio in quanto il contratto preliminare in questione era lecito e giustificato da ragioni di natura imprenditoriale, tenuto conto che la legge di gara consentiva all’operatore in possesso di tutti i requisiti di qualificazione di stipulare contratti di subappalto, se non partecipante alla gara, e il termine “rinuncia” contenuto in tale accordo preliminare rifletteva unicamente tale possibilità, fermo restando che la stessa giurisprudenza comunitaria aveva evidenziato che il subappalto da parte di impresa aggiudicataria ad altre imprese partecipanti alla stessa gara non poteva costituire una presunzione della collusione tra le due imprese interessate e che la volontà di RM corrispondeva ad una scelta imprenditoriale consistente nel mantenimento del proprio “portafoglio ordini”, senza che potesse valorizzarsi il rilievo per il quale l’entità del subappalto coincideva sostanzialmente con il portafoglio pregresso di RM, in quanto essa rappresentava soltanto il punto di equilibrio dei diversi ed autonomi interessi perseguiti dalle parti.

In relazione, poi, ad una serie di “e-mail” datate 7.2.2014, il ricorrente riteneva che esse non assumevano alcuna rilevanza e, in proposito alla durata annuale del contratto con previsione di rinnovo di anno in anno, richiamava la giustificazione dovuta al fatto che gli istituti scolastici definiscono solo annualmente i propri fabbisogni ed era quindi necessario verificare di anno in anno l’importo degli ordinativi ai fini del rispetto del limite massimo previsto dall’art. 118 d.lgs. n. 163/06.

Inoltre, la circostanza di avvalersi dell’apporto collaborativo di RM era avvalorata da giustificazioni economiche, oggettive e plausibili e comunque risultava che il subappalto in questione non aveva inciso negativamente sul portafoglio delle consorziate, alle quali in ogni caso era stata affidata parte considerevole del servizio, per il 70%. A ciò doveva aggiungersi che RM non possedeva i requisiti di fatturato specifico per partecipare alla gara, come appurato da una più approfondita verifica dei bilanci susseguente alla prima tendenza emersa secondo la quale RM aveva invece deciso di partecipare in forma singola, come dimostrato documentatamente nel corso del procedimento.

RM non poteva neanche partecipare con il socio industriale MFM perché avrebbe dovuto necessariamente presentare offerte per altri lotti nella medesima forma, secondo quanto previsto dalla legge di gara, tenuto conto che la stessa RM non aveva individuato altre imprese che non avessero partecipato anche ad altri lotti o che volessero concorrere per il solo lotto 4. Lo stesso art. 49 d.lgs. n. 163/06, poi, non contemplava alla data di presentazione delle offerte la possibilità di ricorrere all’avvalimento parziale, secondo la relativa conclusione giurisprudenziale.

In relazione ai rapporti di “governance” tra MFM e RM, il consorzio ricorrente evidenziava che tale circostanza era stata strumentalizzata dall’AGCM, in quanto non sussisteva alcuna situazione di controllo e gli altri elementi richiamati per tentare di giustificare la sussistenza di un accordo collusivo non erano idonei a raggiungere la finalità individuata nel provvedimento impugnato, sussistendo unicamente nell’ambito dell’ordinario rapporto tra partecipata e socio industriale, legato anche alla fisiologica necessità di conoscere le rispettive volontà di partecipare a una medesima gara.

La trasmissione della bozza del contratto di subappalto costituiva invero una normale informazione al socio industriale di un’operazione rilevante per la società e dalla genericità delle relative comunicazioni non si traeva alcuna conferma del fatto che MFM si fosse ingerita nella negoziazione tra RM e CNS.

RM aveva trasmesso a MFM il testo definitivo contrattuale unicamente per mera informazione senza mai chiedere un avallo da parte di quest’ultima. La ricostruzione temporale dell’andamento della gara testimoniava che alla data del 18.7.2012 CNS aveva già delineato la propria strategia, individuando i lotti a cui partecipare, senza che vi fossero stati prima contatti con RM, iniziati solo nell’agosto 2012, fermo restando che MFM comunque aveva già autonomamente deciso di non presentare offerta per il lotto 4.

Il regolamento dell’ATI 1 non era mai stato portato a conoscenza di MFM e quindi RM non aveva mai avuto un ruolo cruciale nel veicolare informazioni tra il consorzio e il suo socio industriale, tenendo anche conto che dall’audizione di un dipendente di MFM emergeva la dichiarazione di non conoscenza in ordine ai contatti tra le parti sui flussi informativi sull’intera gara, idonei a orientare il reciproco comportamento di tale società e di CNS.

Da ultimo, in riferimento al documento interno di CNS del 6.11.2012, in cui risultava per l’AGCM individuata una singolare indicazione dei lotti poi effettivamente aggiudicati, il ricorrente osservava che esso era successivo all’apertura in seduta pubblica delle domande di partecipazione e che la conoscenza dei singoli concorrenti che avevano presentate le offerte, ivi compresa MFM, ben poteva orientare una ragionevole previsione di aggiudicazione.

Ad ogni modo - concludeva il ricorrente - il censurato scambio di informazioni consistito nella trasmissione da parte di RM a MFM del testo del contratto preliminare in procinto di sottoscrizione con CNS non aveva di certo potuto concretamente annullare o falsare la concorrenza nel mercato dei servizi di pulizia nelle scuole, consistendo la gara in questione nell’aggiudicazione di ben tredici lotti sull’intero territorio nazionale che vedeva la partecipazione di un alto numero di imprese interessate, in uno sfondo quindi con un elevato grado di trasparenza del mercato rilevante, confermato anche dalla mancanza di elementi di prova secondo i quali se tutti i soggetti coinvolti nell’intesa fossero stati guidati da logiche di confronto competitivo si sarebbe, con ogni probabilità, assistito a risultati differenti nella gara in questione.

III. Violazione falsa applicazione dell’art. 101, paragrafo 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. per carenza della motivazione e dell’art. 14 della l. 10 ottobre 1990, n. 287 e s.m.i. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e illogicità manifesta della sanzione applicata”.

La condotta censurata “per oggetto” non poteva essere inquadrata in una fattispecie di restrizione della concorrenza, in quanto in tali casi la giurisprudenza impone che essa debba essere interpretata restrittivamente, collegando i presupposti della sanzione ad una puntuale analisi delle caratteristiche intrinseche del mercato dei servizi in esame, che nel caso di specie era mancata.

Ciò perché, in primo luogo, CNS e MFM non rappresentavano i due maggiori “players” del mercato delle pulizie, il quale è connotato da estrema frammentazione (su un totale di 22.965 imprese del settore, ben 8.082 possono definirsi la parte più significativa) e vede il consorzio ricorrente con una quota di mercato estremamente bassa (per il 2,43 nel 2012 e per il 2,04% nel 2014).

In secondo luogo, l’AGCM non aveva considerato il ruolo di tutti gli altri concorrenti estranei all’area della ritenuta concertazione collusiva, che avevano partecipato al confronto nella medesima gara, né aveva approfondito l’argomento per il quale l’aggiudicazione dei lotti non era dipesa dalle dimensioni e dal posizionamento nel mercato delle imprese partecipanti bensì unicamente dalla valutazione delle offerte tecniche migliorative e delle offerte economiche, unitamente considerate.

