TAR Roma, sez. II, sentenza 2016-10-12, n. 201610178

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2016-10-12, n. 201610178
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201610178
Data del deposito : 12 ottobre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/10/2016

N. 10178/2016 REG.PROV.COLL.

N. 02589/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2589 del 2016, proposto da:
B Energia s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati R M, C R, E B, G F R, con domicilio eletto presso lo studio Romanelli in Roma, via Cosseria, 5;

contro

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Consorzio Acquedottistico Marsicano - Cam s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Franco Paolini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonio Fegatilli in Roma, piazza Addis Abeba,1;
Consip, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

- della nota del Ministero dell'Economia e delle Finanze prot. 98885 del 22.12.2015, con la quale è stato dato riscontro negativo all'istanza avente ad oggetto le certificazioni di credito n.940973000000010 e n. 940973000000024 ai sensi dell’art. 9, comma 3, del d.lgs. n. 185/2008 e s.m.i., in favore della B Energia s.r.l. (creditore), da parte del Consorzio acquedottistico marsicano (C.A.M. s.p.a. – debitore);

- di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente;

nonché per il risarcimento dei danni subiti dalla società in ragione del ritardo con il quale è stato emanato il provvedimento impugnato;

nonché in subordine per il risarcimento e/o l’indennizzo dei danni subiti dalla società per essere stata indotta a confidare nella certificazione dei crediti conseguita e a rinunciare ai decreti ingiuntivi già ottenuti.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del MEF e di C.A.M. s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del giorno 5 ottobre 2016 il Cons. Silvia Martino;

Uditi gli avv.ti, di cui al verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. La società ricorrente, operante nel settore della produzione, dell’acquisto e della vendita di energia elettrica, ha fornito energia elettrica al Consorzio Acquedottistico Marsicano, emettendo fatture con periodicità mensile. C.A.M., tuttavia, non ha provveduto al pagamento del dovuto, salvo alcuni acconti. B, perciò, si è vista costretta a presentare due ricorsi per decreto ingiuntivo, rispettivamente in data 20.9.2012 per euro 5.511.898, 93 e in data 4 aprile 2014, per euro 2.647.976,01.

Il Tribunale di Torino emetteva due decreti ingiuntivi. Avverso uno di essi, veniva proposta opposizione mentre il secondo, non opposto, diventava definitivo.

In forza del primo decreto ingiuntivo, la società promuoveva diverse azioni esecutive, sia quale creditore procedente, sia come creditore intervenuto in altri procedimenti esecutivi pendenti dinanzi al Tribunale di Avezzano.

Nelle more dei giudizi innanzi richiamati le parti concordavano di addivenire ad una soluzione transattiva, in ragione della possibilità di utilizzare il procedimento di certificazione dei crediti, ai sensi del d.l. n. 66/2014, così come successivamente modificato e integrato.

A tal fine, in data 19.6.2014, il C.A.M. otteneva l’abilitazione al rilascio della certificazione dei crediti, sul presupposto della registrazione e dell’accreditamento nell’indice delle pubbliche amministrazioni (IPA).

In ragione di tanto, il Consorzio invitava l’odierna ricorrente ad avvalersi di tale strumento per il soddisfacimento dei propri crediti.

Secondo il procedimento stabilito dalla normativa in materia (in ispecie, l’art. 9, comma 3 bis del d.l. n. 185/2008;
art. 7, comma 3 del d.l. n. 35/2013;
art. 37, comma 1, d.l. n. 66/2014), la società presentava formale istanza telematica per la certificazione dei crediti, ricorrendo alla piattaforma elettronica predisposta dal MEF – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato.

Ai fini della compilazione dell’istanza telematica, era richiesto di dichiarare che “ per la medesima ragione di credito non sono pendenti procedimenti giurisdizionali ”.

Conseguentemente, con atto notificato in data 5 agosto 2014, la B dichiarava di rinunciare al decreto ingiuntivo n. 5004/14 del Tribunale di Torino.

