TAR Bari, sez. II, sentenza 2018-07-30, n. 201801116
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Pubblicato il 30/07/2018
N. 01116/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00658/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 658 del 2013, proposto da:
Consiglio Nazionale Forense, Ordine degli Avvocati Foggia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , F C, N D S, G D N, T D, L S, A G M J, T R, C M, quali avvocati appartenenti all’Ordine degli avvocati di Foggia ed esercenti presso le Sezioni distaccate di Manfredonia, Cerignola, San Severo e Trinitapoli, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati M B, G C, S P F, G A, domiciliati ai sensi di legge, presso la segreteria del T.A.R. Puglia, in Bari, piazza Massari, n. 6;
contro
Tribunale di Foggia;
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria in Bari, via Melo, n. 97;
nei confronti
Giulio Adolfo Treggiari, Pasquale Mitoli;
per l'annullamento
- dei provvedimenti del Presidente del Tribunale di Foggia, decreti numeri 61 e 64, rispettivamente del 16 e 19 marzo 2013 e di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 6 febbraio 2018 la dott.ssa F R e udito il difensore avv. dello Stato Ines Sisto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - Con il gravame indicato in epigrafe parte ricorrente ha impugnato i decreti numeri 61 e 64 del 16 e 19 marzo 2013, del Presidente del Tribunale di Foggia, aventi rispettivamente ad oggetto “Calendario delle udienze penali per il periodo successivo al 13.9.2013 relativo ai processi pendenti o da fissarsi presso le sezioni distaccate” e “Calendario delle udienze civili per il periodo successivo al 13.9.2013 relativo ai procedimenti pendenti o da fissarsi presso le sezioni distaccate” e ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.
Avverso gli atti impugnati parte ricorrente ha dedotto diversi profili di illegittimità derivata dall’incostituzionalità di alcune norme meglio sotto indicate.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia.
Alla camera di consiglio del 13 giugno 2013, su richiesta concorde delle parti, per attendere la decisione della Corte costituzionale, è stato disposto il rinvio della trattazione dell'istanza cautelare alla camera di consiglio del 25 luglio 2013.
Alla camera di consiglio del 25 luglio 2013 è stata accolta la richiesta del difensore del ricorrente di disporre il rinvio della trattazione del ricorso a data da destinare.
All’udienza pubblica del 6 febbraio 2018 il Collegio ha posto la questione dell'improcedibilità del giudizio per carenza di interesse e, sentiti i difensori, la causa è stata trattenuta in decisione.
2. – In via preliminare, per ragioni di economia processuale, il Collegio ritiene di potersi esimere dal valutare la questione di difetto di legittimazione attiva del Consiglio Nazionale Forense, del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Foggia e dei singoli ricorrenti, sollevata dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, attesa l’infondatezza del ricorso.
I decreti impugnati, contenenti disposizioni organizzative transitorie, sono stati adottati dal Presidente del Tribunale di Foggia al fine di consentire un impatto graduale della riforma di cui al decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (entrato in vigore il 13 settembre 2012), il quale aveva tra l’altro disposto, con efficacia dal 13 settembre 2013, la soppressione e l’accorpamento alla sede principale del Tribunale di Foggia delle sezioni distaccate di Cerignola, Manfredonia, San Severo e Trinitapoli, con conseguente assegnazione alla medesima sede principale dei magistrati professionali ed onorari, nonché del personale amministrativo in servizio presso le sezioni distaccate.
In particolare, il Presidente aveva ritenuto che, per i processi non definibili anteriormente al 13 settembre 2013, dovesse essere realizzato un calendario di udienze da tenersi nella sede principale, alle quali i processi avrebbero dovuto essere rinviati in prosecuzione ovvero fissati per la prima udienza.
La natura di “misura transitoria” dei decreti de quibus sarebbe già sufficiente per dichiarare l’azione non più sostenuta da alcun interesse.
3. - In ogni caso, il ricorso deve essere respinto perché infondato.
