TAR Napoli, sez. I, sentenza 2016-07-20, n. 201603754
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N. 03754/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01148/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1148 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Fallimento Bagnolifutura S.p.a. in liquidazione, in persona dei curatori fallimentari, rappresentato e difeso dall'avv. G T, con domicilio eletto presso lo stesso in Napoli, viale Gramsci, 19;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria in Napoli, Via Diaz, 11;
nei confronti di
Invitalia - Agenzia nazionale per l'attrazione di investimenti S.p.a., in persona dell’amministratore delegato e dal legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Cintioli e Giuseppe Lo Pinto, con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Maria Giulia De Marca in Napoli, Via Parco Margherita, 34;
Commissario straordinario del governo per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana dell’area di rilevante interesse nazionale Bagnoli – Coroglio, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria in Napoli, Via Diaz, 11;
Comune di Napoli in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Fabio Maria Ferrari, Antonio Andreottola, Bruno Crimaldi e Anna Pulcini, elettivamente domiciliato con gli stessi in Napoli, piazza Municipio, presso l’Avvocatura comunale;
per l'annullamento
del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 ottobre 2015 in tema di interventi di bonifica ambientale e rigenerazione urbana dell'area di Bagnoli Coroglio, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, numero 262 del 10 novembre 2015;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di Invitalia Agenzia nazionale per l'attrazione di investimenti S.p.a., del Comune di Napoli e del commissario straordinario per la bonifica di Bagnoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2016 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I curatori fallimentari della società per azioni Bagnolifutura in liquidazione hanno proposto al T.a.r. Lazio, prima sezione, il ricorso numero 372 del 2016 per l’annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 ottobre 2015 in tema di interventi di bonifica ambientale e rigenerazione urbana dell’area di Bagnoli Coroglio.
Con ordinanza collegiale numero 1965 del 2016, il T.a.r. Lazio si è dichiarato territorialmente incompetente, indicando la competenza territoriale del T.a.r. Napoli.
La curatela fallimentare ha riassunto il processo innanzi a questo T.a.r., depositando l’11 marzo 2016 il ricorso, notificato in data 2 marzo 2016 alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, al comune di Napoli e al commissario straordinario di governo per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana dell’area di rilevante interesse nazionale Bagnoli-Coroglio.
Le amministrazioni statali intimate si sono costituite in giudizio per resistere al ricorso, mentre il comune di Napoli, nel costituirsi, ha chiesto l’accoglimento del ricorso stesso.
Con successivo ricorso, notificato a tutte le controparti in data 24 marzo 2016, la ricorrente ha proposto motivi aggiunti avverso il provvedimento impugnato, tenuto conto della modifica normativa recata dal decreto legge 30 dicembre 2015, numero 210, convertito in legge 25 febbraio 2016, numero 21.
All’udienza pubblica del 22 giugno 2016, il ricorso è stato trattato e posto in decisione.
DIRITTO
La società per azioni Bagnolifutura, interamente pubblica e attualmente in liquidazione, è stata costituita con la partecipazione del comune di Napoli, al 90%, della regione Campania, al 7,5% e della provincia di Napoli, al 2,5%, con finalità di trasformazione urbana.
Lo scopo della società, formata nel 2002, era la progettazione e realizzazione di interventi di trasformazione urbana da realizzare nell’area industriale di Bagnoli-Coroglio, già appartenente alla Ilva società per azioni e alla Eternit società per azioni.
Tale area era pervenuta in proprietà a Bagnolifutura per conferimento da parte del comune di Napoli, nell’ambito di una complessa procedura per la bonifica del sito, già dichiarato di interesse nazionale.
Seguiva una intricata vicenda contenziosa in esito alla quale il Tribunale di Napoli, con sentenza numero 188 del 2014, dichiarava il fallimento della società Bagnolifutura, nominando un collegio di curatori anche per assicurare la corretta gestione delle aree di proprietà della società.