Né poteva avere alcuna rilevanza sul punto il richiamo ad un incontro organizzato dal CNS in data 20.11.2013 con alcuni dei più importanti operatori del mercato, in quanto esso era in realtà stato indetto a seguito di un’assemblea dell’associazione di settore in relazione alle consultazioni che l’Autorità di settore (l’allora AVCP) aveva avviato per approfondire la fattispecie dei “bandi tipo”. Essa non aveva un carattere segreto e riguardava, quindi, una questione di interesse generale per il settore, nulla avendo a che fare con la gara Consip in questione.

Nessuna rilevanza assumeva, poi, una “e-mail” interna al consorzio del 7.2.2014 in cui si prefigurava l’opportunità di concedere subappalti in alcune scuole di Torino a cooperative aderenti a Confcooperative, in quanto tale circostanza era collegata alla protesta in atto di un comitato.

L’ampia partecipazione di operatori consentita dalla struttura stessa della gara escludeva poi la sussistenza - ma anche l’astratta configurabilità - della pratica concordata, come contestata dall’Autorità, né risultava che quest’ultima avesse approfondito una disamina volta a dimostrare come la concorrenza invocata si sarebbe svolta in assenza della pratica concertata addebitata alle parti.

“IV. Violazione falsa applicazione dell’art. 15 legge n. 287/1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 legge n. 689/1981. Violazione dei principi di legalità e di non retroattività della pena ai sensi degli artt. 7 CEDU e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Violazione dell’art. 25 Cost. Violazione degli Orientamenti della Commissione sul calcolo delle ammende. Violazione e falsa applicazione delle Linee guida AGCM sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, irragionevolezza, illogicità, ingiustizia manifesta e carenza di motivazione. Violazione del principio di proporzionalità. Illegittimità delle Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie adottate da AGCM con delibera del 22 ottobre 2014. Illegittimità diretta e derivata” .

Subordinatamente alle precedenti censure, il consorzio ricorrente contestava anche l’entità della sanzione inflitta, in relazione alla ritenuta “gravità” dell’intesa, alla proporzionalità dell’ammenda e alla legittimità stessa delle Linee guida applicate dall’AGCM.

Sul primo profilo, il ricorrente osservava che la presunta pratica concordata non aveva affatto coinvolto tutti i partecipanti alla gara, con conseguente esclusione di un effetto ripartitorio del mercato ad opera delle due imprese principalmente coinvolte, CNS e MFM.

Inoltre, il provvedimento impugnato aveva identificato il valore delle vendite, quale valore massimo convenzionabile considerato per ciascun lotto, comprensivo dei “plafond aggiuntivi”, determinando così un importo base che per il ricorrente era pari ad euro 374.600.600,00. A tale cifra era stata poi moltiplicata una percentuale riflettente la ritenuta gravità, individuata nel 15% per tutte le parti, pervenendo ad una cifra conclusiva di oltre 56 milioni di euro, del tutto sproporzionata ed esorbitante e pari a circa il 7,5% del fatturato totale della ricorrente.

In merito, il ricorrente riteneva che in realtà l’importo della sanzione doveva essere determinato secondo le regole in vigore al momento dei fatti, legandosi quindi al fatturato totale del 2014 (pari ad euro 274.406.085), nel rispetto del principio di legalità e di quello di non retroattività della pena ai sensi dell’art. 7 CEDU.

Inoltre, per la natura stessa del consorzio, l’importo-base da riconoscere non poteva essere rappresentato dal valore degli importi delle prestazioni svolte nei lotti aggiudicati bensì soltanto dall’importo riconosciuto a CNS dalle consorziate esecutrici per i costi relativi allo svolgimento della gara e al coordinamento operativo (“rimborsi consortili”), ai sensi di quanto rilevato in una recente decisione della Commissione europea del 24 giugno 2015.

Ad ogni modo, il valore delle vendite non poteva essere rappresentato dal massimo convenzionabile, che costituiva solo un importo teorico, ma dagli importi effettivamente convenzionati.

A ciò doveva aggiungersi l’illegittimità del calcolo anche del “plafond” aggiuntivo, che costituiva elemento non ricompreso nell’importo di aggiudicazione ma era meramente eventuale.

Nettamente sproporzionata, poi, era l’entità della sanzione come irrogata in quanto avrebbe seriamente compromesso l’attività futura del CNS.

In linea subordinata il ricorrente rilevava anche l’illegittimità delle Linee guida nella parte in cui avevano provocato l’applicazione di una sanzione di così elevato ammontare, in quanto doveva escludersi un’applicazione automatica della soglia minima del 15% laddove si andava incidere sul prevalente principio di proporzionalità secondo le circostanze del caso concreto e si dava luogo ad una sostanziale eliminazione, o quanto meno radicale limitazione, della valutazione discrezionale imposta dalla legge sulla graduazione della sanzione.

Si costituiva in giudizio l’Associazione Nazionale Imprese di Pulizia e Servizi Integrati ANIP, che aveva partecipato al procedimento, chiedendo la reiezione del ricorso.

Si costituiva in giudizio anche l’Autorità intimata, chiedendo la reiezione del ricorso secondo tesi illustrate in specifica memoria per la camera di consiglio.

In tale occasione la trattazione della causa era rinviata al merito e, in prossimità della relativa udienza pubblica, le parti costituite depositavano ulteriori memorie a sostegno delle rispettive tesi (il ricorrente anche di replica). La difesa dell’AGCM depositava inoltre una specifica istanza di autorizzazione al relativo deposito tardivo.

Alla pubblica udienza del 6 luglio 2016 la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio, in via preliminare, ritiene di concedere eccezionalmente l’autorizzazione richiesta dall’AGCM al deposito tardivo degli ultimi scritti difensivi, ai sensi dell’art. 54, comma 1, c.p.a., attesa la complessità della fattispecie e il numero rilevante di documenti da esaminare.

Passando all’esame del ricorso, il Collegio, senza dilungarsi oltremodo sui presupposti che la giurisprudenza ha individuato ai fini della valutazione di legittimità di provvedimenti sanzionatori in materia di “antitrust”, peraltro ben noti alle parti che ne hanno fatto ampio richiamo nelle proprie difese, evidenzia, in sintesi, quanto già recentemente precisato sul punto (per tutte: TAR Lazio, Sez. I, 25.7.16, n. 8506).

In particolare, si è evidenziato che la concorrenza sul mercato è tutelata al fine di garantire il benessere dei consumatori e un’allocazione efficiente delle risorse, per cui ogni operatore economico deve determinare in maniera autonoma il suo comportamento nel mercato di riferimento (Case C-49/92 Commission v Anic Partecipazioni s.p.a. [1999] ECR I-4125), non essendogli consentito instaurare con gli altri “competitors” contatti diretti o indiretti aventi “per oggetto” o “per effetto” di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato.

Tali contatti vietati possono, poi, rivestire la forma dell’accordo ovvero quella delle pratiche concordate.

