TAR Palermo, sez. III, sentenza 2016-06-29, n. 201601562
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N. 01562/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02027/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2027 del 2015, proposto da:
Centro Andros s.r.l., CBR – Centro di Biologia della Riproduzione, A.M.B.R.A. Studio medico associato, Genesy S.r.l., CRA s.r.l. – Centro Riproduzione Assistita, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'avv. Carlo Comande', con domicilio eletto presso il suo studio sito in Palermo, Via Nunzio Morello N.40;
contro
Assessorato Regionale della Salute, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliata in Palermo, Via A. De Gasperi 81;
per l'annullamento
- degli artt. 1, 2, 5, 7 e 10 del Decreto dell'Assessore alla Salute n. 638 del 15 aprile 2015 pubblicato sulla G.U.R.S. n. 18 del 30 aprile 2015;
- di ogni altro atto, connesso, presupposto e/o consequenziale ad oggi non conosciuto dai ricorrenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Assessorato Regionale della Salute;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2016 la dott.ssa Lucia Maria Brancatelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, notificato il 16 giugno 2015 e depositato il successivo 22 giugno, i ricorrenti, centri privati accreditati con il Servizio Sanitario Regionale a svolgere trattamenti nel settore della procreazione medicalmente assistita (PMA), hanno impugnato alcune previsioni contenute nel D.A. n. 638 del 15 aprile 2015, con il quale l’Assessorato regionale della Salute ha provveduto a ripartire la somma di € 3.800.000 da destinare al pagamento delle prestazioni rese da centri di PMA pubblici e privati accreditati del network regionale per le tecniche omologhe ed eterologhe.
Il gravame è affidato al seguente motivo di impugnazione:
1) illegittimità degli artt. 1, 2, 5 e 7 del D.A. salute del 15 aprile 2015 n. 638 per: violazione e falsa applicazione dell'art. 8 bis del d.lgs. 509/1992. Violazione e falsa applicazione dell'art. 32 Cost.. Violazione e falsa applicazione dell'art. 18 della l. 40/2004 e ss.mm.ii. Eccesso di potere per disparità di trattamento, irragionevolezza e illogicità manifesta. Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta. Violazione e falsa applicazione dell'art. 4 del D.A. n. 109/2015 non revocato sul punto.
Il motivo è sotto-articolato in due censure:
1.1) Illegittimità della determinazione di un budget unico per la fecondazione omologa e la fecondazione eterologa.
Secondo i ricorrenti, il D.A. n. 338/2015 sarebbe illegittimo nella parte in cui fissa il budget per la fecondazione omologa e per quella eterologa, destinando a tale scopo per l'anno 2015
una somma pari ad € 3.800.000,00.
L’assegnazione è contestata tanto sotto il profilo dell’inadeguatezza dell’importo quanto per la previsione di un unico budget per ambedue le tecniche di fecondazione assistita.
Poiché si tratta di tecniche di procreazione rivolte a coppie con problemi di concepimento tra di loro diversi, cui corrispondono diversi ambiti di applicazione delle tecniche di intervento, l’Assessorato avrebbe dovuto stanziare due budget autonomi e distinti
1.2) Illegittimità della determinazione delle percentuali di riparto del budget tra strutture pubbliche e private accreditate e contrattualizzate.
I centri ricorrenti contestano la scelta di destinare il 70% (comprensivo dello start up) delle somme disponibili ai centri pubblici e solo il restante 30% alle strutture private;la decisione è censurata sotto il profilo della disparità di trattamento tra pubblico e privato in termini di libertà di scelta del soggetto erogatore del servizio sanitario nonché della irragionevolezza.
Inoltre, non sarebbe logica la decisione, a fronte delle limitate risorse interne messe a disposizione delle coppie siciliane per il cofinanziamento regionale delle prestazioni di PMA, di prorogare l’autorizzazione preventiva all’esecuzione di dette prestazioni in strutture sanitarie di altre regioni (cfr. art. 7 del DA 638/2015).
L’Assessorato intimato si è costituito in giudizio ed ha contestato, anche con una memoria difensiva, le pretese formulate dai ricorrenti.
In particolare, circa la determinazione della Regione di destinare il 70% delle risorse (comprensive anche dello start up) alle strutture pubbliche e il restante 30% a quelle private, l’Assessorato resistente sostiene che trattasi di una scelta di merito, che come tale sarebbe sottratta al sindacato di legittimità, e richiama in proposito la decisione di questo T.A.R. n. 891 del 7 aprile 2016.
In vista dell’udienza di trattazione del giudizio, i ricorrenti hanno prodotto una memoria difensiva insistendo nell’accoglimento del ricorso.
Alla pubblica udienza dell’8 giugno 2016, uditi per le parti i difensori presenti come da verbale e su loro conforme richiesta, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
La controversia ha ad oggetto il decreto dell’Assessorato della Salute n. 638 del 2015, con il quale è stato determinato il budget spettante alle strutture sanitarie che erogano prestazioni di procreazione medica assistita (PMA).
I Centri ricorrenti contestano, sotto diversi profili, la decisione dell’Assessorato di non corrispondere per i trattamenti di fecondazione eterologa un budget a sé stante ma di assegnare un unico importo, destinato a finanziare tanto l’accesso alla PMA omologa che all’eterologa.
Si tratta, nello specifico, di una somma pari a € 3.800.000,00, assegnata con vincolo di destinazione alla Regione Sicilia dal Ministero della salute, a norma dell’art. 18 della legge n. 40/2004.
Il budget viene inoltre suddiviso attribuendone il 70% della somma alle strutture pubbliche e il restante 30% a quelle private.