I terreni di proprietà di Bagnolifutura, intanto, venivano sottoposti a sequestro giudiziario, nel corso di un’indagine penale sulla bonifica mai eseguita.
Con il decreto legge 12 settembre 2014, numero 133, cosiddetto decreto sblocca Italia, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164, sono state adottate “misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza dal dissesto idrogeologico e la ripresa delle attività”.
Per quanto di interesse, l’articolo 33 del decreto legge detta disposizioni per disciplinare la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale, con particolare riferimento al comprensorio di Bagnoli-Coroglio.
La suddetta normativa viene modificata dal decreto-legge 19 giugno 2015, numero 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, numero 125.
In attuazione di essa e con specifico riferimento all’area di rilevante interesse nazionale Bagnoli-Coroglio, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 settembre 2015, viene nominato il commissario straordinario del governo per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana di tale area.
Il successivo 15 ottobre, il Presidente del Consiglio dei ministri adotta il decreto impugnato, con cui disciplina la cabina di regia di cui al comma 13 dell’articolo 33 del decreto legge, nomina il soggetto attuatore previsto ai commi 6 e 12 dello stesso articolo 33, peraltro già individuato per legge nell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, definisce i compiti del soggetto attuatore, i primi interventi e i relativi finanziamenti, i rapporti del commissario straordinario con il soggetto attuatore e trasferisce al soggetto attuatore la proprietà delle aree e degli immobili interessati dagli interventi, precedentemente in proprietà della società per azioni Bagnolifutura in fallimento;infine il provvedimento, in applicazione del comma 12 del citato articolo 33, disciplina la costituzione di una società per azioni di scopo per la salvaguardia e la riqualificazione di aree e immobili limitrofi al comprensorio di Bagnoli-Coroglio.
Il provvedimento impugnato, come appena esposto, è stato adottato in attuazione dell’articolo 33 del decreto legge 12 settembre 2014, numero 133, convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164, oggetto di una prima importante modifica con il decreto legge 19 giugno 2015, numero 78, convertito in legge 6 agosto 2015, numero 125 e, successivamente alla proposizione del ricorso in decisione, ulteriormente modificato dal decreto legge 30 dicembre 2015, numero 210, cosiddetto decreto milleproroghe, convertito in legge 25 febbraio 2016, numero 21.
Come accennato, l’articolo 33 del decreto sblocca Italia è dedicato alla bonifica ambientale e alla rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale.
Al comma 11 e ai commi seguenti, in deroga alla disciplina generale sulla bonifica delle aree inquinate di interesse nazionale, sono dettate regole speciali per il comprensorio di Bagnoli-Coroglio, giustificate dalle condizioni di estremo degrado ambientale in cui versano tali aree.
Al comma 12, in particolare, è individuato come soggetto attuatore delle attività in programma l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, società per azioni “in house” dello Stato. Ad essa, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la cui emanazione era prevista per la data del 30 settembre 2015, avrebbe dovuto essere trasferita la proprietà delle aree e degli immobili di cui risultava precedentemente titolare la società Bagnolifutura, in stato di fallimento.
Lo stesso comma 12, prima della ulteriore modifica legislativa recata dal decreto legge 30 dicembre 2015, numero 210, prevedeva che il soggetto attuatore costituisse una società di scopo, con capitale azionario aperto anche a soggetti privati;tale società avrebbe dovuto riconoscere alla procedura fallimentare di Bagnolifutura un corrispettivo per le aree espropriate, determinato in base al valore di mercato degli immobili. Il corrispettivo avrebbe potuto essere versato anche mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla società di scopo. Il rimborso di questi titoli finanziari era comunque legato all’incasso effettivo delle somme che la società avrebbe acquisito all’atto della vendita delle aree e degli immobili ad essa trasferiti. Le modalità di tale rimborso avrebbero dovuto essere indicate con lo stesso decreto con cui si sarebbe disposta la nomina del soggetto attuatore.
