TAR Perugia, sez. I, sentenza 2021-02-22, n. 202100081

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Perugia, sez. I, sentenza 2021-02-22, n. 202100081
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Perugia
Numero : 202100081
Data del deposito : 22 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/02/2021

N. 00081/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00225/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA IALIANA

IN NOME DEL POPOLO IALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 225 del 2020, proposto da -OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato L G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Cerreto di Spoleto, nella persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato M M con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Spoleto, piazza Sansi, 3;

nei confronti

-OMISSIS-, nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe La Spina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via Baglioni, 36;

per l'annullamento

del permesso di costruire in sanatoria del Responsabile del SUAPE di -OMISSIS-, conosciuto in esito all’evasione della domanda di accesso agli atti -OMISSIS--OMISSIS-, avente ad oggetto l’accertamento di conformità urbanistica per l’esecuzione di lavori di ampliamento di edificio esistente in località -OMISSIS-, distinto al catasto al foglio -OMISSIS- e per l’annullamento del presupposto provvedimento di ammissibilità a sanatoria del Responsabile del SUAPE di -OMISSIS-, conosciuto in esito all’evasione della domanda di accesso agli atti -OMISSIS--OMISSIS-;
nonché per l’annullamento di ogni atto preparatorio, presupposto, inerente, conseguente e/o comunque connesso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cerreto di Spoleto e della -OMISSIS-

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2021 - tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 25, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 (conv., con modificazioni, l. 18 dicembre 2020, n. 176) - la dott.ssa D C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITO

1. Riferisce in punto di fatto l’odierna ricorrente di essere titolare dell’omonima ditta individuale denominata “-OMISSIS-” che svolge attività di ristorazione, trattoria e bar, presso un immobile in locazione sito in -OMISSIS-, confinante con l’immobile in uso alla -OMISSIS- di -OMISSIS-, società che sino ad oggi ha svolto attività di macelleria con vendita al dettaglio, oltre ad un bar-tabacchi.

Nel 2017 - a seguito della presentazione di una CIL per la realizzazione di strutture a copertura di parcheggi privati con pannelli fotovoltaici - la società -OMISSIS- realizzava opere di ampliamento, per le quali, con istanza prot. n. -OMISSIS-, l’odierna controinteressata domandava il rilascio del permesso di costruire per gli eseguiti lavori, domandando al Comune il contestuale rilascio dell’autorizzazione in deroga, prevista dall’art. 25, comma 3, del reg. reg. n. 2 del 2015, per l’esecuzione di opere a distanza inferiore a 5,00 mt. dal confine stradale.

Nelle more, con rapporto di ispezione di cose e luoghi prot. n. -OMISSIS-, il Comune accertava l’esecuzione di due manufatti: il primo (individuato con la lettera A) costituito da una struttura in legno, in aderenza al lato lungo del fabbricato esistente, con tetto ad una falda delle dimensioni in pianta mt. 21,45 x 4,40;
il secondo manufatto (individuato con lettera B) costituito da una costruzione posta in aderenza al lato corto del fabbricato originario, con un tetto ad una falda delle dimensioni in pianta mt. 9,54 x 4,05.

Seguiva l’emanazione dell’ordinanza -OMISSIS-, con cui il Comune disponeva l’immediata sospensione dei lavori, ai sensi dell’art. 141, comma 2, della l.r. n. 1 del 2015.

L’odierna ricorrente, con atto di intervento predisposto ai sensi dell’art. 9 della l. n. 241 del 1990, partecipava al procedimento, deducendo le ragioni ostative al rilascio della sanatoria;
ciò, con particolare riferimento all’assenza dei presupposti sostanziali, per il riconoscimento della conformità edilizia delle opere.

Con determinazione prot. n. -OMISSIS-, il Responsabile del SUAPE evidenziava l’inammissibilità della sanatoria, rilevando una vasta gamma di criticità, (tra cui il mancato rispetto delle previsioni in materia di distanze dalle strade, dagli edifici, dai confini, l’esistenza di vincoli derivanti dal P.A.I., dalla normativa sismica, etc.).

