TAR Genova, sez. I, sentenza 2015-03-12, n. 201500277
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N. 00277/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00157/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 157 del 2015, proposto dai signori D S e S C in proprio e nella qualità di legali rappresentanti della snc Ditta Salvi Osvaldo rappresentati e difesi dagli avvocati R D e G R, con domicilio eletto presso il primo a Genova in via Corsica 10/4;
contro
Comune di Genova in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato C C presso la quale ha eletto domicilio a Genova in via Garibaldi 9;
per l'annullamento
del provvedimento 2.12.2014, n. 360024 del comune di Genova
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Genova;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2015 il dott. Paolo Peruggia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I signori D S e Sergio Cabusla anche nella qualità indicata in epigrafe si ritengono lesi dalla determinazione indicata per il cui annullamento hanno notificato l’atto 10.2.2015, depositato il 27.2.2015, affidato a censure in fatto e diritto.
E’ chiesta la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato.
Il comune di Genova si è costituito in causa con memoria.
Il collegio può decidere con sentenza brevemente motivata, vista la rituale instaurazione del contraddittorio, la proposizione della domanda cautelare e la sufficienza degli elementi di prova, resa nota alle parti la presente determinazione.
E’ impugnato un atto con cui il comune di Genova ha ingiunto la demolizione del fabbricato ubicato in via Vezzano 175 r in zona di vincolo cimiteriale destinato all’attività artigianale svolta dalla snc ricorrente.
La questione discende direttamente da quanto questo tribunale ha deciso con la recente sentenza 27.8.2014, n. 1308, allorché disattese l’impugnazione proposta per l’annullamento del diniego del condono edilizio deciso dal comune nel 1996;la pendenza dell’appello avanti al consiglio di Stato induce gli interessati a proporre la censura di illegittimità in via derivata, suggerendo al collegio una soluzione che comporterebbe la pregiudiziale sospensione di questa lite nell’attesa della pronuncia del giudice di secondo grado. Il tribunale rileva che la pronuncia citata si è conformata agli orientamenti consolidati che hanno tenuto conto della variazioni normative apportate all’originaria formulazione del testo unico delle leggi sanitarie (art. 388 del rd 27.7.1934, n. 1265) e che hanno ribadito la natura assoluta del vincolo di inedificazione sussistente nelle aree prossime ai luoghi di sepoltura. (cons. Stato, 4.7.2014, n. 3410).
In particolare quest’ultima pronuncia ha rilevato che nella zona di rilievo possono essere svolti solo interventi di recupero degli immobili legittimamente esistenti, cosa che non può dirsi nel caso in esame, vista la natura abusiva del fabbricato di che si tratta. Il motivo va pertanto disatteso.
Sono innanzitutto proposti dei motivi in via derivata.
Con la censura rubricata sub 1) i ricorrenti denunciano l’incompetenza del dirigente che si è determinato con l’atto impugnato, trattandosi di un’attribuzione sindacale (art. 35 della legge 28.2.1985, n. 47).
A questo riguardo il tribunale deve ribadire quanto sostenuto nella motivazione della propria sentenza 27.8.2014, n. 1308, laddove si è dato conto della normativa sopravvenuta che ha modificato le competenze amministrative in via generale, e così anche per quanto riguarda le attività previste dalle norme previgenti. (artt. 51 della legge 8.6.1990, n. 142 e 107 del d.lvo 18.8.2000, n. 267)
Ne deriva che è corretta al competenza dirigenziale in materia, dal che l’infondatezza del motivo.
Con la successiva censura si lamenta l’omessa acquisizione del parere della commissione edilizia: anche in questo caso il tribunale osserva di aver già pronunciato la sentenza 26.2.2014, n. 360 con cui ha ritenuto la necessità del parere dell’organo tecnico nei soli casi in cui vanno assunte determinazioni che comportano l’espressione di una discrezionalità connotabile in senso tecnico. Tale orientamento merita adesione e comporta la reiezione delle doglianza, posto che la negativa conclusione a cui è giunto il comune di Genova riguarda l’applicazione di norme inderogabili.
Con il motivo rubricato sub 3) viene denunciata l’assenza della motivazione dell’ingiunzione impugnata.
Il collegio rileva che l’atto richiama le vicende litigiose intercorse e relative al manufatto di che si tratta, enumera l’infondatezza delle domande proposte in tal senso e conclude per la presenza sul territorio del manufatto senza titolo;la persistente efficacia del diniego del condono comporta l’obbligo per l’amministrazione di adottare l’atto di che si tratta, dal che l’infondatezza del motivo.