Il Consiglio di Stato (per tutte, tra le ult.: Sez. VI, 4.9.15, n. 4123 nonché 13.5.11, n. 2925, con ampi richiami giurisprudenziali, comunitari e nazionali) ha infatti avuto modo di precisare in argomento quanto segue: “Mentre la fattispecie dell’accordo ricorre qualora le imprese abbiano espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo, la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza. I criteri del coordinamento e della collaborazione, che consentono di definire tale nozione, vanno intesi alla luce dei principi in materia di concorrenza, secondo cui ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato. Pur non escludendo la suddetta esigenza di autonomia il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti, essa vieta però rigorosamente che fra gli operatori abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato. L’intesa restrittiva della concorrenza mediante pratica concordata richiede comportamenti di più imprese, uniformi e paralleli, che costituiscano frutto di concertazione e non di iniziative unilaterali, sicché nella pratica concordata manca, o comunque non è rintracciabile da parte dell’investigatore, un accordo espresso, il che è agevolmente comprensibile, ove si consideri che gli operatori del mercato, ove intendano porre in essere una pratica anticoncorrenziale, ed essendo consapevoli della sua illiceità, tenteranno con ogni mezzo di celarla, evitando accordi scritti o accordi verbali espressi e ricorrendo, invece, a reciproci segnali volti ad addivenire ad una concertazione di fatto. La giurisprudenza, consapevole della rarità dell’acquisizione di una prova piena, ritiene che la prova della pratica concordata, oltre che documentale, possa anche essere indiziaria, purché gli indizi siano gravi, precisi e concordanti. Nella pratica concordata l’esistenza dell’elemento soggettivo della concertazione deve perciò desumersi in via indiziaria da elementi oggettivi, quali:

- la durata, l’uniformità e il parallelismo dei comportamenti;

- l’esistenza di incontri tra le imprese;

- gli impegni, ancorché generici e apparentemente non univoci, di strategie e politiche comuni;

- i segnali e le informative reciproche;

- il successo pratico dei comportamenti, che non potrebbe derivare da iniziative unilaterali, ma solo da condotte concertate.

La giurisprudenza comunitaria e nazionale distingue tra parallelismo naturale e parallelismo artificiosamente indotto da intese anticoncorrenziali, di cui la prima fattispecie da dimostrare sulla base di elementi di prova endogeni, ossia collegati alla stranezza intrinseca delle condotte accertate e alla mancanza di spiegazioni alternative, nel senso che, in una logica di confronto concorrenziale, il comportamento delle imprese sarebbe stato sicuramente o almeno plausibilmente diverso da quello riscontrato, e la seconda sulla base di elementi di prova esogeni, ossia di riscontri esterni circa l’intervento di un’intesa illecita al di là della fisiologica stranezza della condotta in quanto tale. La differenza tra le due fattispecie e correlative tipologie di elementi probatori – endogeni e, rispettivamente esogeni – si riflette sul soggetto, sul quale ricade l’onere della prova: nel primo caso, la prova dell’irrazionalità delle condotte grava sull’Autorità, mentre, nel secondo caso, l’onere probatorio contrario viene spostato in capo all’impresa. In particolare, qualora, a fronte della semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti sul mercato, il ragionamento dell’Autorità sia fondato sulla supposizione che le condotte poste a base dell’ipotesi accusatoria oggetto di contestazione non possano essere spiegate altrimenti se non con una concertazione tra le imprese, a queste ultime basta dimostrare circostanze plausibili che pongano sotto una luce diversa i fatti accertati dall’Autorità e che consentano, così, di dare una diversa spiegazione dei fatti rispetto a quella accolta nell’impugnato provvedimento. Qualora, invece, la prova della concertazione non sia basata sulla semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti, ma dall’istruttoria emerga che le pratiche possano essere stati frutto di una concertazione e di uno scambio di informazioni in concreto tra le imprese, in relazione alle quali vi siano ragionevoli indizi di una pratica concordata anticoncorrenziale, grava sulle imprese l’onere di fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte e dei loro contatti” (sulla ricostruzione della fattispecie delle pratiche concordate anticoncorrenziali, in punto di giurisprudenza dell’Unione, v: Case 41, 44 e 45/69 ACF Chemiefarma NV v Commission [1970] ECR 661, Polypropylene [1986] OJ L230/1, Cases 48-57 ICI v. Commission [Dyestuffs 1972] ECR619;
cases 40-48, 50, 54-56, 111, 113 e 114/73 Cooperatieve Verenigning ‘Suiker Unie’ UA v Commission [1975] ECR 16634, Case 172/80 Zuechner v Bayerische Vereinsbank [1981] ECR2021).

Per quanto riguarda, poi, l’individuazione del “mercato rilevante” in cui la condotta sanzionabile è ritenuta realizzata – per quanto riguarda la presente fattispecie - come ampiamente rilevato dalla giurisprudenza (con riferimento a “gare d’ambito”, v. Cons. Stato, Sez. VI, 4.11.14, n. 5423), la definizione ed estensione del concetto di “mercato rilevante” spetta all’Autorità competente quale frutto di una valutazione discrezionale, non censurabile nel merito da parte del giudice amministrativo se non per vizi di illogicità estrinseca, e ben può essere desunta all’esito dell’esame della singola e specifica condotta della quale sia sospettata la portata anticoncorrenziale, con la conseguenza per la quale il “mercato rilevante” può anche coincidere con una singola gara. Ciò vale tanto più nel caso in esame ove – aggiunge il Collegio - la procedura riguardava l’intero territorio nazionale, sia pure suddiviso in lotti regionali o macroregionali.

Passando ad esaminare i singoli motivi di ricorso, il Collegio rileva l’infondatezza di quanto lamentato da CNS nella premessa introduttiva.

Il Collegio rileva che le fattispecie dell’“accordo” e quella della “pratica concordata”, pur presentando elementi costitutivi differenti, non sono mutualmente incompatibili e possono quindi coesistere.

Questa Sezione ha già recentemente evidenziato che una siffatta interpretazione non è incompatibile con la natura restrittiva del divieto posto dall’art. 101 TFUE e comporta l’accettazione del fatto che nel caso di illecito “antitrust” posto in essere attraverso differenti forme di condotta, queste, pur diversamente definite, ricadono comunque nell’ambito applicativo della stessa norma sanzionatoria e sono tutte ugualmente vietate, con la conseguenza che l’effetto di deterrenza della norma di forme collusive anticompetitive, è in ogni caso realizzato (TAR Lazio, Sez. I, n. 8506/16 cit.).

Nella presente fattispecie, quindi, l’AGCM ha sostanzialmente contestato alle parti una concertazione “complessa”, definendone con chiarezza – secondo la sua ricostruzione - il plurimo oggetto anticompetitivo, vale a dire la volontà di condizionare gli esiti della gara Consip attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti più appetibili nei limiti di quanto prescritto dalla “lex specialis”, con valorizzazione economica dei rapporti di portafoglio.

Devono quindi essere disattese le censure variamente volte a contestare l’inammissibilità della ricostruzione operata dall’Autorità sotto il profilo dell’incertezza o indeterminatezza del provvedimento sanzionatorio in merito alla identificazione dei comportamenti contestati per la mancata riconduzione degli stessi all’accordo o alla pratica concordata.

Così pure, non risulta dal contesto del provvedimento impugnato che sia stato censurato il ricorso a forme di aggregazione partecipativa a pubbliche gare in sé considerato, quali a.t.i., subappalto o partecipazione consortile, ma l’uso distorto del coordinamento che ne è derivato nella specifica gara esaminata, con conseguente sufficiente grado di dannosità e idoneità degli elementi indiziari individuati, come precisato in prosieguo.