Il provvedimento impugnato, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 ottobre 2015, recante interventi per la bonifica ambientale e la rigenerazione urbana dell’area di Bagnoli-Coroglio, dispone l’attuazione della normativa appena richiamata.
In particolare, all’articolo 6, il decreto impugnato trasferisce all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti la proprietà delle aree e degli immobili appartenenti alla società Bagnolifutura in fallimento. Dispone, quindi, il trasferimento di tali immobili da parte del soggetto attuatore alla società per azioni di scopo di cui al successivo articolo 7.
L’articolo 7 del provvedimento, pertanto, prevede che l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti costituisca la società per azioni di scopo e che, a fronte del trasferimento delle aree già appartenenti a Bagnolifutura, la società di scopo così costituita riconosca alla procedura fallimentare di Bagnolifutura un importo determinato in base al valore di mercato degli immobili, come valutato dall’Agenzia del demanio.
Il provvedimento prosegue stabilendo che, una volta determinato il valore di mercato degli immobili, la società di scopo versi tale corrispettivo alla procedura fallimentare mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla società stessa, da sola o congiuntamente al soggetto attuatore.
Si prevede, peraltro, che le azioni e gli strumenti finanziari di cui sopra potranno essere rimborsati ai legittimi titolari solo dopo che la società di scopo avrà conseguito il pagamento del corrispettivo della futura vendita delle aree bonificate;tale corrispettivo costituirà il valore massimo rimborsabile per le azioni o gli altri strumenti finanziari emessi. Le modalità di rimborso, comunque, saranno individuate con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Con il primo motivo di impugnazione, parte ricorrente deduce violazione del d.p.r. numero 327 del 2001, testo unico sull’espropriazione e invalidità derivata del provvedimento impugnato, per illegittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 12, del decreto legge numero 103 del 2014 convertito in legge numero 164 del 2014, in riferimento all’articolo 42, terzo comma, all’articolo 43 e all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, anche in relazione al protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Le censure della ricorrente prendono le mosse dall’articolo 6, comma 1, del provvedimento impugnato che prevede il trasferimento delle proprietà immobiliari del fallimento all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti, in attuazione del comma 12 dell’articolo 33 del decreto legge numero 133 del 2014
Il successivo comma 3 prevede che le aree interessate siano successivamente trasferite dall’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti a una società per azioni di scopo, ancora da costituirsi.
Detta società a fronte del trasferimento delle aree e degli immobili riconoscerà alla procedura fallimentare di Bagnolifutura un importo determinato sulla base del valore di mercato dei beni immobili, come stimato dall’Agenzia del demanio.
L’importo andrebbe versato alla procedura fallimentare anche mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi dalla società per azioni di scopo o anche congiuntamente con l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti.
In ogni caso, le suddette azioni o altri strumenti finanziari di cui al precedente comma, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 7 del decreto, non saranno rimborsabili, se non successivamente alla vendita dei beni immobili di cui si tratta e l’importo del rimborso non potrà in nessun caso essere superiore alle somme che saranno effettivamente incassate.
Ad avviso della ricorrente, il meccanismo di trasferimento delle proprietà previsto dal decreto impugnato, attuativo dell’articolo 33 del decreto legge, è lesivo degli interessi dei creditori, non essendo quantificato alcun indennizzo a fronte del trasferimento dei beni, per effetto della aleatorietà delle modalità di rimborso.
Si tratterebbe di una procedura di espropriazione per pubblica utilità, funzionale al perseguimento delle finalità del programma di rigenerazione urbana di cui all’articolo 33, comma 10 del decreto legge, la cui approvazione costituisce variante urbanistica automatica e comporta dichiarazione di pubblica utilità delle opere e di urgenza e indifferibilità dei lavori.
Tuttavia né il decreto legge, né il decreto amministrativo impugnato prevederebbero l’attribuzione di poteri espropriativi al commissario e al soggetto attuatore, per cui la procedura si svolgerebbe in violazione del principio di legalità.
