TAR Napoli, sez. III, sentenza 2013-12-23, n. 201305989
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N. 05989/2013 REG.PROV.COLL.
N. 02358/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2358 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
ATS, costituita TRA l’Ente Capofila CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI RICERCHE SULLE ATTIVITA’ TERZIARIE e il Consorzio Eureticon, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso introduttivo, dall’Avvocato V I, con il quale domicilia in Napoli, presso la segreteria del T.A.R. Campania;
contro
Regione Campania, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa, giusta procura in calce alla copia del ricorso notificato dall’Avvocato Tiziana Monti dell’Avvocatura regionale, con il quale elettivamente domicilia in Napoli alla via S. Lucia n. 81;
per l'annullamento
della delibera della Giunta regionale della Campania n. 36 dell’8.2.2013, pubblicata sul BURC n. 15 dell’11.3.2013, avente ad oggetto “legge n. 845/78 – art. 26 finanziamento integrativo dei progetti speciali da parte del Ministero del lavoro e della previdenza sociale – annullamento, ai sensi dell’art. 21 octies e 21 nonies della legge n. 241/90, delle deliberazioni della Regione Campania n. 2130 del 7.12.2007 e n. 180 del 28.1.2008”;
e, con motivi aggiunti
1) della nota del 28 giugno 2013 prot. 2013 0463535;
2) del decreto dirigenziale dell’AGC 17 Istr. Educ. Form. Prof. Pol. Giov.le n. 7 del 7.6.2013, pubblicato sul BURC n. 33 del 17.6.2013, recante ad oggetto “Esecuzione DGR 36/2013 – Annullamento Decreti Dirigenziali nn. 176/2008, 362/2008, 211/2009 ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241/90 e ulteriori disposizioni”;
nonché per la declaratoria dell’illegittimità dell’inerzia e dell’arresto procedimentale e del diritto della ricorrente a svolgere le attività già autorizzate, con conseguente condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni prodotti.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Campania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2013 il dott. P P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo in epigrafe, notificato in data 10 maggio 2013 e depositato il successivo giorno 23, la ricorrente, ha impugnato la deliberazione di giunta n. 36 dell’8 febbraio 2013 con la quale la Regione Campania ha annullato, ai sensi degli artt. 21 octies e nonies della legge n. 241 del 1990, le delibere di G.R. n. 2130/2007 e n. 180/2008, rilevando in sintesi che: 1) in riferimento ai finanziamenti di cui alle delibere da ultimo citate, pende un procedimento penale per truffa presso la Procura di Napoli;2) l’assegnazione dei contributi in questione è avvenuta mediante una deliberazione dell’organo di indirizzo politico (la Giunta regionale) incompetente sulla base di una programmazione regionale assente e senza procedure comparative;3) la realizzazione dei progetti finanziati è ancora incompiuta e, comunque, non più utile al raggiungimento degli obiettivi della programmazione regionale oltre che inadeguata rispetto alle finalità di cui all’art. 26 della legge n. 845/1978;4) non sussiste l’interesse pubblico a erogare il finanziamento, essendo l’interesse dei beneficiari a ottenere i contributi recessivo rispetto al primo.
Premette in fatto la ricorrente che
- con deliberazioni della Giunta Regionale nn. 2130/2007 e 180/2008 venivano approvati 11 progetti speciali (tra i quali quello della ricorrente) ritenuti coerenti con la programmazione regionale e per questo trasmessi al Ministero del lavoro per il finanziamento di cui all’art. 26 della legge n. 845/1978;
- a seguito del decreto interministeriale (DI n. 62/CONT/V/2008) del Ministero del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze di attribuzione dei contributi, veniva sottoscritto con la Regione Campania l’atto di concessione del finanziamento e iniziavano le relative attività formative;
- successivamente, la Regione autorizzava l’erogazione di una prima tranche del contributo finanziario previsto;
- venivano completate le attività di formazione e, pertanto, veniva chiesta la liquidazione della seconda tranche di pagamento;
- tuttavia, con la nota n. 878976 del 21.11.2011, l’amministrazione, avendo avuto notizia di indagini in corso, sospendeva in via cautelativa, sia le attività didattiche finanziate, sia l’esame delle richieste di liquidazione delle somme dovute avanzate dai soggetti capofila;
- successivamente, la Regione adottava la delibera n. 198/2012 volta ad: a) avviare il procedimento per l’esercizio del potere di autotutela in merito alle deliberazioni nn. 2130/2007 e n. 180/2008 di approvazione delle proposte progettuali oggetto di finanziamento;b) sospendere con decorrenza immediata ai sensi dell’art. 7, comma 2, della legge n. 241 del 1990, l’efficacia delle deliberazioni predette, nelle more della conclusione del procedimento;c) incaricare il Coordinatore dell’AGC 17 di provvedere all’avvio del procedimento volto all’esercizio dei poteri di autotutela in ordine alle summenzionate deliberazioni;
- gli atti dei due punti che precedono venivano impugnati avanti al TAR che li annullava con la sentenza n. 356/2013.