Passando all’esame dell’ulteriore motivo di ricorso, il Collegio rileva in realtà la sussistenza di una congruenza narrativa nella ricostruzione dell’Autorità, come sarà ulteriormente precisato.

Per quanto riguarda gli elementi endogeni, non può che farsi riferimento alla giurisprudenza sopra richiamata, nel senso che in tali fattispecie la valutazione dei singoli comportamenti individuati deve integrarsi nello sfondo complessivo di strategia riconducibile alle parti in cui la tesi “accusatoria” risulta l’unica in grado di reggere a una logica di giustificazione del suddetto sfondo di “insieme”, a confronto delle diverse ricostruzioni proposte dalle imprese interessate.

Come detto, nel caso di specie l’AGCM ha contestato alle parti una concertazione “complessa”, definendone il plurimo oggetto anticompetitivo, dato dalla volontà di condizionare gli esiti della gara Consip attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti più appetibili.

Ebbene, per quanto riguarda l’indicazione secondo cui uno degli elementi che avrebbe indotto alla scelta di non partecipare ai lotti per le regioni meridionali era quello legato alla presenza di lavoratori “ex LSU”, il Collegio rileva che tale tipologia di lavoratori era presente anche per i lotti centro-settentrionali e anzi, secondo quanto dichiarato nel procedimento da MFM, era stata per quest’ultima una delle ragioni per non presentare offerta nei relativi lotti invece individuati da CNS.

Non è spiegato quindi dal consorzio ricorrente perché la presenza di “ex LSU” era “dissuasiva” nei soli lotti meridionali e non anche in quelli centro-settentrionali (si consideri che CNS ha partecipato, in ATI 1, al lotto per la Toscana ove erano presenti “ex LSU”), tenuto anche conto della struttura consortile che avrebbe potuto ben assorbire il ritenuto “impatto” antieconomico della c.d. “clausola sociale”.

Sull’assenza di stanziamento integrale di fondi per il relativo assorbimento da parte del MIUR, il Collegio osserva poi che tale elemento valeva per tutti i concorrenti e se altre imprese hanno invece ritenuto di partecipare ugualmente alla gara, con conseguente aggiudicazione, non può che stare a significare che comunque sussisteva un rapporto costi/beneficio economicamente apprezzabile.

Generico poi appare il riferimento a “tensioni sociali” che “sconsigliavano” la presentazione di offerte per i predetti lotti, tenendo conto che lo stesso CNS in una “e-mail” interna del 7.2.2014 prefigurava l’opportunità di concedere subappalti in alcune scuole di Torino a cooperative aderenti a Confcooperative, in quanto tale circostanza era collegata alla protesta in atto di un comitato, confermando con ciò che le “tensioni sociali” potevano non essere considerate determinati per la propria strategia di partecipazione.

Così pure non appare convincente la ricostruzione di CNS – con conseguenza assenza di illogicità nelle opposte conclusioni dell’AGCM – in ordine alla mancata partecipazione al lotto riguardante l’Emilia-Romagna (poi aggiudicato a MFM), fondata sulla circostanza per la quale le strutture coincidevano con un precedente servizio già aggiudicato nell’interesse delle cooperative indicate in occasione della relativa gara, in quanto risulta poi la concessione di alcuni subappalti di rilievo da parte della vincitrice MFM proprio ad alcune cooperative consorziate che detenevano in regione “appalti storici” e non risultavano ricollocate, pur avendo la stessa MFM sede in Emilia-Romagna ed essendo anch’essa titolare di contratti di cui all’appalto “Intercent.er”.

Se – come afferma CNS – l’eventuale partecipazione a tale Lotto 2 avrebbe costituito una duplicazione di offerte senza convenienza economica, non si comprende per quale ragione – se non nell’ottica “compensativa” individuata dall’AGCM - la sua maggiore consorziata avrebbe invece optato per tale scelta, concedendo poi subappalti di rilievo ad altre consorziate non riallocate.

A ciò si aggiunga che, come precisato nelle difese dell’Autorità, sussisteva in realtà uno “sfasamento temporale” tra i due appalti, in quanto le fasi di convenzionamento ed esecuzione dell’appalto “Intercent.er” “scadevano” ben prima di quelle Consip (rispettivamente: convenzionamento al 2013, prorogato al 2014, ed esecuzione al giugno 2017 per “Intercent.er”, convenzionamento al 2015 ed esecuzione al novembre 2019 per Consip).

Appare logicamente priva di contraddittorietà, quindi, la ricostruzione dell’AGCM secondo cui la mancata partecipazione non era frutto di libera scelta riconducibile a logica imprenditoriale ma si inseriva nel più generale quadro in cui le parti principali (MFM e CNS) eliminavano il reciproco confronto concorrenziale “a monte”, usufruendo in tal guisa di benefici diretti e indiretti.

Per quanto riguarda la mancata partecipazione al Lotto 8 (Lombardia-Trentino, pure aggiudicato a MFM) ugualmente le tesi del ricorrente non appaiono idonee a fornire una spiegazione alternativa convincente e a scardinare l’univocità della ricostruzione dell’AGCM, sotto il profilo indicato.

Il Collegio ritiene sul punto di evidenziare che proprio perché il consorzio nelle sue difese sostiene di essere lui a valutare autonomamente l’opportunità di partecipare alle singole gare, costituendo la richiesta di preassegnazione delle consorziate solo un presupposto minimo, appare ancor più necessaria un’articolazione logica dei motivi che lo hanno indotto alla specifica scelta, a fronte delle circostanze di fatto per le quali la sua principale consorziata non ha partecipato ai medesimi lotti dell’ATI 1 e negli unici due lotti ove ATI 1 si è “scontrata” con MFM risulta un’offerta meno competitiva, non potendo essere sufficiente a tale scopo il generico richiamo all’autonomia decisionale di CNS.

Ebbene, non appare giustificata nell’ottica richiamata la scelta di non privilegiare, sia pure con la mera partecipazione competitiva, le consorziate titolari di portafoglio rilevante in Lombardia, ove peraltro, come osservato nelle difese dell’AGCM, non erano neanche presenti “ex LSU”.

Il richiamo alla libera scelta di espansione territoriale, peraltro sollecitata da alcune consorziate di rilievo, di cui alle tesi di CNS, appare contraddittoria e avulsa dal contesto preso a riferimento dall’AGCM. Basti pensare che il CNS afferma di aver escluso “a priori” la partecipazione ai lotti meridionali per assenza di portafogli e presenza di “ex LSU” quando risulta poi la partecipazione al lotto per la Toscana, ove pure vi era assenza di “portafoglio” e presenza di “ex LSU”.

Si ribadisce, ancora una volta, che la tesi dell’AGCM deve essere verificata nella sua “globalità” laddove censura la condotta orientata ad escludere “a monte” il confronto competitivo su lotti particolarmente appetibili a fronte di vantaggi che le imprese coinvolte assumevano dalla condotta stessa.

Nel caso di specie è la certezza di non avere concorrenzialità da parte del maggior “competitor” ad essere stata stigmatizzata, non l’esito di ciascuna gara per lotti.

