TAR Roma, sez. III, sentenza 2017-04-21, n. 201704902

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2017-04-21, n. 201704902
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201704902
Data del deposito : 21 aprile 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/04/2017

N. 04902/2017 REG.PROV.COLL.

N. 06858/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6858 del 2013, proposto da:
A M, rappresentato e difeso dall'avvocato A P, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via di Villa Sacchetti, 11;

contro

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della nota del Segretario Generale dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni del 9 maggio 2013 prot. n. 17/13/SG_U, recante il diniego alla "restituzione delle somme detratte ai sensi del comma 3, dell'articolo 6 del d.l. 78/10";

nonché di ogni altro atto presupposto, successivo o comunque connesso;

e per l'accertamento

del diritto del ricorrente alla restituzione delle somme illegittimamente detratte dal proprio compenso ai sensi dell'art. 6, co. 3, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2017 il dott. Vincenzo Blanda e uditi per le l'Avv. R. d'Aquino di Caramanico, in sostituzione dell'Avv. A. Police, per il ricorrente e l'Avvocato dello Stato V. Fico;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con d.l. n. 78 del 31 maggio 2010 (convertito con legge del 30 luglio 2010, n. 122), il Governo ha adottato un complesso di "misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica", finalizzate, tra l'altro, al contenimento della spesa in materia di impiego pubblico.

In particolare l'art. 6, co. 3, del d.l. 78/2010 ha previsto che “a decorrere dal 1 gennaio 2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni..., incluse le autorità indipendenti... sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010...”.

L'art. 9 co. 2, del medesimo d.l. n. 78/2010, ha stabilito che "a decorrere dal 1 gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3 dell'art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro".

La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 9, co. 2 per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Cost., ritenendo che esso determini un irragionevole effetto discriminatorio nei confronti dei "singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale" (cfr. Corte Cost., 11 ottobre 2012, n. 223).

Alla luce della menzionata pronuncia della Corte Costituzionale, in data 9 maggio 2013, con nota protocollo n. 23838/2013, il ricorrente ha chiesto al Segretario Generale dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazione la restituzione delle somme detratte ai sensi dell'art. 6, co. 3 del d.l. 78/2010 (convertito con legge n. 122 del 30 luglio 2010), rappresentato che tale disposizione "deve ritenersi costituzionalmente illegittima e quindi implicitamente abrogata per effetto delle statuizioni di diritto contenute nella sentenza della Corte Costituzionale dell'11 ottobre 2012, n. 223", attese le analogie con l'art. 9, co. 2.-.

Il Segretario Generale dell'Autorità, tuttavia, con nota prot. n. 17/13/SG_ U del 9 maggio 2013, ha respinto l'istanza in quanto la sentenza della Corte Costituzionale n. 223 dell’11 ottobre 2012, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale di talune disposizioni del d.l. 78/2010, non avrebbe inciso sulla disposizione di cui all'art. 6, co. 3.

Avverso il diniego di cui alla nota prot. n. 17/13/SG_ U del 9 maggio 2013, ha quindi proposto ricorso l’interessato anche al fine di ottenere l’accertamento del diritto alla restituzione delle somme illegittimamente detratte ai sensi dell'art. 6, co. 3, deducendo i seguenti motivi:

1) Violazione e falsa applicazione della Direttiva n. 2002/19/CE, n. 2002/20/CE e n. 2002/21/CE del 7 marzo 2002, della Direttiva n. 2009/140/CE del 25 novembre 2009. Violazione e falsa applicazione dell'art. 2, commi 2, 5, 27, 28, 38, lett. b), e 40 della 1. 14 novembre 1995, n. 481, dell'art. 1, commi 1 e 9, della 1. 31 luglio 1997, n. 249 e dell'art. 1, commi 65 e 66 della 1. 23 dicembre 2005, n. 266. Violazione e falsa applicazione del d.l. 31 maggio 2010, n. 78.

