TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2018-07-26, n. 201808452

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2018-07-26, n. 201808452
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201808452
Data del deposito : 26 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/07/2018

N. 08452/2018 REG.PROV.COLL.

N. 12832/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12832 del 2016, proposto da:
P T, rappresentata e difesa dall'avvocato C C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Crescenzio, 42;

contro

Comune di Fiumicino, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avvocati C L, F D M, con domicilio eletto presso l’Avvocatura comunale in Fiumicino, via Portuense, 2496;

per l'annullamento

dell'ordinanza dirigenziale n. 32 del 22.07.2016 del Comune di Fiumicino, nonché del modello 23/a bis n. 18749 del 22.4.2016, con cui è stata disposta la demolizione di opere edilizie abusive, con irrogazione di sanzione pecuniaria.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Fiumicino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2018 il dott. F A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Considerato in fatto e in diritto:

1. La ricorrente agisce nella qualità di proprietaria di un appartamento sito nel Comune di Fiumicino, posto al piano terra e composto di un soggiorno con angolo cottura, una camera, un bagno, un balcone e una corte esclusiva, con annesso locale cantina al piano seminterrato, al quale si accede mediante una scala interna.

L’immobile è situato nell’ambito della zona B del nuovo P.R.G. approvato nel 2006 ed è sottoposto a vincolo paesaggistico.

La ricorrente impugna l’ordinanza dirigenziale indicata in epigrafe, unitamente al presupposto atto del Comando della polizia Locale, con cui l’Amministrazione ha rilevato l’avvenuto “ cambio di destinazione d’uso da cantina ad abitativo del piano seminterrato con la predisposizione degli impianti tecnologici e suddivisione dello spazio in vari ambienti mediante tramezzature ”, disponendo nel contempo:

- la demolizione delle opere abusive;

- il pagamento della sanzione pecuniaria di € 5.000,00.

La ricorrente propone due motivi di impugnazione:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 33 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 16 della L.R. n. 15 del 2008;
eccesso di potere per sviamento, errore sui presupposti e travisamento dei fatti;

2) violazione e falsa applicazione del D.R.R. n. 380 del 2001;
eccesso di potere sui fatti presupposti per difetto di motivazione e contraddittorietà manifesta.

2. Si è costituito in giudizio il Comune di Fiumicino, resistendo al ricorso.

3. Il ricorso è stato chiamato per la discussione all’udienza pubblica del 13 febbraio 2018 e quindi trattenuto in decisione.

4. Con il primo mezzo di impugnazione la ricorrente sostiene:

a) che - come risulta dalla documentazione catastale in atti - la destinazione urbanistica del locale cantina (A/2) è rimasta immutata: entrambe le unità (appartamento e cantina) hanno quale destinazione d’uso quella abitativa;
e la cantina è dotata di due finestre e collegata all’appartamento al piano terra da una scala interna;

b) che essa non ha eseguito alcuna opera, ed ha utilizzato la cantina come tale, anche se - trattandosi di un locale unito all’appartamento da una scala interna - esso è stato rifinito nella pavimentazione e negli intonaci in modo più accurato, sia per ragioni di sicurezza sia per ragioni di estetica;

c) che, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, è rimesso alle Regioni il compito di individuare quali ipotesi di mutamento di destinazione d’uso debbano essere assoggettate a permesso di costruire e quali a D.I.A.;
in mancanza di una normativa ad hoc nella Regione Lazio, vale il principio giurisprudenziale secondo il quale un mutamento di destinazione d’uso senza opere non richiede il permesso di costruire;

d) che le opere abusive da demolire sono state indicate esclusivamente come “ predisposizione degli impianti tecnologici ”, non consentendosi l’individuazione delle opere stesse per genericità dell’oggetto;
mentre le tramezzature, volte esclusivamente a una migliore fruizione dello spazio interno della cantina, non sono state individuate dettagliatamente.

4.1. Il motivo è infondato.

4.1.1 In primo luogo, va rilevato che per costante giurisprudenza la classificazione catastale non è rilevante ai fini che qui interessano. A ben vedere, anzi, nella stessa planimetria catastale il locale è descritto come cantina e come tale è menzionato nell’art. 1 del rogito notarile.