Ciò vale anche a confutare la tesi del ricorrente in ordine alla valutazione di competitività dell’offerta per i Lotti 3 e 9 in considerazione della specificità della legge di gara, in quanto il concreto esito – in disparte quanto in prosieguo specificato sull’entità della sanzione – non incide sulla fattispecie illecita sanzionata.

Ad ogni modo, illogica appare la identità di offerte economiche, pur in riferimento a territori diversi, dato che era su questo profilo che la gara si poteva concentrare nella sua consistenza concorrenziale, essendo le offerte tecniche riconducibili ai due principali “players”, MFM e CNS, sostanzialmente paragonabili in virtù della consistente struttura di impresa che li contraddistigueva.

Il quadro così ricomposto trovava poi sostegno indiziario, nei sensi sopra rappresentati, anche per quanto riguarda gli elementi “esogeni”, da considerare sempre nella loro complessività.

Per quanto riguarda i rapporti CNS/MFM/RM risulta infatti una “e-mail” in cui, nel quadro dell’accordo RM/CNS, era trasmesso il regolamento interno dell’ATI 1 con indicazione dei lotti in cui presentare offerta e ciò non avrebbe avuto ragione di essere se non nell’ottica compensativa/collaborativa identificata dall’AGCM, dato che l’ATI 1 non comprendeva RM.

Né risulta che RM non possedesse i requisiti per partecipare singolarmente, in quanto non avrebbe avuto senso logico la clausola del relativo accordo in cui RM dichiarava di rinunciare a partecipare alla medesima, se essa “ab origine” non avesse posseduto i requisiti.

Risulta inoltre una delibera del 2.8.12 in cui il Consiglio di amministrazione di RM aveva in realtà deciso di partecipare alla gara, evidentemente con la consapevolezza di detenere i requisiti richiesti, anche se per soli due lotti.

Così pure irrilevante è l’osservazione in ordine alla circostanza per la quale RM avrebbe potuto decidere, in piena autonomia e sulla base delle proprie valutazioni di opportunità, di accordarsi con CNS anche in caso di partecipazione alla gara di MFM, non essendovi alcuna certezza di aggiudicazione a favore di quest’ultima, dato che tale conclusione è meramente ipotetica e l’eliminazione del confronto concorrenziale è stato il fulcro della condotta sanzionata, non l’intervenuta aggiudicazione o una ragionevole previsione di questa, e ciò vale anche per quanto riguarda la consistenza probatoria del documento interno a CNS contenente i nominativi dei partecipanti alla gara e una valutazione prognostica sugli esiti.

Risultano poi una “e-mail” inviata da RM a MFM contenente il testo dell’accordo con CNS prima della sua sottoscrizione - e ciò appare plausibile solo nell’ottica di una condivisione di informazioni sulla gara e sulla partecipazione al lotto 4 - nonché una precedente “e-mail” in cui invece RM comunicava a MFM di voler partecipare, tra altre, anche alla gara Consip in questione.

Seguono anche varie comunicazioni in cui: MFM inviava a RM il testo di una bozza di accordo di subappalto da lei utilizzata e da considerare nella trattativa con CNS, MFM riceveva a sua volta da RM il testo definitivo dell’accordo RM/CNS prima della sottoscrizione, poi successivamente applicato mediante affidamento di subappalti anche ulteriori rispetto a quello originario.

In sostanza, il quadro indiziario complessivo fa emergere la plausibilità dell’unica interpretazione data dall’AGCM, legata all’esistenza di una strategia a valenza anticoncorrenziale orientata a eliminare il rischio del confronto in gara dei due principali “competitors” su determinati lotti, con conseguente mantenimento di quote di portafoglio di MFM anche attraverso società controllata e mediante subappalto.

Infondato si palesa anche il successivo motivo di ricorso.

Dal contesto del provvedimento impugnato si evince con sufficiente chiarezza che, nella ricostruzione dell’AGCM, l’intesa anticoncorrenziale come individuata è stata ritenuta connotata per il suo stesso “oggetto”, in cui le parti, quali maggiori “players” del settore, CNS e MFM, hanno eliminato “a monte” un rischio, quale quello del reciproco confronto concorrenziale, condizionando in tal guisa lo svolgimento della gara, ma anche che la medesima si è “compiutamente realizzata”, in virtù dell’aggiudicazione del numero massimo di lotti per ciascuno degli operatori, salvo quanto vale per le altre imprese, RM e Kuadra, i cui specifici ricorsi, in decisione alla medesima udienza, sono trattati in altra pronuncia. Ne è sorta, quindi, anche una connotazione “per effetto”, già prospettata nella CRI.

Per quanto riguarda il motivo di ricorso concernente l’entità della sanzione, si osserva quanto segue.

In primo luogo, il Collegio ritiene di precisare che non si vedono ragioni per ritenere non applicabili al caso di specie le Linee guida adottate dall’Autorità il 22.10.2014, ben prima della notificazione della CRI avvenuta il 16.10.2015.

Questa Sezione ha infatti recentemente affermato – con motivazione che il Collegio condivide e quindi riporta – che: “…il fatto per cui, nel caso in esame, sia stata riconosciuta la sussistenza di un’ipotesi di violazione dell’art. 101 del TFUE non vale a ricondurre l’intera fattispecie sotto l’ambito di applicazione esclusivo degli Orientamenti della Commissione per il calcolo delle ammende, di cui alla comunicazione della Commissione 2006/C 210/02. Come recentemente ribadito dalla Corte di Giustizia ‘Secondo una giurisprudenza costante, il meccanismo di cooperazione tra la Commissione e le autorità nazionali garanti della concorrenza, che è stato previsto al capitolo IV del regolamento n. 1/2003, mira a garantire un'applicazione uniforme delle regole di concorrenza negli Stati membri’. Tale cooperazione, conformemente al considerando 15 del regolamento n. 1/2003, comporta che ‘la Commissione e le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri formano insieme una rete di pubbliche autorità che applicano le regole di concorrenza dell'Unione in stretta cooperazione’, la quale, ai sensi del punto 1 della comunicazione sulla cooperazione “costituisce un foro di discussione e di cooperazione in materia di applicazione e di vigilanza sul rispetto della politica della concorrenza dell'Unione’. A tanto consegue che l’ECN (European Competition Network), ‘intesa a promuovere la discussione e la cooperazione nell'attuazione della politica della concorrenza, non ha il potere di adottare norme giuridicamente vincolanti’ (cfr. Corte giustizia UE, sez. II, 20/01/2016, n. 428). Va, quindi, in primo luogo, rilevato come legittimamente il provvedimento, che ha ritenuto la sussistenza di un’ipotesi di violazione dell’art. 101 del TFEU, ha conformato l’attività di determinazione della sanzione ai criteri contenuti nelle Linee guida approvate dall’Autorità il 22 ottobre 2014 invece che sulla base dei criteri indicati negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitti in applicazione dell’art. 23, paragrafo 2, lettera a) del regolamento CE n. 1/2003 di cui alla comunicazione della commissione 2006/C 210/02 (in tale senso vedi, in fattispecie analoga in cui l’Autorità nazionale italiana ha sanzionato un illecito definito ai sensi dell’art. 101 TFUE, TAR Lazio, Roma. 5 aprile 2016, n. 4099). Neppure è configurabile la prospettata violazione dei principi della certezza del diritto, del legittimo affidamento e di non retroattività delle norme di cui agli art. 6 e 7 CEDU e degli artt. 74 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, non essendo configurabile alcuna successione nel tempo di norme applicabili alla medesima fattispecie...Deve infatti osservarsi come le decisioni della giurisprudenza amministrativa che hanno valutato con favore il richiamo che l’Autorità ha fatto, in taluni provvedimenti emessi prima dell’adozione delle linee guida, agli Orientamenti comunitari, hanno rilevato come il riferimento abbia consentito di far emergere l’iter argomentativo seguito in punto di quantificazione della sanzione - motivazione altrimenti assente o di difficile lettura - ma non hanno, tuttavia, riconosciuto una sfera di diretta cogenza delle disposizioni nel sistema nazionale.” (TAR Lazio, Sez. I, n. 8506/16 cit.).