La disciplina comunitaria espressa nella Direttiva n. 2002/21/CE del 7 marzo 2002, confermata nella Direttiva n. 2009/140/CE, avrebbe inteso "rafforzare l'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione” al fine di porla “al riparo, nell'esercizio delle sue funzioni, da qualsiasi intervento esterno o pressione politica che potrebbe compromettere la sua imparzialità di giudizio nelle questioni che è chiamata a dirimere”, garantendo altresì "che le autorità nazionali di regolamentazione dispongano di risorse finanziarie e umane adeguate per svolgere i compiti a loro assegnati".

La normativa interna, in attuazione di quella comunitaria prevede che il funzionamento dell’autorità per le comunicazione sia finanziato mediante il pagamento di diritti a carico degli operatori del settore. In particolare l'art. 1, co. 1, della 1. 31 luglio 1997, n. 249, stabilisce che "l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni,... opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione", prevedendo altresì che, nell'esercizio di tale autonomia, "l'Autorità... adotta un regolamento concernente l'organizzazione e il funzionamento, i bilanci, i rendiconti e la gestione delle spese, anche in deroga alle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato" provvedendo inoltre "all'autonoma gestione delle spese per il proprio funzionamento" (art. 1, co. 9).

L'art. 1, commi 65 e 66, della 1. 23 dicembre 2005, n. 266 (Finanziaria 2006), individuano le modalità e l’entità della contribuzione.

La disciplina sopra richiamata dimostrerebbe la connessione tra l'esercizio delle funzioni tipiche dell'AGCOM e gli introiti provenienti dal settore privato, destinati a consentire l'esercizio dei compiti di vigilanza e regolazione svolti dall'ente.

Il d.l. n. 78/2010 sarebbe incompatibile con i suddetti principi, atteso che la riduzione dei costi prevista dal legislatore porterebbe beneficio all'erario statale, senza una corrispondente diminuzione degli oneri a carico degli operatori economici, che continuerebbero a sostenere i costi di funzionamento dell'Autorità.

La normativa (anche comunitaria) imporrebbe che le funzioni regolatrici e di vigilanza affidate alla cura dell'Autorità siano esercitate con l'attribuzione di tutte le risorse finanziarie occorrenti per assicurare il raggiungimento dei loro scopi in regime di piena indipendenza.

L'applicazione del D.L. n. 78/2010 comprometterebbe l'esercizio della funzione di indipendente ed efficiente regolazione dei settori di competenza esercitata dall'Autorità.

In subordine è chiesto di sollevare la questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 78/2010 rispetto agli artt. 3, 53, 41 e 97 Cost., ovvero il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea nell'ipotesi in cui dovessero emergere dubbi in ordine alla conciliabilità del d.l. n. 78/2010 con le disposizioni comunitarie;

2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 2, co. 28 della 1. 14 novembre 1995, n. 481 e dell'art. 1, co. 9, della 1. 31 luglio 1997, n. 249. Violazione e falsa applicazione del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, anche in relazione agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost.-.

Le norme indicate affiderebbero all'autonomia dell'AGCOM la regolazione dei rapporti con i propri componenti e proteggerebbero l'indipendenza e l'alta specializzazione del personale dell'Autorità, parametrando il loro trattamento a quello dei componenti dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, al fine di assicurare il corretto ed imparziale svolgimento delle delicate funzioni loro affidate.

L’art. 6, co. 3, del d.l. n. 78/2010 non terrebbe conto, tuttavia, della specialità delle Autorità e delle loro leggi istitutive;
mentre una lettura costituzionalmente orientata delle norme istitutive della stessa Autorità avrebbe escluso qualsiasi disposizione che potesse incidere sulla loro indipendenza o che potesse alterare e/o limitare l'autonomia e l'indipendenza organizzativa e funzionale dell'Autorità, come del menzionato decreto.