Con istanza prot. n. -OMISSIS-, la società -OMISSIS- presentava una seconda domanda per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, riguardante le medesime opere di ampliamento. Nell’ambito del procedimento veniva acquisito il positivo parere della Commissione per la qualità architettonica ed il paesaggio (CQAP), cui seguiva l’atto prot. n. -OMISSIS- del Responsabile del SUAPE di Cerreto di Spoleto che si esprimeva nel senso dell’ammissibilità della domanda al rilascio del titolo edilizio. Con provvedimento n. -OMISSIS-, il Responsabile del SUAPE di Cerreto rilasciava in titolo in sanatoria.

A seguito di richiesta dalla società controinteressata (pec prot. n. -OMISSIS-) con provvedimento n. -OMISSIS-, il Comune di Cerreto interveniva a revocare il permesso di costruire -OMISSIS- e rilasciava definitivamente il titolo in sanatoria.

2. La sig.ra -OMISSIS- ha proposto ricorso avverso il citato provvedimento di sanatoria, articolando otto motivi di censura rubricati come segue:

I. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e 154 della l.r. Umbria 21 gennaio 2015 n. 1, in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del decreto interministeriale 2 aprile 1968 n. 1444, nonché l’eccesso di potere per difetto assoluto di presupposti, di istruttoria, di motivazione, sviamento;

II. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e 154 della l.r. Umbria 21 gennaio 2015 n. 1, in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 2, lett. f) delle NTA del Piano di fabbricazione di Cerreto e degli artt. 10, 18 e 23 del regolamento regionale 18 febbraio 2015 n. 2, eccesso di potere per difetto assoluto di presupposti, di istruttoria, di motivazione e per contraddittorietà, illogicità ed irrazionalità estrinseche manifeste, sviamento;

III. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e 154 della l.r. Umbria 21 gennaio 2015 n. 1, in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 25 del regolamento regionale 18 febbraio 2015 n. 2;
eccesso di potere per difetto assoluto di presupposti, di istruttoria, di motivazione e per contraddittorietà, illogicità ed irrazionalità estrinseche manifeste, sviamento, in relazione al mancato rispetto della distanza dalla strada;

IV. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e 154 della l.r. Umbria 21 gennaio 2015 n. 1, in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del Decreto interministeriale 2 aprile 1968 n. 1444, degli artt. 23, 24 e 25 del regolamento regionale 18 febbraio 2015 n. 2 e dell’art. 6, comma 2, lett. f) delle NTA del Piano di fabbricazione del Comune di Cerreto, sviamento, stante la carenza del requisito della doppia conformità;

V. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e 154 della l.r. Umbria 21 gennaio 2015 n. 1, in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del Decreto interministeriale 2 aprile 1968 n. 1444 e degli artt. 23, 24 e 25 del regolamento regionale 18 febbraio 2015 n. 2;
violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione e per contraddittorietà, illogicità ed irrazionalità estrinseche manifeste, perplessità, sviamento;

VI. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e 154 della l.r. Umbria 21 gennaio 2015 n. 1 e dell’art. 17, comma 3, lett i) del regolamento regionale 18 febbraio 2015 n. 2, in relazione alla violazione dell’art. 7, comma 1, lett e) – 6 della legge regionale n. 1 del 2015 e degli artt. 17 e 21 del regolamento regionale 18 febbraio 2015 n. 2;
eccesso di potere per difetto assoluto di presupposti, di istruttoria e di motivazione;
indeterminatezza;
sviamento, essendo carente il presupposto della natura pertinenziale delle opere;

VII. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e 154 della l.r. Umbria 21 gennaio 2015 n. 1, in relazione alla violazione dell’art. 41-sexies della Legge 17 agosto 1942 n. 1150;
violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità di cui all’art. 97 Cost. Eccesso di potere per difetto assoluto di presupposti, di istruttoria e di motivazione, sviamento, per omesso computo dei necessari standard a parcheggi;

VIII. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e 154 della l.r. Umbria 21 gennaio 2015 n. 1, in relazione alla violazione dell’art. 8 dell’allegato “A” della D.G.R. Umbria 447/2008;
eccesso di potere per difetto di presupposti, di istruttoria e di motivazione, perplessità, sviamento, con riferimento alla relazione geologica.