In ordine alla ritenuta irretroattività, ugualmente si richiama il recente orientamento di questa Sezione, secondo cui: “…le Linee Guida sono applicabili, per loro espressa previsione, ai procedimenti ‘in corso’ al momento della loro adozione, ovvero ‘nei quali non sia stata notificata alle parti la comunicazione delle risultanze istruttorie’…secondo il medesimo regime transitorio già adottato dalla Commissione per gli Orientamenti sulle ammende 2006, la cui legittimità è stata confermata anche dal giudice amministrativo (tra le altre, Tar Lazio 7 aprile 2008, n. 2900, confermata da Consiglio di Stato 20 aprile 2011, n. 2438, Telecom-Vodafone-Wind), fermo restando che le stesse Linee Guida si sono limitate a formalizzare orientamenti giurisprudenziali oramai noti e consolidati sul carattere dissuasivo e sull'efficacia deterrente della sanzione antitrust e sulla gravità delle c.d. intese hardcore, impedendo di individuare la violazione di un legittimo affidamento degli interessati” (TAR Lazio, Sez. I, 5.4.16, n. 4099).

Fondato – nei limiti che si vanno a precisare – è invece quanto illustrato ulteriormente nel ricorso.

Il consorzio ricorrente contesta in generale l’importo della sanzione e, in particolare, che sia stato compreso nell’importo di aggiudicazione posto a base di esso anche il c.d. “plafond”, ancorandosi così a un valore delle “vendite” puramente teorico, piuttosto che “storico-effettivo”, perché non collegato al dato reale degli ordinativi, e che non risultano rispettati il principio di “proporzionalità”, di cui all’art. 2 delle Linee guida, nonché quello che impone di considerare la gravità dell’infrazione, fermo restando quanto previsto ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c), c.p.a.

Ebbene, per quanto riguarda il primo profilo, il Collegio rileva che l’art. 18 di tali Linee guida prevede testualmente che: “ In generale, anche nei casi di collusione nell’ambito di procedure di gare di appalti pubblici, l’Autorità prenderà in considerazione il valore delle vendite direttamente o indirettamente interessate dall’illecito. In linea di principio, tale valore corrisponde, per ciascuna impresa partecipante alla pratica concertativa, agli importi oggetto di aggiudicazione o posti a base d’asta in caso di assenza di aggiudicazione o comunque affidati ad esito di trattativa privata nelle procedure interessate dall’infrazione, senza necessità di introdurre aggiustamenti per la durata dell’infrazione ai sensi dei paragrafi precedenti. Resta fermo che laddove il mercato rilevante risulti più ampio della/e gara/e considerata/e, l’Autorità potrà prendere in considerazione il valore complessivo delle vendite relative all’intero mercato del prodotto/servizio interessato dall’infrazione (comprensivo dunque di tutte le vendite realizzate dall’impresa nel mercato rilevante e non solo di quelle oggetto della gara d’appalto interessata) nell’ultimo anno intero di partecipazione all'infrazione, se del caso modulato in funzione della sua durata ai sensi dei paragrafi precedenti.

In riferimento al caso di specie, quindi, prende rilievo l’ipotesi che considera, “in linea di principio”, quale “valore delle vendite direttamente o indirettamente interessate dall’illecito”, gli “importi oggetto di aggiudicazione o posti a base d’asta in assenza di aggiudicazione”.

L’AGCM ha ritenuto che il valore massimo convenzionabile considerato per ciascun lotto era comprensivo del “plafond” aggiuntivo, ritenuto parte integrante di tale valore perché configurabile come ampliamento dell’oggetto prestazionale dell’appalto e del connesso corrispettivo che la stazione appaltante può imporre, in virtù di determinate condizioni, all’aggiudicatario senza ulteriore procedura ad evidenza pubblica e quindi rientrante a pieno titolo nel corrispettivo della commessa.

In merito, però, il Collegio condivide le osservazioni del ricorrente, secondo le quali tale “plafond” in realtà aveva natura meramente eventuale, perché preso in considerazione nella sola ipotesi in cui l’aggiudicatario avesse ricevuto ordinativi nonostante l’intervenuto esaurimento del massimale di fornitura, ipotesi peraltro non realizzatasi nel caso di specie in relazione ai tre lotti aggiudicati a MFM.

Il “plafond”, quindi, non rientrava in alcun modo nell’importo di aggiudicazione, come confermato anche dagli atti di gara nei quali lo schema di convenzione allegato al Disciplinare specificava, all’art. 2, lett. i), che l’importo massimo della Convenzione non lo comprendeva.

Del tutto immotivata, di conseguenza, si palesa la conclusione riportata nel provvedimento impugnato secondo cui era priva di rilevanza la circostanza per la quale, in relazione ad alcuni lotti, tale “plafond” non era stato attivato, dato che proprio su tale connotazione di estraneità al valore dell’importo (base) di aggiudicazione che la mancata attivazione confermava si erano incentrate le doglianze procedimentali dell’interessata.

D’altronde la stessa AGCM, contraddittoriamente, poco dopo, nel confutare la tesi secondo cui doveva farsi riferimento al solo fatturato effettivamente realizzato a seguito degli ordinativi di fornitura emessi dai singoli istituti scolastici, affermava che ciò non sarebbe coerente con l’impostazione delle Linee guida in quanto – ai fini della pianificazione della condotta collusiva – la strategia partecipativa delle parti era stata pianificata “sulla base degli importi messi a gara, gli unici disponibili al momento della realizzazione dell’intesa”.

Se infatti il criterio di riferimento, anche per il comportamento sanzionato, era legato alla “disponibilità” degli importi di gara al momento della sua realizzazione, di certo i su ricordati “plafond” non erano “disponibili” in tal senso, costituendo indubbiamente una mera eventualità legata all’avverarsi di circostanze di fatto non prevedibili e non nella disponibilità delle imprese.

Ne consegue che dall’importo base della sanzione deve essere detratto il valore dei “plafond” per ciascun lotto aggiudicato alla ricorrente.

