TAR Napoli, sez. V, sentenza 2015-09-14, n. 201504464

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2015-09-14, n. 201504464
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201504464
Data del deposito : 14 settembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01549/2013 REG.RIC.

N. 04464/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01549/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1549 del 2013, proposto da:
P R, rappresentato e difeso dall'avv. C A, con domicilio eletto presso lo studio del dott. R R in Napoli, al corso Garibaldi, 32;

contro

Ministero dell'Interno - Questura di Napoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la quale è domiciliato in Napoli, alla via Diaz, 11;

per l'annullamento

del decreto n.2013 Div.Amm.Cat.6D/C3 del 09/01/2013, con il quale il Questore della provincia di Napoli ha rigettato la domanda di rinnovo del porto d'armi proposta dal ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio 2015 il dott. Pierluigi Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto notificato in data 26 marzo 2013 e depositato l’8 aprile seguente, il sig. P R, premesso di aver conseguito sin dal 1988 il porto di fucile per uso venatorio, ha impugnato il decreto, emesso in data 9 gennaio 2013 dal Questore della provincia di Napoli, con cui gli è stato negato il rinnovo della predetta autorizzazione di polizia.

Avverso il menzionato atto sfavorevole ha proposto il ricorso in epigrafe, affidato a quattro motivi di diritto così rubricati:

1) violazione di legge – travisamento dei fatti e dei presupposti;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 10-bis L. n. 241/1990;

3) violazione dell’art. 3 e dell’art. 21-quinquies L. n. 241/1990 per insufficienza della motivazione – eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione;

4) violazione degli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S. e dell’art. 3 della L. n. 241/1990 – carenza di motivazione sotto diverso profilo e difetto di istruttoria.

Ha resistito in giudizio l’intimata amministrazione.

Le parti hanno depositato memorie e documenti insistendo nelle rispettive richieste.

Alla pubblica udienza del 16 luglio 2015, sentiti i difensori presenti, come da verbale, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. Va premesso che il Questore di Napoli, con il gravato provvedimento di rigetto della domanda di rinnovo del porto di fucile avanzata dal ricorrente, dopo aver rilevato che l’istante è stato querelato (in data 8.5.2006 e in data 21.11.2008) per il reato di minaccia di cui all’art. 612 c.p., replicando alle argomentazioni difensive svolte nel corso del procedimento, ha osservato che le segnalate remissioni delle querele precludono “ solo l’ulteriore proseguimento del procedimento penale, ma non escludono la possibilità per l’Autorità amministrativa di valutare i fatti che hanno determinato la presentazione delle stesse che nel caso in questione sono consistiti in atteggiamenti e frasi minacciose rivolte brandendo un martello e soltanto la presenza dei CC di Sant’Anastasia ha evitato l’aggressione nei confronti del fratello del richiedente e costituiscono indice significativo di un carattere irascibile e litigioso e quindi di una possibilità di abuso del titolo richiesto ”. Sula base di tali presupposti, l’autorità di pubblica sicurezza ha reputato che “ il richiedente non offre quelle piene garanzie di affidabilità che devono imprescindibilmente ricorrere in capo ai titolari di licenze in materia di armi ” al fine di salvaguardare le preminenti esigenze “ di tutela della sicurezza e dell’incolumità pubblica ”.

2. Con quattro motivi d’impugnazione, il ricorrente ha sostanzialmente lamentato:

- l’erronea indicazione nel corpo del provvedimento del porto d’armi richiesto come “ per tiro a volo ” anziché per uso caccia;

- la violazione del principio del contraddittorio, garantito dall’art. 10-bis della l. n. 241/1990, in quanto nella premessa del decreto si menzionano anche altre circostanze non indicate nel preavviso di rigetto, così testualmente riportate: “ in data 21/02/1989 sentenza di condanna per i reati di violazione delle disposizioni sugli oli minerali e violazione delle norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto [condanna per la quale il sig. Romano è stato riabilitato in data 21/05/2012] ”;

- la violazione dell’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990 per l’omessa motivazione circa i sopravvenuti motivi d’interesse ovvero il mutamento della situazione di fatto tali da giustificare il provvedimento;

- ulteriori profili di carenza di istruttoria e di motivazione per la mancata considerazione dell’intervenuta remissione delle querele e della risalenza nel tempo dei fatti contestati.

3. Ad avviso del Collegio il ricorso è infondato e deve pertanto essere respinto.

3.1. Con riguardo al primo rilievo, va osservato che trattasi, con tutta evidenza, di un mero errore materiale, come tale ininfluente sulla legittimità del provvedimento. Infatti, dall'esame dei atti del procedimento (cfr. comunicazione di avvio notificata in data 8.2.2012 e controdeduzioni dell’interessato spedite il 14.2.2012) e del contesto dell’atto in cui si trova l'espressione censurata, emerge direttamente che l’autorità amministrativa è incorsa in una svista al momento della redazione del testo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI,. 5 marzo 2014, n. 1036;
Sez. IV., 21 ottobre 2008, n. 5154), atteso che il Questore ha inteso respingere proprio l’istanza presentata dal ricorrente, ivi richiamata, diretta ad ottenere il rinnovo del porto di fucile per uso venatorio. Si tratta, dunque, di un mero errore ostativo che ha determinato una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell'atto e volontà sostanziale dell'autorità emanante, immediatamente percepibile senza un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo, che peraltro, nella specie, non ha esplicato alcuna incidenza pregiudizievole sulla situazione giuridica del destinatario dell'atto.