Con la successiva articolata censura i ricorrenti denunciano l’illegittimità dell’atto gravato, in quanto il vincolo cimiteriale sarebbe stato costituito dopo la realizzazione del manufatto.
Tale esposizione sembra collidere con quanto era stato esposto nelle premesse dell’atto di impugnazione, nella parte in cui si narrava che il preesistente manufatto in lamiera venne trasformato come esso si presenta ora negli anni cinquanta del decorso secolo;in assenza di altre prove si deve presumere che il luogo di sepoltura esistesse già a quei tempi, sì che la doglianza non può essere apprezzata.
Anche l’ulteriore censura non può essere accolta.
Con tale mezzo si denuncia che nella specie si tratta del risanamento di un preesistente manufatto, ma anche in questo caso la deduzione collide con le premesse ricordate, che danno conto della realizzazione di un vero e proprio stabilimento artigianale in luogo di un capanno lamierato;ne deriva l’insussistenza della censura, posto che detta attività edilizia non avrebbe potuto essere posta in atto in zona a vincolo cimiteriale.
Con la censura rubricata con il numero 5) si allega l’illegittimità dell’atto impugnato, in quanto l’amministrazione comunale avrebbe istituito il vincolo cimiteriale solo con l’approvazione del piano comunale del 1980, e che versandosi ora in una fase di revisione dello strumento l’attività repressiva contestata avrebbe dovuto essere sospesa.
Il tribunale non può accogliere la doglianza trattandosi di questioni che riguardano un vincolo derivante dalla legge, del quale il comune non può che prendere atto.
Con il motivo sub 6) si denuncia la violazione dell’art. 2 della legge 17.10.1957, n. 983 che ammetteva il sindaco a prevedere la sanatoria delle opere realizzate in zona vincolata a cimitero prima del 31.12.1956: anche in questo caso l’assunto così sostenuto è smentito dalla narrativa che precede la formulazione dei motivi, posto che la parte stessa narra che proprio negli anni cinquanta il piccolo manufatto in lamiera fu trasformato nella consistenza attuale, dal che la sua eccentricità rispetto alle previsioni della legge denunciata.
Con la censura sub 7) si lamenta l’omessa esposizione delle ragioni che hanno indotto a non considerare possibile la conservazione del fabbricato ad oltre quarant’anni dalla sua edificazione.
Si tratta di questioni già esaminate e risolte dalla sentenza 27.8.2014, n. 1308 con cui il collegio si è pronunciato al riguardo. Va in ogni caso rilevata la prevalenza del vincolo cimiteriale rispetto all’affidamento che gli interessati avrebbero maturato in questi anni, rilevandosi oltre a ciò che la consapevolezza dell’abusività del manufatto è resa manifesta dalla presentazione nel 1986 della domanda di condono.
Anche il motivo sub 8) appare infondato nella parte in cui ritiene che si sia formato il silenzio assenso con il decorso del termine di giorni centoventi decorrenti dalla data di presentazione della domanda (10.9.1986).
Il tribunale ribadisce al riguardo la preminenza del rispetto del vincolo cimiteriale, dal che l’impossibilità di far decorrere il termine atto a formare il silenzio assenso.
Anche questo motivo non può trovare accoglimento, sì che le censure proposte per far dichiarare l’illegittimità dell’atto in via derivata sono infondate.
Vanno ora esaminate le doglianze dedotte in via propria.
Con la prima di esse si contesta la natura abusiva dell’immobile di che si tratta, in quanto si tratterebbe di un bene per il quale fu rilasciata una concessione in precario dopo che la deliberazione della giunta comunale 18.2.1971, n. 339 aveva acconsentito al mantenimento delle costruzioni che erano destinate all’attività produttiva. I documenti comprovano che altri soggetti, tra l’altro economicamente più rilevanti della ditta del signor Osvaldo Salvi, si trovarono in situazioni di irregolarità edilizia che l’amministrazione ritenne di sanare appunto in precario, in considerazione delle preminenti esigenze occupazionali che venivano avvertite.
Non di meno già nel 1994 (atto assessorile 23.8.1994, n. 12411) l’amministrazione civica avvisò gli interessati che l’evoluzione della normativa urbanistica imponeva la revoca delle concessioni in precario, sì che il rientro nella legittimità suggerito dal comune passava per la presentazione della domanda di condono;fu quello che la p.a. prospettò anche al dante causa dei ricorrenti con una comunicazione che rappresentava in modo evidente che le costruzioni avrebbero dovuto essere apprezzate dal punto di vista della legittimità.
Quanto ora osservato non asseconda la tesi esposta dai ricorrenti secondo cui non si trattava di un manufatto abusivo, posto che una concessione in precario non può considerarsi bastevole alla regolarizzazione di un immobile edificato in zona a vincolo cimiteriale. Da ciò l’infondatezza del motivo.