Il provvedimento impugnato eluderebbe gli artt. 2, co. 28, 1. n. 481/1995 ed 1, co. 9, della legge n. 249/1997, che disciplinano lo status dei componenti dell'AGCOM e che, prevedendo una regolazione specifica, dovrebbero prevalere sulla normativa generale, anche successiva.

Il d.l. n. 78/2010 determinerebbe una irragionevole riduzione delle indennità dei componenti dell'AGCOM, in violazione della disciplina speciale di riferimento e del principio di autonomia che ispira l'ordinamento della Autorità indipendenti.

L'art. 11, co. 2, della 1. 10 ottobre 1990, n. 287, istitutiva della AGCM, collega "il trattamento giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle carriere" della stessa "ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative dell'Autorità".

Il trattamento dei componenti dell'Autorità per le comunicazioni sarebbe quindi connesso con quello riservato ai dipendenti della Banca d'Italia, per i quali, tuttavia, l'art. 3, co. 3, del d.l. n. 78/2010 ha previsto un peculiare regime di contenimento delle spese, in virtù del quale "la Banca d'Italia tiene conto, nell'ambito del proprio ordinamento, dei principi di contenimento della spesa per il triennio 2011-2013 contenuti nel presente titolo", disponendo altresì che "a tal fine, qualora non si raggiunga un accordo con le organizzazioni sindacali sulle materie oggetto di contrattazione in tempo utile per dare attuazione ai suddetti principi, la Banca d'Italia provvede sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva eventuale sottoscrizione dell'accordo".

Pertanto il Legislatore avrebbe dovuto applicare ai componenti dell’Autorità lo stesso principio di riduzione dei costi, che si sarebbe dovuto attuare mediante l'esercizio dell'autonomia organizzativa riservata alla stessa autorità dalla legge. Anche al fine di evitare un'evidente discriminazione tra situazioni già considerate omogenee ad opera del legislatore ordinario, ai sensi dell'art. 3 Cost.-.

L’art. 6, comma 3, del d.l. 78/2010 lederebbe l'autonomia dell’Autorità riconosciuta dalle norme istitutive a tutela dell'indipendenza e che trarrebbe ispirazione dai principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione (nonché nell'art. 41 Cost., che tutela la libertà di iniziativa economica), e riceverebbe tutela anche a livello comunitario.

La norma quindi violerebbe gli artt. 41 e 97, nonché 117, primo comma, Cost., che impone al Legislatore ordinario di non introdurre discipline interne contrastanti con il diritto comunitario.

L'art. 6, co. 3, imporrebbe inoltre una prestazione patrimoniale indipendente dall'effettiva capacità contributiva soggettiva globalmente considerata, introducendo un'imposizione sostanzialmente regressiva e discriminatoria, violando l'art. 53 della Cost.-.

In conclusione sono richiamate alcune ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale aventi ad oggetto le misure di contenimento delle spese in materia di pubblico impiego di cui all’art. 9 d.l. 78/2010) e la sentenza della Corte Costituzionale, 11 ottobre 2012, n. 223 con cui è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 9, co. 2.-.

L’AGCOM si è costituita in giudizio per resistere al ricorso.

All’udienza dell’11 gennaio 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Con l’impugnazione in esame l’istante sostiene l’illegittimità della nota del Segretario Generale dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni del 9 maggio 2013 prot. n. 17/13/SG_U con cui è stata negata la “restituzione delle somme detratte ai sensi del comma 3, dell'articolo 6 del d.l. 78/10”, assumendo che tale disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima e, comunque, sarebbe stata implicitamente abrogata per effetto di quanto statuito nella sentenza della Corte Costituzionale dell'11 ottobre 2012, n. 223, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 9, comma 2, del medesimo d.l. 78/2010, per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Il dott. Martusciello sostiene che sussisterebbero evidenti analogie fra l'articolo 6, comma 3 e l'articolo 9, comma 2 del decreto e che, “dunque, le disposizioni presentano i medesimi profili di incostituzionalità”

2. La tesi non merita adesione.

Come già evidenziato dall'Autorità nel diniego impugnato, la sentenza della Corte Costituzionale n. 223 dell'11 ottobre 2012, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale di talune disposizioni del d.1. 78/2010, “ non ha inciso sulla disposizione di cui all'art. 6, comma 3 ” del medesimo decreto.

