TAR Roma, sez. I, sentenza 2014-05-16, n. 201405204

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2014-05-16, n. 201405204
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201405204
Data del deposito : 16 maggio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04030/2013 REG.RIC.

N. 05204/2014 REG.PROV.COLL.

N. 04030/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4030 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Soc Dexia Crediop Spa, Soc Banca Nazionale del Lavoro Spa, Soc Banca del Monte dei Paschi di Siena Spa, Soc Banca Unicredit Spa, Soc Intesa San Paolo Spa, Soc Banco di Sardegna Spa, Soc Assicurazioni Generali Spa, rappresentati e difesi dall'avv. F M, con domicilio eletto presso F M in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero Per Gli Affari Regionali, Turismo e Sport, Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali, Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Coni - Comitato Olimpico Nazionale Italiano, Banca D'Italia, Cassa Deposito e Prestiti;

nei confronti di

Istituto Per il Credito Sportivo, rappresentato e difeso dagli avv. Giuliano Fonderico, Renzo Costi, con domicilio eletto presso Giuliano Fonderico in Roma, corso Vittorio Emanuele, Ii;

per l'annullamento

del decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri congiuntamente firmato dal Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport e il Ministro per i beni e le attività culturali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze 6.3.2013, comunicato ai ricorrenti il 4.4.2013.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Istituto Per il Credito Sportivo e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero Per Gli Affari Regionali, Turismo e Sport e di Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali e di Ministero dell'Economia e delle Finaze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2014 il dott. R S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Le Società ricorrenti partecipano per quote diverse al “fondo di dotazione” dell’Istituto per il Credito Sportivo, ente pubblico economico con personalità giuridica e gestione autonoma, istituito con legge 24 dicembre 1957, n. 1295 ed operante nel settore del credito per lo sport e per le attività culturali.

2. In particolare, lo Statuto del 1984, prima, e quello del 2002, poi, prevedevano che il patrimonio fosse costituito: dal “fondo di dotazione”;
dal “fondo di garanzia” (conferito dal C.O.N.I);
dal “fondo di riserva ordinaria”;
da “eventuali riserve straordinarie”;
dal “fondo ex. L. 50/83”. Quest’ultimo fondo, istituito con legge 18 febbraio 1983, n. 50, è alimentato costantemente dal versamento da parte del C.O.N.I. dell’aliquota del 2% (prima 3%), calcolata sugli incassi lordi dei concorsi pronostici.

3. In data 14 dicembre 2004 il Ministero per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministero dell’economia e della finanza, ha adottato una direttiva sulla cui base è stato adottato il decreto di approvazione dello Statuto dell’Istituto per il Credito Sportivo emanato in data 4 agosto 2005. Lo Statuto del 2005 prevede che il patrimonio sia costituito: dal “capitale” (che sostituisce il “fondo di dotazione”);
dal “fondo di riserva ordinaria”;
dalle “riserve statuarie e straordinarie”. Il “fondo di garanzia” e il “fondo ex l. 50/83”, vengono estromessi dal patrimonio e diventano semplici prestiti patrimoniali. Lo Statuto modifica la quota dell’utile conseguito assegnato ai partecipanti privati e attribuisce a questi un diritto di recesso.

4. Successivamente, l’Istituto è stato oggetto di un commissariamento governativo al quale sono subentrati due commissari straordinari nominati dal’Autorità di vigilanza bancaria. Questi, esaminate le modifiche statuarie del 2005, hanno ritenuto necessario inviare, in data 20 marzo 2012, una segnalazione alle Amministrazioni ministeriali competenti per un intervento sugli atti relativi all’approvazione dello statuto del 2005.

5. Ne è seguito un procedimento in autotutela ex art. 21 nonies, comma 1, della L. 1990, n. 241 di cui è stata data comunicazione di avvio alle parti ricorrenti. Quest’ultime hanno ribattuto alle contestazioni contenute nell’atto di avvio del procedimento argomentando su i vari profili da loro considerati critici.

6. Infine, le ricorrenti, in data 4 aprile 2013, hanno ricevuto la formale notifica da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del decreto interministeriale 6 marzo 2013 adottato dal Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, recante “Annullamento d’ufficio della direttiva 14 dicembre 2004 del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e del decreto 4 agosto 2005 del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze di approvazione dello Statuto dell’Istituto per il Credito Sportivo”.

7. Le ricorrenti hanno impugnato tale decreto, deducendo i seguenti motivi di ricorso:

- “Violazione di legge per violazione del principio del contraddittorio”;

- “Violazione di legge ed eccesso di potere per violazione dell’articolo 21 nonies della L. 241/1990”;

-“Violazione di legge per violazione dell’art. 17 D.lgs. 356/90 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria. Eccezione di potere per contraddittorietà con precedenti atti”;

-“Violazione di legge ed eccesso di potere per travisamento dei fatti ed errore nell’interpretazione degli stessi e inesistenza dei presupposti per la violazione delle norme comunitarie sugli aiuti di Stato”.

