TAR Roma, sez. I, sentenza 2023-05-12, n. 202308210
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Pubblicato il 12/05/2023
N. 08210/2023 REG.PROV.COLL.
N. 01984/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1984 del 2022, proposto da
Mediamarket s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati S C, M W, J N e C T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
M M, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento adottato in data 3 dicembre 2021, a conclusione del procedimento istruttorio PS11839 e notificato in data 23 dicembre 2021, con cui l'AGCM ha ritenuto Mediamarket responsabile di pratiche commerciali scorrette, in violazione degli artt. 20, 21, 22, 24 e 25 del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 e, per l'effetto, le ha irrogato una sanzione complessiva pari a 3.600.000 euro;
nonché di ogni altro atto connesso o presupposto, conseguente o antecedente e, in particolare, degli atti con cui l'Autorità ha deliberato di respingere gli impegni presentati da MM in data 8 marzo 2021 e in data 5 luglio 2021, decisioni comunicate alla società rispettivamente in data 5 maggio 2021 e 15 luglio 2021.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2023 la dott.ssa F P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe Mediamarket s.p.a. ha impugnato il provvedimento con cui l'Agcm l’ha ritenuta responsabile di due distinte pratiche commerciali scorrette, in violazione degli artt. 20, 21, 22, 24 e 25 del Codice del Consumo, irrogandole una sanzione complessivamente pari a 3.600.000 euro.
La ricorrente ha dedotto che l’Autorità le aveva contestato alcune condotte relative alle vendite online e, in particolare, la “decettività delle informazioni sull’effettiva disponibilità dei prodotti” e sul momento di perfezionamento dell’ “acquisto online sul sito web www.mediaworld.it, con il relativo addebito di pagamento”, “l’annullamento unilaterale di ordini online di prodotti presentati come disponibili e pagati dai consumatori”, la “frapposizione di ostacoli di natura extra-contrattuale rispetto alla possibilità per i consumatori di esercitare il diritto di recesso e l’ingannevolezza del modulo unico di reso”, “l’omesso/ritardato rimborso e il mancato annullamento dei contratti di finanziamento a seguito di annullamento o recesso” e una presunta carenza del servizio di assistenza post-vendita.
Il 4 marzo 2021 Mediamerket aveva presentato all’Agcm una relazione contenente le informazioni che le erano state richieste con la comunicazione di avvio del procedimento e, alcuni giorni dopo, aveva presentato impegni volti a rimuovere i profili di scorrettezza della pratica commerciale oggetto di contestazione, rigettati dall’Autorità nella sua adunanza del 4 maggio 2021;successivamente, in data 20 maggio 2021 l’Amministrazione aveva comunicato alla società “l’integrazione oggettiva della comunicazione di avvio del procedimento rispetto alle seguenti condotte, in possibile violazione degli articoli 20, 21, 22, 24, 25 e 61 del Codice del Consumo: i) la diffusione di informazioni ingannevoli (decettive e/o omissive) in relazione ai tempi stimati di consegna e ai prevedibili ritardi nonché allo stato degli ordini ed al tracking delle spedizioni;ii) i frequenti ritardi nella consegna dei prodotti rispetto alla data indicata ai consumatori al momento del perfezionamento del contratto”.
La ricorrente aveva quindi formulato una seconda proposta di impegni, anch’essa respinta.
Il 23 dicembre 2021, infine, Mediamarket aveva ricevuto la notifica del provvedimento impugnato, con il quale l’Amministrazione aveva accertato due pratiche commerciali scorrette, la “Pratica A” e la “Pratica B”:
Pratica A – Mediamarket avrebbe posto in essere nei confronti dei consumatori una pratica commerciale scorretta, “attraverso l’addebito e/o il blocco del plafond sulla loro carta di credito e il successivo annullamento unilaterale degli ordini, inducendoli per tale via ad assumere una decisione commerciale per l’acquisto e il pagamento di un prodotto che non avrebbero altrimenti preso”;
Pratica B – Mediamarket avrebbe posto in essere una pratica commerciale scorretta in quanto idonea ad ostacolare l’esercizio dei diritti dei consumatori, compresi il diritto di ottenere la consegna del bene nei tempi previsti, di ricevere informazioni corrette sullo stato della spedizione dei prodotti (tracking), di ottenere un’adeguata assistenza post-vendita, di risolvere il contratto di acquisto e ricevere il rimborso secondo i tempi e le modalità previste dalla disciplina contrattuale e in conformità alle previsioni della legge, nonché il diritto di ottenere la prestazione della garanzia legale di conformità nei tempi e nei modi previsti dalla legge”.