Con la predetta decisione la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma 2, del decreto, nella parte in cui dispone che “a decorrere dal 1 gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della p.a., come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (Istat), ai sensi del comma 3 dell'art. 1 l. 31 dicembre 2009 n. 196, superiori a 90.000 euro lordi annui siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro”.

2.1. Premesso ciò le situazioni contemplate dall’art. 9, comma, 2 (che riguardano dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche) e dall’art. 6, comma 3, del decreto (indennità, compensi, gettoni, retribuzioni o altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, incluse le autorità indipendenti) sono diverse, per cui l’abrogazione dell’art. 9, comma 2, non può di per sé giustificare una estensione, in via automatica, dei medesimi effetti alla disciplina che concerne i componenti delle autorità amministrative indipendenti come il ricorrente.

3. Né è possibile ritenere che sussista una violazione del diritto comunitario e in particolare delle direttive n. 2002/21/CE del 7 marzo 2002 (c.d. Direttiva Quadro), della Direttiva 2009/140/CE e della Direttiva n. 2002/20/CE, del 7 marzo 2002 (c.d. Direttiva Autorizzazioni), in base alle quali gli Stati membri sono tenuti a garantire l'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione in modo da assicurare l'imparzialità delle loro decisioni.

Invero dalle richiamate disposizioni del diritto dell'Unione non è possibile ricavare, come sostiene il ricorrente, che la salvaguardia e 1’immodificabilità del trattamento economico dei Commissari rappresentino un indefettibile presidio di autonomia e di indipendenza dell'Autorità, che comporti la disapplicazione dell’art. 6, comma 3, del d.l. 78/2011 per contrasto con la disciplina comunitaria.

3.1. In tal senso peraltro si è espressa la stessa Corte di giustizia UE che, con decisione 28 luglio 2016, n. 240 (in relazione alla questione sollevata dal Consiglio di Stato riguardante l'inserimento dell'Autorità per le Garanzie nella Comunicazioni nel conto economico consolidato dello Stato) ha dichiarato che l’art. 3 della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (direttiva quadro) e l’art. 12 della direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (direttiva autorizzazioni), entrambe del 7 marzo 2002, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che assoggetta un’autorità nazionale di regolamentazione “ a disposizioni nazionali applicabili in materia di finanza pubblica e, in particolare, a disposizioni sul contenimento e la razionalizzazione delle spese delle amministrazioni pubbliche” .

La Corte di Giustizia, in particolare, ha affermato che, con la direttiva 2009/140, il legislatore dell’Unione ha inteso rafforzare l’indipendenza delle ANR per garantire un’applicazione più efficace del quadro normativo e rafforzare la loro autorità, stabilendo espressamente all’art. 3, paragrafo 3, della direttiva quadro, che gli Stati membri provvedano affinché le rispettive ANR esercitino i loro poteri in modo imparziale, trasparente e tempestivo e dispongano di risorse finanziarie e umane adeguate per svolgere i compiti a loro assegnati.

3.2. A tal riguardo è pur vero, come affermato dal predetto organo di giustizia comunitario, che, al fine di garantire l’indipendenza e l’imparzialità delle ANR, gli Stati membri devono assicurare alle Autorità le risorse finanziarie e umane necessarie per svolgere i compiti loro assegnati e, per le ANR responsabili della regolamentazione ex ante del mercato o della risoluzione delle controversie tra imprese, la possibilità di operare in piena indipendenza. Tuttavia in nessuna delle norme comunitarie sopra richiamate è rintracciabile un principio il quale consenta di escludere che un’Autorità di regolazione sia soggetta a disposizioni nazionali in materia di finanza pubblica e, in particolare, a disposizioni sul contenimento e la razionalizzazione delle spese delle amministrazioni pubbliche.