Inoltre, non essendo previsto alcun indennizzo certo e determinato, ricorrerebbe la violazione dei parametri costituzionali di cui all’articolo 42 terzo comma della Costituzione e degli obblighi internazionali sanciti dall’articolo 1 del protocollo addizionale alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, vincolante per il legislatore ai sensi dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione.
Congiuntamente al primo, deve essere valutato anche il secondo motivo di ricorso, che del primo costituisce approfondimento e integrazione.
Con il secondo motivo, infatti, la ricorrente deduce ancora violazione e falsa applicazione del testo unico sull’espropriazione, d.p.r. numero 327 del 2001, per omessa determinazione dell’indennità di esproprio ed eccesso di potere.
Ad avviso della ricorrente, sebbene la procedura espropriativa sia di norma articolata in quattro fasi, approvazione dello strumento urbanistico che introduce il vincolo, dichiarazione di pubblica utilità, determinazione provvisoria e definitiva dell’indennizzo e decreto di esproprio, con l’ulteriore fase finale dell’immissione in possesso, nel caso di specie il provvedimento anticiperebbe l’immissione in possesso eliminando l’intera procedura.
L’immissione in possesso sarebbe addirittura anteriore alla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera che non risulta nemmeno disposta, coincidendo con l’approvazione del programma di rigenerazione urbana che ancora non è stato adottato.
La legge contestata, infatti, prevede una complessa procedura per l’approvazione del programma di rigenerazione urbana, regolata dall’articolo 33 del decreto legge ai commi da 3 a 10 e non ancora attuata.
Soltanto in esito a tale procedura l’approvazione del programma di rigenerazione urbana costituirà dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
Ma, contrariamente a quanto sarebbe necessario, né l’articolo 33 del decreto legge, né il provvedimento impugnato, recano alcun vincolo preordinato all’esproprio.
La procedura espropriativa configurata, inoltre, si porrebbe in contrasto anche con l’articolo 43 della Costituzione che consente al potere amministrativo di avocare categorie di beni specifici a fini di utilità generale, ma a condizione che venga riconosciuto un indennizzo e che l’esercizio del potere sia riferito alla necessità di acquisire beni ricollegabili a servizi pubblici essenziali, a fonti di energia o a situazioni di monopolio, non presenti nella fattispecie.
Neppure la specialità del provvedimento legislativo giustificherebbe la deroga alle regole fondamentali sull’espropriazione, in mancanza di qualsiasi quantificazione dell’indennità di esproprio.
A giudizio del Collegio, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate, almeno in riferimento alla censura di violazione del procedimento dettato dal testo unico sulle espropriazioni e alla omessa espressa attribuzione di poteri ablatori alle autorità procedenti.
La difesa della ricorrente qualifica correttamente come espropriativo il procedimento di trasferimento coattivo dei beni immobili di proprietà della curatela fallimentare. Non è rilevante che le disposizioni legislative e amministrative impugnate trascurino di denominare il trasferimento dei beni da esse disciplinato come procedimento espropriativo. La natura del procedimento è implicitamente desumibile dalle finalità cui l’acquisizione dei beni è diretta, ricavabili dalla lettura complessiva dell’articolo 33 del decreto legge di cui il provvedimento impugnato costituisce attuazione.
Il contesto normativo in cui è situata la procedura censurata richiama le finalità di bonifica delle aree inquinate e degradate appartenenti alla società Bagnolifutura che è fallita anche nello scopo per cui era stata istituita, non essendo riuscita né a bonificare il territorio di Bagnoli, né tantomeno a trasformarlo in un ambiente urbano vivibile.
Il trasferimento coattivo delle aree immobiliari, tuttora inquinate, corrisponde alle finalità del programma di risanamento e rigenerazione urbana delineato dall’articolo 33 del decreto legge sblocca Italia.
Non è possibile ritenere in contrasto con l’articolo 42 della Costituzione il procedimento espropriativo istituito dal decreto-legge.