8. Le ricorrenti, quali società con azioni o obbligazioni quotate in borsa, hanno altresì chiesto il risarcimento degli effetti negativi del provvedimento impugnato sul corso dei loro titoli e il risarcimento del danno all’immagine provocato dall’affermazione, contenuta nel provvedimento, secondo cui sarebbero state beneficiarie di aiuti di Stato.

9. La Presidenza del Consiglio dei Ministri si è costituita in giudizio e ha eccepito l’infondatezza del ricorso considerando inammissibili il terzo e quarto motivo del ricorso e non fondati il primo e il secondo motivo del ricorso. Si è costituito, altresì, in giudizio l’Istituto per il Credito Sportivo chiedendo il rigetto del ricorso. Le parti in giudizio hanno argomentato le proprie difese con ampi e ripetuti scambi di memorie.

10. In data 26 marzo 2014 il ricorso è stato chiamato e trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe le società ricorrenti, partecipanti per quote diverse al “fondo di dotazione” dell’Istituto per il Credito Sportivo, ente pubblico economico con personalità giuridica e gestione autonoma operante nel settore del credito per lo sport e per le attività culturali, impugnano il provvedimento di annullamento in autotutela del nuovo statuto adottato dalla Amministrazione vigilante, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili sintomatici e chiedendo il risarcimento del danno che sarebbe stato causato dal provvedimento impugnato all’andamento dei loro titoli ed alla loro immagine, essendo state considerate beneficiarie di aiuti di Stato.

1. Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, secondo le parti ricorrenti mancherebbe la corrispondenza tra le contestazioni mosse dall’amministrazione con la comunicazione di avvio del procedimento e il provvedimento finale assunto dalla stessa;
non sarebbero state adeguatamente considerate, inoltre, le osservazioni presentate dalle parti private nel corso del procedimento.

Al riguardo, il Collegio osserva che, secondo la documentazione acquisita in atti, l’Amministrazione ha provveduto ad inviare la comunicazione di avvio del procedimento e le parti ricorrenti hanno avuto la possibilità di porre osservazioni e manifestare le proprie ragioni, che la resistente ha adeguatamente valutato, dandone conto nella motivazione del provvedimento impugnato.

In secondo luogo, è vero che l’oggetto della contestazione iniziale, relativo a specifiche previsioni della normativa, risulta essere diverso da quello del provvedimento conclusivo, riguardante l’intera Direttiva e l’atto di approvazione dello Statuto del 2005, tuttavia ciò non appare intaccare il fisiologico svolgimento del procedimento, poiché la non corrispondenza fra la contestazione e il provvedimento finale è da addebitare all’essenzialità delle clausole illegittime, inizialmente contestate, la cui caducazione ha comportato quella dei provvedimenti in toto.

Risulta, pertanto, non esserci stata alcuna lesione del principio di partecipazione al procedimento amministrativo, e non risulta quindi fondata la censura lamentata nel primo motivo di gravame.

2. Prendendo in considerazione il secondo motivo di gravame, le ricorrenti lamentano l’irragionevole ed eccessivo il lasso di tempo intercorso tra l’emanazione del provvedimento amministrativo e il suo annullamento.

Al riguardo, ricorda il Collegio che il provvedimento di annullamento in autotutela, secondo quanto stabilito dall’art. 21 nonies L. 241/1990, è esercitabile in presenza delle seguenti condizioni:

-sussistenza di ragioni di interesse pubblico;

-esercizio del potere entro un termine ragionevole;

-comparazione con gli interessi dei destinatari del provvedimento e degli eventuali contro interessati.

In particolare, così come dedotto dalle ricorrenti, l’illegittimità, pur rappresentando il presupposto necessario dell’annullamento d’ufficio, non può da sola giustificare la decisione di rimuovere il provvedimento invalido, essendo necessaria la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale da curare con l’atto di annullamento, ed a tale valutazione non resta estraneo il tempo trascorso.

Tuttavia, nella specifica fattispecie in esame la documentazione versata in atti consente di ritenere che la Direttiva del 14 dicembre 2004 e il decreto di approvazione dello Statuto del 04 agosto 2005 hanno generato un significativo squilibrio tra le posizioni dei soggetti pubblici e quelle dei privati operanti nell’ambito dell’Istituto e hanno comportato una deminutio patrimonii a carico dello Stato, con conseguente aggravio per la finanza pubblica. Infatti, i dati economici relativi ai flussi patrimoniali e agli utili distribuiti ai partecipanti al “capitale” dell’Istituto dimostrano una situazione di ipotizzabile squilibrio a favore dei soggetti privati e a danno dello Stato.