4. Nel caso di specie l’entità della decurtazione non può essere considerata di per sé lesiva dell’indipendenza e dell’imparzialità dell’Autorità per le Comunicazioni, atteso che le restrizioni introdotte dall’art. 6, comma 3, del d.l. 78/2011 non si configurano in alcun modo quale potenziale ostacolo a che la medesima Autorità eserciti in maniera efficace le funzioni assegnate, né appaiono così gravi da minarne l’indipendenza e l’imparzialità.

In altri termini non è stato dimostrato che il contenimento della spesa introdotto dalla norma censurata, incida in modo significativo sulla capacità dell’Autorità per le Comunicazioni di esercitare le proprie funzioni di regolazione e controllo in modo adeguato, verifica che la Corte di Giustizia rimette al giudice nazionale.

5. Per le ragioni esposte non si rivelano fondate, quindi, le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione agli artt. 3, 53, 41 e 97 Cost., che impone al legislatore ordinario di non introdurre discipline interne contrastanti con il diritto comunitario.

La disposizione in esame che, si ripete, costituisce espressione di una disciplina emergenziale legata alla necessità di contenere la spesa pubblica in adempimento di precisi obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano nei confronti dell’Unione Europea, non viola né la libertà di iniziativa economica, di cui all’art. 41 Cost., che si deve svolgere nel quadro normativo delineato dalle disposizioni nazionali come pure dagli accordi internazionali;
né il principio di buon andamento della p.a., tutelato dall’art. 97 Cost., considerato che la norma è ispirata alla finalità di assicurare la correttezza dell’azione amministrativa - come già osservato - sotto il profilo del rispetto dei predetti obblighi internazionali e della prevenzione di pregiudizievoli procedure di infrazione.

6. Non convince nemmeno l’ulteriore profilo di censura secondo il quale la contrazione dei costi di funzionamento dell'AGCOM, senza una corrispondente revisione della contribuzione privata, determinerebbe un'imposizione a carico degli operatori di oneri incongrui e sproporzionati.

Le considerazioni sviluppate dal ricorrente non trovano alcun riscontro nella avversata disciplina introdotta con il d.l. 78/2010.

6.1. I diritti amministrativi ai quali si riferisce l’istante, infatti, trovano la propria fonte in norme del tutto diverse e sono regolati in base a principi e regole del tutto autonome e scollegate rispetto alle norme che disciplinano i compensi dei componenti delle Autorità come il Martusciello.

In altri termini non è stato in alcun modo dimostrato che la riduzione dei compensi dei componenti dell’Autorità per la garanzie nelle comunicazioni comporti necessariamente un corrispondente aumento dei diritti a carico degli operatori economici.

6.2. Né tanto meno può ritenersi, come sostiene il ricorrente, che il citato art. 6, comma 2, comporti una sorta di imposizione fiscale occulta nei confronti di ogni Commissario, la cui indennità decurtata sarebbe versata nelle casse dell'erario, in assenza di una specifica disposizione di carattere tributario, analogamente a quanto statuito dalla Corte Costituzionale nella menzionata decisione n. 223/2012, in riferimento all’art. 53 della Costituzione.

6.3. Nel caso di specie, invero, non è possibile rinvenire elementi di similitudine che possano consentire di estendere le considerazioni sviluppate nella predetta decisione della Corte ai componenti dell’Autorità Garante per le Comunicazioni.

Infatti la Corte Costituzionale - nella decisione n. 223/2012 - ha definito l’indennità prevista dall’art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (c.d. indennità giudiziaria) come voce collegata al “ servizio istituzionale svolto dai magistrati ”, dopo aver precisato, con la precedenza sentenza n. 238/1990, che tale “speciale” indennità, correlandosi al peculiare status dei magistrati, costituisce una componente del loro normale trattamento economico, soggetto ad una “ regolamentazione autonoma ”.