3. Si è costituita in giudizio la società controinteressata eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione ed interesse in capo alla ricorrente ed argomentando nel merito circa l’infondatezza delle censure avanzate e l’insussistenza delle ragioni di tutela cautelare.

4. A seguito della trattazione in camera di consiglio, con ordinanza del 9 giugno 2020 è stata rigettata l’istanza cautelare.

5. Si è costituito in giudizio il Comune di Cerreto di Spoleto eccependo, in primo luogo, il difetto di legittimazione della ricorrente, non avendo la stessa fornito alcuna dimostrazione del pregiudizio patito. La difesa comunale ha, poi, contestato nel merito le censure di parte ricorrente, evidenziando che ricorrevano nel caso di specie tutti i presupposti per la sanatoria, essendo le opere realizzate conformi sia al momento della realizzazione che al momento della richiesta di accertamento.

6. La parti hanno depositato repliche in vista della trattazione in pubblica udienza.

7. All’udienza pubblica del 26 gennaio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

8. E’ controversa la legittimità del titolo abilitativo in sanatoria n. -OMISSIS- rilasciato dal Comune di Cerreto di Spoleto con riferimento ai lavori effettuati dalla -OMISSIS- per l’ampliamento di un immobile destinato ad una attività di bar-tabaccheria, contiguo rispetto all’immobile presso il quale l’odierna ricorrente svolge una attività di ristorazione.

Emerge dagli atti di causa che l’intervento di ampliamento di edificio esistente eseguito, con la realizzazione dei citati manufatti A e B, è stato qualificato dal Comune quale “intervento di nuova costruzione” ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. e), l.r. n. 1 del 2015, ricadente in zona C1-espansione del vigente Piano di fabbricazione. Il responsabile del S.U.E. ha, inoltre, ritenuto la capacità edificatoria “legittimata” distinguendo gli interventi realizzati in: un “edificio pertinenziale” avente superficie di mq 29,92, non costituente SUC ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. i), reg. reg. n. 2 del 2015;
un ampliamento di edificio residenziale ai sensi dell’art. 76, comma 1, l.r. n. 1 del 2015 per una S.U.C. di 103,60 mq.

Il manufatto indicato con la lett. A, realizzato sul lato lungo dell’originaria costruzione, è posto, rispetto al confinante edificio di proprietà -OMISSIS-ad una distanza minima pari a 7,55 mt. e massima pari a 9,58 mt., ed è individuato nelle planimetrie allegate all’istanza di accertamento di conformità come “sala”. Il manufatto indicato con la lett. B, realizzato sul lato corto dell’originaria costruzione, confina con una strada interna, risultata di proprietà del sig. -OMISSIS-, dalla quale dista tra i 3 e i 4,30 mt. ed è individuato nelle medesime planimetrie come “cucina”.

9. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività sollevata dalla parte controinteressata. In disparte ogni valutazione circa l’ammissibilità dell’eccezione sollevata solo con memoria di replica, la stessa si presenta infondata essendo del tutto inconferente la giurisprudenza ivi richiamata. Difatti, detta giurisprudenza fa riferimento ad ipotesi nelle quali le opere siano state realizzate in forza di un titolo abilitativo, ipotesi nelle quali il termine per la relativa contestazione decorrerà, a seconda della violazione contestata, dall’inizio dei lavori, dal grado di sviluppo o dal completamento degli stessi. Nella vicenda per cui è causa, invece, le opere sono state pacificamente realizzate in assenza di un valido titolo abilitativo e la lesione lamentata dalla ricorrente si è concretizzata solo con la concessione del titolo in sanatoria, conosciuto dalla stessa con l’evasione della domanda di accesso agli atti in data -OMISSIS-, come da attestazione di consegna depositata in atti.