Il principio di legalità imposto dall’articolo 42, terzo comma della Costituzione, a presidio della legittimità costituzionale della espropriazione della proprietà privata risulta, nella fattispecie, soddisfatto sia in senso formale, essendo una legge, nel caso concreto, a disporre direttamente l’espropriazione, sia in senso sostanziale, sussistendo giusti motivi di interesse generale per la sottrazione delle proprietà alla società fallita, ravvisabili nella urgenza di avviare le attività di bonifica del sito a tutela dell’interesse pubblico alla salute e a difesa dell’ambiente.
Neppure sussiste il dedotto contrasto delle disposizioni impugnate con l’articolo uno del protocollo addizionale alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.
L’articolo uno del protocollo, dedicato alla protezione della proprietà, prevede, al primo comma, che ogni persona abbia diritto al rispetto dei suoi beni e che nessuno possa essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Il successivo comma dello stesso articolo uno riconosce agli Stati il diritto di emanare leggi necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale.
La fattispecie controversa, in cui il legislatore ha stabilito l’acquisizione dei beni da parte di un organo statale per una causa di pubblica utilità, la bonifica degli stessi in vista del risanamento ambientale e a tutela della salute pubblica, la previsione di un indennizzo commisurato al valore di mercato dei beni, risulta pienamente conforme al protocollo internazionale che riconosce il potere pubblico di adottare leggi a contenuto espropriativo per finalità di interesse generale.
Neppure la deroga al normale procedimento espropriativo, dettato dal testo unico, può essere ritenuta in contrasto con la legalità costituzionale.
Nel caso concreto, ricorrono oggettivi presupposti di necessità e urgenza che hanno indotto il governo della Repubblica a intervenire autoritativamente con lo strumento eccezionale del decreto-legge.
La gravità della situazione, l’estremo degrado ambientale dell’area di Bagnoli su cui è intervenuta la decretazione d’urgenza, l’inutilità di plurimi interventi delle autorità competenti in via ordinaria e perfino di quelle istituite per affrontare l’emergenza giustificano il superamento di tutte le procedure ordinarie per l’espropriazione dei beni, strumentale non solo al risanamento ambientale del territorio, ma anche alla rigenerazione urbanistica del sito che richiede la celere attuazione degli interventi in programma previo spossessamento dei proprietari strutturalmente inidonei, per lo stato fallimentare in cui versano, a eseguire ogni sorta di attività compatibile con il pubblico interesse.
Rimane sullo sfondo la questione dell’indennizzo, sulla quale si concentrano le censure più penetranti della difesa della ricorrente.
A giudizio del Collegio, la decisione sulla fondatezza di queste censure deve dipendere necessariamente dalla valutazione delle sopravvenienze normative.
Come eccepito dalle controparti statali, il comma 12 dell’articolo 33 del decreto legge è stato completamente modificato dall’articolo 11 bis del decreto legge 30 dicembre 2015 numero 210, cosiddetto decreto milleproroghe, convertito in legge 25 febbraio 2016, numero 21.
La riscrittura della disposizione ha determinato la completa soppressione della società di scopo aperta ai privati.
Anche il meccanismo di indennizzo della curatela fallimentare di Bagnolifutura è profondamente modificato, nel senso che il nuovo comma 12 riconosce alla procedura fallimentare un importo, corrispondente al valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, come rilevato dall’Agenzia del demanio alla data del trasferimento della proprietà, da versare alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari di durata non superiore a 15 anni.
L’intervento del legislatore incide sulla procedibilità del ricorso, in relazione a questo gruppo di censure.
È vero che, in linea generale, l’abrogazione della legge anteriormente alla rimessione della questione di costituzionalità non determina, di per sé, l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, ove un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla base della norma poi abrogata (confronta Consiglio di Stato, sezione 6ª, 11 marzo 2015, numero 1261) dovendo essere esaminata la legittimità dell’atto con riguardo alla situazione di diritto e di fatto esistente al momento della sua adozione. L’abrogazione, normalmente, opera solo per l’avvenire, a differenza della dichiarazione di incostituzionalità che rende la norma inefficace retroattivamente.