In particolare, l’articolo 31 dello Statuto prevede un riparto degli utili che premia in modo non proporzionato gli apporti patrimoniali dei partecipanti privati, e l’articolo 34 regola la liquidazione delle quote di partecipazione in modo tale da includervi anche la quota parte delle riserve. Il danno sofferto dalla parte pubblica risulta, pertanto, attuale e concreto, e prevalente nella comparazione con gli interessi privati. Secondo la giurisprudenza, poi, evitare l’illegittimo esborso di danaro pubblico costituisce sempre un interesse pubblico attuale e concreto idoneo a giustificare l’autotutela, indipendentemente dal tempo trascorso.

La legge sul procedimento non pone limiti temporali all’esercizio del potere di ritiro. Il decorso del tempo impone all’Amministrazione solo una valutazione comparativa più robusta degli interessi in gioco e il rispetto del termine ragionevole. D’altronde, l’art. 21 nonies nel prevedere il limite temporale del termine ragionevole ha fatto riferimento ad un parametro indeterminato ed elastico, lasciando all’interprete il compito di individuarlo in concreto, considerando il grado di complessità degli interessi coinvolti e del relativo consolidamento, secondo il parametro costituzionale di ragionevolezza. Pertanto, tale disposizione, per come innovata dall’articolo 14 della L. 11 febbraio 2005, n. 15, non reca un termine espresso ed esclude che il decorso di un apprezzabile tratto di tempo possa costituire di suo un limite all’esercizio dell’autotutela. Nel caso di specie, il lasso di tempo intercorso tra l’emanazione del provvedimento amministrativo e il suo annullamento, pur essendo significativo, non risulta irragionevole ai fini dell’esercizio dell’autotutela, considerata l’importanza preminente dell’interesse tutelato. Né il tempo trascorso avrebbe affievolito la concretezza e attualità dell’interesse pubblico, considerato che questo risulta concreto ed attuale anche in relazione agli “indebiti esborsi futuri, con conseguente aggravio rilevante per la finanza pubblica”, come riporta il testo del provvedimento impugnato.

L’aspetto temporale è strettamente collegato all’affidamento. In base a tale principio, di chiara origine comunitaria (“Il principio in questione –quello del legittimo affidamento- fa parte dell’ordinamento giuridico comunitario e la sua inosservanza costituirebbe … una violazione del Trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione”, C – 12/77, 3/5/1978), il soggetto pubblico nell’esercizio dei suoi poteri deve tenere nel giusto conto l’interesse alla conservazione di un vantaggio conseguito in buona fede dal privato, a maggior ragione se detto vantaggio si sia consolidato per il decorso di un significativo lasso di tempo. L’affidamento del privato non costituisce un fattore ostativo all’esercizio dei poteri pubblici, come in passato, al contrario, si riteneva;
l’Amministrazione, in tali casi, deve procedere ad una comparazione fra l’interesse pubblico all’annullamento dell’atto e l’esigenza a non turbare posizioni giuridiche consolidate ed ormai definitive. Recentemente, peraltro, la giurisprudenza comunitaria non solo facultizza l’autotutela in presenza di affidamento dei privati, ma addirittura la impone, nonostante l’affidamento, ove si tratti di recuperare aiuti di Stato (di cui l’Amministrazione sostiene l’esistenza nel caso di specie) concessi illegittimamente dallo Stato membro (tale orientamento è stato recepito anche dalla giurisprudenza amministrativa nazionale, TAR, Roma (Lazio), sezione III, 14/01/2012, n.353: “In materia di aiuti di Stato in situazioni in cui difettino i richiesti presupposti di legge, l'autotutela della p.a. è indefettibile e pertanto l'affidamento del privato diviene recessivo”).

Infine la natura dei ricorrenti, di soggetto professionale abilitato a svolgere le attività imprenditoriali in esame, impedisce poi di poter plausibilmente ritenere che, in presenza della situazione di squilibrio finanziario sopra indicato, il decorso del tempo abbia potuto ingenerare un qualunque affidamento di buona fede circa la prosecuzione a tempo indefinito del descritto assetto di interessi.

Dalle precedenti considerazioni emerge come anche il secondo motivo di ricorso appaia infondato

3. Con il terzo motivo di ricorso le Società ricorrenti ritengono che nel provvedimento impugnato non siano state qualificate correttamente le singole componenti del patrimonio dell’Istituto e siano state mal interpretate la natura del Fondo “ex lege 50/83” e la sua titolarità.