Invero, quasi tutte le questioni d’incostituzionalità poste dai ricorrenti sono già state affrontate – ritenendole infondate - dalla sentenza della Corte costituzionale n. 237 del 24 luglio 2013 o da questo o da altri Tribunali amministrativi con precedenti sentenze che si richiameranno in seguito.
Gli istanti, infatti, deducono vizi derivati dall’eccepita illegittimità costituzionale degli atti normativi presupposti (legge n. 148/2011 e decreto legislativo n. 155/2012), per i quali essi hanno chiesto l’eventuale rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
3.1. - Più nello specifico, i ricorrenti, nella parte II, con il primo e il secondo motivo di gravame, hanno dedotto l’eccezione d’illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 2, 3 4, 5, della legge 14 settembre 2011, n. 148 per contrasto con gli articoli 72, comma 4 e 77 della Costituzione.
Questo Tribunale ha già avuto modo di affrontare tali questioni (l’una direttamente, l’altra implicitamente) nella sentenza n. 757 del 21 maggio 2015.
La legge n. 148/2011, recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n.138/2011 e delega al governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, ha chiaramente un duplice contenuto con diversa natura e autonomia, pur essendo lo stesso concentrato in un unico articolo, composto a sua volta da 6 commi, il primo, di conversione del decreto-legge, i successivi, recanti la delega legislativa di cui è causa.
Alla luce di quanto sopra deve ritenersi manifestamente infondata la questione d’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 77 della Costituzione.
Invero, la Corte Costituzionale, al punto 9.2. della sentenza n. 273 del 2013 in merito, si è così espressa “Quanto ai requisiti della norma così aggiunta la sua autonomia, come fin qui delineata, comporta che non si possa richiedere che anche essa possieda i caratteri della necessità e dell'urgenza”.
Manifestamente infondato risulta essere anche il rilievo secondo il quale la delega sulla revisione della geografia giudiziaria conferita ex novo in sede di conversione del decreto legge n. 138 del 2011 sarebbe una norma “eccentrica” ed eterogenea rispetto all’atto urgente oggetto di conversione.
Secondo i ricorrenti si tratterebbe di una normativa del tutto slegata dalle contingenti situazioni particolari che il decreto legge convertito avrebbe inteso affrontare dettando “misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”.
Anche tale questione è stata affrontata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 273 del 2013, la quale si è espressa in questi termini “…occorre rilevare che la disposizione contenuta nell'art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011 - contenente misure organizzative degli uffici giudiziari di primo grado - non altera l'omogeneità del decreto-legge oggetto di conversione. Ed infatti, il d.l. n. 138 del 2011 ha modificato alcune disposizioni del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 e, in particolare, l'art. 10 (la cui rubrica reca «Riduzione delle spese dei Ministeri e monitoraggio della spesa pubblica»), ricompreso con l'art. 9 nel Capo II, recante «Razionalizzazione e monitoraggio della spesa delle amministrazioni pubbliche». A sua volta, la delega conferita è diretta a realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, nonché al perseguimento delle finalità di cui all'art. 9 del d.l. n. 98 del 2011;e va anche rilevato che sia nel d.l. n. 138 del 2011, che nel richiamato art. 9, i tagli di spesa sono ottenuti anche mediante interventi di tipo strutturale, pur se limitati agli organismi propriamente amministrativi. Concludendo sul punto, la disposizione in esame, in quanto prevede interventi sulle strutture giudiziarie, non può ritenersi disomogenea rispetto al contenuto del decreto-legge”.
Anche tale questione quindi deve ritenersi manifestamente infondata.
Inoltre, come emerge dagli atti parlamentari, tale delega legislativa è stata inserita nel testo del disegno di legge n. 2887, di conversione del decreto legge n. 138/2011, presentato in prima lettura al Senato, in sede di trattazione degli articoli in Assemblea, dopo l’esame del testo da parte della 5^ Commissione permanente (Bilancio) in sede referente e dopo il parere espresso dalle Commissioni consultive, tra cui la 2^ (Giustizia).
Al momento della trattazione in Assemblea dell’articolo unico costituente il disegno di legge è stato presentato un emendamento governativo (n. 1900) interamente sostitutivo del testo – recante appunto la delega di cui si controverte -, su cui è stata posta la fiducia, poi trasmesso alla Commissione Bilancio per il competente parere circa la copertura finanziaria.
Dopo la discussione in aula e la votazione finale, il testo è stato definitivamente approvato e inviato alla Camera dei Deputati dove, dopo l’esame presso le competenti Commissioni, tra cui quella Giustizia, è stato discusso ed approvato in Assemblea.
Ebbene, l’ iter parlamentare seguito - seppur caratterizzato dall’ormai consueto ricorso alla questione di fiducia il quale ha comportato che la discussione e la votazione sull’unico articolo si siano venute a concentrare - ha in realtà rispettato la procedura normale di esame e approvazione diretta da parte delle Camere, come richiesto dall’art.72, comma 4, Cost. per i disegni di delegazione legislativa, essendo stata osservata la c.d. “riserva di legge di Assemblea”.
Con l’art. 72, comma 4, il legislatore costituzionale ha inteso garantire che alcune leggi - quali quelle in materia costituzionale ed elettorale, di approvazione di bilanci e consuntivi, autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, oltre che quelle contenenti deleghe legislative - data la loro evidente rilevanza per la vita del Paese, vengano approvate dal plenum, ovvero in una sede che implichi garanzie di pubblicità delle sedute e di presenza integrale di tutti gli schieramenti politici, caratteristiche invece che non si riscontrano nelle sedi cd. “deliberante” e “redigente”.
Nella procedura normale, la commissione interviene invece in sede referente, laddove l’esame del testo avviene senza particolari formalità, sia perché compito della commissione è soltanto quello di preparare il lavoro che successivamente si svolgerà, con ben altro rigore procedurale, in assemblea, sia perché nessuna delle deliberazioni della commissione ha carattere definitivo o vincolante, dal momento che l’assemblea è libera di modificare tutto ciò che ritiene opportuno.
Tornando dunque alla procedura seguita per l’approvazione della delega legislativa in questione, risulta manifestamente infondata anche l’eccezione d’incostituzionalità, relativo alla violazione dell’art.72, comma 4, della Costituzione, essendo stata rispettata la votazione “articolo per articolo e con votazione finale” - sia pure accentrata in virtù dell’apposizione della fiducia - da parte dell’Assemblea, chiamata a deliberare sull’unico articolo costituente il testo legislativo in questione.
D’altronde, la stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 237 del 2013 ha già avuto modo di pronunciarsi sul punto (cfr. punto 9.5. della sentenza), ritenendo la questione non fondata: “L'ulteriore profilo di censura, relativo alla violazione del procedimento ordinario previsto per la legge di delegazione, e prospettato anche in considerazione della sua approvazione con il voto di fiducia su un maxi-emendamento, non è fondato. Ebbene tali vincoli, consistenti nella necessità di esame in sede referente e nella cosiddetta "riserva di Assemblea", risultano puntualmente rispettati…Nel caso in esame, pertanto, il rispetto da parte delle Camere della procedura desumibile dalla disciplina regolamentare relativa all'approvazione dei disegni di legge di conversione, conduce ad escludere che si sia configurata la lesione delle norme procedurali fissate nell'art. 72 Cost., poiché risultano salvaguardati sia l'esame in sede referente sia l'approvazione in aula, come richiesto per i disegni di legge di delegazione legislativa.” (sul punto, vedasi la sentenza del T.A.R. Lazio, sez. I, 9 aprile 2014, n. 3859).
3.2. – Con il terzo motivo di gravame (parte II), i ricorrenti eccepiscono anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 2 a 5, della legge n. 148 del 2011, per violazione dell’art. 108 della Costituzione, perché tali previsioni affiderebbero la revisione delle circoscrizioni giudiziarie ad un atto del Governo avente forza di legge.
Sul punto, ci si limita ad osservare che l’art. 108 della Costituzione stabilisce che “Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge” e la giurisprudenza della Corte costituzionale ritiene rispettata tale riserva di legge, anche quando la materia sia regolata da un atto avente forza di legge.
Anche tale questione d’incostituzionalità pertanto risulta essere manifestamente infondata.
3.3. - Con il quanto motivo di gravame (parte II), i ricorrenti deducono l’illegittimità costituzionale della delega conferita al Governo per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie per genericità ed indeterminatezza di taluni principi e criteri direttivi che avrebbero dovuto vincolare l’azione del Legislatore delegato.
Sul punto, si richiama la sentenza di questo Tribunale sopra citata (n. 757 del 21 maggio 2015) e ci si limita ad osservare che l’art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148 fissa in modo preciso, nel rispetto dell’art. 76 della Costituzione, i principi e criteri direttivi, indicati nello specifico dalla lettera a) alla lettera q) (ai quali per dovere di sinteticità si rinvia).
Non vi è chi non veda, quindi, come tali specifiche indicazioni siano in realtà ben definite e rispondano a quei richiamati “principi e criteri direttivi” di cui all’art. 76 Cost. (sul punto, vedasi anche la sentenza del T.A.R. Lazio, Sez. I, 9 aprile 2014, n. 3859).
Anche tale questione dunque risulta essere manifestamente infondata.
3.4. - Con il quinto motivo di gravame (parte II), viene eccepita altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettera a) ed f), della legge n. 148 del 2011, per violazione degli art. 5, 3, 24 e 25 della Costituzione.
3.4.1. - In estrema sintesi, secondo la prospettazione, la legge delega n. 148 del 2011 ridurrebbe il riordino delle circoscrizioni giudiziarie ad un’operazione di concentrazione degli uffici giudiziari finalizzata al conseguimento di (ipotetici) risparmi di spesa, trascurando del tutto la metodologia del decentramento.
Si sarebbe così dimenticato il significato “costituzionale” della presenza decentrata della giustizia sul territorio dello Stato ai fini dell’aggregazione delle formazioni sociali e della fruibilità per tutti i cittadini del servizio di giustizia che si andrebbe allontanando in ragione sia degli accorpamenti degli uffici, che vengono unificati nelle città di grandi e medie dimensioni, sia degli aumentati costi della giustizia;ciò si tradurrebbe in un sostanziale peggioramento del servizio giustizia e in una palese violazione dell’art. 5 della Costituzione.
Il Collegio ritiene che anche tale questioni d’incostituzionalità debba ritenersi manifestamente infondata poiché, come evidenziato dal T.A.R. Lazio, Prima Sezione, l’art. 5 della Costituzione “…riguarda la promozione delle autonomie locali nello sfondo di una Repubblica “una e indivisibile” e l’attuazione, nei servizi che dipendono dallo Stato, del decentramento amministrativo, che nel caso di specie non risulta vulnerato dalla mera diversa riorganizzazione oggetto della delega di cui all’art. 1 cit.” (sentenza 9 aprile 2014, n. 3859).
3.4.2. - Inoltre, la riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie prefigurata dall’art. 1, comma 2, legge n. 148 del 2011, evidenzierebbe marcati profili di irragionevolezza, i quali si porrebbero in contrasto con gli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione che garantiscono a tutti, in condizioni di eguaglianza di fatto, il diritto di agire in giudizio per la tutela di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante;dall’altro comporterebbero altresì la violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall’art. 97 della Costituzione.
Anche tali questioni di incostituzionalità risultano essere manifestamente infondate.
Con riferimento a tutte le questioni sopra richiamate, si riporta quanto osservato dalla Corte costituzionale con la più volte richiamata sentenza n. 273 del 2013: “Si è già detto come in questa riforma organizzativa occorra verificare la ragionevolezza e la proporzionalità del bilanciamento tra i vari interessi di rilievo costituzionale che possono essere coinvolti da un intervento legislativo di vasta portata… Anche la prospettata violazione dell'art. 3 Cost. (principi di eguaglianza e di ragionevolezza) non sussiste, sia in ragione della complessiva ragionevolezza della delega conferita al Governo - per le sue finalità e per l'indicazione di criteri oggettivi ed uniformi per tutto il territorio nazionale - sia, quanto ai decreti legislativi, per la diversità delle situazioni degli uffici giudiziari interessati, come posto in luce nelle menzionate schede tecniche. Con riguardo alla prospettata violazione dell'art. 24 Cost., per denegata giustizia e difficoltà di accesso alla giustizia, è di tutta evidenza che non vi è impedimento o limitazione e che la soluzione adottata contempera, in una dimensione di ragionevolezza, più valori costituzionalmente protetti, al fine di garantire una giustizia complessivamente più efficace”.
3.5. - Con il sesto motivo di gravame (parte II), i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 81 della Costituzione.
I ricorrenti evidenziano che tra i principi stabiliti dall’art. 1, comma 2 della legge n. 148 del 2011 viene menzionato quello secondo il quale dall’attuazione delle disposizioni de quibus non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Al proposito gli istanti osservano che le riforme, se a costo zero, o sono inefficaci o non sono tali, perché quelle autentiche implicano comunque la necessità di sopportare dei costi.
Ciò sarebbe tanto più vero in quanto la delega legislativa aveva ad oggetto la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, cioè un'operazione estremamente complessa e destinata ad incidere profondamente sulle strutture dell'organizzazione amministrativa giudiziaria, che non potrebbe certo realizzarsi a costo zero.
L’art. 1, comma 2, della 1egge n. 148/2011 non considererebbe in alcun modo queste incomprimibili voci di spesa e non si preoccuperebbe di reperire e individuare i fondi necessari per sostenerle. Ne consegue che tale disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima per contrasto con l’art. 81 della Costituzione.
Tale questione di incostituzionalità risulta essere manifestamente infondata.
Invero, anche su tale questione si è già espressa la Corte costituzionale al punto 12 della sentenza n. 273 del 2013: “…Orbene, l'art. 1, comma 2, lettera q), della legge n. 148 del 2011, espressamente ha previsto che dall'attuazione delle relative disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. In attuazione di tale previsione, l'art. 10 del d.lgs. n. 155 del 2012 dispone che «dal presente provvedimento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. All'attuazione si provvede nell'ambito delle risorse umane strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente». Analoga disposizione è contenuta nell'art. 6 del d.lgs. n. 156 del 2012. Nella relazione allo schema del d.lgs. n. 155 del 2012, come si è detto, è espressamente indicato il risparmio di spesa realizzato con la revisione in atto. Nella relazione allo schema del d.lgs. n. 156 del 2012 si rileva che «la modifica consentirà [...] risparmi di spesa evidenti in relazione alla riduzione del numero degli uffici ed alla maggiore efficienza degli stessi».
Dunque, da una parte, la presenza della clausola di invarianza, dall'altra la credibilità dei prospettati risparmi di spesa, coerenti con la ratio delle delega legislativa, escludono la violazione dell'art. 81 Cost”.
4. – Con i motivi contenuti nella parte III del gravame i ricorrenti deducono invece l’illegittimità derivata dall’incostituzionalità delle disposizioni del decreto legislativo n. 155 del 2012 derivante dai profili di incostituzionalità della legge di delega già denunciati.
4.1. - Ora, per quanto riguarda tutti questi profili, si rinvia a quanto già osservato dal punto 3.1. al punto 3.5. di questa sentenza e pertanto debbono dichiararsi anch’essi manifestamente infondati.
4.2. – I ricorrenti inoltre sollevano alcuni vizi di incostituzionalità che inficerebbero autonomamente il decreto legislativo n. 155 del 2012 e, in particolare, una serie di violazioni dell’art. 76 della Costituzione, sub specie di eccessi di delega per mancato o scorretto utilizzo dei principi e dei criteri direttivi stabiliti dal legislatore delegante (violazione dell’art. 1, comma 2, lett. b), d), e) e lett. g) della legge n. 148 del 2011).
I ricorrenti deducono altresì l’illegittimità costituzionale degli articoli 7 e 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012 per contrasto con gli articoli 76 e 77 della Costituzione per assenza di delega legislativa.
Le questioni di incostituzionalità sopra richiamate sono manifestamente infondate.
Anche tali profili, invero, sono già stati affrontati dalla Corte costituzionale nei punti 10.4.1, 10.4.2, e 10.4.4. e 10.4.5. della sentenza n. 273 del 2013, la quale si è così espressa: “Va premesso che le disposizioni contenute nella legge delega concorrono a formare, quali norme interposte, il parametro di costituzionalità dei decreti legislativi delegati. E in proposito la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 134 del 2013) ha affermato che il contenuto della delega non può essere individuato senza tenere conto del sistema normativo complessivo, poiché soltanto l'identificazione della sua ratio consente di verificare se la norma delegata sia con essa coerente. Si è ritenuto anche che il legislatore abbia margini di discrezionalità nell'attuazione della delega, sempre che, appunto, ne rispetti la ratio e che si inserisca in modo coerente nel relativo quadro normativo, con la conseguenza che rientra nei suoi poteri fare delle scelte fra i possibili modi di realizzare l'obiettivo indicato nella legge di delegazione, scelte di cui peraltro occorre verificare la ragionevolezza (sentenza n. 119 del 2012). 10.4.2.- Tanto premesso, nel caso in esame si è in presenza di una misura organizzativa, in cui la soppressione dei singoli tribunali ordinari ha costituito la scelta rimessa al Governo, nel quadro di una più ampia valutazione del complessivo assetto territoriale degli uffici giudiziari di primo grado, finalizzata a realizzare un risparmio di spesa e un incremento di efficienza;valutazione che ha richiesto lo svolgimento di un'articolata attività istruttoria …Alla stregua di tale quadro di riferimento per l'esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte dei decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 dei relativi criteri né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione. A tal fine è opportuno illustrare il percorso con il quale sono stati attuati i criteri in questione. Nella relazione, anzitutto, si dà atto che i principali dati da elaborare, per giungere al valore-modello da utilizzare come guida dell'intero lavoro, sono stati scelti tra quelli con caratteristiche di pubblicità ed incontrovertibilità (si è, così, privilegiata la fonte Istat), evitando l'impiego di quelli suscettibili di correzione mediante elementi valutativi (quali la «situazione infrastrutturale» o il «tasso d'impatto della criminalità organizzata»). Essenzialmente, dunque, sono stati utilizzati, per un verso, i criteri del «numero degli abitanti» e delle «sopravvenienze» (cosiddetto indice di litigiosità), per altro verso, quello dei «carichi di lavoro» rispetto all'organico disponibile (cosiddetto indice di produttività). Il periodo considerato è stato assunto convenzionalmente in almeno un quinquennio, tale per cui fattori accidentali e idonei ad alterare nel breve periodo la formazione dei dati in un circondario possono reputarsi neutralizzabili. Pertanto, l'intervallo considerato è stabilmente quello degli anni 2006-2010;previa, tuttavia, conferma dell'intangibilità delle singole linee di tendenza anche per l'anno 2011, almeno dove la disponibilità del dato sia risultata già acquisita. L'obiettivo è stato, anzitutto, quello di stimare il valore-standard dell'ufficio intangibile, ovvero dell'ufficio avente sede in un capoluogo di provincia. La selezione dei tribunali sopprimibili è stata effettuata per passi successivi, considerando i parametri: abitanti, sopravvenienze, organico e produttività, rispetto al campione sintetizzato;la funzione di filtro di ogni criterio è poi considerata già tale da immunizzare l'ufficio che resiste in base al criterio precedente da ogni esito eventualmente negativo del trattamento in base a quello successivo. Si è pregiudizialmente esclusa, invece, la considerazione della cosiddetta «pendenza», poiché questa appare fuorviante, anche perché legata a fattori locali e accidentali, storici e finanche talora esauriti nel tempo…10.4.5.- Ebbene, da una parte, risulta per tabulas che non vi è stata una esplicita o formale violazione dei criteri di delega (a parte il caso già esaminato di Urbino), dall'altra, la loro applicazione non manifesta elementi di irragionevolezza e risponde a un corretto bilanciamento degli interessi. La scelta del legislatore delegato, come richiesto dal carattere generale dell'intervento, non poteva essere effettuata valutando soltanto i dati dei singoli uffici e i relativi territori in una comparazione meramente statistica, come si assume, in sostanza, nelle ordinanze di rimessione, dovendo, invece, inserirsi in una prospettiva di riorganizzazione del territorio nazionale in un'ottica di riequilibrio complessivo degli uffici di primo grado.”.
Conseguenziale e connessa a tale riorganizzazione, quindi, appare sia la disciplina di cui all’art. 7 del decreto legislativo n. 155 del 2012, in ordine al trasferimento del personale delle sezioni di polizia giudiziaria, sia la disposizione di cui all’art. 8, sull’ “edilizia giudiziaria” (sul punto, vedasi la sentenza del T.A.R. Lazio, Prima Sezione, 9 aprile 2014, n. 3859).
4.3. - Infine, i ricorrenti sollevano l’illegittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 (e in via consequenziale degli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9) del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, per autonomo contrasto con gli articoli 3, 5, 24, 25 e 97 della Costituzione, con argomenti simili a quelli già dedotti in relazione all’art. 1 della legge 14 settembre 2011, n. 148.
Più nello specifico, i ricorrenti affermano che l’operazione di revisione delle circoscrizioni giudiziarie presenta alcuni ulteriori profili di incostituzionalità che sarebbero già stati evidenziati a proposito della legge delega e che il legislatore delegato avrebbe reso ancora più marcati: la violazione dell’art. 5 per aver trascurato la metodologia del decentramento, l’irragionevolezza della riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie che si porrebbe in violazione dell’art. 3, 24 e 25 nonché dell’art. 97.
Manifestamente irragionevole sarebbe la scelta operata dal legislatore di procedere alla totale soppressione delle sezioni distaccate di tribunale (e, tra queste, degli uffici di Cerignola, Manfredonia, San Severo e Trinitapoli), non sulla scorta dei parametri indicati dalla legge delega, ma in base ad una indiscriminata constatazione di inefficienza di tali presidi giudiziari e semplicemente ritenendo superate le esigenze di prossimità degli uffici giudiziari ai cittadini.
Infine, i ricorrenti sollevano l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 5, 6 e 7 (e in via consequenziale degli articoli 3, 4 e 9) del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, per assenza di copertura finanziaria in violazione dell’art. 81 della Costituzione.
Per ragioni di economia processuale, per quanto riguarda l’asserita violazione degli articoli 5 e 81 della Costituzione, si rinvia a quanto già evidenziato ai punti 3.4.1. e 3.5. di questa sentenza.
Anche per quanto riguarda l’illegittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 (e in via consequenziale degli articoli 3,4,5,6,7,8,9) del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, per autonomo contrasto con gli articoli 3, 24, 25 e 97 della Costituzione, si richiama quanto già osservato al punto 3.4.2. di questa sentenza con riferimento all’art. 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148.
In ogni caso, la Corte costituzionale si è espressa in merito anche in relazione al decreto legislativo n. 155 del 2012: “Con il terzo gruppo di censure è prospettata, nel complesso, sia in relazione alle impugnate disposizioni della legge n. 148 del 2011, che a quelle dei decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012, la violazione di ulteriori parametri costituzionali costituiti dagli artt. 2, 3, 9, secondo comma, 24, 25, primo comma, 27, terzo comma, 35, primo e secondo comma, 81, 97 e 111, secondo e terzo comma, Cost… Con riguardo alla prospettata violazione dell'art. 24 Cost., per denegata giustizia e difficoltà di accesso alla giustizia, è di tutta evidenza che non vi è impedimento o limitazione e che la soluzione adottata contempera, in una dimensione di ragionevolezza, più valori costituzionalmente protetti, al fine di garantire una giustizia complessivamente più efficace”.
Quanto alla ragionevolezza circa le modalità applicative della delega da parte del Governo con i decreti legislativi delegati, si ribadisce che la Corte costituzionale si è così espressa: “Alla stregua di tale quadro di riferimento per l'esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte dei decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 dei relativi criteri né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione”.
Infine, in merito alla scelta di procedere alla totale soppressione delle sezioni distaccate di tribunale (e, tra queste, degli uffici di Cerignola, Manfredonia, San Severo e Trinitapoli) si richiama quanto già osservato da questo Tribunale, Sezione seconda, con la sentenza 21 maggio 2015, n. 756: “Ebbene, si sottolinea che è proprio l’art. 1 della Legge 14 settembre 2011, n. 148, alla lettera d), a prevedere la possibilità di procedere alla soppressione delle sezioni distaccate di tribunale. La lettera d), infatti, così recita: “procedere alla soppressione ovvero alla riduzione delle sezioni distaccate di tribunale, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera b)”. Pertanto, rientrava pienamente nei poteri del Governo prevedere la soppressione delle sezioni distaccate di tribunale. Per quanto riguarda, poi, la ragionevolezza di tale scelta ci si limita a richiamare quanto affermato dal C.S.M. (delibera consiliare del 26 luglio 2012) con il parere sullo schema di decreto legislativo de quo e, in particolare, che:- la ragion d’essere delle sezioni distaccate di Tribunale è progressivamente venuta meno e il loro funzionamento risulta oggi gravemente pregiudicato anche dalla carenza di personale amministrativo;- il Governo ha inteso esercitare appieno la delega provvedendo alla soppressione di tutte le sezioni distaccate esistenti;- ciò nel medio/lungo periodo potrà rappresentare un sicuro miglioramento per la funzionalità complessiva dell’organizzazione giudiziaria poiché potrà costituire uno strumento per una più razionale distribuzione delle risorse;- le sezioni distaccate non sono altro che un reliquato delle vecchie preture mandamentali, sopravvissute sia all’introduzione delle preture circondariali ad opera della legge n. 30 del 1989, sia alla riforma su giudice unico di primo grado;- proprio l’accresciuta ampiezza, così come la eterogeneità del contenzioso, comparata con la scarsezza di risorse umane, con riferimento al personale di magistratura ed amministrativo, nonché di strutture (molte sezioni distaccate sono collocate in edifici poco adatti all’uso giudiziario) lascia ritenere che il servizio giustizia ivi erogato sia decisamente insufficiente, specie avuto riguardo ai tempi della risposta giudiziaria, troppo spesso fonte di risarcimento per irragionevole durata (sul punto vedasi la recente sentenza del T.A.R. Puglia – Lecce, sez. I, 19 febbraio 2015, n. 625). Ora, tenuto conto che la possibilità di sopprimere le sedi distaccate di tribunale era prevista direttamente dalla legge di delega e che tale scelta non appare, per le ragioni evidenziate dal Consiglio Superiore della Magistratura, irragionevole, l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata risulta essere manifestamente infondata”.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, si palesa quindi la manifesta infondatezza anche delle altre questioni di costituzionalità sollevate in relazione al decreto legislativo n. 155 del 2012.
In conclusione il ricorso deve essere respinto perché infondato.
In considerazione della peculiarità della presente controversia, sussistono gravi ed eccezionali ragioni di equità per compensare le spese di giudizio.