Non può essere invece accolta l’ulteriore doglianza legata alla necessità di valutare a tale fine solo il ricavato delle vendite corrispondente agli ordinativi effettivi dei singoli istituti scolastici, atteso che la funzione “dissuasiva” della sanzione “antitrust” – in disparte quanto sarà in prosieguo specificato – non può che essere riferita ad impedire a priori una concertazione in funzione anticoncorrenziale e per fare ciò non può che riferirsi al momento della condotta legata alla specifica fattispecie e agli elementi allora in possesso delle imprese, quali appunto l’importo base dell’appalto a proposito del quale si è svolta la “concertazione” e non la successiva effettiva misura di realizzazione del ricavato “in concreto”, dato che – come illustrato in precedenza – se il pregiudizio per il rapporto di libera concorrenza è punibile in sé, a prescindere dagli effetti anticompetitivi “in concreto” fatti registrare sul mercato, ne consegue che anche il fatturato di riferimento non può che essere scisso da quanto “in concreto” realizzato e ciò vale a confutare anche quanto dedotto dalla ricorrente in merito alla ritenuta necessità di considerare che il MIUR ha stanziato nel corso dell’esecuzione dell’appalto un importo più contenuto (per tutte: Corte Giustizia CE, C-444/11 P e Case C-49/92 Commission v Anic s.p.a. [1999] ECR I-4125).

Da ultimo, il Collegio si sofferma sul profilo ulteriore legato alla contestazione dell’applicazione della percentuale aggiuntiva del 15%, ai sensi degli artt. 11-12 delle Linee guida.

Il Collegio osserva che il provvedimento testualmente (par. 331) descrive che per il valore complessivo degli importi di aggiudicazione ascrivibili a ciascuna parte – come da essa calcolato – “… trattandosi di un’infrazione molto grave dell’articolo 101 TFUE, cioè un intesa orizzontale segreta di ripartizione delle commesse e fissazione dei prezzi, il punto 11 delle Linee Guida prevede un range del 15-30%;
nel caso di specie è stato dunque considerato il valore, uguale per tutte le parti, del 15%”.

In realtà, dalla lettura di tali Linee guida si evince che risulterebbe applicato alla fattispecie anche il successivo art. 12, laddove solo questo prevede il “range” minimo del 15%, peraltro collegato al requisito della gravità dell’infrazione se connotato da segretezza della pratica illecita nella forma di intese orizzontali di “fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione”. In merito vale richiamare che il medesimo art. 12 aggiunge anche: “ Al riguardo, l’eventuale segretezza della pratica illecita ha una diretta relazione con la probabilità di scoperta della stessa e, pertanto, con la sanzione attesa. Per questo tipo di infrazioni, la percentuale del valore delle vendite considerata sarà di regola non inferiore al 15%”.

Il “tetto massimo” del 30% è invece considerato dal richiamato art. 11, secondo cui – in generale – “ La percentuale da applicarsi al valore delle vendite cui l’infrazione si riferisce sarà determinata in funzione del grado di gravità della violazione: Tale percentuale non sarà superiore al 30% del valore delle vendite ”.

Ne deriva, ad opinione del Collegio, un quadro sufficientemente chiaro, secondo cui la percentuale del valore delle vendite da considerare (nel caso di specie del valore complessivo di aggiudicazione come sopra specificato) è legata alla gravità dell’infrazione, partendo dallo 0,n% fino al massimo del 30% (art. 11), a meno che l’infrazione sia definibile come intesa orizzontale “segreta” “di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione”, con conseguente minimo del 15%.

In disparte, comunque, l’osservazione meramente formale legata al richiamo del solo art. 11 contenuto nel provvedimento impugnato laddove risultava applicato anche l’art. 12 che individuava detta percentuale minima di “range” (poi concretamente applicata), il Collegio trova condivisibili le ulteriori doglianze fondate sul rilevare erroneità nella valutazione della gravità della condotta e della proporzionalità della sanzione.

Valga sul punto osservare che appare necessario esaminare l’intera struttura delle Linee guida per pervenire a tale conclusione.

Gli artt. 11-12, infatti, non possono che essere letti (e applicati) in relazione alle altre disposizioni, anche di ordine generale, che li precedono.

Ebbene, il Collegio in primo luogo rileva che l’art. 1 di tale “Linee” attesta che esse sono applicabili in relazione all’accertamento di una infrazione “grave” degli artt. 2 e 3 della l. n. 287/90 o degli artt. 101 e 102 TFUE. Ne consegue che la “gravità” non è insita nella violazione in sé dell’art. 101 – per rimanere al caso di specie – per cui il profilo di “gravità” da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione delle maggiorazioni di cui agli artt. 11 e 12 deve essere ulteriore e specifico, rispetto allo stesso realizzarsi dell’infrazione.

Il medesimo art.1 sottolinea, infatti, che l’Autorità deve a sua volta tenere conto della “gravità” e “durata” relativa, secondo le disposizioni di cui all’art. 15, comma 1, l. n. 287/90 e dell’art. 11 l. n. 689/81, espressamente riportate, e tale richiamo non avrebbe ragione di essere se già la violazione dell’art. 101 TFUE in quanto tale potrebbe comportare l’applicazione della maggiorazioni “per gravità”.

Tanto è vero che l’art. 2 precisa che “ Nell’esercizio del potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie, l’Autorità dispone di un ampio margine di discrezionalità ” ma “ nei limiti di quanto previsto dalle richiamate norme ” e nel limite massimo assoluto del 10% del fatturato totale realizzato a livello mondiale in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida. A ciò si aggiunge il richiamo al principio di proporzionalità, in quanto è detto che: “ Nel rispetto di tali vincoli, ai fini di un’effettiva deterrenza, il livello della sanzione irrogata non deve eccedere quanto necessario per indurre le imprese a conformarsi alle norme antitrust ”, con effetto dissuasivo generale ed effetto dissuasivo specifico (art. 3, lett. a) e b).

L’art. 4, poi, indica che le Linee guida hanno lo scopo di orientare ad individuare la metodologia seguita per la quantificazione, “… funzionale a consentire alle parti di essere messe a conoscenza delle motivazioni e dell’iter logico che hanno indotto l’Autorità a irrogare una determinata sanzione pecuniaria, facilitando al contempo un pieno sindacato giurisdizionale sull’operato dell’Istituzione ”.

L’art. 5, infine, anticipa – rispetto a quanto più diffusamente trattato nel successivo art. 12 – che “ L’Autorità intende esercitare il proprio potere sanzionatorio con particolare rigore là dove ritenuto appropriato e, in particolare, nei casi di intese segrete volte alla fissazione dei prezzi e/o alla ripartizione dei mercati e/o alla limitazione della produzione o comunque di fattispecie che arrecano un serio pregiudizio al funzionamento del mercato a danno dei consumatori ”.

Ciò sta a significare in sintesi, ad avviso del Collegio, quanto segue:

a) per applicare la percentuale di cui agli artt. 11 e 12 delle Linee guida la violazione dell’art. 101 TFUE deve essere accompagnata da ulteriori elementi, discrezionalmente verificabili dall’AGCM - ma, proprio per questo, da esternare in congrua motivazione specifica - al fine di applicare la maggiorazione per “gravità” in concreto;

b) tale “gravità”, ai fini dell’applicazione del minimo del 15%, non può limitarsi alla sussistenza dell’intesa come tale ma deve essere connotata da particolare “segretezza”;

c) l’Autorità deve sempre considerare l’effetto dissuasivo specifico (deterrenza nei confronti delle imprese che si sono rese responsabili) ma pur sempre nel rispetto del principio di proporzionalità, consentendo la continuazione dell’attività di impresa ed evitando, quindi, di porre in serio pericolo la saldezza economica delle responsabili.