A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:
1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e ss. del Codice del consumo – violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241 – violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. – violazione dei principi del giusto procedimento e lesione del diritto al contraddittorio – violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 6 C.e.d.u. – eccesso di potere.
L’Autorità non aveva tenuto conto del fatto che gran parte delle condotte contestate avevano avuto luogo nel periodo della pandemia, quando erano state imposte misure restrittive della libertà di movimento, che hanno inciso profondamente su tutta la filiera produttiva e distributiva del paese, con gravi disagi sia per i consumatori che per le imprese.
Tali decisioni emergenziali, unitamente ai contagi che avevano interessato un grande numero di lavoratori in ogni settore, hanno provocato un rallentamento, quando non addirittura dei veri e propri blocchi, nella produzione industriale, nel sistema logistico e nella distribuzione.
Inoltre, l’Agcm aveva respinto gli impegni presentati sul presupposto della gravità delle condotte che, però, non erano ancora state accertate, incorrendo così in un difetto di istruttoria.
Il procedimento era stato poi condotto dall’Agcm in violazione del diritto di Mediamarket ad un pieno ed effettivo contraddittorio, in quanto le segnalazioni di Federconsumatori, sulle quali l’Autorità aveva basato in gran parte la sua istruttoria, non contenevano né i nomi dei consumatori segnalanti, né i numeri degli ordini o altre informazioni che avrebbero consentito a Mediamarket di svolgere le opportune verifiche e fornire i dovuti chiarimenti.
2. Sulla pratica A) – violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e ss. del Codice del consumo – violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990 – violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. – eccesso di potere.
L’Autorità aveva rimproverato alla ricorrente di avere fornito informazioni erronee in merito all’effettiva disponibilità dei prodotti, ma la procedura dalla stessa adottata fino al marzo 2021 prevedeva che il prodotto risultasse “disponibile” sul portale dedicato all’e-commerce, fintantoché almeno un esemplare dello stesso fosse “disponibile in magazzino”, e che, a seguito dell’esaurimento, il sito fosse aggiornato prima possibile.
In situazioni fisiologiche, tale procedura era idonea a garantire che le informazioni date al cliente fossero puntuali e veritiere;l’Agcm, tuttavia, ha rilevato che “nei periodi di picco”, “in presenza di elevati volumi di ordini concentrati in un arco temporale ristretto”, si verificassero dei disallineamenti, per cui potevano risultare ancora disponibili online dei prodotti che non lo erano più.
Tali episodi rappresentavano però l’eccezione, e non la regola, nel funzionamento del portale e-commerce di Mediamarket, ed erano circoscritti al periodo tra ottobre e novembre 2020.
In ogni caso, a partire da marzo 2021 la ricorrente aveva già spontaneamente introdotto nei suoi sistemi operativi una serie di accorgimenti che consentivano di evitare, anche nei periodi di traffico più intenso, indicazioni erronee di disponibilità dei prodotti offerti sul sito.
L’Autorità aveva poi affermato che anche “con riferimento all’indicazione dei prodotti venduti online si [sarebbero] verificati frequenti problemi di aggiornamento del Sito”. In particolare, visto che il “sistema di aggiornamento automatico di c.d. price management utilizzato da Mediamarket” prevedeva che i prezzi di vendita dei prodotti potessero oscillare nel corso della giornata, poteva accadere che il consumatore visualizzasse dei prezzi che qualche volta potevano “subire variazioni anche nel corso della procedura di acquisto online” e avesse così contezza del prezzo definitivo “solo a seguito dell’inserimento (…) del prodotto scelto nel proprio carrello di acquisto online”.
Tale possibilità, che era comune in tutti i siti internet, era comunque stata disciplinata dalla ricorrente nelle condizioni generali di vendita.
Secondo il provvedimento, inoltre, Mediamarket, anziché effettuare il doveroso controllo circa l’effettiva disponibilità del bene, avrebbe provveduto a disporre immediatamente l’addebito del prodotto o il blocco del plafond, anche per lunghi periodi, privando il consumatore della possibilità di eseguire ulteriori acquisti on-line;tuttavia, tale modalità costituiva un abituale meccanismo della prassi del commercio on-line, volto a garantire la certezza del pagamento a fronte di ordine dalla lavorazione complessa.