3.2. Si palesa inconferente anche la seconda argomentazione difensiva, in quanto, come emerge dall’ampia motivazione riportata per esteso in limine , l’ulteriore episodio segnalato – di cui peraltro non è contestata la sussistenza né l’esattezza dell’informazione (ivi si fa infatti anche menzione dell’intervenuta riabilitazione) – risulta indicato per completezza come mero fatto storico, senza che lo stesso abbia assunto concreta valenza ai fini del rigetto dell’istanza, giacchè la motivazione del diniego poggia invece sulle condotte minacciose tenute dall’istante, sopra descritte, dalle quali sono scaturite le suindicate querele.

3.3. Non merita accoglimento neppure la successiva doglianza che fa leva sull’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990, poiché l’autorità di p.s. non ha inteso esercitare la potestà di autotutela disciplinata dalla norma evocata mediante la revoca del titolo di polizia in precedenza rilasciato ma l’ordinaria potestà di rinnovo dell’autorizzazione alla sua naturale scadenza, la quale postula una nuova ricognizione della sussistenza dei requisiti di affidabilità del soggetto richiedente.

3.4. Infine, è infondata anche l’ultima censura formulata, con la quale si contesta la correttezza della valutazione discrezionale operata dalla Questura.

Osserva il Collegio che, ai sensi degli artt. 11 e 43 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, il potere riconosciuto al Questore di rilasciare il porto di armi per uso caccia è connotato da elevata discrezionalità, in considerazione dei rischi di commissione di illeciti connessi al possesso delle armi. Ne consegue che il diniego della licenza di porto d’armi non richiede un oggettivo ed accertato abuso nell’uso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell'Autorità amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576;
sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039 e 31 marzo 2014, n. 1521). Si tratta, dunque, di un giudizio prognostico che ben può essere basato su elementi anche soltanto di carattere indiziario, stante il potenziale pericolo per la sicurezza pubblica rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle armi possedute (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 11 dicembre 2009, n. 7774 e 29 gennaio 2010, n. 379).

In giurisprudenza si è peraltro condivisibilmente chiarito che il porto d'armi e la detenzione delle stesse non costituiscono un diritto assoluto ma rappresentano, invece, un'eccezione al normale divieto di detenere e portare armi, sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, comma 1, L. n. 110 del 1975, eccezione che può divenire operante soltanto nei confronti di persone che non lascino dubbi circa il loro corretto uso e che non possano mettere in pericolo l'ordine pubblico e la tranquilla convivenza della collettività (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 10 gennaio 2013, n. 71).

Venendo al caso di specie, il Collegio ritiene che la valutazione di inaffidabilità dell’instante operata dalla Questura è esente dai prospettati vizi di legittimità in quanto conforme ai principi sopra richiamati.

Circa il segnalato decorso di un ampio arco temporale, va osservato che il semplice trascorrere del tempo non può di per sé far considerare automaticamente superata la sussistenza del pericolo di ripetizione di altre condotte lesive, peraltro in assenza di fatti positivi idonei a superare la pregressa valutazione. Inoltre, come chiarito in giurisprudenza, l’amministrazione mantiene il potere di valutare il fatto-reato nella sua obiettiva dimensione storica, indipendentemente dalla remissione della querela da parte della persona offesa ovvero dalla formale estinzione del reato, con la conseguenza che le stesse non sono circostanze decisive per desumere il venir meno del giudizio di pericolosità o di inaffidabilità del soggetto (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 14 novembre 2014, n. 5595;
sez. III, 1 aprile 2015, n. 1731;
T.A.R. Napoli, sez. V, 15 ottobre 2012, n. 4117). Si è già detto, infatti, che la valutazione della capacità di abusare delle armi non sconta, necessariamente, l’esistenza di precedenti penali in capo all’interessato, ben potendo basarsi su un giudizio probabilistico ragionevolmente dedotto dalle complessive circostanze di fatto (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 18 novembre 2010, n. 8102;
sez. III, 6 settembre 2012, n. 4731 e 1 agosto 2014, n. 4121).

Nella fattispecie, dalla documentazione esibita in giudizio dall’Amministrazione (cfr. relazione di servizio del Carabinieri e verbali di ricezione delle querele, depositati in data 21.5.2013) si evince che il ricorrente ha tenuto in più occasioni condotte oggettivamente aggressive e minacciose nei confronti del fratello e della cognata. Né era precluso all’autorità procedente la valutazione dell’ulteriore querela sporta in data 11 giugno 2005 presso la Stazione dei Carabinieri di Castello di Cisterna, dal momento che l’episodio è stato indicato dallo stesso ricorrente nelle controdeduzioni presentate nel corso del procedimento.

4. In conclusione, applicando le evidenziate coordinate interpretative al caso concreto, il Collegio ritiene che l’Amministrazione ha esercitato il potere discrezionale in esame alla stregua dei parametri normativi che disciplinano la materia, indicando fatti e circostanze in modo dettagliato e preciso e ricavandone un giudizio congruo di non sussistenza del requisito soggettivo dell’affidabilità, sulla base di una coerente e logica valutazione di elementi oggettivamente idonei, nel loro complesso, a fondare il provvedimento.

In definitiva, per le ragioni che precedono, il ricorso deve essere respinto.

Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, ricorrendo le particolari condizioni di legge per far luogo a tale pronuncia.

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