4.1.2 In punto di fatto, emerge chiaramente l’avvenuta destinazione della cantina ad uso abitativo, come risulta anche dai rilievi fotografici acquisiti in atti: sono stati realizzati un bagno, due camere da letto, un ripostiglio e l’impianto di riscaldamento.

Si tratta di un mutamento di destinazione d’uso con opere, in quanto anche la semplice realizzazione degli impianti tecnologici e delle tramezzature è sufficiente, per costante giurisprudenza, a concretare tale fattispecie.

E l’oggetto del provvedimento impugnato va ovviamente individuato con riferimento a tale stato dei fatti.

4.1.3 In punto di diritto, va anzitutto osservato che la disposta demolizione presuppone la classificazione del mutamento di destinazione d’uso con opere nell’ambito della ristrutturazione edilizia cd. “pesante” o “maggiore”, alla quale fanno riferimento l’art. 33 del D.P.R. n. 380/2001 e l’art. 16 della L.R. n. 15/2008.

Tale classificazione è stata adottata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione in numerose sentenze.

Già con la sentenza della III sezione penale, 20 gennaio 2009, n. 9894 la Suprema Corte ha avuto modo di precisare, per quanto qui interessa, quanto segue:

- “ la destinazione d'uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione.

Essa individua il bene sotto l'aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona. L'organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d'uso in tutte le loro possibili relazioni e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull'organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale ”;

- “ quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l'ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza…. si configura in ogni caso un'ipotesi di ristrutturazione edilizia secondo la definizione fornita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), in quanto l'esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di "un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente".

L'intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione ”;

- “ un delicato problema di coordinamento interpretativo si correla alla disposizione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. c), secondo la quale sono subordinati a permesso di costruire "gli interventi di ristrutturazione edilizia che ..., limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A), comportino mutamenti della destinazione d'uso". Il che potrebbe portare ad affermare che, fuori delle zone omogenee A), la ristrutturazione edilizia (purché non comporti aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici) sarebbe sottratta al regime del permesso di costruire e realizzabile mediante denuncia di inizio dell'attività anche se si accompagni alla modifica della destinazione d'uso.

Una conclusione siffatta, però, si porrebbe in contrasto con l'assoggettamento al permesso di costruire, anche fuori dei centri storici, delle opere di manutenzione straordinaria e di restauro e risanamento conservativo (interventi di minore portata rispetto alla ristrutturazione edilizia) qualora comportino modifiche delle destinazioni d'uso.

Un'interpretazione coerente della disposizione […], conseguentemente, può aversi soltanto allorché si ritenga che in essa il legislatore si è riferito alle "destinazioni d'uso compatibili" già considerate dallo stesso D.P.R., art. 3, comma 1, lett. c) (nella descrizione della tipologia del restauro e risanamento conservativo).

Gli interventi di ristrutturazione edilizia, in sostanza, alla stessa stregua degli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo:

- necessitano sempre di permesso di costruire, qualora comportino mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico;

- fuori dei centri storici sono realizzabili mediante denunzia di attività qualora comportino il mutamento della destinazione d'uso all'interno di una stessa categoria omogenea;

- nei centri storici non possono essere realizzati mediante denunzia di attività neppure qualora comportino il mero mutamento della destinazione d'uso all'interno di una stessa categoria omogenea ”.

Tale linea interpretativa è stata confermata dalla successiva giurisprudenza (cfr. ex multis Cass. pen, sez. III, 28 gennaio 2015, n. 3953). In particolare, Cass. pen, sez. III, 14 febbraio 2017, n. 6873, ha precisato che la “ imprescindibile necessità di mantenere l'originaria destinazione d'uso caratterizza ancor oggi gli "interventi di manutenzione straordinaria", non avendo alcun rilievo il fatto che, in conseguenza delle modifiche introdotte dal D.L. 12 settembre 2014, n. 133, art. 17, comma 1, lett. a), nn. 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164, sia oggi consentito nell'ambito di detti interventi procedere al frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico ”.