10. Sempre in via preliminare deve essere scrutinata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto delle condizioni per l’azione, sollevata sia dalla controinteressata che dalla difesa comunale. Entrambe le parti resistenti hanno, infatti, eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e interesse ad agire in capo alla ricorrente, mera locataria del fondo vicino a quello interessato dagli interventi, collocato sul lato opposto rispetto agli ampliamenti, e che non avrebbe dimostrato l’esistenza di un pregiudizio.

Giova rammentare che « in base ai principi generali in materia di condizioni dell’azione giudiziale, desumibili dall’art. 24, comma 1, della Costituzione (“tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”) e dall’art.100 cod.proc.civ. (“per proporre una domanda o per resistere alla stessa occorre avere un interesse”), l’azione di annullamento è sottoposta a due fondamentali condizioni: a) l’interesse processuale che presuppone, nella prospettazione della parte, una lesione dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 settembre 2009 n.51921);
b) la legittimatio ad causam, costituita dall’essere titolare di un rapporto controverso in relazione all’esercizio del potere pubblico, in virtù del quale viene conferito al soggetto interessato alla contestazione giudiziale una posizione qualificata che lo distingue dal quisque de populo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 7 novembre 2005 n. 6200). In mancanza dell’uno o dell’altro requisito, l’azione è inammissibile, dovendo, in particolare, nel sistema giurisdizionale amministrativo ai fini dell’ammissibilità del ricorso, esservi piena corrispondenza tra titolo (o possibilità giuridica dell’azione) ed interesse sostanziale ad agire (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 15 novembre 2011, n. 6016 e, inoltre, Cons. Stato, Sez. IV, 22 dicembre 2007, n.6613;
idem, 24 dicembre 2007, n.6619;
Sez. VI, 12 marzo 2002, n.1452)
» (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 15 ottobre 2020, n. 360).

Le anzidette condizioni devono necessariamente sussistere anche nel caso di impugnativa di titoli edilizi. In materia, circa la sufficienza della situazione di vicinitas per radicare la legittimazione al ricorso, si sono registrati in giurisprudenza diversi orientamenti. Il Collegio ritiene di aderire alla tesi che ravvisa la necessità di distinguere « l’ipotesi in cui a impugnare il permesso di costruire sia il titolare di un immobile confinante, adiacente o prospiciente su quello oggetto dell'intervento assentito, da quella in cui il ricorso avverso il titolo, cui sia correlata un'autorizzazione commerciale, venga proposto da un operatore economico, nel senso che:

a) nel primo caso, ai fini dell’accertamento dell’interesse e della legittimazione ad agire in capo al proprietario confinante (o a chi si trovi in una posizione analoga), è sufficiente la semplice vicinitas, ossia la dimostrazione di uno stabile collegamento materiale fra l'immobile del ricorrente e quello interessato dai lavori, escludendosi in linea di principio la necessità di dare dimostrazione di un pregiudizio specifico e ulteriore. Tale pregiudizio, infatti, deve ragionevolmente ritenersi sussistente in re ipsa in quanto consegue necessariamente all’alterazione (in tesi, illegittima) dell’assetto edilizio e urbanistico circostante;