In particolare, l’Amministrazione ha annullato d'ufficio la Direttiva del 2004 e l'atto di approvazione dello Statuto del 2005 per violazione di legge ed eccesso di potere, in quanto tali atti avrebbero modificato la composizione del “Patrimonio” ed estromesso lo stesso dai “Fondi apportati” di nuova creazione in assenza di qualsiasi previsione in tal senso nella legge 24 dicembre 2003, n. 350, che, invece, indicava la necessità di adeguamento dello Statuto per altre finalità specifiche;
inoltre secondo l’Amministrazione le modifiche statuarie apportate sarebbero risultate illogiche e irrazionali, in quanto non in linea con le finalità che l’Istituto per il Credito Sportivo è chiamato a perseguire, e produttive di una notevole deminutio patrimonii a carico del soggetto pubblico, oltre che di una non comprensibile disparità di trattamento rispetto agli altri partecipanti.

Peraltro le parti ricorrenti censurano i profili di violazione di legge indicati nel provvedimento impugnato, ma non forniscono argomenti, né tanto meno elementi fattuali in grado di vincere il vizio di eccesso di potere.

Per ritenere sussistente l'interesse a ricorrere devesi necessariamente dimostrare l'utilità che il ricorrente trarrebbe nell’ipotesi di una decisione del giudice di annullamento e, quindi, di esito favorevole del giudizio (principio della c.d. prova di resistenza). Nel caso in oggetto, pur volendo in ipotesi considerare fondate le censure fatte dai soggetti privati contro i profili di violazione di legge indicati nel decreto impugnato, quest'ultimo troverebbe comunque giustificazione nell’illegittimità per i profili di eccesso di potere, non contestati dalle Società ricorrenti. Mancando l’interesse ad agire di quest’ultime, è da ritenere inammissibile il terzo motivo di gravame.

4. Passando ad analizzare il quarto motivo di ricorso, le ricorrenti contestano l’affermata violazione della normativa europea sul divieto di aiuti di Stato, non essendovi in realtà stata alcune sovvenzione in loro favore a carico del pubblico erario.

Peraltro, osserva il Collegio, nella Comunicazione della Commissione relativa all'applicazione della normativa in materia di aiuti di Stato da parte dei giudici nazionali (2009/C 85/01) si afferma che: “La nozione di aiuto di Stato non si limita alle sovvenzioni. Essa comprende, tra l'altro, le concessioni fiscali e gli investimenti di fondi pubblici effettuati in circostanze in cui un investitore privato non avrebbe apportato il suo sostegno. A questo riguardo è irrilevante se l'aiuto sia stato concesso direttamente dallo Stato o da enti pubblici o privati che lo Stato istituisca o designi per amministrare l'aiuto stesso. Inoltre, affinché un sostegno pubblico sia classificato aiuto di Stato è necessario che l'aiuto favorisca talune imprese oppure la produzione di determinati beni («selettività»), contrariamente alle misure generali, cui non si applica l'articolo 87, paragrafo 1, del trattato CE. Inoltre l'aiuto deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza e incidere sugli scambi tra Stati membri” (art. 2.1.1., punto 11).

L’approccio della Commissione europea, soggetto competente a pronunciarsi sulla compatibilità con il mercato comune di un aiuto di Stato, è nettamente sostanzialistico, lontano dal dare alcuna rilevanza alla veste giuridico formale dell’intervento statale.

Nel caso di specie, come già illustrato, le modifiche del 2005 allo Statuto dell’I.C.S. hanno prodotto notevoli benefici economici ai partecipanti privati al “Fondo di dotazione”, in via diretta – distribuzione degli utili – e in via indiretta – valorizzazione delle quote di partecipazione inglobando anche la quota delle riserve patrimoniali –, in modo del tutto sproporzionato rispetto agli apporti patrimoniali conferiti da questi all’Istituto.

E’ evidente, allora, in linea con l’interpretazione della Commissione, l’emersione di profili di aiuti di Stato e l’infondatezza delle affermazioni dei ricorrenti secondo cui gli unici a giovarsi dei benefici derivanti dal “fondo patrimoniale” sarebbero stati gli operatori sportivi (e culturali dopo il 2005) per i quali, in quanto soggetti non imprenditoriali, non si pone il problema della violazione della normativa comunitaria.

Peraltro, anche in questo caso le ricorrenti si sono limitate a contestare i profili di violazione di legge addotti dalla Amministrazione, tacendo del tutto sui profili di eccesso di potere. Anche il quarto motivo di gravame va, pertanto, dichiarato inammissibile per carenza di interesse, oltreché non fondato.

5. Alla stregua delle precedenti considerazioni, conclusivamente il ricorso deve essere respinto. Sussistono tuttavia giustificati motivi, in relazione alla complessità e novità delle questioni, per la compensazione delle spese di giudizio fra le parti.

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