Con la seconda censura si lamenta l’omessa considerazione dell’esistenza del manufatto a far data dall’inizio del secolo ventesimo, dal che la necessità che la p.a. motivasse in ordine a tale assorbente profilo.
La circostanza allegata non è provata, ed al contrario la documentazione versata dalla parte stessa a corredo della concessione in precario di cui s’è detto chiarisce che la realizzazione del manufatto a destinazione artigianale risale al 1969, derivando l’infondatezza del motivo.
Con la successiva censura si deduce la natura di variazione essenziale della realizzazione in questione, dal che l’impossibilità di comminarne la demolizione.
Il collegio rileva che il rilascio di una concessione in precario per l’occupazione del suolo non può essere ritenuto equipollente ad un titolo edilizio, sì che la natura abusiva del capannone non può essere revocata in dubbio, dal che l’infondatezza della censura.
Con un ulteriore mezzo i ricorrenti lamentano la carenza istruttoria che ha caratterizzato l’attività amministrativa, in quanto sarebbe stato omesso il necessario accertamento circa la preesistenza del manufatto al vincolo cimiteriale;il tribunale rileva che la natura assoluta del divieto di edificazione nella fascia circostante i luoghi di sepoltura risale almeno al 1934, senza aver riguardo alle note e più risalenti legislazioni che introdussero tale limite sin dall’inizio del 1800.
Ne consegue che chi edificò il capannone in forza del titolo in precario ben conosceva di operare in una situazione di divieto, dal che l’infondatezza della censura in esame.
Con l’ulteriore doglianza (n. 5) si denuncia l’illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto l’amministrazione avrebbe dovuto dapprima revocare l’atto concessorio, e solo successivamente irrogare la sanzione demolitoria.
Il collegio osserva che il ricordato atto 23.8.1994, n. 12411 chiariva alla parte l’intervenuta revoca delle concessioni in precario rilasciate in precedenza, cosa che gli interessati mostrarono di ben aver compreso allorché presentarono la domanda di condono del 1986.
Anche questa censura è pertanto infondata e va disattesa.
Con il motivo sub 6 i ricorrenti lamentano la violazione del principio di proporzionalità, che avrebbe dovuto indurre la p.a. a comparare l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata con quello del privato a continuare l’attività d’impresa nel sito utilizzato da molti anni.
Il tribunale deve rilevare che l’assorbente divieto di edificazione nella zona cimiteriale elide la necessità della comparazione dedotta, dal che l’infondatezza della censura.
Ulteriormente le parti deducono la violazione del diritto dell’Unione europea in quanto il provvedimento incide sulla privata proprietà senza darsi carico di comparare gli interessi in gioco, e senza interrogarsi circa la possibilità di irrogare nel caso in questione una sanzione alternativa.
Il collegio rileva che l’obbligo per ogni costruzione di osservare il distacco dai cimiteri non è previsto in tutti gli stati d’Europa, come chiariscono la storia dei conflitti successivi alla rivoluzione francese ed una semplice visita ai luoghi di sepoltura nelle località di lingua tedesca.
Non di meno, in importanti aree del continente quali quella regolata dal nostro ordinamento (ma non nell’alto adige-sudtirol) vige il vincolo cimiteriale con carattere di assolutezza, sì che in adesione alla normativa europea non si può ritenere che violi un diritto fondamentale della UE quanto dedotto dai ricorrenti. L’Unione è infatti solita demandare alle legislazioni nazionali la regolamentazione della maggior parte delle questioni risolvibili all’interno delle diverse comunità, salvi riservarsi di intervenire nei casi in cui una condotta comporti la lesione di un diritto fondamentale.
Tale non è la situazione in esame, tenuto soprattutto conto delle notazioni esposte relativamente alle differenti sensibilità che i popoli europei hanno riservato nelle legislazioni relative all’ubicazione dei luoghi di sepoltura.
Il motivo non merita pertanto benevola considerazione.
Con l’ultimo motivo si denuncia l’illegittimità dell’ordinanza nella parte in cui non chiarisce la ragione dell’avvenuta irrogazione della sanzione demolitoria, in luogo di quella pecuniaria.
Il collegio richiama al riguardo la natura assoluta del divieto di edificare nell’area in questione, dal che l’infondatezza della doglianza.
Conclusivamente il ricorso è infondato e va respinto: non di meno le spese possono essere opportunamente compensate, attesa l’incertezza che potrebbe aver arrecato ai ricorrenti la concessione in precario di cui s’è detto.