In pari data provvedeva quindi a presentare per il tramite della piattaforma elettronica formale istanza per la certificazione del credito nei confronti di C.A.M., relativamente all’importo di euro 2.647.976,01 (importo di cui al decreto ingiuntivo non opposto, cui la società aveva rinunciato).

In data 3.9.2014, il C.A.M. rilasciava la certificazione di credito, attestando che il credito di cui sopra “ è certo, liquido ed esigibile alla data della presente certificazione ”.

In data 30.10.2014, la B presentava, per il tramite della piattaforma elettronica, formale istanza per la certificazione del credito di euro 5.511.898,93 nei confronti di C.A.M..

In data 7.11.2014 le società sottoscrivevano una scrittura privata di transazione, in forza della quale si impegnavano a rinunciare a tutti i giudizi pendenti (B, dal canto suo, rinunciava all’importo di euro 1.100.000, al fine di pervenire alla pronta chiusura della vicenda).

In pari data C.A.M. rilasciava la certificazione di credito n. 9409793000000024, relativamente all’importo di euro 5.511.898,93.

A questo punto B si rivolgeva alla Emilia Romagna Factor s.p.a. per la cessione pro soluto dei crediti certificati, come previsto dalla normativa.

Tuttavia, la società di factoring non riusciva a portare a termine il procedimento.

Perdurando la situazione ed essendo scaduto il termine per il pagamento del primo credito certificato, la B sollecitava il C.A.M. a provvedere.

In precedenza, sia B che il C.A.M. avevano presentato due distinte istanze al Ministero dell’Economia e delle Finanze, affinché lo stesso provvedesse a sbloccare la procedura.

In particolare, B inviava due solleciti, il 18.6.2015 e il 18.11.2015.

Solo a seguito di tale diffida il Ministero ha adottato la nota oggetto della presente impugnativa.

In essa si afferma che C.A.M. non rientra tra gli enti pubblici destinatari della procedura in esame e che la società avrebbe ottenuto l’accreditamento sulla piattaforma elettronica ai soli fini della comunicazione dei propri debiti commerciali.

In particolare, secondo il Ministero, C.A.M. non rientra tra le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, ma tra le amministrazioni pubbliche individuate dall’ISTAT, ai sensi dell’art. 1, comma 3, della l. n. 169/2009.

Con il presente ricorso la società B è quindi insorta, deducendo, in primo luogo, l’esistenza di gravi carenze istruttorie che intervengono a conclusione di un procedimento in cui la società è stata indotta a rinunciare ai decreti ingiuntivi già ottenuti e che ha determinato un notevole ritardo nel soddisfacimento dei crediti, tuttora insoluti.

Secondo la Ragioneria, il C.A.M. deve essere accreditato sulla PCC ai sensi dell’art. 7, comma 7 – ter del d.l. n. 35/2013, ai soli fini della comunicazione dei propri debiti commerciali.

La ricorrente evidenzia però che il Ministero non ha spiegato perché C.A.M. non possa essere considerata una pubblica amministrazione ai sensi e per gli effetti del d.lgs. n. 165/2001.

In particolare, l’art. 1, comma 2, di tale decreto annovera, tra le pubbliche amministrazioni, anche i comuni e i loro consorzi.

Prima della costituzione del C.A.M. in forma di s.p.a., i trenta comuni soci erano riuniti in consorzio per garantire lo svolgimento del servizio idrico integrato che, come noto, è un servizio pubblico locale.

Per tali consorzi, costituti ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 267/2000, è espressamente prevista la possibilità di trasformazione in s.p.a., ai sensi dell’art. 115 del medesimo d.lgs..

Il Consorzio si è poi effettivamente trasformato in società per azioni, seguendo le previsioni di legge, ed operando in continuità nella gestione del pubblico servizio.

La società costituisce, anzi, un ente in house dei comuni che lo costituiscono.

B ritiene pertanto che C.A.M. s.p.a. rientri a pieno titolo tra le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, e che quindi ad esso si applichi la disciplina sulla certificazione dei crediti ai sensi dell’art. 9, comma 3 bis, d.l. n. 185/2008.