Per altro deve essere considerato, in contrario avviso, che il provvedimento amministrativo impugnato produce i suoi effetti mediante distinti sub-procedimenti, ognuno necessariamente disciplinato dalla nuova legge.
In particolare, la determinazione dell’indennizzo spettante alla curatela fallimentare non potrà che avvenire in attuazione dei criteri introdotti dalla nuova formulazione del comma 12 del decreto legge. Nello stesso senso, non sarà più possibile compensare la procedura fallimentare mediante titoli azionari, essendo ora previsto dalla legge che l’indennizzo sarà versato mediante obbligazioni di durata non superiore a 15 anni. È oramai escluso qualsiasi condizionamento della effettività dell’indennizzo rispetto alla vendita futura e incerta di beni di cui non è prevedibile la data di commerciabilità.
In sostanza, sono venute meno tutte le ragioni di contestazione della legittimità del provvedimento impugnato, almeno con riferimento a questo ordine di motivi.
Ciò non significa che sia in radice esclusa la potenziale lesività del provvedimento impugnato alla luce della nuova disciplina dell’indennizzo.
Correttamente, la ricorrente ha censurato con motivi aggiunti il provvedimento impugnato tenendo conto delle sopravvenienze normative.
Prima dello scrutinio dei motivi aggiunti, comunque, deve essere completato l’esame del ricorso introduttivo.
Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione dei principi generali in materia di procedure di insolvenza, con riferimento a specifici articoli della legge fallimentare, violazione dell’articolo 1376 del codice civile e dei principi generali in materia di costituzione delle società per azioni;invalidità derivata del provvedimento impugnato per illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 12, del decreto legge, in relazione all’articolo 47 della Costituzione.
Ad avviso della ricorrente, posto che la procedura fallimentare è diretta a garantire gli interessi del ceto creditorio, il trasferimento dei beni di proprietà della procedura fallimentare senza indennizzo pregiudicherebbe le ragioni dei creditori e svuoterebbe di fatto tutte le attività degli organi della procedura fallimentare.
Lo spossessamento di tutti i beni oggetto della procedura impedirebbe alla curatela di inserirli nel programma di liquidazione di cui all’articolo 104 ter della legge fallimentare, renderebbe impossibile la vendita dei cespiti e impedirebbe di fissare il termine di ragionevole completamento del procedimento di liquidazione dell’attivo.
Il provvedimento impugnato, disponendo l’immediato trasferimento dei beni del fallimento al soggetto attuatore senza riconoscimento di alcun indennizzo da destinare i creditori e prevedendo la possibilità che la curatela divenga azionista o titolare di strumenti finanziari di una società di scopo non ancora costituita, renderebbe impossibile il rispetto dei termini e inattuabile qualsiasi programma di liquidazione.
Neppure si potrebbe sostenere che le azioni o gli strumenti finanziari da riconoscere al fallimento possano compensare la sottrazione dei beni alla massa attiva, per incompatibilità con le dinamiche della procedura fallimentare. La curatela sarebbe obbligata a divenire socio di una società di scopo oppure titolare di altri strumenti finanziari, ma tale meccanismo sarebbe impraticabile per violazione del principio consensualistico recato dall’articolo 1376 del codice civile.
Inoltre la curatela dovrebbe assumere il rischio di impresa in relazione a una società di scopo non ancora costituita. Paradossalmente il fallimento potrebbe risultare titolare anche della maggioranza delle azioni della costituenda società, in quanto i beni da acquisire, di proprietà del fallimento, rappresentano al momento gli unici elementi da conferire alla società di scopo. Tale meccanismo sarebbe incompatibile con i compiti che l’ordinamento fallimentare attribuisce al curatore che non può essere gestore attivo dei beni della procedura, bensì conservatore degli stessi in vista della successiva liquidazione. L’esercizio provvisorio dell’impresa è consentito soltanto dal tribunale fallimentare che lo autorizza con la sentenza di fallimento nel caso in cui sia presente un’attività economica la cui interruzione potrebbe danneggiare i creditori. Il meccanismo di rimborso delle azioni, infine, previsto solo successivamente all’incasso delle somme derivanti dagli atti di disposizione delle aree e degli immobili trasferiti, renderebbe del tutto aleatorie le modalità di indennizzo in favore dei creditori della procedura fallimentare.
Il comma 12 dell’articolo 33 del decreto legge, dunque, si porrebbe in contrasto con l’articolo 47 della Costituzione che tutela il risparmio.
Con il quarto motivo, strettamente connesso al precedente, la ricorrente deduce violazione dei principi generali in materia di procedure di insolvenza oltre che con riferimento a specifici articoli della legge fallimentare e invalidità derivata per illegittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 12, del decreto legge, in relazione all’articolo 47 della Costituzione.
La mancata previsione di indennizzo sarebbe incompatibile con il concordato fallimentare che rappresenta la modalità tipica di chiusura anticipata del fallimento. Sarebbe stato preferibile consentire al soggetto attuatore di presentare domanda di concordato fallimentare, offrendo una somma certa a fronte della cessione dei beni della procedura.
I motivi sono improcedibili, per sopravvenuta carenza di interesse.
Come già esposto, il comma 12 dell’articolo 33 del decreto-legge è stato completamente modificato dall’articolo 11 bis del decreto legge 30 dicembre 2015 numero 210, cosiddetto decreto milleproroghe, convertito in legge 25 febbraio 2016, numero 21.
La riscrittura della disposizione ha determinato la completa soppressione della società di scopo aperta ai privati e la revisione del meccanismo di indennizzo della curatela fallimentare di Bagnolifutura, nel senso che il nuovo comma 12 riconosce alla procedura fallimentare un importo, corrispondente al valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti, come rilevato dall’Agenzia del demanio alla data del trasferimento della proprietà, da versare alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari di durata non superiore a 15 anni.
Ritenuto, pertanto, che la determinazione dell’indennizzo spettante alla curatela fallimentare non potrà che avvenire in attuazione dei criteri introdotti dalla nuova formulazione del comma 12 del decreto legge, deve essere esclusa l’attualità dell’interesse a censurare un meccanismo di rimborso oramai impraticabile per legge.
Infine, con il quinto motivo del ricorso introduttivo, la ricorrente deduce violazione degli articoli 3, 97, 24, 113 della Costituzione da parte del comma 12 dell’articolo 33 del decreto legge.
La norma recata dall’articolo 33, comma 12, ad avviso della ricorrente, introdurrebbe un diritto singolare incompatibile con le dinamiche della legge fallimentare, azzerando tutti i poteri degli organi del fallimento. Dato che le leggi provvedimento non possono sacrificare i diritti di difesa del cittadino, dovrebbe essere garantito il sindacato della Corte costituzionale sulle leggi contenenti precetti specifici e determinati, allorché emerga l’arbitrarietà o la manifesta irragionevolezza della disciplina.
La questione di costituzionalità sollevata con il quinto motivo è manifestamente infondata, non essendo sostenibile una sorta di immunità della massa attiva fallimentare rispetto alla procedura espropriativa. I beni del fallimento, al pari di tutti gli altri beni di proprietà dei privati, possono essere espropriati, per ragioni di pubblico interesse, nei limiti stabiliti dalla Costituzione e dalla legge. Ne deriva che non esiste uno speciale privilegio a favore dei creditori fallimentari qualora anche i beni dell’impresa fallita siano espropriati legittimamente. Neppure è in alcun modo leso il diritto di difesa, pienamente tutelabile in ogni sede giudiziaria competente.
In conclusione, il ricorso introduttivo è parzialmente improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse e, per il resto, da rigettare, per infondatezza.
Con ricorso per motivi aggiunti, depositato il 5 aprile 2016 e notificato alle controparti il 24 marzo 2016, i ricorrenti prendono atto della conversione in legge, numero 21 del 2016, del decreto-legge milleproroghe 30 dicembre 2015, numero 210, che ha modificato il comma 12 dell’articolo 33 della legge 164 del 2014.
Ad avviso dei ricorrenti, la modifica normativa non muta le censure già svolte, non introducendo un nuovo meccanismo di rimborso in favore della procedura fallimentare a fronte del trasferimento coattivo dei beni del fallimento. L’emissione di strumenti finanziari è configurata come unica alternativa di indennizzo. Inoltre viene dedotto un nuovo motivo d’illegittimità del provvedimento in quanto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre a risultare viziato per i motivi già proposti, risulterebbe anche in violazione della novella di cui al decreto legge numero 210 del 2015 che ha in parte modificato le modalità di liquidazione dell’indennizzo, ora configurate mediante strumenti finanziari della durata di 15 anni, laddove il decreto impugnato prevede quale modalità di rimborso l’attribuzione di azioni da parte di una società di scopo.
A giudizio del Collegio, la modifica del decreto legge rafforza la legittimità costituzionale della normativa applicata.
L’eliminazione di ogni riferimento alla costituzione di una società di scopo, aperta a soggetti privati, contribuisce a configurare l’istituto di una legittima espropriazione per legge di aree inquinate per finalità di bonifica, di risanamento ambientale, di tutela della salute, riconducibili a un prevalente interesse pubblico.
La commisurazione dell’indennizzo al valore di mercato delle aree corrisponde pienamente al paradigma dettato dall’articolo 42, terzo comma della Costituzione, oltre che ai principi recati dal protocollo addizionale alla C.E.D.U.
Soprattutto deve essere considerato che la novella legislativa, prevedendo il versamento alla curatela fallimentare di strumenti finanziari rimborsabili entro il termine di 15 anni, consente di superare le perplessità sulla certezza dell’indennizzo e sui tempi della corresponsione di esso.
Sgombrato il campo dalle residue incertezze sulla legittimità costituzionale della normativa primaria applicata, deve ritenersi inammissibile, per difetto di interesse, il nuovo motivo di impugnazione del provvedimento attuativo.
Condivisibilmente, la difesa della ricorrente deduce la incoerenza del provvedimento impugnato con la sopravvenuta modifica normativa, laddove il decreto governativo riconosce alla procedura fallimentare un importo da versare mediante azioni o altri strumenti finanziari che avrebbero dovuto essere emessi dalla società di scopo aperta ai privati.
Come è stato più volte osservato, l’abrogazione della norma che prevedeva la costituzione di tale società di scopo delegittima le disposizioni del provvedimento impugnato destinate ad aprire nuovi sub-procedimenti per la costituzione della società di scopo, per il trasferimento a questa società dei beni immobili espropriati, per l’emissione di azioni o altri strumenti finanziari da parte della società di scopo da corrispondere alla curatela fallimentare.
Ne deriva che tali sub-procedimenti, ancora non avviati, dovranno necessariamente conformarsi al nuovo contesto giuridico.
Qualora, invece, siano adottati atti esecutivi del provvedimento impugnato in contrasto con la norma primaria sopravvenuta, essi potranno certamente essere impugnati da chi vi abbia interesse.
Al momento, in mancanza di qualsiasi atto esecutivo, deve essere esclusa la lesività concreta delle disposizioni impugnate, seppure astrattamente ripetitive di una normativa abrogata, con conseguente inammissibilità del motivo aggiunto, per difetto di interesse.
Di conseguenza, il ricorso per motivi aggiunti, in parte da rigettare per infondatezza deve, per il resto, essere dichiarato inammissibile.
Le spese processuali, in ragione della novità e della complessità delle questioni trattate, devono essere interamente compensate tra le parti.