In proposito, deve preliminarmente escludersi che la Regione sia tenuta ad approntare, nelle more del futuro inserimento delle tecniche di PMA tra le prestazioni costituenti livelli essenziali di assistenza, risorse ulteriori rispetto a quelle assegnate dal Ministero.
Sul punto, il Collegio non ha ragione di discostarsi da quanto già statuito con la decisione di questo Tribunale n. 891 del 7 aprile 2016, nella quale si è affermato che nelle more dell’inserimento delle tecniche PMA nei LEA “ non è ipotizzabile che la Regione possa approntare autonome risorse in aggiunta a quelle assegnate, con vincolo di destinazione dallo Stato, anche considerata la grave crisi finanziaria e gli obblighi di bilancio gravanti sulla stessa Regione impegnata a garantire il regime di prosecuzione del Piano di rientro nello specifico settore della sanità regionale ”.
Quanto alla scelta di costituire in via unitaria un budget per coprire indistintamente i trattamenti di PMA, essa viene contestata dai ricorrenti che ritengono le due tecniche di procreazione non sarebbero tra loro assimilabili, sia per la diversità del tipo di trattamento sia in relazione ai diversi tempi per avviare e completare le tecniche di procreazione assistita, molto più lunghi in caso di fecondazione eterologa.
Occorre considerare che la scelta dell’Assessorato presuppone logicamente l’assimilabilità dei due trattamenti sanitari di PMA omologa ed eterologa ai fini della costruzione della relativa voce di budget ed è, quindi, è espressione di una valutazione di natura tecnica.
Ne consegue che, venendo in rilievo un giudizio che è espressione della discrezionalità tecnica esercitata dall’Amministrazione regionale, il relativo sindacato concesso a questo giudice non può che limitarsi alla ricerca di profili di eventuale manifesta illogicità e incongruenza delle decisioni assunte.
Entro questo limitato ambito di analisi, la prospettazione di parte ricorrente della irragionevolezza della scelta di assegnare di un budget unitario a trattamenti qualificati come totalmente diversi non si palesa meritevole di accoglimento.
La tesi della non assimilabilità delle due tecniche di fecondazione non è assistita dal richiamo a fonti normative primarie o secondarie dalle quali ricavare una ontologica incompatibilità di una visione unitaria dei due trattamenti.
Anzi, essa appare smentita tanto dalla Conferenza delle Regioni del 4 settembre che dalla decisione della Corte Costituzionale n. 162 del 2014, nelle quali si presuppone una radice comune dei due trattamenti di fecondazione eterologa e omologa, qualificati come species appartenenti all’unico genus della procreazione medica assistita.
Non sembra corretto, in sostanza, affermare, come sostenuto dai ricorrenti, che le due tipologie di fecondazione costituiscano trattamenti del tutto diversi: la parziale disomogeneità delle due tecniche non presenta, infatti, elementi di differenziazione tali da far ritenere illogica, nell'ambito del sindacato giurisdizionale consentito, la scelta di considerarle unitariamente ai fini del riconoscimento del relativo budget.
Anche l’ulteriore circostanza, prospettata nel gravame, che la maggiore durata del trattamento di PMA eterologa potrebbe incidere negativamente sulla sua accessibilità non è utile a dimostrare l’illogicità della determinazione unitaria del budget, trattandosi di un elemento fattuale, posto tra l’altro in termini puramente ipotetici, che non è in sé sufficiente a costituire una ragione valida per affermare la diversità delle relative prestazioni.
Sono ulteriormente infondate le doglianze sulla ripartizione del budget nella misura del 70% (comprensivo dello start up per l’allestimento di nuove strutture) per i soggetti pubblici e del restante 30% per le strutture private.
La ripartizione è il frutto di una scelta che esprime un’ampia discrezionalità della Regione e non risulta connotata da profili di evidente illogicità.
La decisione assunta, infatti, appare del tutto ragionevole rispetto all’obiettivo perseguito di irrobustire, anche attraverso l’implementazione di nuovi centri, l'offerta da parte del servizio pubblico regionale dei trattamenti di PMA, che allo stato risulta deficitaria.
Il perseguimento dell’intento di potenziare l’offerta del settore pubblico, pertanto, non si pone in contraddizione con i principi che regolano l’accesso delle strutture private in regime di accreditamento al SSR ma, anzi, risponde perfettamente all’esigenza di garantire ai pazienti una erogazione ottimale del trattamento, attraverso l’effettiva possibilità di scegliere tra le diverse componenti pubbliche e private del servizio sanitario.
Non merita neppure accoglimento la censura relativa all'art. 7 del D.A. n. 638/2015, con il quale l’Assessorato si è limitato a prorogare il termine già fissato nel precedente D.A. n. 61 del 29 luglio 2014 per il rilascio dell'autorizzazione preventiva per le prestazioni extraregioni.
Si tratta di una previsione la cui copertura dei relativi oneri è supportata da apposite risorse messe a disposizione dello Stato ai sensi della legge n. 40/2004 e che risponde all’esigenza di supportare i percorsi assistenziali già attivati, fino a quando le tecniche di PMA non saranno inserite nel LEA.
La disposizione, quindi, non ha alcuna refluenza negativa rispetto alle decisioni assunte circa i trattamenti di PMA da erogarsi entro l’ambito territoriale della regione e le relative determinazioni in termini di budget.
Conclusivamente, alla luce di quanto complessivamente esposto, il ricorso deve essere respinto.
Attesa la novità e la particolarità delle questioni affrontate, le spese del giudizio possono essere complessivamente compensate tra le parti.