La ricorrente evidenzia comunque di essere stata indotta dall’amministrazione a fare affidamento sul pagamento del proprio credito per il tramite del sistema di certificazione normativamente previsto. C.A.M. s.p.a. ha infatti ottenuto l’abilitazione al rilascio delle certificazioni e, successivamente, ha potuto certificare i crediti vantati dalla B.

A norma dell’art. 4, comma 5, del d.m. 25.6.2012, la piattaforma assicura l’univoca identificazione di tutti i soggetti coinvolti nella certificazione telematica e nella eventuale cessione dei crediti certificati o oggetto di anticipazione, mediante attestazione del relativo flusso dati di interscambio con i detti soggetti e un livello di certezza e sicurezza adeguato alla vigente normativa in materia.

Inoltre, nei moduli generati dal sistema, non è mai comparsa alcuna alternativa che indicasse che il Consorzio avrebbe ottenuto l’abilitazione ai soli fini di comunicazione dati o trasparenza.

Il provvedimento impugnato risulta gravemente sviato in quanto pretende di negare ogni valenza e/o efficacia alle certificazioni già rilasciate, senza peraltro provvedere esplicitamente all’annullamento e/o alla revoca delle stesse e degli atti che le hanno precedute e senza provvedere ad indennizzare i soggetti direttamente interessati.

Il provvedimento impugnato soggiunge che la certificazione di credito ottenuta sulla piattaforma non comporterebbe alcuna competenza da parte degli uffici ministeriali in merito all’attività estintiva dell’obbligazione, laddove invece, ai sensi dell’art. 37, comma 1, del d.l. n. 66/2014, i crediti certificati mediane la piattaforma elettronica sono assistiti dalla garanzia dello Stato, dal momento dell’effettuazione delle operazioni di cessione, ovvero di ridefinizione di cui al successivo comma 3.

Parte ricorrente avanza infine un’istanza di risarcimento danni in quanto la mancata tempestiva risposta alle richieste di intervento dalla stessa presentate, oltre che da C.A.M., e il sostanziale ritiro delle certificazioni ottenute, hanno comportato l’impossibilità per la società di ottenere il pagamento dei crediti certificati nei tempi previsti.

Inoltre, B è stata indotta non solo a fare affidamento sulla certificazione conseguita ma anche a rinunciare a due decreti ingiuntivi già ottenuti.

Si è costituito in resistenza il MEF, mentre C.A.M. s.p.a. si è costituita per sostenere le pretese di B.

Il MEF ha rappresentato che in ordine all'accreditamento sulla Piattaforma Certificazione Crediti sono configurabili due distinti ambiti soggettivi, a ciascuno dei quali corrispondono obblighi diversi, come di seguito riportato:

1) amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, accreditate in PCC sia ai fini della comunicazione dei propri debiti commerciali, che ai fini degli obblighi di certificazione dei crediti (art. 9, comma 3-bis, del d.l. n. 185/2008 e s.m.i., operate con il d.l. n. 35/2013, articoli 7 e 7-bis, quest'ultimo inserito dall'articolo 27, comma 1, del d.l. n. 66/2014);

2) amministrazioni pubbliche individuate dall'ISTAT ai sensi dell'art. 1, comma 3, della L. n. 196/2009, le quali sono accreditate in PCC ai soli fini della comunicazione, mensile ed annuale, dei propri debiti commerciali (art. 7, comma 7- ter, del d.l. n. 35/2013).

Mentre gli enti della prima tipologia risultano destinatari di tutte le regole previste in materia di certificazione dei crediti commerciali, gli altri, invece, sono tenuti unicamente al rispetto degli obblighi di comunicazione dei propri debiti commerciali e non possono rilasciare alcuna certificazione in PCC.

C.A.M. appartiene alla seconda tipologia di enti sopra descritti e, pertanto, il MEF ha ritenuto che la società non possa avvalersi dello strumento della PCC per la certificazione dei crediti.