A sostegno del gravame la ricorrente deduce varie censure di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere.
La domanda di tutela cautelare è stata accolta con l’ordinanza n. 1005 del 21 giugno 2013.
Con ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato il provvedimento n. 7 del 7 giugno 2013 con il quale la Regione ha dato esecuzione alla delibera di giunta n. 36/2013.
Si è costituita per resistere al ricorso la Regione Campania.
Alla pubblica udienza del 21 novembre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso introduttivo è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
Preliminarmente, in rito, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa regionale per omessa notifica dello stesso al Ministero del lavoro e a quello dell’economia e delle finanze. L’atto gravato, è stato, infatti adottato dalla Regione Campania senza alcun coinvolgimento dei citati Ministeri. In particolare e venendo al merito,
con la delibera di giunta n. 36 dell’8 febbraio 2013 impugnata, la Regione ha annullato in autotutela ai sensi degli artt. 21 octies e nonies della legge n. 241 del 1990, quindi per vizi di legittimità, le delibere di G.R. n. 2130/2007 e 180/2008 con le quali sono state trasmesse, previa verifica da parte regionale della coerenza con la programmazione di settore, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale 11 progetti speciali (tra i quali quello della ricorrente) ai fini dell’erogazione del finanziamento previsto dall’art. 26 della legge n. 845 del 1978. Ai sensi della richiamata disposizione, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale contribuisce ai progetti speciali “eseguiti dalle regioni per ipotesi di rilevante squilibrio locale tra domanda ed offerta di lavoro”. Più nel dettaglio con la delibera n. 2130/2007 la Regione, ha preso “atto delle proposte progettuali pervenute all’Assessorato Istruzione, Formazione e Lavoro..ai sensi dell’art. 26 “finanziamento integrativo progetti speciali legge n. 845/78”, ritenendoli coerenti con la propria programmazione di Settore e li ha trasmessi “al Ministero del lavoro e della previdenza sociale per l’approvazione e finanziamento dei medesimi” (cfr. delibera n. 2130/2007). Successivamente, l’atto ha subito una integrazione per effetto della delibera n. 180/2008 (anch’essa autoannullata) in quanto alla Regione sono pervenute altre tre proposte progettuali, parimenti ritenute compatibili con la programmazione regionale e trasmesse in ordine cronologico, insieme alle altre, al Ministero del lavoro. In seguito, il Ministero del lavoro, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, con D.I. n. 62/CONT/V/2008, ha finanziato il progetto di cui è causa. Come sostenuto da parte ricorrente, il Ministero del lavoro ha espressamente affermato (cfr. nota UL n. 86604/16/22 del 20 maggio 2002 richiamata nell’atto di concessione) che “gli interventi in materia di formazione professionale di cui alla legge n. 236 del 1993 [normativa che è intervenuta sulla disciplina dei finanziamenti dei progetti speciali di cui al più volte citato art. 26], sono ancora di competenza statale. Il decreto ministeriale ha, quindi, autorizzato la concessione alla Regione Campania di un contributo per l’anno 2008 a carico dell’art. 26 della l. 845/78. La Regione ha, poi, stipulato a valle l’atto di concessione disciplinante nel dettaglio le modalità esecutive del progetto in questione. A seguito dell’avvio delle attività progettuali, la ricorrente ha ricevuto una prima tranche del finanziamento e, successivamente, avendole proseguite, ha chiesto la liquidazione della seconda tranche, così come stabilito nell’atto di concessione. L’amministrazione, invece di soddisfare tale richiesta, ha disposto, prima in via cautelare la sospensione delle attività formative (provvedimento, come visto impugnato con separato ricorso e annullato dal TAR) e dopo, ha adottato, ai sensi degli artt. 21 octies e nonies della legge n. 241/1990, il provvedimento di autotutela n. 36/2013 di annullamento delle pregresse delibere regionali (n. 2130/2007 e 180/2008) sulla scorta delle seguenti motivazioni: 1) in riferimento ai finanziamenti di cui alle delibere da ultimo citate, pende un procedimento penale per truffa presso la Procura di Napoli;2) l’assegnazione dei contributi in questione è avvenuta mediante una deliberazione dell’organo di indirizzo politico (la Giunta regionale) incompetente sulla base di una programmazione regionale assente e senza procedure comparative;3) la realizzazione dei progetti finanziati è ancora incompiuta e, comunque, non più utile al raggiungimento degli obiettivi della programmazione regionale oltre che inadeguata rispetto alle finalità di cui all’art. 26 della legge n. 845/1978;4) non sussiste l’interesse pubblico a erogare il finanziamento, essendo l’interesse dei beneficiari a ottenere i contributi recessivo rispetto al primo.
Ciò premesso, il provvedimento gravato è affetto dai denunciati vizi di difetto di motivazione e incompetenza.
La finalità che la Regione intende perseguire con l’annullamento in autotutela delle delibere regionali è evidentemente quella di arrestare i pagamenti nei confronti della ricorrente (così come degli altri dieci beneficiari dei finanziamenti) e, probabilmente, recuperare quanto già versato. La delibera sul punto non solo non è sufficientemente chiara ma si mostra addirittura perplessa dal momento che, come lamentato dal ricorrente, nello stesso atto si intersecano motivazioni riconducibili a cause e produttive di effetti affatto diversi: da quelle attinenti all’annullamento per motivi di legittimità delle vecchie delibere (con effetti ex tunc), a quelle inerenti alla revoca per ragioni di opportunità (implicanti una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario e la costatazione della sopraggiunta inattualità dell’interesse alla prosecuzione del progetto alla luce della nuova programmazione regionale di cui alla delibera n. 690/2010), ad altre ancora, più prossime a contestazioni di inadempimento degli obblighi discendenti dalla concessione del finanziamento (azioni di sistema che sarebbero rimaste “largamente inattuate”, attività formative “solo in parte realizzate”).
Proprio per l’eterogeneità del contenuto della delibera, (che già solo per questo sembra meritevole di censura sotto il profilo della perplessità della motivazione, considerato che la stessa è stata formalmente adottata ai sensi dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990) occorre soffermarsi partitamente sulle singole questioni.
La Regione ha evidenziato nelle premesse dell’atto (senza tuttavia trarne alcuna conseguenza nella parte successiva) che con riguardo ai finanziamenti di cui alle delibere regionali pende un procedimento penale per truffa aggravata.
Come già evidenziato dalla Sezione nelle sentenze n. 356/2013 e n. 2305/2012 (rese in relazione al primo provvedimento di sospensione delle attività formative) “il generico richiamo al fatto, non meglio precisato, della pendenza di indagini penali sulla gestione dei contributi del tipo di quelli oggetto della presente controversia, senza la benché minima indicazione sui fatti di reato in concreto ipotizzati e sulla diretta incidenza di tali indagini e ipotesi di reato sullo specifico rapporto amministrativo instaurato con la odierna ricorrente e sugli atti amministrativi che lo hanno generato, non può…, costituire una valida e adeguata motivazione di un provvedimento soprassessorio profondamente lesivo dell’affidamento legittimamente ingenerato nel soggetto beneficiario della contribuzione pubblica, in specie ove si consideri che il rapporto amministrativo era già stato concretamente avviato, con svolgimento delle attività corsistiche e pagamento di una prima rata dei finanziamenti dovuti”.
La Regione, nella totale ignoranza della suddetta pronuncia, ha sostanzialmente reiterato la stringata motivazione del primo provvedimento (limitandosi a riferire che “la Procura della Repubblica di Napoli ha avviato un procedimento penale (n. 20610/2008), con ipotesi di reato di truffa aggravata” e che sarebbe stata trasmessa tutta la pertinente documentazione), senza integrarla con alcuno specifico riferimento al coinvolgimento della ricorrente nelle attività illecite sottoposte all’esame della magistratura inquirente e all’eventuale esito del procedimento penale risalente al 2008.
Quanto agli ulteriori vizi di legittimità che avrebbero contrassegnato le delibere n. 2130/2007 e 180/2008 (incompetenza dell’organo che ha approvato il progetto, assenza di programmazione regionale e di procedure comparative), anche ove sussistenti (e la ricorrente lo contesta) essi, di per sé, nel quadro delineato, non sarebbero stati tali da determinarne l’annullamento d’ufficio.
L’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, al primo comma, prescrive che “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell' articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.
La ricorrente sul punto evidenzia, da un lato, il notevole lasso di tempo trascorso dall’adozione delle delibere (che risalgono al gennaio 2008 mentre l’annullamento in autotutela è intervenuto solo nel febbraio 2013), dall’altro, l’integrale esecuzione dei progetti (circostanza questa rimasta incontestata da controparte), nonché, il legittimo affidamento dei beneficiari dei finanziamenti (molti dei quali sono enti pubblici, al pari della resistente). Con riferimento a quest’ultimo aspetto, non vi è in atti alcun elemento dal quale si possa ragionevolmente desumere che la ricorrente fosse al corrente dell’illegittimità del procedimento o che questa fosse agevolmente percepibile con la dovuta diligenza. Sotto il profilo in esame, si rappresenta, infatti: a) che le delibere annullate hanno attestato l’esistenza di una programmazione regionale di settore rispetto alla quale gli 11 progetti sono stati ritenuti coerenti;b) che il contenuto delle delibere (secondo la Regione incompetentemente adottate dalla Giunta) è tipicamente programmatorio, quindi, compatibile con i compiti affidati all’organo di indirizzo politico (la Regione, in quella sede, si sarebbe in effetti limitata ad accertare la sussistenza di una condizione di rilevante squilibrio tra domanda e offerta di lavoro, a dichiarare i progetti coerenti con la programmazione regionale di Settore e a trasmetterli al Ministero del lavoro per l’approvazione);c) che, in riferimento alle procedure comparative, non tutte le Regioni hanno ritenuto necessario adottare bandi di gara (la Regione Puglia, ad esempio, si sarebbe regolata in modo analogo alla Regione Campania con l’invio in ordine cronologico di arrivo dei progetti al Ministero del lavoro). In ogni caso, a concorrere a radicare il convincimento della legittimità degli atti, è intervenuto il vaglio positivo del Ministero del lavoro che, a conclusione dell’intero procedimento, ha definitivamente approvato e finanziato tutti i progetti trasmessi.
Nel complessivo quadro sopra delineato, corroborato dalla totale assenza di contestazioni e dal pagamento della prima anticipazione, ritiene il Collegio fondata la censura di violazione dell’art. 21 nonies, dedotta dal ricorrente, sotto il profilo della totale obliterazione dell’affidamento non ingiustificatamente riposto nella legittimità dell’atto di concessione del finanziamento.
La considerazione che precede appare altresì rafforzata dal rilevante lasso temporale intercorso tra il provvedimento di annullamento e le delibere annullate (che supera il quinquennio) durante il quale il ricorrente, in assenza di contestazioni e confidando sull’originaria concessione e sull’anticipazione intervenuta, ha correttamente intrapreso, sviluppato e concluso l’attività formativa finanziata.
Osserva, inoltre, il Collegio che, a fronte di attività formative ormai concluse e al rilascio a terzi dei pertinenti titoli formativi, non risulta sufficientemente enucleata la sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto all’annullamento (con efficacia retroattiva) delle delibere regionali. Segnatamente, viene evidenziato nel provvedimento che l’amministrazione (ove non adottasse l’atto) sarebbe esposta alla “mancata erogazione dei fondi da parte del Ministero del lavoro (titolare congiuntamente agli uffici regionali di compiti di controllo) nonché della restituzione di quanto già erogato”. Si deve a contrario rilevare come, non solo non risulta essere stata promossa in questo senso nessuna iniziativa da parte del Ministero del lavoro ma (come già evidenziato) neppure la Regione ha mai, sotto alcun profilo, contestato l’operato della ricorrente nell’attuazione dei progetti speciali. I riferimenti recati nell’atto, circa la mancata compiuta realizzazione dei progetti e la non certificabilità della relativa spesa, a tacere della manifesta tardività di tali appunti, avrebbero dovuto trovare sede appropriata nell’eventuale procedimento di revoca del finanziamento per inadempimento degli obblighi prescritti (con la previa puntuale indicazione delle attività che non sarebbero state portate a conclusione e/o non adeguatamente rendicontate) e non in un provvedimento di autotutela.
In altri passaggi motivazionali dell’atto, la Regione ha affermato “la conclamata incoerenza delle attività progettuali rispetto alle finalità dell’art. 26 della legge n. 845/1978”, l’eccessiva onerosità degli stessi, la mancata valutazione ex ante dei progetti e l’insussistenza dell’interesse pubblico alla loro realizzazione.
Coglie nel segno la censura di incompetenza articolata dalla ricorrente. Si tratta, infatti di valutazioni che la Regione avrebbe dovuto compiere insieme al Ministero del lavoro, nel rispetto del principio del contrarius actus (essendo palese l’intento della Regione, attraverso l’annullamento delle proprie delibere, di porre nel nulla il finanziamento concesso dal Ministero con apposito decreto interministerale).
In precedenza si è messo in luce la complessità della procedura per l’assegnazione dei finanziamenti statali di cui all’art. 26 della legge n. 845 del 1978 finalizzati a mitigare gli squilibri locali tra domanda e offerta di lavoro. Più in dettaglio, non può sfuggire l’articolato procedimento che si è concluso con l’erogazione del finanziamento e che si regge sulle concorrenti attribuzioni sia della Regione, sia dell’amministrazione centrale che in sinergia per quanto di rispettiva competenza hanno concorso ad approvare i singoli progetti. Pertanto, sotto tale peculiare profilo, la Regione non avrebbe potuto, in via autonoma e unilaterale, procedere all’annullamento d’ufficio per motivi di legittimità (peraltro, a distanza di ben cinque anni) delle delibere con le quali sono stati trasmessi al Ministero per l’approvazione definitiva i progetti de quibus, senza coinvolgere nel medesimo procedimento l’amministrazione centrale che i medesimi progetti ha definitivamente approvato.
Sul punto in esame, la tesi della difesa regionale non convince.
La prospettazione sostenuta, in base alla quale al Ministero del lavoro spetterebbero il mero trasferimento delle risorse alla Regione e il controllo contabile del loro utilizzo, contrasta con la previsione normativa del procedimento sopra descritto che implica quanto meno una cogestione delle somme stanziate ex art. 26 (da parte delle due amministrazioni) che culmina con un decreto interministeriale con il quale il singolo progetto viene approvato e finanziato, dopo che la Regione ne ha valutato la coerenza con la programmazione regionale di Settore e attestato l’esistenza di rilevanti squilibri tra domanda e offerta del lavoro nel territorio regionale.
In chiaro contrasto con la previsione normativa e sostanziale travolgimento delle rilevanti attribuzioni riservate al Ministero, la Regione, con l’atto impugnato ha ritenuto di annullare le precedenti delibere regionali (che costituiscono come già precisato solo una fase del procedimento di erogazione dei contributi) senza coinvolgere minimamente l’amministrazione centrale che ha definitivamente assentito e finanziato il progetto (nessun carteggio risulta infatti intercorso con il Ministero del lavoro).
Tanto meno l’atto impugnato, cui si attribuisce efficacia retroattiva, potrebbe sostenersi sulla considerazione che i progetti non sono più coerenti con la “attuale programmazione regionale di settore” adottata con la delibera n. 690 dell’8.10.2010. Sembra evidente che l’opportunità di mantenere in vita i progetti e consentirne o meno l’ultimazione, avrebbe dovuto essere tempestivamente valutata al sopravvenire della nuova programmazione regionale nel 2010 e non a distanza di tre anni e a progettazione ormai conclusa.
In conclusione, per le ragioni di carattere assorbente sopra evidenziate, la delibera n. 36/2013 è illegittima e merita di essere annullata.
2. Con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato il decreto dirigenziale n. 7 del 7 giugno 2013 attuativo della delibera di Giunta regionale n. 36/2013 oggetto dei primi motivi aggiunti.
Il ricorso deve essere accolto in quanto il decreto è affetto dalla denunciata illegittimità derivata. Si tratta, infatti, di una atto meramente consequenziale ed esecutivo della delibera n. 36 e del quale mutua i vizi.
3.Resta da esaminare la domanda volta ad accertare l’inerzia dell’amministrazione e la conseguente condanna della stessa agli adempimenti connessi alla concessione del finanziamento nonché “al risarcimento di tutti i danni prodotti”.
Quanto alla prima questione, il Collegio rileva che la controversia si inquadra nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità del Giudice amministrativo, non essendo ascrivibile a nessuno dei titoli di giurisdizione esclusiva elencati nell’art. 133 c.p.a. e vertendo su atti autoritativi di autotutela incidenti su rapporti di concessione di contributi pubblici, a fronte dei quali le posizioni soggettive dei privati ricorrenti assumono consistenza di interessi legittimi. Ne consegue l’inammissibilità della domanda articolata dalla ricorrente volta ad accertare il suo diritto “a svolgere le attività già autorizzate, con conseguente condanna dell’amministrazione regionale”.
Deve, invece, essere respinta la domanda di risarcimento dei danni patiti in quanto del tutto sfornita di prova.
4. Le spese di causa, secondo la regola della soccombenza, devono essere poste a carico dell’amministrazione regionale, nell’importo liquidato in dispositivo.