Dalla ricostruzione della disciplina normativa successiva alle riforme del 2014 - 2017 potrebbe trarsi, secondo una diversa ipotesi, anche l'interpretazione per cui il mutamento di destinazione d’uso potrebbe essere ricompreso - almeno in alcuni casi - nella definizione di restauro e risanamento conservativo (secondo la linea interpretativa adottata da TAR Toscana, sez. III, 28 luglio 2017, n. 1009). Ad avviso del Collegio, tuttavia, questa classificazione (la quale comporterebbe un diverso regime sanzionatorio edilizio) non può essere recepita.

In realtà la sentenza della Cassazione da ultimo menzionata, richiamando la giurisprudenza anteriore, ha anche precisato sul punto che nella categoria del restauro e risanamento conservativo “ possono essere annoverate soltanto le opere di recupero abitativo, che mantengono in essere le preesistenti strutture, alle quali apportano un consolidamento, un rinnovo o l'inserimento di nuovi elementi costitutivi, a condizione che siano complessivamente rispettate tipologia, forma e struttura dell'edificio ”.

La diversa opinione fa leva, oggi, sulla nuova definizione di restauro e risanamento conservativo introdotta nell’art. 3, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001, ad opera dell’art. 65 - bis della L. n. 96/2017: “ gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio ”.

Pur tuttavia, anche questa versione della norma prevede sempre il requisito della compatibilità con gli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo edilizio (su cui cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 30 settembre 2013, n. 4851).

Ora, nel caso di trasformazione di vani accessori in vani abitabili in un edificio residenziale, è da ritenersi - in generale - che non vi sia il rispetto degli elementi formali/strutturali dell’organismo edilizio.

La Corte di cassazione ritiene che gli "elementi formali" attengono alla disposizione dei volumi, elementi architettonici che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando la sua immagine caratteristica;
mentre gli "elementi strutturali" sono quelli che materialmente compongono la struttura dell'organismo edilizio (Cass. pen., sez. III, 26 novembre 2014, n. 49221). Ad avviso del Collegio, detti requisiti non vanno giustapposti, bensì considerati sinteticamente come espressivi dell’identità dell’edificio residenziale, che è connotato non solo tipologicamente, ma anche come individualità che include una determinata proporzione di elementi accessori, la cui eliminazione trascende l’ambito della mera conservazione, sia pur intesa dinamicamente.

Inoltre, il Collegio ritiene decisivo osservare che la qualificazione dell’intervento in questione quale restauro e risanamento conservativo è radicalmente preclusa dal testo dell’art. 16, comma 1, della L.R. 11 agosto 2008, n. 15 (applicato nella fattispecie dall’Amministrazione), il quale accomuna espressamente agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 10, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001 i “ cambi di destinazione d’uso da una categoria generale ad un’altra…in assenza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività nei casi previsti dall’art. 22, comma 3, lett. a) del D.P.R. n. 380/2001 ”, senza limitarne la portata applicativa alle Zone A. In piena continuità con questa impostazione si colloca, da ultimo, la recente L.R. 18 luglio 2017, n. 7 (“ Disposizioni per la rigenerazione urbana e il recupero edilizio ”), la quale così dispone all’art. 4, comma 1: “ I comuni, con apposita deliberazione di consiglio comunale da approvare mediante le procedure di cui all'articolo 1, comma 3, della L.R. n. 36/1987, possono prevedere nei propri strumenti urbanistici generali, previa acquisizione di idoneo titolo abilitativo di cui al D.P.R. n. 380/2001, l'ammissibilità di interventi di ristrutturazione edilizia, compresa la demolizione e ricostruzione, di singoli edifici aventi una superficie lorda complessiva fino ad un massimo di 10.000 mq, con mutamento della destinazione d'uso tra le categorie funzionali individuate all'articolo 23-ter del D.P.R. 380/2001 con esclusione di quella rurale ”.

La questione è connessa a quella del carattere urbanisticamente rilevante di questo tipo di mutamento (da locale accessorio o pertinenza a vano abitabile).

Si tratta, in realtà, di un mutamento del tutto assimilabile a un cambio di categoria rilevante ai sensi dell’art. 23 - ter, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 e come tale avente rilevanza urbanistica ai sensi del punto 38 della Tabella A - Edilizia allegata al decreto

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi