TAR Milano, sez. III, sentenza 2018-10-12, n. 201802270

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, sentenza 2018-10-12, n. 201802270
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 201802270
Data del deposito : 12 ottobre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/10/2018

N. 02270/2018 REG.PROV.COLL.

N. 02431/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2431 del 2014, proposto da
-O-, rappresentato e difeso dagli avvocati A L e A S, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR Lombardia in Milano, Via Corridoni, n. 39;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio eletto ex lege in Milano, via Freguglia, n.1;

per l'annullamento

del provvedimento del Ministero della Difesa - Direzione generale per il Personale militare, emesso il 26.6.2014 e notificato in data 4.7.2014, con il quale è stata disposta a carico del ricorrente la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, nonché degli atti presupposti, connessi e consequenziali.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 settembre 2018 la dott.ssa Valentina Mameli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I) Il ricorrente, all’epoca dei fatti Appuntato dei Carabinieri in servizio presso la Compagnia Carabinieri di Saronno, ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe con cui è stata comminata la sanzione disciplinare della perdita del grado.

Il provvedimento è stato assunto a seguito di una vicenda di carattere penale che ha interessato il carabiniere.

In particolare il ricorrente veniva tratto in arresto nell’ottobre 2002 in relazione ai reati di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, cessione di arma clandestina e ricettazione. L’Amministrazione, con determinazione del 23 gennaio 2003, disponeva la sospensione precauzionale dal servizio a titolo obbligatorio, ai sensi dell'articolo 9 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168, con decorrenza dal 29 ottobre 2002. Con successiva determinazione del 15 gennaio 2004 l’Amministrazione riammetteva in servizio il militare, con decorrenza dall’11 aprile 2003, a seguito della revoca della misura cautelare in precedenza applicatagli. Tuttavia con provvedimento del 26 febbraio 2008 il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri sospendeva il militare in via precauzionale dal servizio a titolo facoltativo, ai sensi dell'articolo 9 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168, poiché il Tribunale di Varese aveva disposto il suo rinvio a giudizio in ordine ai reati di ricettazione aggravata, detenzione e porto illegale di armi comuni da sparo e cessione di arma clandestina.

Il Tribunale con sentenza n. 629 del 9 ottobre 2007 condannava l’appuntato alla pena di anni 4 (quattro) e mesi 6 (sei) di reclusione, nonché a € 1.500,00 di multa, dichiarandolo interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni 5 (cinque), avendolo riconosciuto colpevole dei reati a lui ascritti. In sintesi veniva accertato che il militare dopo essersi procurato illegalmente, da un pregiudicato, una pistola semiautomatica da guerra, la cedeva ad altra persona.

Con provvedimento del 25 giugno 2013, a decorrere dal 26 febbraio 2013 l’Amministrazione disponeva la cessazione di efficacia del provvedimento cautelare del 26 febbraio 2008 e la sospensione dal servizio a titolo facoltativo, ai sensi del combinato disposto degli articoli 919, comma terzo, lettera a) e 917, comma primo del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66.

La Corte d'Appello di Milano, con sentenza n. 4286/12 del 12 giugno 2012, divenuta irrevocabile in Cassazione dal 7 novembre 2013 e acquisita dall'Amministrazione il successivo 10 dicembre, in parziale riforma della sentenza di primo grado dichiarava non doversi procedere in relazione all'imputazione di ricettazione aggravata, per intervenuta prescrizione del reato contestato, rideterminava la pena inflitta in anni 2 (due) e mesi (due) di reclusione in relazione al reato di porto illegale d'arma da guerra (così riqualificata l’originaria imputazione di detenzione e porto illegale di armi comuni da sparo), assolveva il militare dal reato di cessione di arma clandestina, “perché il fatto non sussiste” e revocava la pena accessoria, confermando nel resto l'impugnata sentenza.

Il Capo di Stato Maggiore della Legione Carabinieri Lombardia ordinava quindi l’inchiesta formale e, nel trasmettere la relazione finale redatta dall'Ufficiale inquirente, comunicava di aver deferito l'inquisito al giudizio di una Commissione di disciplina la quale, nella seduta del 30 aprile 2014, lo riteneva "non meritevole di conservare il grado".

La Direzione Generale, condividendo il predetto giudizio, con determinazione ministeriale del 26 giugno 2014 disponeva la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari ai sensi dell'articolo 861, comma primo, lettera d) del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 con decorrenza, ai soli fini giuridici, dal 26 febbraio 2008, primo giorno di sospensione dal servizio del militare a norma dell'articolo 867, comma 5 del citato decreto legislativo n. 66/2010.

Con il ricorso indicato in epigrafe l’interessato ha chiesto l’annullamento del provvedimento sanzionatorio, previa tutela cautelare.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto.

Con ordinanza n. 1404 del 23 ottobre 2014 il Tribunale ha rigettato la domanda cautelare.

All’udienza pubblica del 20 settembre 2018 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione.

II) Il ricorso proposto è affidato ai motivi di gravame di seguito sintetizzati:

1) violazione di legge ed erronea applicazione degli articoli 861, 867 e 923 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66, dell’art. 25, comma 2° della Costituzione, nonché dell’art. 11, comma 1°, e 14 delle Preleggi, in relazione all’art. 2 del Codice penale: al procedimento di cui è causa non si sarebbe dovuto applicare il D.lgs. 66/2010 bensì l’art. 60 della Legge 31 luglio 1954, n. 599, vigente al momento della commissione dei fatti, risalenti al 3 settembre 2001;

2) violazione e falsa applicazione dell’articolo 34, n. 6 e n. 7, della Legge 18 ottobre 1961, n. 1168. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e per difetto, illogicità e insufficienza di motivazione: il provvedimento sanzionatorio impugnato trarrebbe origine da un fatto inesistente, giacché il ricorrente è stato assolto dal reato di “cessione di arma clandestina”, perché il fatto non sussiste”. I fatti contestati, rispettivamente, in sede penale e in sede disciplinare sarebbero differenti, con conseguente impossibilità di applicare l’art. 633 c.p.p.

I motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, non sono meritevoli di accoglimento.

In sede penale è stato accertato in via definitiva che il ricorrente si sia procurato illegalmente da un pregiudicato, con il quale intratteneva una fitta rete di rapporti illeciti, una pistola semiautomatica da guerra, e l’abbia ceduta ad altra persona, poi tratta in arresto nell’ambito di un’operazione di Polizia Giudiziaria svolta dalla Squadra Mobile della Questura di Milano.

Va precisato che la Corte d’Appello di Milano ha assolto il ricorrente dal reato di cui all’art. 23 della L. n. 110/75 (confermando comunque la condanna con riguardo agli altri capi d’imputazione) soltanto perché l’arma in questione non era un’arma comune da sparo, ma un’arma da guerra.

L’esame complessivo degli atti processuali e procedimentali porta a concludere che gli stessi fatti accertati in sede penale siano stati oggetto del procedimento disciplinare.

E a fronte di tali fatti, di particolare gravità per un militare, il provvedimento impugnato ha evidenziato che “ tali condotte, riportate con clamore dagli organi di stampa locali, accertate in sede istruttoria e in parte sanzionate dall’Autorità Giudiziaria, sono da ritenersi biasimevoli anche sotto l’aspetto disciplinare in quanto contrarie ai principi di moralità e di rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza ed esemplarità propri dello status di militare e di appartenente all’Arma dei Carabinieri nonché lesive del prestigio dell’Istituzione ”.

Tale motivazione non si presta a censura alcuna.

La sanzione della perdita del grado è stata sì assunta in applicazione del D.lgs. n. 66/2010, ma non si tratta – come noto – di sanzione introdotta ex novo dal codice dell’ordinamento militare, bensì già disciplinata e prevista dall’art. 34 n. 6 della L. n. 1168/1961 (e dall’art. 60 n. 6 della L. n. 599/54, invocato dal ricorrente).

Tali disposizioni prevedono la perdita del grado, tra l’altro, “ per comportamento comunque contrario alle finalità dell'Arma” (art. 34 n. 6 L. n. 1168/1961) e per “ violazione del giuramento ” (art. 60 n. 6 della L. n. 599/1954), fattispecie pienamente integrate dai fatti commessi dal ricorrente.

Sotto tale profilo pertanto non può attribuirsi alcun rilievo alla circostanza che la condotta sanzionata sia stata posta in essere in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.lgs. n. 66/2010. L’applicazione delle disposizioni precedenti non avrebbe condotto ad esito differente, tenuto conto di quanto accertato.

Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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