6.4. Secondo la Corte, l’indennità dei magistrati è necessariamente correlata al concreto esercizio delle funzioni, in quanto espressamente collegata ai particolari “oneri” che i magistrati “ incontrano nello svolgimento della loro attività ”, che “ comporta peraltro un impegno senza prestabiliti limiti temporali ”.

L’indennità giudiziaria partecipa, quindi, di una natura retributiva ed è diretta a compensare un complesso di oneri inscindibilmente connessi alle modalità di esercizio delle funzioni svolte dai magistrati.

7. Diversa è invece la natura della indennità corrisposta ai componenti dell’Autorità, che come sottolineato più volte dallo stesso interessato, mira a preservare l’autonomia e l’indipendenza dei componenti dell’Ente, ma non costituisce vera e propria forma di retribuzione, tanto è vero che il legislatore ha inteso prevedere per essa una autonoma disciplina normativa.

7.1. Tale diversità, del resto, trova conferma nello stesso art. 6 del d.l. 78/2010, il quale nell’ultimo periodo del comma 3 precisa che “ la riduzione non si applica al trattamento retributivo di servizio ”.

Ne consegue che non sussistono i presupposti per disporre la remissione alla Corte Costituzionale nel senso auspicato dal ricorrente.

8. Né è possibile ritenere che sussista una palese disparità di trattamento dei componenti dell'Autorità per le comunicazioni rispetto alla Banca d’Italia, quale ente appartenente alla medesima categoria delle autorità indipendenti (tale da integrare la violazione degli artt. 3, 97, 117, comma 1, della Costituzione), sul presupposto che non è stato esteso ai componenti dell’AGCom il meccanismo di adeguamento alle misure per il contenimento della spesa previsto dall'art. 3, comma 3, del medesimo decreto-legge n. 78/2010 per la Banca d'Italia.

8.1. In proposito si osserva che sebbene si possa riconoscere che la Banca d’Italia e l’AGCom costituiscano autorità indipendenti e godano, pertanto, di una speciale autonomia organizzativa e funzionale, occorre tuttavia evidenziare che la Banca d’Italia presenta caratteri del tutto peculiari, che la differenziano da ogni altra autorità ammnistrativa indipendente.

Invero, mentre le autorità indipendenti di regolazione sono enti nazionali, preposti a dare concreta attuazione alle direttive europee nei mercati di riferimento, le banche centrali − come la Banca d’Italia − costituiscono ormai organi del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) previsto dagli artt. 127 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Esse, pertanto, non possono essere considerate come autorità indipendenti nazionali, bensì come enti federati di un ente federale europeo.

8.2. Pertanto, come osservato dalla stessa Corte Costituzionale (che ha escluso la possibilità di estendere ai dipendenti dell'AGCOM il meccanismo di adeguamento alle misure per il contenimento della spesa previsto dall'art. 3, comma 3, del medesimo decreto-legge per la Banca d'Italia;
cfr. sentenza 23.1.2014, n. 7): “ la scelta del legislatore di prevedere un meccanismo di adeguamento della Banca d’Italia alla normativa introdotta dal d.l. n. 78 del 2010 corrisponde all’esigenza, imposta dai Trattati relativi alle modalità di funzionamento dell’Unione europea (cfr. art. 2, paragrafo 1, terzo alinea, della decisione del Consiglio 98/15/CE del 29 giugno 1998) di consultare preventivamente la Banca centrale europea per ogni modifica che riguardi una banca centrale nazionale ”.

Poiché un’analoga esigenza non viene in rilievo con riferimento alle altre autorità amministrative indipendenti, la disciplina riservata alla Banca d’Italia non può costituire, sotto tale profilo, un utile tertium comparationis per l'asserita disparità di trattamento ai sensi dell’art. 3 Cost.-.

9. In conclusione per le considerazioni esposte il ricorso deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi, attesa la peculiarità della controversia in esame, per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

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