TAR Palermo, sez. I, sentenza 2023-10-10, n. 202303025
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Testo completo
Pubblicato il 10/10/2023
N. 03025/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00229/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 229 del 2016, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati N P e S P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv. R P in Palermo, via Libertà n. 159;
contro
Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Siciliana, Soprintendenza dei beni Culturali e Ambientali di Messina in persona dei legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale n. 6;
per l’annullamento
- del D.D.S. -OMISSIS-del 9.06.2015 di irrogazione della sanzione pecuniaria ex art. 167 D. lgs 42/2004 del D.D.S n. -OMISSIS-del 9 giugno 2015, a firma del Dirigente pro-tempore del Servizio -OMISSIS-, trasmesso all'odierno ricorrente con nota -OMISSIS-del 26 giugno 2015 3 notificato il successivo 2 luglio 2015 "Indennità pecuniaria ex art. 167 del D. Lgs n. 42/2004;
- del D.D.S. -OMISSIS- del 2 marzo 215 - Notifica", con il quale è stato ai sensi dell’art. 167 del D.lgs. n. 42/2004 richiesto il pagamento dell'indennità per il danno causato al paesaggio con la realizzazione delle opere abusive specificate nel decreto in oggetto, quantificata in Euro 9.681,08;
- della nota -OMISSIS- del 23.1.2008 con cui la Soprintendenza BB.CC. di Messina ha espresso parere favorevole sul progetto in sanatoria delle opere di cui trattasi;
- la nota -OMISSIS-del 15.03.2005 citata dal predetto D.D.S. con la quale sono state impartite le direttive di quantificazione della sanzione pecuniaria ex art. 167 del D.lgs. 42/2004;
- del silenzio-rigetto serbato dalla stessa Amministrazione regionale sul ricorso gerarchico proposto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Siciliana e della Soprintendenza dei beni Culturali e Ambientali di Messina;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 giugno 2023 il dott. F M e udito per la parte ricorrente il difensore come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato il 4 gennaio 2016 e depositato il 26 gennaio successivo, il ricorrente -premesso di essere comproprietario per 1/9 di un immobile sito nel Comune di Messina - ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti indicati in epigrafe, con i quali veniva ingiunto, ai sensi dell’art. 167 del D.lgs. n. 42/2004, il pagamento dell'indennità risarcitoria per il danno arrecato al paesaggio con la realizzazione delle opere abusive, quantificata in euro 9.681,08.
Espone che:
- in data n 10 settembre 2012, il Comune di Messina rilasciava concessione in sanatoria -OMISSIS-;
- con nota -OMISSIS- del 23 gennaio 2008, la Soprintendenza BB.CC. di Messina esprimeva parere favorevole sul progetto in sanatoria delle opere di cui trattasi;
- con D.D.S. -OMISSIS-del 9 giugno 2015, il Dipartimento regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana, ingiungeva ai sensi dell'art. 167 del D.lgs. n. 42/2004, il pagamento dell'indennità risarcitoria per il danno arrecato al paesaggio con la realizzazione delle opere abusive specificate nel decreto in oggetto, quantificata in euro 9.681,08;
- in data 31 luglio 2015, proponeva ricorso gerarchico, rispetto al quale si formava silenzio-rigetto.
Con l’odierno ricorso, l’istante ha dedotto l’illegittimità di suddetto provvedimento formulando le seguenti censure:
I. Violazione art. 14 legge n. 689 del 1981;
II. Prescrizione. Violazione art. 28 legge n. 689 del 1981;
III. Intrasmissibilità della sanzione amministrativa;
IV. Difetto di motivazione;
V. Difetto di motivazione della nota -OMISSIS-del 5 marzo 2005, della Soprintendenza sui criteri di quantificazione della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 167 del D.Lgs 42/2004;
V. Illegittimità del D.D.S. n. -OMISSIS-del 9 giugno 2015 per violazione di legge ex artt. 752, 754 e 1295 del codice civile.