Ebbene, applicando tali principi, il Collegio ritiene che nel caso di specie l’AGCM non abbia effettuato una corretta operazione, come lamentato dal ricorrente.

Pur rappresentando (par. 313) che “ Secondo consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale, per valutare la gravità di un’infrazione si deve tenere conto di un gran numero di fattori il cui carattere e la cui importanza variano a seconda del tipo di infrazione e delle circostanze particolari della stessa… ”, l’Autorità fonda la sua determinazione finale pressoché unicamente sulla rilevata “segretezza” dell’intesa, senza però soffermarsi su un impianto motivazionale idoneo a far conoscere l’”iter” logico seguito per giungere a tale conclusione.

Sulla segretezza in questione, infatti, non sono apportati elementi particolari e specifici.

Va da sé, infatti, che secondo quanto osservato dalla stessa AGCM nei suoi scritti difensivi e in base alle conclusioni giurisprudenziali pure sopra richiamate dal Collegio, sono noti tanto il divieto di partecipare a pratiche e accordi anticoncorrenziali quanto le sanzioni relative, per cui “di norma” le attività derivanti da tali pratiche ed accordi si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo (v. Corte Giustizia UE, 7.1.14, in C-204/00).

Ma se così è, vuol dire che uscendo dalla “norma” potrebbero esserci casi di assenza di pratiche e accordi clandestini e volutamente occultati e di documentazione non ridotta al minimo.

Ciò accade nel caso di specie, ove l’AGCM non ha dimostrato in modo incontrovertibile la verifica di incontri clandestini o di riunioni segrete tra le parti orientate allo scopo ma ha rinvenuto e prodotto una copiosa documentazione dei contatti tra le parti, fondata essenzialmente sullo scambio di “e-mail” che, per esperienza ormai notoria e diffusa, soprattutto tra gli operatori professionali del settore, sono strumenti facilmente “tracciabili” e difficilmente occultabili, tanto che la stessa Autorità, in sede ispettiva, non ha avuto particolari difficoltà a reperire, così come non ha avuto difficoltà a reperire documentazione (si pensi alla su richiamata “grappetta di gara”, fotocopiata più o meno integralmente).

Ne consegue che il Collegio ritiene che la “percentuale minima per segretezza”, di cui all’art. 12 delle Linee guida, possa rilevarsi solo allorché si riscontrino – e se ne dia atto con congrua motivazione e allegazione di un certo numero di chiari elementi indiziari – ulteriori circostanze idonee a far ritenere la precisa e determinata volontà delle parti non di dare luogo alla specifica condotta poi valutata sotto il profilo “antitrust” ma di occultare ogni contatto avvenuto per dare luogo all’intesa sanzionata, con artifici particolari e indirizzati esclusivamente a tale scopo.

Condivisibili in tal senso sono quindi le osservazioni del ricorrente in merito ai pochi e ambigui elementi richiamati nel provvedimento impugnato, dato che: a) la clausola di riservatezza dell’accordo di subappalto tra CNS e RM non poteva costituire elemento indiziario in tal senso, in quanto sarebbe altamente illogico e contraddittorio che le parti rendessero esplicita in un atto scritto (peraltro facendo salve le esigenze giudiziarie e di esecuzione) la volontà di rendere “segreta” la condotta anticoncorrenziale;
b) la riunione in un hotel del 20.11.13 vedeva come partecipanti anche rappresentanti di imprese estranee al procedimento e alla condotta sanzionata stessa e configurabili come ulteriori forti “players” del mercato;
c) la corrispondenza telematica dell’ottobre-novembre 2013 riguardava un’associazione di categoria cui partecipavano anche gli altri “players” e riguardava osservazioni su profili generali legati allo svolgimento di appalti pubblici, peraltro su sollecitazione dell’Autorità di settore (l’allora AVCP).

Ne consegue, quindi, che il provvedimento impugnato appare generico e immotivato nel dettaglio sulla ritenuta esistenza di una volontà di segretezza dell’intesa, idonea a giustificare la percentuale ex art. 12 cit. nel limite minimo del 15%.

A ciò si aggiunga, sulla stessa “gravità” ulteriore - comunque necessaria per quanto detto in precedenza - che la condotta ha riguardato una sola gara, sia pure a rilevanza nazionale e di ingente importo, e non un insieme di procedure pubbliche, circostanza sola quest’ultima che avrebbe contribuito alla ripartizione generale del mercato con “gravi” - perché “stabili” - effetti pregiudizievoli, secondo quanto pure richiamato come presupposto dall’art. 14 delle stesse Linee guida.

Inoltre, non risultano richiamate recidive su comportamenti analoghi.

Alla luce di quanto illustrato, quindi, il Collegio ritiene che:

1) l’importo (base) della sanzione deve essere ricalcolato facendo coincidere l’importo di aggiudicazione con il solo massimale di fornitura, “plafond” escluso;

2) il grado di gravità della sanzione deve essere rivisto, escludendo la sussistenza di profili di segretezza ai sensi dell’art. 12 delle Linee Guida;

3) la percentuale da applicarsi ex art. 11 delle Linee guida deve essere rivalutata, anche ai sensi dell’art. 14 delle Linee medesime, tenendo conto – del che non vi è traccia nel provvedimento impugnato – della rilevanza dell’effettivo impatto economico o, più in generale, degli effetti pregiudizievoli sul mercato e/o sui consumatori, e quindi degli effetti pregiudizievoli stabili e concreti sul mercato e comunque dell’impatto economico effettivo derivato dall’intesa, legato ad eventuali incrementi dei prezzi (v. Cons. Stato, Sez. VI, 11.7.16, n. 3047).

Pertanto il Collegio, richiamando la sua giurisdizione con cognizione estesa al merito - che consente, ai sensi dell’art. 134, comma 1, lett. c), cpa al giudice amministrativo di modificare, in base a una propria valutazione, la misura delle sanzioni pecuniarie comminate dall’AGCM - ritiene di fissare i parametri come sopra determinati per la concreta determinazione della sanzione da irrogare alla ricorrente e di rinviare gli atti all’Autorità affinché la stessa quantifichi, in concreto, l’importo della medesima conformandosi alle indicazioni della presente sentenza, con applicazione di una percentuale ex art. 11 delle Linee guida che si ritiene congrua indicare in un terzo della percentuale minima del 15% prevista nel successivo art. 12, quindi nel 5%, in considerazione della circostanza per la quale la condotta ha riguardato una sola gara e non sono stati dimostrati impatti economici tali da dare luogo ad effetti pregiudizievoli stabili per il mercato e/o i consumatori.

La rideterminazione della sanzione in tal senso come disposta dal Collegio rende carente di interesse la subordinata censura di CNS orientata a contestare le stesse Linee guida per la parte che prevedevano la percentuale minima del 15%, se ritenuta automaticamente applicabile.

Alla luce di quanto dedotto il ricorso deve essere accolto solo parzialmente nei sensi sopra indicati e per tale ragione le spese di lite possono integralmente compensarsi.

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