La ricorrente, comunque, aveva varato da tempo delle procedure specifiche per monitorare il tempestivo sblocco dei plafond.
Quanto alle informazioni sulle tempistiche di consegna, il sito di Mediamarket aveva sempre riportato in maniera specifica la data di prevista consegna per ciascun ordine, calibrandola a seconda delle modalità prescelta dal consumatore;inoltre, già a partire dal secondo semestre del 2019, la società aveva implementato un meccanismo di sistematica estensione, a titolo precauzionale, dei periodi di consegna indicati sul sito in occasione di determinati periodi dell’anno (per es. feste natalizie) o di speciali offerte promosse online (Black o Red Friday), rispetto ai quali poteva ragionevolmente prevedersi un aumento degli ordini rispetto al normale. Tali accorgimenti, però, non avrebbero potuto nulla rispetto ai picchi di ordini ricevuti in concomitanza delle misure restrittive introdotte dal Governo per far fronte all’emergenza sanitaria, che non consentivano alcun tipo di programmazione;quindi, in certi frangenti, Mediamarket era stata costretta a informare i consumatori, a ordine già perfezionato, che la consegna avrebbe subito qualche ritardo, riuscendo però nella quasi totalità dei casi a osservare comunque il termine massimo di trenta giorni stabilito dalla legge.
3. Sulla pratica B) – violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e ss. del Codice del consumo – violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990 – violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. – eccesso di potere.
L’Autorità aveva rilevato un ulteriore profilo di scorrettezza in relazione agli ordini consegnati in ritardo da Mediamarket nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 31 dicembre 2020, che erano stati in tutto 333.073, ovverosia il 13% del totale degli ordini ricevuti.
Di contro, nella stragrande maggioranza dei casi (i.e., circa l’80%), il ritardo era stato inferiore a sei giorni, mentre il numero di ordini consegnato con un ritardo superiore a trenta giorni era pari allo 0,27% degli ordini ricevuti nel periodo di riferimento.
In ordine alla contestata “gestione promiscua” delle diverse tipologie di reso, che l’Autorità aveva collegato alla scelta di mettere a disposizione dei clienti un “unico modello di reso per una pluralità di scopi”, la ricorrente ha dedotto che tale opzione era stata pensata proprio per agevolare i clienti, che spesso non coglievano le differenze tra le varie ipotesi di reso.
Allo stesso modo, quanto al fatto di non aver creato “un apposito indirizzo e-mail o PEC per l’inoltro delle comunicazioni di recesso”, Mediamarket ha precisato che era stata messa a disposizione dei consumatori una webmail che permetteva ai consumatori di inviare direttamente una e-mail compilando un apposito form, strumento del tutto equivalente e funzionante.
Per quanto riguarda le tempistiche dei rimborsi, ai sensi dell’art. 56 del Codice del consumo il termine ordinario per rimborsare il consumatore recedente era di quattordici giorni dalla comunicazione di recesso;tuttavia, ove si tratti di contratti di vendita, il professionista era legittimato a trattenere gli importi da rimborsare anche oltre tale termine, “finché non abbia ricevuto i beni oppure finché il consumatore non abbia dimostrato di aver rispedito i beni, a seconda di quale situazione si verifichi per prima” (art. 56, comma 3, del Codice del consumo).
Le policy di Mediamarket erano quindi perfettamente in linea con la normativa.
Con riferimento al recesso dai contratti di finanziamento, la ricorrente ha evidenziato che, ove il consumatore intendesse recedere solo dal contratto accessorio con Findomestic s.p.a., e non dall’acquisto concluso con Mediamarket, era legittimo che in questo caso fosse il consumatore a comunicare il recesso a Findomestic s.p.a.;la ricorrente, anzi, avrebbe fatto più di quel che avrebbe dovuto fare, pubblicando sul suo sito le istruzioni per il consumatore.
Quanto alle carenze dell’assistenza post-vendita, la ricorrente ha rappresentato che nei periodi della pandemia vi era stato un massiccio afflusso di ordini online non previsti, né prevedibili, con l’altrettanto improvviso aumento delle richieste di assistenza da parte dei consumatori, oltre a tutte le difficoltà legate a malattie e smart-working dei lavoratori addetti all’assistenza dei clienti.