b) di contro, “nell'ipotesi in cui ad impugnare il permesso di costruire sia il titolare di una struttura di vendita, affinché il suo interesse processuale possa qualificarsi personale, attuale e diretto, deve potersi ravvisare la coincidenza, totale o quanto meno parziale, del bacino di clientela, tale da poter oggettivamente determinare un apprezzabile calo del volume d'affari del ricorrente”» (C.d.S., sez. IV, 27 marzo 2019, n. 2025;
Id. 19 novembre 2015, n. 5278;
Id. 17 aprile 2018, n. 2307). Infatti, la nozione di vicinitas consente «in astratto, di censurare i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione di una nuova attività economica al titolare di analoghe attività nella zona che si trovi in situazione di stabile collegamento con la stessa”, purché, tuttavia, “vi sia un reale pregiudizio che venga a derivare dalla realizzazione dell'intervento assentito, specificando con riferimento alla situazione concreta e fattuale come, perché, ed in quale misura il provvedimento impugnato incida la posizione sostanziale dedotta in causa, determinandone una lesione concreta, immediata e di carattere attuale”»
(T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 7 gennaio 2020, n. 37;
cfr., ex multis , C.d.S., sez. V, 22 dicembre 2017, n. 5442;
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 4 novembre 2019, n. 2294;
T.A.R. Lazio, Roma, sez. I bis, 18 novembre 2019, n. 13217). Al riguardo è stato, altresì, osservato che «la sussistenza dell'interesse ad agire deve essere valutata in astratto, con riferimento al contenuto della domanda, e non secundum eventum litis, e che requisiti imprescindibili per la configurazione di questa condizione dell'azione sono il suo carattere personale, la sua attualità e la sua concretezza… per cui la lesione arrecata dal provvedimento impugnato deve essere effettiva, nel senso che dall'esecuzione di esso discenda in via immediata e diretta un danno certo alla sfera giuridica della ricorrente, ovvero potenziale, intendendosi come tale, però, quello che sicuramente (o molto probabilmente ) si verificherà in futuro » (C.d.S., sez. IV, 30 novembre 2010, n. 8364).

Alla luce dei richiamati principi, l’eccezione deve essere respinta.

Nel caso in esame la ricorrente ha evidenziato di svolgere una attività di bar-ristorante in un immobile, tratto in locazione, contiguo a quello della società -OMISSIS-;
emerge, inoltre, dagli atti di causa - in particolare dalla richiesta di autorizzazione per l’ampliamento avanzata dalla sig.ra -OMISSIS--OMISSIS- ed assunta al protocollo comunale n. -OMISSIS-- che « lo scopo della costruzione di cui sopra è quello di ampliare la propria attività commerciale ed attivare un servizio di preparazione e distribuzione dei pasti ». Pertanto, deve ritenersi che l’attività commerciale della -OMISSIS- vada a coincidere, quanto a bacino della clientela, con quella della ricorrente, svolgendo entrambe attività di ristorazione a distanza di poche decine di metri l’una dall’altra.

11. Esaurite le questioni in rito, può procedersi con l’esame del primo dei motivi di ricorso con il quale si afferma l’illegittimità della sanatoria impugnata, in quanto assunta in violazione della distanza minima ed inderogabile di dieci metri tra pareti finestrate di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, non potendo trovare applicazione, come invece sostenuto dal Comune, la disciplina derogatoria di cui all’art. 23, comma 4, reg.reg. n. 2 del 2015. Le censure concernono in particolare il manufatto A che, come già rilevato, è pacificamente posto ad una distanza dal fabbricato prospicente - proprietà -OMISSIS-- compresa tre 7,55 mt. e 9,58 mt.

L’art. 9 del citato decreto ministeriale del 2 aprile 1968 n. 1444 disciplina le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee, prevedendo, in particolare, al comma 1, n. 2, che per i «[ n]uovi edifici ricadenti in altre zone [rispetto alle zone A di cui al n. 1]: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti ».

Il citato art. 9 è volto alla difesa dell'interesse pubblico di natura igienico-sanitaria, ovvero l'esigenza di garantire l'aerazione degli spazi interni agli edifici e di evitare la formazione di intercapedini malsane tra i fabbricati (da ultimo C.d.S., sez. II, 7 febbraio 2020, n. 985). E’ affermazione costante della giurisprudenza che « la disposizione contenuta nell’ art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza;
tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile. ... Infatti, è irrilevante indagare sulla qualificazione, nel caso di specie, dell’intervento edilizio (nuova opera, ristrutturazione con demolizione e ricostruzione) perché in ogni caso è stato realizzato un elemento edilizio nuovo, che non era presente nel vecchio edificio, senza che sia possibile rinvenire deroghe nella disciplina urbanistica comunale (nei limiti in cui sono autorizzabili dalle leggi regionali, trattandosi di ordinamento civile sub specie di disciplina della proprietà),;
pertanto, devono essere rispettate le distanze previste dalla legislazione statale (d.m. n. 144 del 1968, art.

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