Per le Amministrazioni regionali intimate si è costituita l’Avvocatura dello Stato, depositando documentazione nonché una memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato.
Alla pubblica udienza in videoconferenza dell’8 giugno 2023, la causa è stata posta in decisione.
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente ha lamentato il mancato rispetto del termine di decadenza di 90 giorni, di cui all’art. 14 della l. n. 689 del 1981, entro il quale l’amministrazione resistente avrebbe dovuto contestare la violazione. A tal fine soccorre il parere del CGA n. 372 del 2022, secondo cui “L’art. 14 della l. n. 689 del 1981 non è applicabile ai procedimenti sanzionatori per violazione delle norme a tutela del paesaggio, oggetto della disciplina speciale dettata dall’art. 167 del d.lgs. n. 157 del 2006”.
Infatti, per quel che riguarda il termine di 90 giorni di cui all’art. 14 l. n. 689 del 1981, la norma si riferisce chiaramente all’ipotesi di accertamento d’ufficio e non appare compatibile con la peculiare procedura di accertamento dell'illecito paesaggistico. Nel caso dell’illecito paesaggistico la “violazione” è stata comunicata (auto-denunciata) all'Autorità paesaggistica dallo stesso interessato con le istanze di sanatoria edilizia presentate al Comune di Messina. Si tratta, dunque, di procedura che scaturisce da una segnalazione dello stesso trasgressore, rispetto alla quale vengono evidentemente meno tutte le esigenze di garanzia in funzione delle quali, nell’ambito della disciplina generale dettata dalla l. n. 689 del 1981, l’amministrazione è tenuta alla comunicazione nel rispetto del termine di 90 giorni. Anche la diversa opzione, secondo cui il termine di 90 giorni decorrerebbe dalla comunicazione della concessione edilizia in sanatoria fatta dal Comune alla Soprintendenza non coglie nel segno: resta, infatti, oscura la ragione per la quale il privato dovrebbe avere formale contestazione di un illecito già da tempo noto, in quanto da lui stesso segnalato e valutato ai fini del condono edilizio (Tar Sicilia, sede Palermo n. 1321 del 2016).
Quanto detto è stato confermato in appello dal CGARS, con la sentenza n. 797 del 2020. Il collegio, dopo aver statuito che l’art. 14 della l. n. 689 del 1981 non si applica alla fattispecie in esame, ha ribadito che la procedura origina dall'istanza presentata dallo stesso ricorrente conseguentemente - come osservato dai primi giudici - non si comprende la ragione per la quale il privato dovrebbe avere formale contestazione di un illecito già da tempo noto, in quanto da lui stesso segnalato e valutato ai fini del condono edilizio.
È del pari infondato il secondo motivo, parte ricorrente ha dedotto che la notifica del provvedimento impugnato è avvenuta oltre il termine di prescrizione quinquennale previsto dalla l. 689 del 1981.
Come è noto, la natura giuridica dell’indennità pecuniaria de qua è oggetto di un dibattito interpretativo che vede contrapposte, da una parte, la tesi giurisprudenziale che qualifica la stessa come una sanzione amministrativa, in quanto tale pienamente rientrante nell’ambito applicativo della disciplina contenuta nella l. n.689/1981;e, dall’altra parte, l’opposta tesi che, valorizzando la natura prevalentemente ripristinatoria-risarcitoria dell’indennità in questione, stante la sua qualificazione quale alternativa alla misura ripristinatoria reale, ne esclude la soggezione ai precetti della l. n.689/1981.
Tuttavia, senza necessità di prendere posizione sulla natura giuridica dell’indennità prevista dall’art. 167, co. 5, del d.lgs. 42/2004, su tale questione il Giudice di appello con la recente sentenza n.214/2021 – che richiama la precedente decisione n. 95/2021 alla cui ampia motivazione si rinvia in ossequio al principio di sinteticità - ha rilevato che “A prescindere dalla qualificazione giuridica che si voglia dare dell’indennità di cui all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004, deve ribadirsi che la stessa è soggetta a prescrizione quinquennale, che inizia a decorrere da quando il credito diventa esigibile, e segnatamente da quando viene rilasciato il provvedimento di condono edilizio…” (cfr. C.G.A., sentenza 17 marzo 2021, n. 214;nello stesso senso, C.G.A., Adunanza delle Sezioni riunite del 5 luglio 2022, parere n.449/2022, punto 3.3. ;C.G.A., Adunanza delle Sezioni riunite del 14 giugno 2022, parere n.364/2022).
Ne consegue, pertanto, che il termine di prescrizione applicabile alla fattispecie in esame, indipendentemente dalla natura giuridica che si voglia riconoscere alla indennità in questione, è comunque quinquennale.
Ciò posto, con riferimento al dies a quo della prescrizione è consolidato in giurisprudenza l’orientamento secondo il quale gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesaggistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, con la conseguenza che commissione degli stessi, protratta nel tempo, viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni.
Sul punto, deve precisarsi - in continuità con l’orientamento anche del Giudice di appello - che, contrariamente a quanto dedotto dalla parte ricorrente, la permanenza della condotta illecita cessa non già con il rilascio del provvedimento autorizzatorio (nella specie, il nulla osta rilasciato dalla Soprintendenza), ma solo a seguito del rilascio della concessione edilizia in sanatoria da parte dell’ente locale (Tar Sicilia, sede Palermo, n. 3214 del 2022).
Nel caso di specie, poiché la concessione edilizia cui l'indennità si riferisce è stata rilasciata il 10 settembre 2012, al momento dell'irrogazione della sanzione la prescrizione quinquennale non era maturata.
Anche la censura incentrata sulla intrasmissibilità agli eredi della sanzione amministrativa non merita accoglimento. Sulla questione di carattere generale della trasmissibilità della sanzione de qua si riscontrano due diversi orientamenti nella giurisprudenza amministrativa.
Secondo un primo orientamento, trattandosi di una vera e propria sanzione amministrativa, con finalità deterrenti, alla medesima va applicato il disposto di cui all’art. 7 della l. n. 689/1981, ai sensi del quale l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi (e agli aventi causa), che sono estranei alla commissione dell’abuso (in termini C.G.A., 27 novembre 2017, n. 520).
In base ad un secondo orientamento l’indennità in questione va, invece, considerata quale sanzione ripristinatoria dei valori giuridici offesi dalla condotta illecita, con la conseguenza che sono tenuti al pagamento della sanzione anche i proprietari aventi causa (cfr. Consiglio di Stato, VI, 4 febbraio 2019, n. 855 con richiamo a precedente conforme n. 2094 del 4 aprile 2018).
Entrambi gli orientamenti sono, concordi nell’affermare che sussiste la legittimazione passiva dell’avente causa il quale sia consapevole dell’abuso, in quanto è stato coinvolto nella sua realizzazione o aveva conoscenza dello stesso e, in particolare, della pendenza di una domanda di condono.
Nella specie, il ricorrente aveva tale consapevolezza, come emerge dal contratto di compravendita, sicché la censura va ritenuta infondata (Tar Sicilia, Palermo, Sez. I, 13/12/2019 n. 2908).
Quanto al dedotto difetto di motivazione del provvedimento impugnato, in particolare in ordine ai criteri seguiti dall’amministrazione nel calcolo della sanzione pecuniaria, è sufficiente osservare che la determinazione della somma dovuta è il risultato dei calcoli espressi nella perizia con la quale la Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali ha valutato il profitto conseguito;perizia richiamata, in funzione motiva, dal decreto impugnato.
Il ricorso, in quanto infondato, va pertanto rigettato, con salvezza dei provvedimenti impugnati.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano a favore dell’Amministrazione resistente come da dispositivo.