Infatti, ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 35 dell’8.4.2013 le amministrazioni pubbliche che possono procedere alla certificazione dei crediti sono soltanto quelle di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in virtù dell’espresso richiamo del medesimo art. 7 all’art. 9 commi 3-bis e 3-ter del d.l. 29 novembre 2008, n. 185.

La distinzione tra le amministrazioni che possono certificare e quelle che non possono certificare è anche presente:

- nei paragrafi 3.2 (pag. 27) e 8.1.3 (pag. 78) della guida all'uso della piattaforma per le PA (denominata Raccolta guide utente PA);

- nei paragrafi 2.2 (pag. 18) e 6.1.3 (pag. 52) della guida all'uso della piattaforma destinata ai creditori (denominata Raccolta guide utente creditore).

Tale documentazione elettronica è disponibile sul sito del MEF.

Pertanto, la responsabilità in relazione all’errata certificazione rilasciata ricade esclusivamente sul C.A.M. che non si è attenuto alle norme di legge ed ha ritenuto erroneamente di essere qualificabile tra le amministrazioni pubbliche che possono rilasciare la certificazione.

Al fine di escludere che un consorzio tra Comuni, che assuma la forma di società per azioni a capitale pubblico, possa essere incluso nell’ambito delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001, la difesa erariale richiamata il parere n. 706 del 2011 con il quale il Consiglio di Stato ha affrontato la tematica inerente la qualificazione giuridica degli enti organizzati in forma societaria, ed ha escluso il loro inserimento tra le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D. Lgs n. 165/2011.

Il Ministero evidenzia poi di avere dato immediato riscontro alle istanze di B e che, comunque, non vi è stata alcuna induzione della società a confidare nella certificazione, ben potendo la stessa dedurre, in base alla normativa sopra illustrata, che C.A.M. non rientra tra le pubbliche amministrazioni ammesse alla certificazione dei crediti.

In ogni caso, non si configura alcun danno attuale nei confronti di B che, a garanzia dei propri crediti, potrà agire nuovamente in sede monitoria nei confronti di C.A.M..

Con ordinanza n. 1398 del 24 marzo 2016, l’istanza cautelare è stata respinta.

La società B ha presentato ulteriori memorie, in vista della pubblica udienza del 5.10.2016.

In particolare, ha richiamato la giurisprudenza relativa all’affidamento in house nonché quella che ha recentemente riconosciuto la giurisdizione della Corte dei Conti sull’azione di responsabilità degli organi sociali per i danni cagionati al patrimonio di una società in house (Cass, SS.UU., 25.11.2013, n. 26283).

Nella medesima prospettiva, il giudice ordinario ha escluso l’assoggettabilità al fallimento di C.A.M. riconoscendo che tale ente, benché costituito in società per azioni, non svolge un’attività commerciale ma gestisce il servizio pubblico locale al di fuori di logiche concorrenziali e senza perseguire interessi privatistici.

Parte ricorrente ha quindi meglio articolato la domanda di risarcimento del danno significando che spettava al Ministero predisporre e gestire la piattaforma elettronica garantendo l’univoca identificazione di tutti i soggetti coinvolti. Nel caso di specie, esso ha permesso a C.A.M. di addivenire alla certificazione dei crediti.

La società ha subito un danno ingentissimo per effetto della mancata liquidità della somma di cui trattasi e ritiene che, ai fini della quantificazione del danno da ritardo, debbano applicarsi gli interessi previsti dal d.lgs. n. 231/2002 per le transazioni commerciali.

Ribadisce che, nella fase estintiva dell’obbligazione, sono imputabili al MEF sia l’impossibilità di pervenire alla cessione del credito certificato, sia il mancato ottenimento della garanzia dello Stato, sia, infine, l’impossibilità per la società di ottenere il dovuto pagamento.

Il ricorso, infine, è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 5.10.2016.

2. Il ricorso – come indicato dal Collegio nel corso dell’udienza pubblica ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a. - è inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sia in ordine all’azione impugnatoria, sia in ordine all’azione risarcitoria.