Quanto alle condotte “idone[e] a ostacolare l’esercizio da parte dei consumatori dei diritti connessi alla garanzia legale di conformità”, correlate alla policy aziendale di re-inviare i prodotti in riparazione almeno 2 volte prima di accordare un rimedio alternativo, Mediamarket ha dedotto che si trattava di una contestazione nuova, sollevata per la prima volta nell’atto conclusivo del procedimento e di cui non vi era traccia né nella comunicazione di avvio del medesimo, né nella successiva integrazione, di tal che in tale parte il provvedimento era illegittimo per difetto del contraddittorio.
4. Insussistenza di profili di ingannevolezza o aggressività– violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e ss. del Codice del consumo – violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990 – violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. – eccesso di potere.
Le condotte imputate a Mediamarket non erano caratterizzate da alcun profilo di ingannevolezza ai sensi degli artt. 21, 22 e 23 del Codice del consumo, non potendo essere considerate idonee a indurre in errore i consumatori o a indurli ad assumere decisioni di natura commerciale che altrimenti non avrebbero preso.
Né sussistevano profili di aggressività, in quanto non poteva ravvisarsi alcuna limitazione della libertà di scelta del consumatore.
5. Violazione e falsa applicazione degli artt. 27, comma 1, del Codice del consumo e 11 della legge 14 novembre 1981, n. 689 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990 – violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. – eccesso di potere.
L’Autorità ha motivato la gravità della violazione facendo riferimento “[al]l’aumento significativo delle vendite online realizzate dal professionista nel 2020, raddoppiate rispetto all’anno precedente, atteso il rilevante aumento del valore degli ordini online”, ma non aveva tenuto conto del livello delle vendite concluse in negozio, che avevano subito una drastica riduzione.
Inoltre, non poteva ravvisarsi un “rilevantissimo numero di ordini online coinvolti negli illeciti accertati”, poiché nel biennio 2019 – 2020 i casi di segnalazione erano stati solo lo 0,003% del totale degli ordini online ricevuti dalla società.
Si è costituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato resistendo al ricorso.
All’udienza pubblica dell’8 febbraio 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è solo parzialmente fondato.
Con il primo motivo la ricorrente ha lamentato che l’Autorità abbia proceduto ad una valutazione delle condotte contestate che non aveva tenuto conto della peculiare condizione in cui essa si era trovata nel periodo della pandemia, quando era pervenuto un numero di ordini molto più elevato di quelli per cui era stato ragionevolmente dimensionata;inoltre, appena era stato possibile, la ricorrente si era diligentemente attivata per smaltire gli ordine arretrati ed apprestare un più efficiente sistema di commercio online.
Al riguardo deve osservarsi che la condotta ritenuta dall’Autorità scorretta non è incentrata sull’inadempimento degli ordini pervenuti, quanto piuttosto sul fatto che il professionista, nel contesto di un notevole incremento degli acquisti a distanza, “ pur nella consapevolezza delle contingenti difficoltà di approvvigionamento e consegna dei prodotti nonché dell'impossibilità di definire una programmazione certa, ha nondimeno continuato a diffondere sul proprio sito web offerte di vendita prospettando tempistiche di consegna rivelatesi spesso inattendibili e omettendo di informare preventivamente i consumatori in merito ai probabili disagi, agli eventuali ritardi e infine al possibile inadempimento prestazionale. Una volta concluso il processo di acquisto online, il professionista ha omesso di fornire la dovuta assistenza ai consumatori e di garantire il pieno esercizio dei loro diritti relativi alla consegna dei prodotti, al recesso/annullamento e al rimborso del corrispettivo versato ” (parr. 171 e ss. provv.).
Non si è trattato, pertanto, dell’inadempimento rispetto ad obbligazioni assunte prima della diffusione della pandemia, il cui adempimento sarebbe stato compromesso per effetto del Covid, quanto piuttosto di condotte poste in essere proprio nel periodo dell'emergenza sanitaria, durante il quale la ricorrente risulta avere adottato una precisa strategia comunicativa volta a fornire ai consumatori informazioni rassicuranti rispetto alla continuità dei propri servizi, quali le comunicazioni diffuse con il messaggio “ IL