TAR Torino, sez. I, sentenza 2019-01-28, n. 201900086
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Testo completo
Pubblicato il 28/01/2019
N. 00086/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00618/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 618 del 2016, proposto da
S G, rappresentata e difesa dall’avvocato G T, domiciliato presso la Segreteria del T.A.R. Piemonte in Torino, via Confienza n. 10;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso
ex lege
dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Torino, via Arsenale n. 21;
Direzione del Carcere di Cuneo e Direzione del Carcere di Torino, in persona dei direttori
pro tempore
, non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
del provvedimento emesso dal Ministero della Difesa - Direzione Casa Circondariale di Cuneo a firma del Direttore Claudio Mazzeo, emesso in data 24.3.2016 e notificato il 4.4.2016, con il quale è stata disposta la sanzione della censura per l’infrazione disciplinare di cui all’art. 2 lett. c) e d) del d.lgs. n. 444/92
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2019 la dott.ssa Laura Patelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, S G ha chiesto l’annullamento del provvedimento con cui le è stata irrogata la sanzione disciplinare della censura per aver commesso l’infrazione disciplinare di cui all’art. 2, lettere c) e d) del d.lgs. n. 442/1992, nella specie per:
- essersi rifiutata, in data 25 febbraio 2016, di ritirare rapporti informativi e firmare ordini di servizio;
- aver reiterato il rifiuto anche il giorno successivo, quando si recava a ritirare gli atti predetti solo nell’orario di assenza – per la pausa pranzo – del personale e, sempre nella medesima data, rifiutava la consegna degli atti medesimi da parte di un incaricato dalla Direzione della casa circondariale, facendoli così restituire alla Direzione medesima.
2. Con i tre motivi di ricorso, sono stati dedotti (I) la violazione di legge in relazione alla mancata conformità all’originale della copia del provvedimento notificatale, (II) l’eccesso di potere per irragionevolezza e travisamento delle risultanze dell’istruttoria, per carenza di motivazione, per mancata correlazione tra il provvedimento emesso e la contestazione proposta e (III) la violazione dell’art. 3 l. n. 241/90 in relazione alla motivazione per relationem agli atti presupposti.
3. Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio il 9 luglio 2016, depositando i documenti relativi al procedimento disciplinare.
4. All’esito dell’udienza camerale del 13 luglio 2016, con ordinanza n. 254 del 14 luglio 2016, è stata respinta la domanda di sospensione in via cautelare del provvedimento impugnato.
5. All’udienza pubblica del 9 gennaio 2018, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
6. Il ricorso è infondato con riferimento a tutti i vizi dedotti.
7. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta che il provvedimento sanzionatorio sarebbe illegittimo per violazione di legge in quanto sulla copia notificata all’interessata mancherebbe l’attestazione di conformità all’originale.
La circostanza della mancata attestazione di conformità è irrilevante nel caso di specie, in cui non è contestata dalla parte la conformità stessa all’originale. Certamente la mera mancanza dell’attestazione di conformità non vale a incidere in sé sull’esistenza e validità dell’atto, che ha invece pienamente raggiunto lo scopo di far conoscere all’interessata l’irrogazione del provvedimento disciplinare e il contenuto dello stesso.
Del resto, la censura è genericamente svolta e si rivela inammissibile – oltre che infondata –, non essendo nemmeno indicata la norma di legge che si assume violata.
8. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce “ eccesso di potere per irragionevolezza e travisamento delle risultanze dell’istruttoria, per carenza di motivazione, per mancata correlazione tra il provvedimento emesso e la contestazione proposta ”. In particolare, la contestazione degli addebiti disciplinari riguarderebbe solo fatti del 25 febbraio 2016, mentre nel provvedimento irrogativo della sanzione sarebbero contenuti anche fatti di rilievo disciplinare accaduti in data successiva, cioè i rifiuti successivi di ricevere gli atti. In ordine a detti fatti non vi sarebbe stato contraddittorio e possibilità di adeguata difesa. Inoltre – lamenta la ricorrente – l’infrazione non sarebbe grave poiché non si trattava di atti urgenti.
La censura è infondata.
8.1. Anzitutto, la contestazione degli addebiti del 4 marzo 2016 (prodotta sub 5 dalla difesa del Ministero) fa esplicito riferimento anche ai fatti accaduti in data 26 febbraio 2016, allorché l’interessata “ non si presentava in segreteria e si provvedeva alla consegna per il tramite dell’agente Anselmi ”. Ne consegue che in ordine alla contestazione dei fatti non vi è stata alcuna violazione del contraddittorio.
8.2. Invero, nel provvedimento di irrogazione della sanzione impugnato, si fa riferimento ai fatti accaduti in data del 26 marzo 2016 anziché in data 26 febbraio. Trattasi all’evidenza di mero errore materiale, di nessun rilievo e immediatamente riconoscibile, posto che, da un lato, il provvedimento sanzionatorio è datato 24 marzo 2016 e quindi non poteva che fare riferimento a fatti precedenti e, dall’altro lato, – accanto alla data – sono indicate espressamente anche le condotte materiali oggetto di censura, coincidenti con quelle indicate nell’atto di contestazione degli addebiti. In ogni caso – e a conferma dell’irrilevanza del mero errore materiale per l’interessata – la circostanza non è stata oggetto di censura.
8.3. È inoltre destituito di fondamento anche l’asserito vizio di eccesso di potere per l’irrogazione di sanzione a fronte di una responsabilità lieve della dipendente, non trattandosi di atti urgenti.
La censura irrogata – quella minima della censura – appare congrua rispetto all’infrazione contestata che, a prescindere dalla valutazione di merito rispetto all’indifferibilità dell’ordine, consiste nel reiterato rifiuto di adempiervi;peraltro, il provvedimento appare motivato congruamente e in maniera logica anche in ordine alla gravità del comportamento e alla pretestuosità delle giustificazioni fornite dall’interessata.
9. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 3 l. n. 241/1990 poiché gli atti presupposti al provvedimento sarebbero meramente richiamati per relationem , senza che siano chiaramente indicati quanto ai loro estremi identificativi e contenuto.
La censura è infondata.
A prescindere dalla legittimità del richiamo per relationem ad altri atti purché gli stessi siano resi conoscibili all’interessato – più volte affermata dalla giurisprudenza –, nel merito, il provvedimento sanzionatorio indica compiutamente gli atti endoprocedimentali presupposti, e cioè:
- il rapporto disciplinare del 4 marzo 2016 con contestazione notificata in pari data;
- le giustificazioni presentate da G S il 22 marzo 2016;
- l’annotazione relativa alla restituzione degli atti dopo il tentativo di consegna da parte dell’ag. Anselmi;
- il rapporto di servizio di G S sull’attività del 26 febbraio 2016, dal quale emerge che la stessa nella mattinata di quel giorno era presente e in servizio.
Trattasi tutti di atti conosciuti dalla parte, o perché notificati alla stessa (contestazione di addebito), o perché provenienti e sottoscritti dalla medesima (come nel caso delle giustificazioni disciplinari e del rapporto di servizio del 26 febbraio 2016), o perché resi comunque conoscibili alla parte interessata e avente ad oggetto documentazione di quanto avvenuto in sua presenza (rifiuto di accettare la consegna dei documenti per il tramite dell’ag. Anselmi).
10. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi degli artt. 26 cod. proc. amm. e 91 c.p.c., la condanna della ricorrente alle spese, che si liquidano nella misura indicata in dispositivo.