2.1. Sotto un primo profilo, è agevole rilevare che la nota impugnata non è un provvedimento amministrativo in quanto, con essa, il Ministero (in risposta alla diffida con cui B lo aveva sollecitato ad intraprendere “ ogni iniziativa utile ad addivenire al pagamento dei crediti certificati ”), si è limitato a negare la sussistenza di un obbligo di assumere “ iniziative operative ”, poiché “ l’attività estintiva dell’obbligazione non rientra in alcun modo nella sfera di competenza di questo Ministero ”.

Dall’esame della disciplina contenuta negli artt. 9, comma 3-bis e 3-ter del d.l. 29 novembre 2008, n. 185 (conv., con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2), nell'articolo 7 del d.l. 8 aprile 2013, n. 35 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64), nonché, infine, nell’art. 37 del d.l. 24.4.2014, n. 66 (conv. in l. n. 89/2014), si ricava che il procedimento di accreditamento sulla piattaforma di certificazione dei crediti e di prestazione della garanzia dello Stato, è analiticamente e integralmente regolato dalla legge mentre all’amministrazione non compete alcuna discrezionalità né amministrativa, né tecnica, bensì soltanto di verificare la sussistenza dei requisiti prescritti per la certificazione, cui consegue l’obbligo di garanzia in caso di cessione, secondo l’articolato meccanismo previsto dalle disposizioni testé richiamate.

Il Collegio reputa pertanto che sia la posizione degli enti che si accreditano sulla piattaforma, sia quella dei creditori che intendono avvalersi della certificazione ai fini della cessione dei crediti, abbia natura e consistenza di diritto soggettivo.

Ne deriva che, anche nel caso di specie, il Ministero non ha esercitato alcun “potere”, bensì si è limitato a negare la propria posizione debitoria, sulla scorta di quella che ritiene essere la corretta interpretazione del richiamato compendio normativo.

E’ poi evidente che la qualificazione del C.A.M. non dipende da una scelta discrezionale del Ministero, ma dall’effettiva natura di tale organismo e dalla possibilità di includerlo tra gli enti pubblici nominativamente indicati dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, cui fa riferimento l’art. 37, comma 1, del cit. d.l. n. 66/2014.

Va ancora soggiunto che, nel caso di specie, non è nemmeno possibile individuare un formale provvedimento di natura “ lato sensu ” abilitativa, in quanto, secondo la documentazione esibita in giudizio da C.A.M., l’accreditamento del Consorzio sulla piattaforma è stato reso possibile da una anodina mail del 19.6.2014, proveniente dall’indirizzo certificazionecrediti@tesoro.it , a firma di una impersonale “ assistenza certificazione crediti ”, la quale ha consentito al Consorzio di utilizzare tutte le funzioni presenti sulla piattaforma.

Ad ogni buon conto, l’accertamento della titolarità, da parte di C.A.M., del diritto di conseguire la certificazione, e, correlativamente, di quello della società ricorrente di avvalersi della garanzia dello Stato ai fini della cessione dei crediti certificati, spetta al giudice ordinario, trattandosi di diritti soggettivi.

2.4. A non diversa conclusione deve poi giungersi per quanto riguarda la domanda risarcitoria.

Il danno lamentato da B deriva infatti non già da un’attività di natura provvedimentale bensì da un comportamento, consistente (in tesi) nella negligente predisposizione della piattaforma da parte del Ministero e nella conseguente lesione dell’affidamento riposto da B nella validità e spendibilità della certificazione rilasciata da C.A.M..

Anche in questo caso, poiché la causa petendi dell’azione di danno non è l’illegittimità di un provvedimento amministrativo bensì l’illiceità della complessiva condotta dell’amministrazione, la giurisdizione spetta al giudice ordinario (cfr. Cass. civ., Sez. Un., sentenza n. 6595 del 23.3.2011).

3. In definitiva, per quanto appena argomentato, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Appare tuttavia equo – in considerazione della novità della fattispecie – compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio e gli onorari di difesa.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi